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Flashback [parte 2] <129>

(Nota Autrice: questo capitolo e i prossimi, non so quanti, saranno interamente orientati al passato di Giulia, Matteo ed Igino, narrato da loro stessi.)
GIULIA
Quando tornai alla realtà, era già troppo tardi. Ero stata portata a casa ed avevo passato tutto il giorno a letto.
Era sabato quando mi ripresi. Il dottore mi aveva visitata e aveva tranquillizzato mia madre, che era terrorizzata all'idea che avessi qualcosa.
Sentii la porta aprirsi e mi voltai lentamente verso la porta per trovarmi davanti mio fratello, che sembrava più che irritato.
"Io e te dobbiamo parlare." disse.
Evitai di contraddirlo, perché in effetti ero d'accordo: avevamo parecchie cose di cui parlare e volevo che lui mi dicesse con che faccia usava quel tono dopo aver collaborato alla sfiorata distruzione fisica e psicologica di un ragazzo che, per quanto ne sapevo, non gli aveva mai fatto niente di male.
"Ti avevo detto di coprirmi!" disse, senza aspettare che gli rispondessi.
"Coprirti a proposito di che cosa?" chiesi.
"Dovevi dire che ero con te!"
"Parli della preside?" chiesi a mezza voce. Avevo capito che non voleva che i nostri genitori ci sentissero, anche se non era abbastanza acuto. "E chiudi la porta, no? Potrebbero sentirti!" Lui sbatté la porta della mia stanza e fu allora che il mio inferno ebbe inizio.
"Che cosa volevi fare, eh? Se mi avessi coperto, sapendo che tu dici sempre la verità la preside mi avrebbe lasciato in pace... e invece, naturalmente, tu che cos'hai fatto? Hai detto che non ne sapevi niente!"
"Ma cosa volevi che facessi? Io non sapevo niente per davvero! Io..."
"E tu dici di volermi bene? Ma per piacere! Sei solo una stupida commediante, che cerca di ottenere l'affetto delle persone promettendo mari e monti per poi non fare neanche la metà di quello che ti si chiede! Sei una stupida, non vali niente! Sei uno scarafaggio e io ti schiaccerò!"
"Matteo, io..."
"Ma tu cosa? Oh... guarda... gli scarafaggi sanno anche piangere? Non me l'aspettavo!"
"Matteo, ti scongiuro, smettila!" dissi cercando di non far uscire altre lacrime, ma i miei sforzi non portarono a nulla. Quelle dannate lacrime, imperterrite, si rincorrevano, raggiungevano il loro traguardo e scendevano giù, lungo le mie guance. Strinsi i denti, cercando almeno di evitare che nel mio pianto ci fosse rumore.
"Oh, povera piccina! Quanto mi dispiace!" disse lui, con dei falsi occhi a cuoricino. "Mi dispiace, sorellina, ma da questo momento non mi farò nessuno scrupolo verso di te! E ti giuro che ti schiaccerò sotto le scarpe, come un orribile scarafaggio... che poi è quello che sei! E non t'illudere: non ci sarà nessuno disposto ad aiutarti!" A quel punto, non potendone più, mi alzai di scatto dal letto e, nonostante la testa mi girasse, mi gettai su di lui ed iniziai ad urlargli contro.
"Allora di' ai nostri genitori cosa fai a scuola, animale! Diglielo, se hai il coraggio! DILLO!" urlai contro di lui, spalancando la porta perché i miei sentissero.
"Smettila! Non ne hai il diritto, verme!"
Fu un pugno nello stomaco, e questo mi permise di urlare più forte, stringendo tanto i suoi polsi da sentire dolore.
"Dillo che questo verme ti ha impedito di scamparla dopo aver saputo che hai quasi ammazzato di botte un ragazzo che l'unico sbaglio che aveva fatto era non piacere a te e a quei tre deficienti che ti porti dietro! DIGLIELO, RAZZA DI MOSTRO, DIGLIELO!" Ed i miei genitori accorsero nella stanza. Scoprii che i miei genitori stavano già cercando Matteo perché la preside li aveva appena chiamati per quello che era successo a Claudio.
"Giulia, lascialo! Che succede?" chiese mia madre.
"Chiedetelo a lui! Lo scarafaggio non ve lo può dire!"
E il pianto silenzioso non mi bastò più. Corsi in strada, nonostante mi fossi appena ripresa da un malessere. Correvo, perché volevo perdermi. Avrei praticamente potuto attraversare tutto il paesino in cui abitavo.
Probabilmente sembravo una pazza, perché piangevo a dirotto e dicevo che non era vero e che la colpa non era mia. Ero così assorta nel mio dolore che non mi resi neanche conto di trovarmi in mezzo alla strada. Probabilmente corsi addirittura incontro a quell'automobile che mi travolse in pieno. Avvertivo dolori atroci in tutto il corpo.
Sentii la portiera dell'auto aprirsi. I miei occhi sembravano andare a fuoco, ma riuscii a vedere una figura che mi si sedeva accanto.
"Oh santo cielo! Piccola, mi dispiace..."
Mi aiutò a salire sulla sua auto, abbassò il sedile del passeggero e mi disse: "Tira la mia maglietta!"
Non riuscivo a tenere gli occhi aperti... per questo mi aveva detto di farlo. Guardare fisso qualcosa mi procurava dolore. Lui mi tamponò gli occhi, cercando di lavare via l'olio che mi stava creando un bel po' di problemi. Fatto mise in moto e, con il finestrino aperto, urlava: "È UN'EMERGENZA! È UN'EMERGENZA! SPOSTATEVI!"
Quando arrivammo in ospedale, però, il dolore si acu/ a tal punto da portarmi a perdere i sensi.
Mi ripresi dal coma tre mesi dopo, senza la vista, e quello di per sé fu già un duro colpo. Rimasi in ospedale per altri due mesi, in riabilitazione, e lì imparai quel poco che so. Imparai a leggere e scrivere, a muovermi con il bastone bianco e soprattutto a muovermi a testa bassa. Eh sì, perché mio fratello non perdeva occasione per umiliarmi, anche in ospedale. Alla fine Claudio aveva cambiato scuola, naturalmente, e l'intera faccenda era stata dimenticata... da tutti, tranne che da me.
Quando tornai a casa, dissi ai miei genitori che, per quanto pericoloso fosse, preferivo prendere i mezzi pubblici. Dissi che lo facevo per non dipendere da Matteo, ma la verità è che a scuola con lui non ci volevo andare. Lui e la sua banda non perdevano occasione per tormentarmi e andare a scuola con lui sarebbe stato un suicidio, più che prendere l'autobus per la prima volta, da sola, per arrivare alla scuola che frequentavo a Napoli. Ma fu peggio, perché quei quattro mi seguirono e scoprirono quale bus prendevo... fu una tortura.
Cercai un posto a sedere, ma non lo trovai, quindi decisi di aggrapparmi ad una sbarra, per non cadere, mentre con l'altra mano reggevo il fidato bastone. Me lo strinsi addosso, perché temevo che i ragazzi me lo prendessero e lo nascondessero. Senza supporto sarebbe stato un po' complicato muoversi. Almeno, però, forse sarei stata tranquilla almeno sul bus.
Ma mi sbagliavo. Avvertii una presenza alle mie spalle e all'improvviso sentii qualcosa bagnarmi la testa e ascorrere lungo la mia schiena. Approfittando della fermata mi attaccai il bastone al braccio e, tremando, mi portai una mano alla testa. Fui sollevata quando sentii che non era niente di appiccicoso: era solo acqua, ma era ghiacciata. Rabbrividii, perché avevo i vestiti fradici.
"Allora? Come sta la nostra secchiona preferita?" sussurrò Samuele.
"Che cosa volete? Vi ho già dato tutto!"
"Oggi la prof di storia interroga" disse Matteo, "e tu ci aiuterai ad ottenere un 7."
"Perché dovrei suggerirti? Tanto neanche mi sentite" feci notare loro con voce tremante. L'unica cosa giusta che avevo fatto era stata tremare: infatti sentii una mano afferrare i miei capelli e fui costretta ad abbracciare letteralmente il palo al quale mi ero aggrappata per non finire a terra. Com'era possibile che nessuno si muovesse?
"Tu ci suggerirai... e ti consiglio di non provare mai più ad ostacolarci, altrimenti te la faremo pagare!"
Le parole di Matteo furono come una pugnalata al cuore. Avrei voluto urlare, ma non ne avevo la forza.
Quando arrivammo a scuola, mentre camminavo per i corridoi, sentii una mano sulla spalla. Mi voltai, ma naturalmente non vidi chi era... però quel tocco mi era familiare.
"Senti un po'... che ne diresti di giocare insieme, all'intervallo, piccola?" disse uno dei ragazzi che formavano la banda di Matteo: Samuele.
"Che... che vuoi dire?" balbettai.
"Questo!" disse il ragazzo. Mi spinse contro il muro e sentii che si stava avvicinando al mio collo. Quella volta, per fortuna, fui salvata dalla ragazza di Samuele che, per mia fortuna, capì che non era colpa mia. Sentii che gli tirava uno schiaffo in pieno volto e quando lui se ne fu andato, la ragazza mi si avvicinò. Notò che ero fradicia e visto che avevo battuto la schiena contro lo zaino con violenza, avvertivo dolore ad ogni tocco.
"Mi dispiace, Giulia... vieni con me, ti aiuto ad asciugarti un po'." E fu quello che fece.
Quel giorno riuscii a suggerire per miracolo ai miei bulli. Alla fine delle lezioni, però, i quattro mi fermarono.
"Piccolina... non puoi respingere nessuno di noi!"
Sussultai a quelle parole. Il mio cuore perse un colpo e sentii che la terra sotto i miei piedi tremava letteralmente. Incurante del mio terrore, Riccardo, il ragazzo che aveva parlato, mi afferrò per un braccio e mi trascinò fino alla palestra. Provai ad opporre resistenza, ma lui mi strappò di mano il bastone e lo scaraventò lontano, in modo che non potessi allontanarmi. Scoprii solo dopo quello che avrebbero fatto.
Raggiungemmo la palestra e loro mi misero davanti un libro. "Sai, questo è uno dei libri che ti piacevano tanto. Te l'aveva regalato Mamma Giulia, come dici tu, ricordi? Dubito che lei potrà dartene un altro!" disse Thomas. Non ci potevo credere!
"Il libro è: "Oliver Twist", vero?" aggiunse Samuele.
Ebbi la sensazione che Matteo esitasse per un istante.
"No, vi prego!"
Sentii uno strappo e capii.
"Per favore..."
"Che fai? Piangi per uno stupido libro, dolcezza?" disse Riccardo. Continuò a strappare e a buttarmi addosso quel che rimaneva di quel libro. Il mio cuore andò in frantumi. Mamma Giulia era malata e non sapevo quanto avrebbe resistito. Era una delle cose più care che avevo, quel romanzo! Lei me l'aveva regalato perché sapeva quanto mi piacesse leggere e voleva darmi un'idea di quanto simile fosse stata la vita di mia madre prima che lei l'adottasse.
"E ora pulisci, coraggio!" disse Samuele, dopo aver distrutto completamente il libro. Io rimasi immobile.
"Allora? Perché non obbedisci, stupida?" mi chiese Thomas.
Io piangevo in silenzio e basta. A quel punto i ragazzi mi afferrarono e mi costrinsero a sdraiarmi su una lunga trave.
Cacciai un urlo di disperazione quando mi legarono alla trave con delle corde, ma loro mi alzarono la testa con violenza e qualcosa mi venne spruzzato negli occhi. Non ci misi molto a capire che, qualunque cosa fosse, non doveva stare lì.
Avvertii un bruciore atroce.
Sentii degli scatti, cosa che mi portò a piangere più forte e, di riflesso, a provare un dolore ancora più intenso, ammesso che la cosa fosse possibile. Mi misero dello scotch sulla bocca e io a quel punto smisi di lottare. Nessuno mi avrebbe trovata.
MATTEO
Non ero esattamente fiero di aver distrutto un ricordo di Mamma Giulia, ma volevo che mia sorella soffrisse. Volevo che capisse che cosa provavo io. Volevo che lo sapesse. Le buttai addosso le cartacce, mentre lei piangeva in silenzio. Ecco, questa era un'altra cosa che non riuscivo proprio a mandare giù. Perché? Perché piangeva in silenzio, perché non ci pregava mai più di una volta di smettere di fare qualcosa? Perché si rialzava sempre?
Tornai a casa lasciandola lì, ma naturalmente i miei genitori si preoccuparono quando non la videro tornare. Provarono a chiamare la scuola, ma fu detto loro che nessuno sapeva niente... poi venne a trovarci il suo amico Matias e chiese di lei.
"Come? No ha vuelto? Cioè... non è tornata?"
"No, Matias, non è tornata, purtroppo."
Matias mi fulminò con lo sguardo e sentii che se avesse potuto mi avrebbe strangolato. Lui era l'unico che sapeva tutto. Se n'era accorto, perché lei mi evitava.
"Matteo, posso parlare un attimo con te... da solo?" disse con un tono che non ammetteva repliche. Io annuii semplicemente e lo seguii in camera mia. Lui non perse tempo: chiuse la porta e mi prese per un braccio: "Se non mi dici subito dove hai nascosto Giulia i tuoi genitori sapranno quello che continui a combinare a scuola, hai capito?"
Fui costretto a dirglielo. Lui la sua parola la mantiene sempre, quindi sapevo che se non avessi fatto quello che mi aveva chiesto, ci avrebbe parlato sul serio con i miei genitori e loro stavolta non sarebbero stati così buoni con me. Pensavano che avessi chiuso con quei ragazzi e con quelle cattiverie fatte agli innocenti.
"È a scuola. In palestra. Non ti sarà facile entrare."
"E tu mi ci porterai e mi farai anche entrare, capito? Dirai che sei preoccupato perché tua sorella non è ancora rientrata e che vuoi cercarla. Sbaglieremo anche meta, ma tu ci sarai, o sai già quello che ti aspetta!"
Non avevo mai visto Matias così arrabbiato.
Mi strinse ancora di più il braccio quando sentii mia madre gridare.
"L'hanno trovata!" esclamò. Infatti la custode, che non pensava mai ai fatti suoi, avendo ricevuto quella chiamata, si era messa a cercare Giulia.
GIULIA
Non riuscivo a smettere di piangere, anche se non avevo più la forza di fare nulla, perché più piangevo, più gli occhi s'irritavano, provocandomi un bruciore atroce, più quel bruciore aumentava più io piangevo forte.
Era un po' un circolo vizioso.
Non so quanto tempo passò prima che qualcuno entrasse in palestra. Io, nonostante lo scotch, iniziai a mugugnare più forte che potevo e alla fine, finalmente, qualcuno mi si avvicinò. La custode, la signora Luisa, che non mi aveva vista uscire.
"Oh mio Dio! Che ti è successo, Giulia?" chiese agitata. Prese un paio di forbici con le quali tagliò le corde che mi tenevano legata, passò dell'acqua sui miei occhi e sulle mie labbra per ammorbidire lo scotch e pulirmi dal liquido urticante che avevo sotto le palpebre. Lo scotch venne via senza provocarmi alcun dolore dopo l'acqua calda, ma non mi reggevo in piedi e gli occhi bruciavano ancora. La custode mi fece visitare da una sua amica: una dottoressa molto gentile, che mi diede del collirio da mettere negli occhi ed una crema per il gonfiore dei polsi e delle caviglie, provocato senz'altro dalla lunga costrizione. La custode chiamò a casa dei miei e chiese il loro indirizzo per poi riportarmici.
Aveva ritrovato anche il mio bastone che, non so come, non era stato spezzato. Quando arrivammo a casa mia, Matteo mi corse incontro.
"Sorellina, cos'è successo?"
Io non risposi.
Lui mi abbracciò forte, provocandomi dolore, ma io rimasi immobile.
"Giulia, calmati! È solo Matteo!" disse mia madre. Io rimasi immobile.
Il mio amico Matias spinse via mio fratello e mi prese delicatamente la mano. "Avanti, chica! Vieni!"
Mi portò alla sua sala di registrazione e mi fece accomodare su una poltrona. A quanto pareva lui aveva lì la crema che mi serviva per il gonfiore, mi scoprì i polsi e iniziò a spalmarla.
"Chica, tranquilla. Qui puoi sfogarti!"
"Non ce la faccio più, Matias! A volte vorrei solo chiudere gli occhi e non aprirli mai più, te lo giuro..."
Fu tutto quello che riuscii a dire, prima che gli occhi riprendessero a pizzicare... ed era vero. Avrei voluto sparire.
Chiudermi a chiave in camera per leggere, incontrare il meno possibile Matteo, passare tanto tempo ad urlare senza emettere neanche un suono, ormai non bastava più a farmi sentire meglio. Mamma Giulia si stava lasciando lentamente abbracciare dall'Angelo con il mantello nero, quello che presto ce l'avrebbe strappata, e al pensiero di non poter più avere quel libro che lei stessa mi aveva regalato e sul quale aveva scritto una dedica, mi aveva distrutta... tutto questo insieme all'umiliazione.
Ma più di tutto non credevo che mio fratello potesse dare a quei tre una delle cose più preziose che avevo.
Matias non provò a dirmi di non ripetere mai più quelle parole, non mi diede della stupida né altro. Si limitò ad abbracciarmi, ma con delicatezza, per non farmi male, e a sussurrarmi: "Ti voglio bene, Giulia!" E fu questo, forse, il motivo per cui decisi di non crollare.

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