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È solo grazie a te <98>

IGINO
Come al solito, mi sono svegliato alle tre di notte, in preda al panico. Mi sono chiuso dentro e, cercando di coprire qualsiasi tipo di luce, mi sono rimesso velocemente all'opera. Devo concludere il lavoro di Matteo e di Michele, e questa è l'impresa più difficile, perché devo fare degli errori, ma non troppi, per non farli arrabbiare, e della quantità giusta perché non si capisca che è opera mia.
Riprendo a scrivere il più velocemente possibile, anche se gli occhi mi bruciano da matti. Continuo ad insistere, anche se inizo a sentire il bruciore delle lacrime, che stavolta non dipendono da un pianto di tristezza. Questa storia è iniziata venerdì e comunque sono all'ultimo giorno. Che succederà per i compiti settimanali? Come faccio a farli tutti, tra l'altro fatti in modo che non si capisca che non sono stato io?
Ripenso alla mia migliore amica e al fatto che forse per lei era persino peggio, perché le toccava fare tutto questo dopo un incidente che le aveva tolto la vista all'improvviso e poi nella sua classe c'erano molte più persone.
Continuo ad insistere su un esercizio di biologia che dovrebbe svolgere Michele. Questo glielo faccio giusto, quindi, sperando di averlo capito a dovere, copio dal mio. Quelli più facili li faccio sempre giusti. Magari, se è fortunato, Michele ci arriverà velocemente, nel caso in cui la prof dovesse chiamarlo alla lavagna per verificare che "un angelo non ci abbia messo la sua mano santa", come direbbe lei. Mi ha sempre definito un angelo, ma spero che non abbia capito quello che mi succede. Non tanto perché, pur non minacciandomi, Matteo me la farebbe pagare, ma perché io non voglio che finisca nei guai poiché i sensi di colpa si riverserebbero interamente sulla mia migliore amica.
Riesco a finire biologia, poi passo a storia, dato che abbiamo fatto un laboratorio sugli Antichi Romani. Lì c'è stato da ridere venerdì scorso, perché per dirne una, Cesare è diventato un gatto e Nerone, da imperatore squilibrato, è diventato un cane da guardia.
Quando l'ho detto a Giulia, lei mi ha risposto che non era sorpresa, ma che Matteo e Michele riuscivano sempre a farla rotolare per terra dalle risate per le cose che si facevano uscire di bocca.
Con altre tre ore abbondanti, finisco storia e inizio italiano. Per fortuna è una semplice lettura e mi basta scrivergli un riassunto da inviargli su WhatsApp. Lo scrivo e lo conservo: glielo manderò stasera stessa. Quello l'ho fatto per tutti, per non rovinarmi gli occhi, come dice mio fratello.
Improvvisamente, però, sono costretto a fermarmi. La stanza sembra essere diventata piccolissima e inizia a girarmi la testa. Mi butto sul letto, sollevo il più possibile le gambe perché il sangue affluisca al cervello e, quando mi sento un po' meglio, mi tiro su lentamente. Apro la finestra e, sempre lentamente, mi calo da lì poiché casa mia è su un solo piano. Atterro dolcemente sull'erba, in piedi, e, tenendo fermi gli occhiali, inizio a correre per arrivare da qualunque parte possa darmi un po' di ristoro. Giungo nei pressi dell'albero sotto il quale più di una volta ho parlato con la mia migliore amica. Mi siedo lì ed è come se lei non fosse mai andata via. Chiudo gli occhi ed è come se la vedessi veramente lì, seduta accanto a me... è come se la sentissi stringere la mia mano nella sua.
Come se mi stessi rivolgendo ad un fantasma, senza aprire gli occhi, dico: "Dimmi che devo fare, ti prego! Dimmelo tu, amica mia! Io non so quanto potrò resistere se va avanti così..."
"Smettila di proteggere quell'idiota!" mi dice una voce alle mie spalle. Mi volto di scatto, sorpreso, e vedo Marta.
"Ma tu... tu che ci fai qui?"
"Niente... non riuscivo a dormire e sono uscita. Mi dispiace per la storia dei compiti. Comunque per i miei non preoccuparti: ci penserò io oggi pomeriggio..."
"Li ho già terminati" le dico. "Se vuoi vado a prenderli e te li porto."
"Capisco... senti, io... io lo so che non mi crederai, ma a me dispiace per tutto quello che ti succede a scuola."
"Ci credo." le dico. "Ci credo da molto tempo, Marta. Da quando Giulia è andata via, in tutta la classe sei l'unica che mi dimostra un minimo di pietà" le dico.
"Sai, lei mi ha chiesto di starti vicino perché sa che... che ti voglio bene." mi dice. "Mi dispiace solo di non sapere come... come aiutarti... io..."
"Non fa niente. Mi ha fatto bene parlare con te, anche solo per poco... ricordi che qui ci venivamo con lei?"
"Sì, me lo ricordo! E credimi: anche lei se lo ricorda! Non potrebbe mai dimenticarti: ti vuole troppo bene."
"Almeno qualcosa di buono l'ho fatto!"
"Non dire così, ti prego!"
"Perché no? In fondo è vero."
"Se... se vuoi, possiamo andare a casa tua. Mi puoi dare i miei compiti e... ecco... possiamo parlare un po'..."
"Non ho più le forze di parlarne... però aspettami: vado a prendere i tuoi compiti e te li porto."
E detto questo, vado via di gran carriera. Vado a casa e prendo velocemente il plico di fogli. È stato quello in cui ho messo meno errori, per far capire lei, in fondo, qualcosa la sa. Non è una studentessa che spicca, ma intelligente lo è, e anche molto... oltre ad essere una ragazza sensibile.
Torno indietro e le metto tra le mani la cartellina che ho usato apposta per lei.
"Sei stato gentile, Igino" mi dice.
-Non è gentilezza! Per gli altri dovevo farlo, ma per te era d'obbligo perché sei la sola che si preoccupa di me."
"Beh... allora ci vediamo domani. Mi raccomando: riguardati. Hai gli occhi cerchiati e se continui così ti ammalerai di nuovo."
"Grazie."
Ci separiamo così e quando torniamo a casa, scrivo subito a Giulia, omettendo la faccenda dei compiti. So che forse sbaglio, ma lei è la mia migliore amica e la mia confidente per eccellenza, anche se ora siamo lontani.
"Sono felice, Igino" risponde lei. "Hai visto che c'è chi tiene a te?"
"E tu come fai a dirlo, scusa?"
"È semplice: io lo dico perché sono la prima a tenere a te, no? Tu mi hai aiutata a rialzarmi!"
Con quel pensiero passo tutta la giornata a finire di studiare per Matteo e Michele. Metto via le loro cartelline e quelle di Piera e Lara per poi gettarle con poca attenzione in fondo allo zaino. Le brucerei, se potessi, ma ho fatto di tutto per farli a dovere e spero tanto che basti.
GINEVRA
Mi sveglio con un altro spirito. Mi sento pronta ad affrontare i professori.
"Come va? Sei agitata?" chiede Igino, mentre si butta lo zaino sulle spalle con poca delicatezza, molto insolitamente. Lo guardo. Ha gli occhi gonfi e delle occhiaie che sembrano passarlo da parte a parte.
"Sto abbastanza bene. E tu? Non hai una bella cera."
"Tranquilla, non è niente. Comunque tu non preoccuparti di me e spacca tutto!"
"Va bene, lo farò, ma solo se tu mi prometti che farai attenzione!"
"Parola di sec..."
"Cosa? Ma perché, con tante cose che puoi dire, proprio "parola di secchione"?"
"Va bene... se non ti va... ecco! Parola di rapper!"
"Così va meglio" rispondo sorridendo. Dopo colazione, Michele mi accompagna in auto fino alla stazione. Siamo usciti in anticipo, perché la preside verrà prima e io devo parlarle subito. Sono sul treno, adesso, e non faccio che pensare a mio fratello e a quello che potrebbe accadergli oggi.
Se solo potessi intervenire... se potessi aiutarlo in qualche modo... ma non riesco a pensarci a lungo perché il treno inchioda di colpo, alla mia fermata. Guardo l'orario: sono le 8 meno venti. Devo correre e magari riuscirò a far ascoltare alla preside almeno un quarto delle cattiverie che ci hanno detto i professori in questi giorni.
Riesco ad arrivare al cancello alle 8 meno dieci. Per fortuna è già aperto, quindi m'infilo velocemente all'interno e raggiungo l'ufficio della preside. Quando raggiungo la porta, chiusa ermeticamente, all'inizio rimango ferma, indecisa sul da farsi... poi prendo coraggio e batto qualche colpo alla porta.
"Avanti!" mi dice una voce dall'interno. Io apro la porta ed entro con esitazione in quell'ufficio che non avevo mai visto prima.
"Ginevra!" dice la preside, vedendomi. "Che è successo, cara? Perché sei qui?"
"Per... per questo" rispondo passandole il dischetto che Igino ha preparato con tanta cura. La donna lo inserisce nel lettore e io mi spiaccico contro una parete, perché sento che avrò bisogno di un sostegno per non scivolare a terra come un fuscello. Guardo l'espressione di quella donna man mano che la registrazione va avanti, e vedo che è imperturbabile. Mi avvicino titubante a lei, ma nonostante la vicinanza non cambio idea.
"Non hai visto niente, piccola, eh?" dice la donna, estraendo il CD e spezzandolo in due. Io rimango di sasso a quella vista. Per fortuna mio fratello è stato previdente e a casa ne abbiamo delle copie, ma il lavoro di un pomeriggio intero, fatto da mio fratello, tra l'altro, è stato buttato via in un attimo. "Il buon nome della scuola non può essere danneggiato da queste dicerie!"
"Ma..."
"Preferisci beccarti una sospensione?"
La porta si apre e tutta la mia classe si riversa nell'ufficio. "Se sospende lei, dovrà sospendere tutti quanti!" esclama Elisa, la mia migliore amica.
"Anzi: sa cosa? Ce ne andiamo tutti!" aggiunge Giacomo. Ci dirigiamo tutti fuori. Il custode, capendo tutto, ci lascia uscire e ci dice: "Andate alla polizia e non vi presentate qui finché non vi verrà detto che verranno presi provvedimenti... lo sciopero di un giorno non fa la differenza!"
I ragazzi mi accompagnano al treno e io sono felice di averli accanto, perché mio fratello questa fortuna non ce l'ha... e al tempo stesso lo ringrazio, perché ha fatto di tutto per aiutarmi. Ho detto ai miei amici che darò una delle copie ad uno di loro, perché la polizia venga messa al corrente. Io non sono di qua, quindi è più facile che qualcuno di loro si rivolga alle autorità. Grazie a mio fratello io ho trovato il coraggio di ribellarmi, ed è stato sempre lui, in maniera indiretta, a dare ai miei compagni di classe il coraggio di alzare la testa.

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