Cuori come porte scorrevoli [parte 1] <140>
GIULIA
Michele mi ha portata ad un bar per farmi prendere una camomilla, visto che ho i nervi a fior di pelle.
Non posso credere che Matteo abbia davvero deciso di fare una cosa del genere... e se lo arrestassero? Mio fratello fa il duro, è vero, ma non è cattivo e se incontrasse qualche detenuto che fa la voce più grossa della sua, finirebbe per sottomettersi o vi verrebbe costretto. Ho paura di quello che potrebbe succedergli in prigione... perché non poteva bastargli il fatto che Igino gli sia diventato amico?
Dopo aver bevuto, anzi: risucchiato, la camomilla, inizio a giocare nervosamente con le mie dita.
"Fermati, Giulia! Smettila di tirarti le dita in quel modo!" mi dice Michele con gentilezza.
"Non ce la faccio! Non ce la faccio! Sono troppo nervosa! Ma come cavolo gli è venuto in mente di autodenunciarsi? Un giorno di questi mi farà venire un infarto!" dico iniziando a giocare con la stoffa dei leggins, che mi si potrebbe strappare in mano da un momento all'altro per quanto la sto stropicciando.
"Fermati, per favore! Non dire così! Ascoltami: se Matteo ha preso questa decisione è perché è cambiato davvero, e il fatto che te lo dica io dovrebbe confermartelo."
"Michele, lui non è come sembra! Se dovesse finire in prigione diventerebbe matto, credimi!"
"Io ci portavo i pasti, in carcere. Non sono tutti orientati costantemente sulle risse e sulla prevaricazione."
"Lo so. Ci sono quelli più tranquilli e quelli più irrequieti, come in tutto il mondo... ma non è questo il punto. Il fatto è che... molte cose non le potrà più fare e come ci sono detenuti e detenuti, ci sono anche poliziotti e poliziotti."
"Ma chi ti dice che Matteo sarà arrestato?"
"Quello che ha fatto non è precisamente una sciocchezza, lo sai." gli dico.
"Sì, ma te l'ho detto prima: si è costituito e di questo si terrà conto... e poi, cosa credi? Igino sicuramente ci metterà del suo, puoi contarci."
"Lo so, ma ho paura comunque."
"Dimmi una cosa: sei sicura che sia lui il maggiore tra voi due, piccola?" chiede Michele.
"Sì... perché?"
"Perché vedo che lui alle conseguenze delle sue azioni ci pensa dopo."
"E con questo?"
"Con questo intendo dire che tuo fratello è fin troppo impulsivo, a volte, e che l'età non determina la maturità."
"Non dire così, dai, poverino!"
Sospiro, ripensando a lui dentro uno degli uffici, e Michele, capendo che sono più agitata che mai, senza dire una parola mi posa una mano sulla spalla sinistra per tranquillizûarmi. Sotto quel tocco, sento una scossa invadere il mio corpo, dal punto in cui lui mi ha toccata alla punta dei piedi.
Quel contatto, però, mi fa anche provare un senso di pace talmente incompatibile con questo momento di tensione da sembrarmi un miraggio: qualcosa di tanto idilliaco quanto impossibile da ottenere... eppure Michele mi ha fatto provare esattamente questo. Mi viene da sorridere solo a pensarci. Devo essermi proprio innamorata! Di solito è così che funziona nei libri romantici, e dubito che tutti gli scrittori inventino le cose.
"Sei più tranquilla, vero?" mi chiede Michele.
"Sì... non mi è ancora del tutto chiaro come tu ci sia riuscito, ma effettivamente adesso mi sento più tranquilla."
"Mi fa piacere. Piccola, spero che tu resti tranquilla... se la cosa ti può consolare proverò ad intercedere anch'io per lui" dice dolcemente il mio ragazzo.
Sì, esatto! Il mio ragazzo, perché ormai credo sia chiaro che io e Michele stiamo insieme, come Lara e Matias.
IGINO
Ho appena terminato la mia deposizione e mi hanno mostrato alcuni filmati dell'ex scuola di Ginevra ripresi da telecamere di sicurezza, cosa che mi ha profondamente scosso. Quello che Matteo e gli altri dicevano a me non è niente in confronto a questo. Ho addirittura visto un'insegnante colpire con un manrovescio sul viso una ragazzina perché non sapeva rispondere ad una domanda di letteratura. Ma questa gente fa sul serio? Non posso crederci!
Sono anche state raccolte le testimonianze di alcuni genitori che avevano notato una certa ritrosia nei loro figli, quando si facevano loro domande in merito alle loro giornate scolastiche. Alcuni di loro avevano cambiato espressione. Altri avevano reagito in modo più intenso, dicendo di sentirsi poco bene o rispondendo con rabbia a chiunque insistesse con quella domanda. I genitori stanno ritirando i figli da quella scuola in blocco, e onestamente mi sento di dire che lo fanno con giusta ragione.
"Santo cielo! Poveri ragazzi" dico passandomi le mani sulla fronte. "Agente, adesso cosa si farà?"
"Probabilmente ci sarà un processo... spero solo che dopo quello ci diano un taglio. È ridicolo permettere ancora a questa gente di avere a che fare con dei ragazzini..." mi risponde lui.
Sono completamente d'accordo con lui, e spero che si sbrighino con questa cosa.
"Igino... credo che tua sorella potrebbe essere chiamata a testimoniare dato quello che ha sopportato in quella scuola."
A quelle parole mi si ferma letteralmente il cuore per qualche istante.
Chiudo gli occhi, concentrandomi sulla voce immaginaria della mia migliore amica che conta fino a tre, e su quel conto comincio a respirare profondamente. Dall'uno al due inspiro, dal due al tre espiro. Lo faccio più volte prima di riprendere il controllo di me.
"Igino! Ragazzo, che cos'hai? Ti senti male?" mi chiede l'agente.
"No, non si preoccupi... va meglio" rispondo dopo essermi tranquillizzato.
"Credo che la tua amica abbia fatto davvero un ottimo lavoro."
"In che senso?"
"Nel senso che quando sei venuto qui, la prima volta, eri spaesato e spaventato... e credo anche che soffrissi di attacchi di panico... sai... a dire il vero io posso capirti perché ne soffrivo anch'io."
Rimango piuttosto sorpreso. Quell'uomo alto, ben piantato, con le spalle larghe e il passo sicuro ha sofferto di attacchi di panico come me? Mi sembra a dir poco assurdo.
"In genere non racconto le mie cose a chi viene qui per questioni lavorative... ma in te ho visto qualcosa, ragazzo. Tu, un giorno, farai grandi cose per chi ha sofferto quanto te."
Lo guardo, incerto. Vorrei chiedergli cosa provocasse in lui quel panico.
"Mi sembra giusto presentarmi" dice il poliziotto. "Io conosco il tuo nome, ma tu non conosci il mio."
Gli tendo la mano e lui l'afferra: "Piacere, Luca."
"Piacere mio." dico. "Anche se lei il mio nome lo conosce già da un po' di tempo."
"Dammi del tu."
"Va bene." gli dico sorridendo.
Prendo un respiro profondo per poi decidermi: "Luca, io... io volevo farti una domanda, se non ti dispiace. Perché...?"
"Perché mi venivano gli attacchi di panico?" chiede.
"Precisamente."
Non riesco a dire altro. Mi si secca la gola al pensiero che l'uomo di fronte a me, poco più grande di me, un tempo fosse un ragazzo fragile come lo sono io.
"Vedi... quando ero piccolo, a casa non me la passavo bene. Con un padre che aveva sempre la luna storta e sfogava le sue frustrazioni su di me o su mia madre, capirai."
Vorrei dire qualcosa, ma è come se non riuscissi a trovare le corde vocali, attorcigliate e smarrite in chissà quale punto del corpo.
"Sono contento che tu non provi compassione di me." mi dice Luca. Infatti non provo compassione, ma comprensione, il che è diverso. Non per i miei genitori, ma per il fatto che non mi fosse possibile trovare pace da nessuna parte... in più il mio problema erano i nonni paterni, che, poiché mia madre era povera, non ne volevano sapere di farla sposare con mio padre, e ogni visita fatta a casa loro era un inferno. Notavano questo o quel difetto.
Ma il fatto che lo notassero era normale. Tutti notano sempre i difetti altrui e non fanno troppo caso ai propri. Il fatto era che tendevano ad ingigantire le cose. A me dicevano che ero troppo timido e il risultato è stato che mi sono chiuso ancora di più a riccio. Michele cercava di proteggere me e Ginevra e a lui veniva detto che era un vero impertinente, cosa tra l'altro non vera. Ad un certo punto mio padre si è stancato di tutto. Mia madre non gli ha detto nulla, perché, come la meravigliosa donna che è, ha sempre preferito la tranquillità familiare alla sua, cosa che le fa tanto onore.
Peccato che fosse proprio lui a non poterne più. Mi ricordo che mia nonna se l'era presa ancora una volta con me. Diceva che studiavo troppo.
Io ero rimasto in silenzio, non volendo mettere nei guai i miei genitori. Ero silenzioso, ma questo mi permetteva di osservare la gente e capirla.
Ma mio padre, quel giorno, era esploso. Aveva afferrato il suo piatto e l'aveva scaraventato per terra, cosa che aveva creato qualche problema alla cameriera.
"Volete saperla una bella cosa? Mi avete proprio stancato!" ha esclamato con rabbia. "Non mi avete mai preso in considerazione e avete deciso di farlo ora che sono sposato e ho tre figli, ai quali state rendendo la vita impossibile? Ginevra non parla quasi più, Michele non ha tempo da perdere per star dietro ai vostri "consigli", se così vi piace definirli, e Igino si è chiuso a riccio, non si fida di nessuno e non ha amici. Mia moglie, poi, non parla perché non vuole farci litigare, ma glielo leggo negli occhi che non ce la fa più. Quindi, se vorrete venire a trovarci, bene; altrimenti risparmiate gli insulti, perché se doveste venire a cercarci per quelli giuro che non vi aprirò!"
"Non mi fraintendere, Igino." mi dice Luca. "Mio padre non mi ha mai alzato le mani addosso, ma se avesse potuto l'avrebbe fatto. Ma con la violenza psicologica ci andava giù pesante. Mia madre si è sentita dire di tutto quando non aveva occhi che per lui... e io mi sentivo dire ogni giorno che ero un debole e dovevo imparare a tirar pugni e calci, perché nella vita si va avanti così. A scuola ero vittima dei bulli, ed è andata avanti così per anni... poi ho incontrato un poliziotto che è diventato mio amico... e conquistato l'affetto di mia madre, che nel frattempo aveva lasciato mio padre perché era stanca di tirare avanti in quel modo e aveva capito che la cosa non faceva bene né a lei, né a me. Quel poliziotto è diventato il marito di mia madre... e si può dire che sia a tutti gli effetti un padre per me. Mi ha mostrato il suo luogo di lavoro ed io ne sono rimasto affascinato. Di spinte per entrare in polizia non me ne ha date, perché mi diceva: "Tu sei forte! Sono certo che ce la farai comunque!" Ed era proprio quello di cui avevo bisogno. È per questo motivo che ora lavoro qui e non puoi immaginare quanto questo mi renda felice. Pensa che una volta mio padre, quello biologico, è venuto a trovarmi e non puoi immaginare quanto io sia stato felice di metterlo all'angolo, per la prima volta nella mia vita."
"Lo credo bene che soffrissi di attacchi di panico! E non per compassione. Io ti capisco. Non è stato mio padre, ma... beh, magari poi ti racconterò."
"Capisco." dice gentilmente Luca. "Comunque... scusami, ho divagato parecchio... il punto è che vorrei chiederti di preparare la piccola. Anzi: se me lo permetti, vorrei prepararla io."
"Io.. io credo che possa andare, ma... ecco... vorrei essere presente. Da piccola mia sorella era affetta da mutismo selettivo... sai, per la stessa storia di cui volevo parlarti prima."
"Prometto che farò attenzione. E poi Ginevra è forte, ne sono sicuro."
"Sì, lo so... è che ne ha passate tante, anche per me, e..."
Lui sorride gentilmente. Mi rassicura e mi sembra un vero amico. Magari non diventerò un poliziotto come lui, ma farò qualcosa per chi soffre come me.
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