E non vedi che sto piangendo? <16>
GIULIA
"Io... io vado a vedere cosa succede, okay?" gli dico.
"Non ce la farai a portarlo da sola! Vengo con te" mi dice lui. "Credo che si sia rotto una gamba, Giulia."
"Ma... ma sarà troppo per te." gli dico.
"Io non lo faccio per lui."
"E per chi, allora?"
"Per te, Giulia. Lo faccio per te."
Detto questo corriamo verso mio fratello ed io m'inginocchio vicino a lui.
"Che ti è successo? Che cos'hai fatto?" gli chiedo.
"Stai zitta e aiutami! E tu sparisci, non lo voglio il tuo aiuto!" urla lui.
"Va bene, ma... lei non ce la farà da sola, perché tu dipenderai totalmente da lei, adesso."
"Sparisci e non dire a nessuno di avermi visto in questo stato, altrimenti..."
"O la smetti di starnazzare come un'oca giuliva o rimani qui per terra!"
E detto questo lo prendo con forza, anzi: quasi con violenza per ib braccio e cerco di tirarlo su. Di solito cerco di essere delicata quando qualcuno si fa male, ma in questo caso non ce l'ho fatta e questo mi spaventa. Non voglio arrivare all'odio, non posso permettermelo!
Mio fratello mi crolla praticamente addosso, portandomi a fare una gran fatica per trascinarlo. Il mio migliore amico viene in mio soccorso, a dispetto delle proteste di mio fratello, e lo costringe letteralmente ad aggrapparsi al suo braccio, anche perché, se fosse soggetto alle mie sole forze, cadrebbe.
Arriviamo in ospedale e un medico, vedendo che mio fratello sta letteralmente per svenire a causa del dolore ad una gamba, porta una sedia a rotelle.
"Non la voglio! Non sono un invalido!" grida lui.
"Chiudi il becco e siediti, altrimenti giuro che ti faccio cadere!" gli dico a denti stretti. Lui protesta ancora, tanto che il medico è costretto a prenderlo di peso e a trascinare la sedia.
"Siete amici del ragazzo?" chiede il medico.
"Io... io sono la sorella e lui è un mio amico" rispondo indicando il ragazzo al mio fianco, che mi stringe la mano.
"Sapete com'è successo?" chiede ancora il medico. Mio fratello inizia ad agitarsi. Io gli poso una mano sulla spalla, con la maggior delicatezza che mi riesce, e gli dico: "Tranquillo, andrà tutto bene.", per poi rivolgermi al dottore: "Era appena rientrato dalla scuola di calcio... il pavimento di casa era bagnato e lui... lui è caduto... io e il mio amico eravamo tornati dalla spiaggia da poco e l'abbiamo trovato che cercava di trascinarsi qui. Ha visto quanto può essere irascibile, no?"
"Ho capito. Allora questi lividi sul volto e sulle braccia devono essere stati provocati dallo sfregamento del corpo con il terreno."
"Lividi?" chiedo, ricordando di colpo la sua reticenza nel farsi tenere dai polsi. "Beh... io non li avevo visti. Cioè: è chiaro che non li avevo visti e comunque, credo proprio che siano dovuti a quello, dottore. Ma ora mi dica: è grave?"
"No, ma gli dica che per una settimana dovrà farsi portare in braccio se non vuole spezzarsi anche l'altra gamba!" risponde il dottore. "Ascoltami, ragazzo: adesso t'immobilizzo il piede. Tu non fare sgarri, hai capito? Devi star fermo, altrimenti rischi che la cosa diventi più grave di quanto è adesso."
Stranamente mio fratello rimane in silenzio. Il mio amico s'irrigidisce, come se la cosa potesse in un certo qual modo far male anche a lui e io, che sono comunque agitata, passo una mano sul suo braccio destro.
"Bene. Signorina, sia gentile, dopo vorrei scambiare due parole con lei e con il suo amico." dice il dottore, e il mio amico, dopo aver sentito quelle parole, diventa di pietra. "Non ti agitare!" dico.
Il dottore, dopo aver immobilizzato il piede di mio fratello, tra urla e imprecazioni, porta fuori me e il mio amico intellettuale per poi farci accomodare su delle sedie plastificate. Si siede di fronte a noi e, senza fare tanti giri di parole, chiede: "Giovanotto, lei di recente ha subito atti intimidatori da parte del ragazzo che si è rotto la gamba?"
"Io... io..." balbetta lui, agitandosi e nascondendo il viso nell'incavo del mio collo.
"Lei, invece, signorina?"
"È una lunga storia, dottore" ammetto con rassegnazione.
"Capisco. Comunque: siate clementi con il ragazzo. Anche lui ha subito degli atti di bullismo. Ho visto che si agitava e non solo per la gamba, signorina... e ho visto che lei stava cercando di calmarlo con quella storia dello scivolone. State attenti. Credo proprio che anche lui abbia bisogno di aiuto."
Porto una mano al petto e faccio un profondo respiro per calmarmi. Poco dopo, però, capisco che c'è qualcuno che sta peggio di me: il mio migliore amico! Inizia a respirare freneticamente, ad agitarsi sulla sedia, e capisco che sta avendo una crisi di panico: cosa che io conosco fin troppo bene!
"Dottore, per favore, mi aiuti! Dov'è l'entrata?" chiedo, cercando di mantenerla io la calmo.
"Venga, signorina. Faccia appoggiare il suo amico, l'aiuto io." mi dice il dottore.
Io lo faccio, mi giro verso di lui ogni tanto e gli dico: "Va tutto bene. Va tutto bene." Arriviamo nel cortile della struttura ed io lo faccio sedere sotto un grande albero.
"Ehi! Guardami negli occhi!" gli dico. "Io adesso conto fino a tre. Tu respira lentamente, rilassati... ora senti un grande peso sul petto, ma è normale... capita spesso anche a me." Prima di contare prendo anch'io un profondo respiro. "Uno... due... tre!" Lui prova a prendere fiato, ma sembra far molta fatica. "Sono qui! Ti fidi di me?" gli chiedo. "Stringi la presa sulle mie mani, se ti fidi, altrimenti lasciale!" Lui stringe la presa e finalmente si rilassa. Gli ho chiesto di farlo perché quando si è nel panico di solito si fa fatica anche a parlare.
Finalmente, dopo cinque minuti, la situazione ritorna stabile.
"Mi dispiace... io... io non volevo" mi dice.
"Un attacco di panico non è mica una colpa!"
Lui non risponde, ma so che non è per niente convinto.
L'autostima è troppo bassa perché mi creda.
"Ragazzi... ora dovreste rientrare. Signorina, suo fratello non può rimanere a vita nel mio studio" dice il medico.
"Vado io, dottore. Lei mi indichi solo il posto."
"Magari l'accompagno, signorina. Devo dirle una cosa" mi dice lui. "Giovanotto, lei sta meglio?"
"Sì, grazie. Non si preoccupi" risponde lui.
"Va' a casa, ti prego! Hai già fatto tanto per noi." gli dico.
"Non preoccuparti" mi risponde il riccio. Il dottore mi prende la mano e ci dirigiamo verso l'entrata.
Mentre camminiamo lui mi chiede: "Lei s'interessa di psicologia?"
"Mi affascina."
"Credo che ci saprebbe fare, sa?"
"Io invece credo proprio di no, dottore."
"Perché?"
"È semplice: per stabilizzare la mente di altri dovrei essere stabile e purtroppo, da un anno a questa parte, ho smesso di esserlo, e le giuro che non è successo perché ho perso la vista. Anzi: la causa del mio incidente è stato proprio il mio crollo emotivo... purtroppo dovuto al carattere impossibile di mio fratello..."
"Ho capito. Mi dispiace molto" dice il medico.
"Non ce n'è motivo. Io mi sono indurita, ma almeno i suoi insulti non mi fanno più male."
"No, signorina. Non è che i suoi insulti non le facciano più male. Ci si è solo abituata e non è lo stesso. Si è abituata a sopportarli, ma scommetto che bruciano come il sale su una ferita. Non ci si abitua mai ad un comportamento di questo tipo, specialmente se viene da una persona dell'importanza di un fratello."
"Credo che lei avrebbe fatto una carriera di gran lunga migliore della mia, dottore..."
Siamo davanti alla porta del suo studio quando lui, senza fare tanti complimenti, apre e m'invita ad entrare. Mio fratello se ne esce con una delle sue fastidiose frecciatine. "Avete perso tempo con il bambino quattr'occhi?" chiede.
"Mica siamo venuti qui per far visitare lui! Mi risulta che quello seduto su una sedia a rotelle, con un piede immobilizzato, sia tu, non lui, quindi di cosa stai parlando?" dico, provando in tutti i modi a reprimere la rabbia che mi brucia dentro. Il dottore posa dolcemente una mano sulla mia spalla, per cercare di tranquillizzarmi. Il problema è che le persone che amo non si toccano, e forse è vero che questa parte del mio carattere non mi aiuta, come dice sempre il mio amato fratellino dal cuore di pietra.
Inizio a spingere la sedia su cui è mio fratello, ma il dottore me la toglie subito di mano, perché sono furente e non presto la minima attenzione a dove mi dirigo. Rischio di provocargli altri danni e sinceramente non voglio fargli del male, nonostante tutto quello che mi ha fatto passare durante l'arco dell'ultimo anno. Siamo fratelli, anche se me ne ricordo soltanto io. Sospiro, mentre seguo il medico fuori dalla struttura. Spero che il mio migliore amico sia andato via, perché mio fratello non è esattamente la rappresentazione della dolcezza.
Peccato che lui non sia un vigliacco. Al contrario: è un ragazzo mite, ma coraggioso... infatti corre verso la sedia e chiede al dottore il permesso per portarla. "Gliela riporterò domani mattina." dice.
"Non si preoccupi. Stia solo attento al ragazzo" sussurra il medico.
Usciamo tutti e tre dall'ospedale, mio fratello sulla sedia a rotelle e il mio amico che lo scorta fino casa, senza dire una parola. Al contrario: sembra quasi conciliante. Se fosse stato un altro, probabilmente l'avrebbe mandato a sbattere contro qualunque cosa di proposito per poi chiedergli scusa dicendo di non averlo fatto intenzionalmente, e non nego che spesso lo farei io stessa... ma è pur sempre un essere umano. Non terrò più di conto il nostro legame di sangue, dato che sembra che me ne ricordi solo io. Essere umano, invece, è qualcosa di cui nessuno dei due può dimenticarsi... o almeno lo spero.
"Matteo, puoi tornare a respirare! Siamo davanti a casa" gli dico, visto che lui non osa parlare.
"Entro da solo" dice, e non so bene cosa stia facendo, ma tra un urlo e un gemito riesce ad entrare in casa. Io, invece, resto fuori. Mi sento in colpa perché non so se sia peggio quando mio fratello parla o quando se ne sta zitto.
"Grazie Igino" dico semplicemente, posandogli una mano su una spalla. È stato dolcissimo, eppure sembra che mio fratello non se ne sia nemmeno accorto.
"Figurati. L'avrebbe fatto chiunque" dice.
"Non un ragazzo tormentato da un bullo... non se si fosse trattato di quel bullo. Tu sei la vittima e hai aiutato il tuo carnefice! Non è una cosa che avrebbe fatto chiunque! Forse io per prima non l'avrei fatto, credimi!"
"Qui sei tu che sbagli. Dici che non l'avresti fatto, ma l'hai fatto. Lui è stato anche il tuo carnefice, e tu l'hai aiutato lo stesso. Forse è vero che non è una cosa da tutti, però... insomma: c'è chi lo fa, peccato che..."
"Peccato che sono in pochi!" gli dico passandomi le mani sulla fronte.
"Certo, pochi!"
Sento che lui mi guarda e quello sguardo mi trafigge: non posso vederlo, ma so che è uno sguardo triste, stanco. È uno sguardo che mi fa male, anche perché io a lui ci tengo, e anche parecchio.
"Allora... a domani. Non preoccuparti: vengo io a prendere te. Non voglio che tu abbia più incontri del dovuto con mio fratello, e ora che si è anche fatto male, sarà ancora più insopportabile!"
"Non preoccuparti per me. Ci vediamo domani" mi dice dandomi un leggerissimo bacio sulla guancia, che mi spiazza ancora di più. Il cuore batte a mille, le lacrime spingono per uscire, ma mi costringo a respirare profondamente e correre verso casa. Prego che Matteo sia arrivato in camera sua, con la musica a tutto volume, e infatti, quando entro in casa, mi giungono alle orecchie le note di una canzone trap. Corro nella mia stanza, mi chiudo dentro e mi getto sul letto. Lacrime inizialmente silenziose vengono fuori dai miei occhi e mentre piango provo dolore: un dolore terribile. Perché dev'essere tutto così difficile?
Dopo un po', però, lo sento spegnere quel benedetto stereo e aprire la porta. Lo sento sfrecciare con la sua sedia verso la porta della mia camera. Credo stia utilizzando la gamba buona, a questo punto.
Apre la porta e si dirige verso il mio letto.
"Giulia, mi serve... che ti prende?"
"Niente." rispondo secca.
"Stai piangendo come una mocciosa. Qual è il tuo problema? Forse stai passando troppo tempo con il..."
"Tu! Tu sei il mio problema, hai capito? E ringrazia che io abbia incontrato Igino, altrimenti a quest'ora saresti ancora a terra!" gli urlo contro. "E giusto per ricordartelo: mi sembra che sia stato lui a spingere la tua sedia fin qui, o forse hai la possibilità di sdoppiarti e puoi farti male e trasportare la tua sedia da dietro da solo?"
"Non ti sopporto quando cerchi di fare la brutta copia di Robin Hood" mi dice lui.
"Io non ti sopporto e basta, invece!" esclamo. "E visto che sei Ironman, adesso esci da quella porta e vai dove ti pare, ma lasciami in pace, è chiaro?"
Lui si avvicina pericolosamente a me, mi prende per un braccio e mi costringe a tirarmi su.
"Se non la smetti, neanche quelle tre galline della nostra classe ti rivolgeranno la parola, piccola saputella dei miei stivali..."
"NON MI TOCCAREEEEEEEE!" urlo con tutta la forza che ho a disposizione. "Che cosa credi, fratellino, che tutto il mondo ti giri intorno? No, per niente! Il mondo gira lo stesso, che tu lo voglia o no!"
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