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XXIII. Il vero Bernini

No, non mi sono dimenticata di questa storia. Buona lettura e Buon Natale. E forse pure buon anno.

«Stavo pensando...»

«Devo dire che la cosa mi sorprende.» Bernini sorrise tra sé e sé per la propria battuta, consapevole di essere guardato malissimo dall'architetto al suo fianco. Stavano camminando da una decina di minuti, dato che comunque il lago era bello lontano dalla villa, e tenendo conto che erano tornati indietro perché Borromini potesse mettere gli stivali, stavano perdendo proprio un sacco di tempo. La luna, infatti, stava già iniziando a calare.

«Stavo pensando che forse rischiamo di essere sorpresi dal cardinale.»

Arrivato in fondo al sentiero, svoltarono a destra, verso una salita che costeggiava i giardini privati della villa. La proprietà dei Borghese era immensa, copriva un'intera collina, organizzata all'italiana con sentieri e prati disposti in maniera razionale e piacevole alla vista. Persino gli alberi erano stati posizionati in posti specifici, creando un reticolato che copriva tutte le zone erbose senza tuttavia ostacolare il passaggio. Era tutto così armonioso da fare capire perfettamente quanto tutto quello fosse artificioso e non frutto della vena artistica della natura.

«Il cardinale si sveglia all'alba, quindi abbiamo ancora un po' di tempo.» Cercò di vedere la luna tra tutte quelle foglie, fallendo. «Un'ora, forse.»

«Grandioso. Come se in un'ora potessimo violare una proprietà privata del genere ed uscirne senza essere minimamente visti da nessuno.»

Davanti al suo gran sarcasmo, Bernini non poté che girarsi verso di lui e guardarlo con sufficienza. «Vi ho già detto che i domestici mi conoscono e mi lasciano andare e venire come mi pare, quindi non abbiamo alcun problema anche se veniamo scoperti.» Il problema è solo con Scipione.

«Come se la cosa potesse consolar... mi...» Il lamento di Borromini si sfiatò da solo nel vedere l'enorme struttura bianchissima che si stagliava davanti a sé: era solo la parte laterale, ma si vedeva perfettamente come il colosso di due piani fosse elegantemente architettato, con tutte le paraste e le due rampe di scale che dai lati della facciata principale si univano su un solo pianerottolo, all'entrata principale. Era splendida, con due giardini privati laterali (uno dei quali era appena stato costeggiato, ma non avevano avuto occasione di vederlo a causa delle siepi alte almeno dieci piedi) e un piccolo avvallamento di qualche gradino sotto il pianerottolo che portava ad una porta più piccolina.

Bernini, consapevole di tutti i pensieri che attraversavano la mente dell'architetto, si girò con grande soddisfazione e disse, come se l'avesse costruita lui: «E questo è solo l'esterno.»

Borromini era davvero meravigliato da come una struttura del genere fosse così ben nascosta dagli alberi intorno. Eppure erano più radi rispetto ad una normale foresta. «Come diamine ho fatto a non vederla?»

«Evidentemente siete un osservatore peggiore di quel che credevate.» gli fece l'occhiolino e si incamminò frettolosamente verso la porta piccolina, per non dargli il tempo di metabolizzare quello che aveva detto.

«Oh, tu, brutto-»

L'insulto fu interrotto dal suo bussare alla porta e dal suo dito sulle labbra, in un arrogantissimo gesto di stare in silenzio. E Borromini non poté che tappare la bocca e trucidarlo con gli occhi, tenendosi ciò che aveva da dire dato che comunque era tarda notte e stavamo ancora tutti dormendo. E tenendo conto dell'imprecazione che aveva urlato a cavallo poco prima, forse era il caso evitare di fare altre figuracce.
Non passò molto tempo, prima che la porta fosse aperta da una donna corta e tozza, dalle grandi guance rosse e dei meravigliosi capelli rossi che scendevano liberamente lungo le spalle. Si strofinò gli occhi, assonnata, e disse, con la tipica voce rauca di chi si era appena svegliato: «Renzo, che ci fate qui? E chi è lui?»

«Buon giorno anche a te, Mar. Io e il mio collega volevamo un attimo vedere l'interno. Si può?» e le rivolse il più affascinante dei sorrisi, uguale a quello del fratello più piccolo. Quello per cui erano lì ma di cui non si azzardava minimamente a parlare.

La donna guardò prima il piccolo, poi il grande, cercando di capire la situazione in cui si trovava, e poi annuì, facendosi da parte. «Sapete come funziona. Svegliatemi quando avete finito.» li fece entrare e chiuse la porta a chiave, scendendo delle scale e andando a nascondersi nel buio di un varco, probabilmente la sua camera da letto.
Si trovavano una sala sotterranea, simile ad una cripta ma molto più pulita e priva di cadaveri, lungo le cui pareti c'erano tanti piccoli armadi chiusi. I due scesero la scalinata d'ingresso che poi andava biforcandosi, cercando di guardarsi intorno in tutto quel buio.

«Chi era quella donna, e perché la chiamavate Mar?»

Bernini rovistò in un armadio per un po', tirando fuori una lanterna e accendendola. Finalmente si vedeva qualcosa. «Si chiama Margherita, ed è la domestica a guardia del piano di sotto. In realtà è a guardia di tutte le divise che stanno qui, assicurandosi che siano in ottimo stato e sistemandole quando non lo sono, ma di notte quando passo è sempre lei ad aprirmi. Ormai si è abituata alla mia presenza.»

Annuì, divertito. «Capito, Renzo.»

«Non vi azzardate mai più.» lo guardò così male che per poco non scoppiò a ridergli in faccia. Rimase con il sorrisetto sotto i baffi solo perché c'era gente che stava dormendo.

«Andiamo?»

Gli rivolse un ultimo sguardo truce, e poi si avviò, entrando in un angusto corridoio che di solito era riservato ai domestici. L'unica cosa che si vedeva era la fioca luce calda della lanterna che cercava di illuminare il loro cammino, ma che alla fine dava solo un'aria inquietante a chi la teneva in mano.
Camminarono uno dietro l'altro per un tempo infinito, salendo scale molto a caso e rischiando più volte di inciampare su gradini invisibili, ma alla fine, proprio mentre stava per stufarsi e chiedere se avesse intenzione di ucciderlo in un luogo sconosciuto al mondo, ecco che si scontrò con la sua sottile figura.

«State attento, porca troia!» gli sibilò, mentre gli metteva in mano la lanterna. «E illuminate la serratura.»

Borromini sbatté le palpebre, perplesso. Non vedeva assolutamente nulla, solo i reciproci corpi illuminati da quella fonte di luce. «Serratura?»

Bernini, in risposta, non fece altro che agitare le braccia come a mostrare platealmente qualcosa al suo fianco, guardandolo come se fosse un idiota. «Cosa cazzo vi sembra questa?»

L'architetto continuò ad essere confuso, fissando il muro. «Una parete?»

E il piccolo non fece altro che trucidarlo con lo sguardo, mentre rovistava tra le proprie tasche e tirava fuori un mazzo enorme di chiavi, per poi iniziare a cercarne una in particolare. «Poi dite di non essere un pessimo osservatore.»

«Ma è un muro di merda!»

«Tu sei un muro di merda, e illumina qua!»

Preso dalla stizza, Borromini fece uno scatto in avanti con la lanterna, che sbatté rumorosamente contro il muro e spaventò lo scultore, con sua grande soddisfazione. «Va bene così?»

Se fosse stato possibile uccidere con lo sguardo, in quel momento sarebbero entrambi morti e non l'avrebbe mai saputo nessuno per un'altra ora.

«Sì, grazie.» rispose lo scultore a denti stretti, continuando a guardarlo male mentre metteva di violenza la chiave nella serratura e la girava. Alla fine non era neanche servita tutta quella macchietta.

Come previsto, il muro non era un muro, e infatti un attimo dopo si aprì in un varco alto e largo, in cui la luce della lanterna si riversò e rimbalzò sul lucido marmo del pavimento e delle pareti, creando un effetto meraviglioso ed accecante.

Borromini guardò il varco davanti a sé con enorme sorpresa, mentre il collega gongolava nel vederlo. «"Oh, Bernini, non avevo idea fosse una porta... Avete ragione, sono proprio un pessimo osservatore!"»

«Chiudete quella cazzo di bocca e usciamo da qui il prima possibile.» fu tutto ciò che disse Borromini, mentre si addentrava per l'enorme stanza.

«Uffa, Non mi date neanche la soddisfazione di-» e Bernini sbatté la faccia contro la sua enorme schiena, senza accorgersi che si era fermato.

Davanti a loro, una donna che li supplicava con lo sguardo di essere salvata. Stava piangendo, e il suo urlo era cristallizzato nella sala, mentre la sua coscia era penetrata a fondo dalla mano di un uomo brutale, desideroso della sua carne, che stava cercando di trattenerla in tutti i modi possibili. Ma lei si dimenava, non voleva essere posseduta, voleva rimanere pura. Una veste stava scivolando dal suo corpo, scoprendone il seno e il fondoschiena. La vergogna si percepiva in lei, e tutta quella scena era tanto straziante quanto magnifica.

Borromini fece un passo verso quella statua, davanti all'orribile scena di uno stupro resa con tanta maestria, e non poté evitare di violarla, di toccare anche lui quella coscia apparentemente morbida come la carne, ma effettivamente dura come il marmo. Quel dettaglio era frutto di una sapienza che aveva avuto un solo precedente: Michelangelo Buonarroti, nel braccio del suo Mosé o nel collo del suo David. «Chi è questa donna, e perché soffre così tanto?» erano state scolpite anche le lacrime che solcavano la guancia. Pazzesco.

«Vi presento Proserpina, nel momento in cui viene rapita da Plutone.» diede dei colpetti al ginocchio enorme dell'uomo, che solo allora si accorse di avere la classica iconografia del dio: la corona, lo scettro, persino Cerbero, nascosto dietro la sua gamba. «E lui è il Plutone di Villa Borghese di cui parlavo prima.» iniziò ad accarezzare il suo corpo, come se fosse suo figlio. «Vedete? Ogni singolo muscolo è contratto, rigido, ben evidente: la posa dei due personaggi è innaturale, quasi contro le leggi trovate da quell'Isacco d'Inghilterra, ma la loro teatralità e la forza di quest'uomo compensano il tutto, rendendolo più naturale. È semplicemente uno spettacolo. E voi avete il corpo tale e quale.» Scorse la mano lungo la coscia muscolosa e tesa, un sorriso nostalgico in viso che gli fece capire una cosa importante: la statua era sua. Aveva fatto lui quella meraviglia, e ne era orgogliosissimo.

Sorrise anche lui, avvicinandosi. «Il mio corpo non potrà mai essere come il suo: non è di marmo, né è stato scolpito da mani tanto sapienti. Né accarezzato con tanto amore dalle medesime.»

Lo guardò, rubicondo. «Era così evidente?»

«Direi proprio di sì. Ed è meraviglioso come voi ne andiate fiero. Ne sembrate quasi innamorato.»

«Oh, innamorato perso. La scultura è ciò che mi permette di vivere; è ciò che sono stato, che sono e che continuerò ad essere. Io vivo per scolpire, vivo per il mio amato marmo. E non penserei mai di separarmene.»

Gli mise una mano sulla spalla, sorridente. Per la prima volta l'atmosfera tra loro era tranquilla, serena, e non c'era bisogno di battute acide e di discussioni infantili. Finalmente riusciva a vedere il suo lato buono, quello che veramente amava l'arte e che non era corrotto dal dover accontentare a tutti i costi il papa e i vari committenti. Era quello il lato umano di cui si era innamorata Caterina, e finalmente comprendeva i suoi sentimenti. A proposito di quella donna... «È un caso che Proserpina somigli tanto a Caterina?»

Continuò a guardare la sua statua, impassibile. «No, non lo è.» e si avviò di scatto verso un'altra stanza.

«E perché avete scelto proprio lei come modella?»

Bernini si fermò di colpo, e per poco non gli finì addosso. Si girò, con un'espressione grave resa inquietante dalle ombre della lanterna sulla sua faccia. «Certo che sei proprio un coglione, lasciatelo dire.»

«Non smetterai mai di dirlo, vero?»

«Non finché non dimostrerai il contrario, architetto da quattro soldi.» alzò le sopracciglia nel sentire l'appellativo che non molto tempo prima gli aveva rivolto Luigi, ma preferì evitare di ribattere. Piuttosto, nel seguire Bernini, si ritrovò davanti ad un'altra statua. «Ora commentami questo.»

Un uomo che si stava preparando per lanciare un sasso con una fionda. L'iconografia era la più ovvia del mondo: quello era il David, che però ancora non aveva ucciso Golia. «È diverso dal solito.»

«Sì, lo so. Io mi diverto a cristallizzare gli attimi di dinamicità, come questo. La massima tensione viene bloccata nel marmo e crea delle statue meravigliose. Di questo David non vado fiero come del Ratto di Proserpina, però volevo farvi vedere com'ero a vent'anni.»

«Beh, complimenti per il vostro fisico statuario, letteralmente.»

Bernini socchiuse gli occhi, guardandolo male. «Ovviamente è idealizzato, idiota. Non l'ho mai avuto così definito. Il mio massimo è stato il David michelangiolesco sei mesi fa: un uomo sottile ma asciutto, con ogni muscolo ben definito e le mani enormi. E il testone. Io come il David di Firenze.»

Sorrise, divertito dal suo parallelismo fatto sia per elogiarsi che per deridersi. Un'autoironia mista a vanto, che mai si sarebbe aspettato da lui. «Due gocce d'acqua.»

«Palese.»

Avvicinò la lanterna al viso della statua. Era contratta in un'espressione di sforzo e concentrazione, e somigliava effettivamente al suo ideatore, anche se in maniera idealizzata. Ovviamente. «Eravate proprio un figo da giovane, sapete.»

Sentì un sospiro rumoroso, segno di una risata silenziosa. Si girò verso di lui e lo trovò a sorridere con scherno. «Sapete che nelle statue si abbelliscono le figure, vero? Ovviamente non ero così, anzi: in quel periodo ero stato punto da una vespa giusto sul collo, quindi ero assai più gonfio di come mi son raffigurato.»

Sorrise anche lui, tornando indietro. Si era innamorato di Proserpina, e non voleva smettere di guardarla. «Siete stato punto da una vespa? E dove cavolo eravate?»

«Al lago, durante una pausa per mangiare.» e smisero di parlare, calando tra di loro un silenzio sereno come mai lo era stato prima d'allora.

Che fu interrotto da un rumore di passi diverso dal loro. Spalancò gli occhi, perdendo un battito, e si gelò sul posto. Bernini gli prese la lampada e la spense immediatamente, prendendo Borromini per mano. Non si vedeva più niente. Non c'erano neanche le finestre che facevano passare quel minimo di luce lunare. Buio totale. E la cosa mandava in panico il povero architetto. Si sentì trascinare lungo la stanza, mentre dietro di sé vedeva la calda luce di una lanterna che andava avvicinandosi verso il loro. Sussurrò, terrorizzato: «Chi c'è, e dove cazzo stiamo andando?»

«Non ho idea di chi si tratti, e stiamo andando via.» Aprì una porta a caso ed entrarono, facendo il più silenziosamente e rapidamente possibile.
Borromini intanto non la smetteva di ansimare per il panico. Si mise una mano sul cuore palpitante, e toccò con la testa la parete opposta a quella su cui si era poggiato. Il corridoio era davvero stretto. E Bernini comprese quanto fosse basso rispetto a lui, tenendo conto che era davanti a lui e che non si era minimamente accorto si esserglisi messo sopra, a respirargli pesantemente in testa, muovendogli qualche ciocca di capelli quando espirava. Sì, era un po' più piccolo della media, ma insomma: Michelangelo era stato più basso! Era Borromini ad essere troppo alto. «Ehi va tutto bene: non è la prima volta che mi succede, state tranquillo.» mise la mano sulla sua, per calmarlo, e alzò la testa per poterlo guardare in viso. Stava tremando.

«No che non va tutto bene: ci sono due sconosciuti che girano di notte in una proprietà privata senza alcun permesso da parte dei proprietari! Avete idea di quanto è grave la violazione di domicilio?»

«Beh, no.»

«Neanche io, e non volevo saperlo!»

«E non lo sapremo oggi.» lo prese per le guance, facendogli aprire gli occhi spaventati, e lo guardò con decisione. «Se è il cardinale o un suo familiare, non entrerà qui dentro; se è un domestico, non ci denuncerà perché sa che io passo spesso di notte a vedere le mie statue. Qualunque cosa succeda, noi due siamo salvi. Sia io, sia tu. Capito?»

Borromini mise una mano sulla sua, deglutendo. «E chi ve l'assicura che non ci denuncerà? Io non voglio andare in galera.»

Sorrise, rassicurante. «Io conosco tutti i domestici di questa villa, e mi vogliono tutti bene. Questo me l'assicura.»

«E come fanno a volervi bene?»

«So essere parecchio affascinante, quando voglio.»

Strinse la sua mano, chiudendo gli occhi e respirando profondamente. Ci mise un po', prima di rispondere: «Sei proprio un coglione, lasciatelo dire.»

«Cos'è, ora mi rubi pure le battute?» sorrise, cercando di farlo rasserenare, e immediatamente il cuore gli si riempì di gioia nel vedere il suo sorrisetto stronzo.

«Non sarebbe il crimine più grave che compio stanotte.»

«Però è il più fastidioso.»

«Se lo dici tu. Ma comunque non portarmi più qui di notte, per favore.»

«Assolutamente. La prossima volta ti porto a San Pietro.»

Sorrise, pensando alla Pietà Vaticana, firmata proprio di notte. «Come Michelangelo.»

Ridacchiò silenziosamente. «Sì, andiamo a firmare il baldacchino. E lo faremo insieme.» si guardarono un attimo negli occhi, poi Borromini lo abbracciò di scatto, intrappolandolo nel suo corpo. Il cuore iniziò a battergli a mille, e non riusciva a respirare bene, sia per la sorpresa che per la posizione in cui si trovava: Aveva il naso schiacciato dalla sua spalla, e il suo odore di pulito gli inebriava le narici. Doveva essersi lavato da poco.

Chiuse gli occhi e si concentrò sull'aroma di lavanda, tentando di calmarsi, ma le parole dell'architetto peggiorarono le situazione: «Grazie per avermi portato qui. È stato bellissimo.»

Si staccò da lui, guardandolo con gratitudine, ma poi si preoccupò: aveva gli occhi spalancati ed era paralizzato sul posto. Il bianco delle orbite spiccava in quel buio quasi totale. Aggrottò le sopracciglia, perplesso, e chiese: «Tutto bene?»

«I-io...» iniziò a farfugliare cose senza senso, guardandosi intorno come se non sapesse dove fosse, al punto che il giovane si vide costretto a prenderlo per una spalla e a guardarlo rassicurante.
«Ehi, che sta succedendo nella tua testina?»

«Te-testina... A me?»

«Sì, testina proprio a te.»

«Allora, innanzitutto testina lo dici a tua madre. Dopodiché, dobbiamo fuggire da questo posto. E sappi che torneremo, perché non hai ancora visto il mio più grande capolavoro per colpa di chiunque fosse quell'intruso.»

«Ah adesso è lui l'intruso?»

«Ovvio che sì: non ci ha permesso di continuare il giro turistico.»

Lo guardò divertito e perplesso: era tornato improvvisamente normale e di buon umore. Cosa diavolo era successo in quel breve momento di crisi? Era perché l'aveva abbracciato? Perché lo aveva ringraziato? Perché era tornato a trattarlo come una persona normale invece che come un bastardo? Persona normale, poi... Non è che andava abbracciando chiunque passava, ecco. Non sapeva perché gli fosse venuto di farlo, sapeva solo che non riusciva più a resistere all'impulso di averlo tra le sue braccia. Era stato più forte di lui, e aveva ceduto. Era stato un sollievo, che si era trasformato in dispiacere non appena si era staccato. Ma non poteva abbracciarlo di nuovo, altrimenti sarebbe stato strano. Quella notte aveva cambiato le carte in tavola, e ora non riusciva più a vedere quell'uomo solo come il pezzo di merda che si era approfittato della sua mente per schiacciarlo e che l'aveva violato in una maniera incredibilmente subdola. Non riusciva più a vederlo solo in maniera negativa, a provare disagio nel parlargli o disprezzo anche solo nel guardarlo, anzi: più parlava, più se ne rallegrava; più lo guardava, più si inteneriva davanti alla sua prepotenza che non faceva paura a nessuno.

«Sei proprio un coglione.» Lasciatelo dire.

«Stai zitto e andiamocene, che è tardi.»

Gli rivolse uno sguardo arrabbiato e a disagio, dopodiché si avviò per primo verso l'uscita.

Fun fact: Michelangelo era alto 1.60m (meno di me, che sfigato).
Volevo giusto informarvi che Bernini io lo immagino alto quanto Kevin Hart, che sarebbe 1.63m (più di me 😔), mentre Borromini dovrebbe essere 1.88m (Tom Hiddleston, per intenderci).
P.S.: Avrebbe dovuto esserci un po' più di romance, ma secondo me avrebbe solo rovinato il capitolo, quindi ve lo tenete così e basta.

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