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Una Crudele Promessa

La guardo suonare il piano come dodici mesi fa, in questo stesso jazz club. Come dodici mesi fa è il 24 dicembre, ma questa volta ho un motivo diverso per bere seduto al bancone di questa tana, piena di fumo e malinconia.
La sua voce suadente che intona "What are you doing New Year's eve?" è irresistibile, quasi ultraterrena, proprio come dodici mesi fa. Ma quel giorno nevicava.
Ha un vestito rosso con uno spacco che mette in mostra una gamba, lucida e perfetta.
L'orchestra continua a suonare quando si alza e viene verso di me. Mi si siede accanto e ordina un Whisky. «Ciao, Eric. Allora... hai qualcosa per me?»
«No. Solo io, Cathrisse.»

«Eric!»
La voce di Juliette mi entra nel cuore come una lama.
Corre ad abbracciarmi. «Eric, ti prego, andiamo a casa. Chi è questa?» La sua voce rotta dal pianto mi fa male, un male fisico, come se qualcuno stesse pugnalando ripetutamente la mia anima.
«Juliette, come mi hai trovato? Non dovresti essere qui. Devi andare via.» Cerco di non piangere ma le lacrime sfuggono al mio controllo.
«Non posso credere a quello che mi hai detto. Non posso credere che non mi ami.»
La stringo forte, quasi come se volessi farne una parte di me e non lasciarla mai più.
Sapevo che avrebbe fatto male, ma non pensavo così tanto.
Cathrisse mi guarda con un mezzo sorriso, un ghigno, proprio come quel giorno di dodici mesi fa.
È bella di una bellezza che toglie il fiato, ma io conosco i suoi occhi gialli, malvagi, e la sua pelle putrescente.

Si sedette accanto a me, proprio come pochi minuti fa. «Io ti posso dare quello che cerchi» mi disse. Certa che sarei rimasto ad ascoltarla.
Entrai in quel bar con un piano preciso. L'unica cosa che volevo era una dose di alcol tale da tramortirmi per giorni, poi avrei continuato con piccole dosi quotidiane, in modo da non restare mai sobrio, ma lei aveva capito cosa cercassi veramente, mi aveva letto l'anima. Ne uscii con una nuova speranza, una nuova vita, ma a un prezzo che allora, non immaginavo, sarebbe stato così alto.
Mi condusse sul tetto del palazzo che ospitava il locale. Tra le raffiche di vento e neve, che da una settimana frustavano la città senza sosta quasi a ricordarmi costantemente la rabbia che provavo, mi urlò che voleva una cosa da me. Voleva un'anima pura, esattamente il 24 dicembre dell'anno successivo, per guarirmi e permettermi di vivere la vita che la malattia mi avrebbe negato. Quell'anno, che fino a quel momento ero convinto sarebbe stato l'ultimo, diventava una possibilità di futuro tra le sue fauci maleodoranti.
Voleva lei. Me la indicò tra la folla che scorreva sotto di noi, brulicante di un'allegria ormai a me sconosciuta. Una ragazza minuta che, come gli altri, si affrettava a concludere gli ultimi acquisti prima della chiusura dei negozi. Camminava sotto la neve, stretta in un cappotto rosso, con una mano fermava la cuffia che altrimenti sarebbe volata via. Non potevo vedere il suo viso ma, ci avrei giurato, sorrideva.
Accettai. Dopotutto, per me, la mia vita valeva più di quella di una sconosciuta qualsiasi.
Avevo un anno di tempo per convincerla ad andare in quel bar la sera della vigilia e, io sia maledetto, alla fine ci sono riuscito.

«Juliette, ti prego, vai via! Io non ti amo, Juliette. Devi starmi lontana.» Continuo a ripeterlo ma la stringo, mentre la sento singhiozzare sul mio petto, incapace di lasciarla andare.
«Non ti credo. Devi spiegarmi cosa sta succedendo.»
La allontano da me bruscamente, spezzando l'abbraccio salvifico e colpevole che ci ha uniti nello stesso destino. «Basta. Non voglio vederti mai più.» Mentirle mi distrugge, ma spero che questo possa salvarla dal mostro che guarda divertito le nostre vite sgretolarsi mentre sorseggia il suo Whisky.

Oh, Juliette, maledico il giorno in cui ho deciso che la mia vita era più importante della tua, morirei per te ora, non ho alcun dubbio.

Ma lei non può sentire, non può sapere. Nei suoi occhi vedo l'amore trasformarsi in disprezzo. Quegli occhi neri, che tanto ho amato guardare, gli occhi che mi hanno dato una nuova possibilità quando tutto sembrava perduto, mi inghiottiscono voraci senza lasciarmi scampo.
La vedo uscire dalla porta a vetri mentre fuori inizia a nevicare. Si allontana avvolta nel cappotto rosso su cui si posano leggeri ad ogni passo nuovi cristalli di ghiaccio. Non posso vederle il viso ma sono sicuro che stia piangendo.
Mi sfrego le guance con le mani per asciugare le lacrime. Sono finito, sconfitto. Sono pronto a morire o a perdere l'anima, qualsiasi cosa pur di far cessare questo dolore.
Cathrisse si china su di me, col suo profumo carico di perdizione. «Ottimo lavoro» mi sussurra.
Scoppio a piangere di un pianto vuoto e meschino, chino sul bancone di questo fumoso jazz club.

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