XXII. Gita al lago
Scusate il ritardo, ma ho iniziato l'università e ho problemi con la gestione del tempo. Spero di riuscire a fare il nuovo capitolo in tempo, ma non vi assicuro niente perché la bozza fa schifo al cazzo e devo rifare tutto punto e a capo 😔
Intanto però buona lettura, anche se comunque non è il migliore dei capitoli e mi aspettavo di meglio da me stessa. Vogliate scusarmi.
«PORCA PUTTANA!» Si strinse alla vita di Bernini, terrorizzato dalla velocità del cavallo. Non aveva mai galoppato dietro qualcuno in vita sua, né così velocemente.
Lo scultore rise spontaneamente, mentre il destriero continuava a correre veloce come il vento, passando già per piazza del Popolo.
«Immaginate la gente nelle case che mentre dorme sente un "porca puttana" totalmente a caso. E magari si sveglia pure!» Rise di nuovo. «Oppure mentre scopano! Oddio, sarebbe troppo bello!»
«Sta' zitto e rallenta, cazzo!» Affondò la testa nell'incavo della sua spalla e strinse le ginocchia attorno a lui, in preda al panico.
E Bernini in risposta sbuffò sonoramente, passando dal galoppo alla semplice camminata, permettendo al cavallo di riposare. Finalmente si ragionava. «Guastafeste.»
«Beh, scusami tanto se ci tengo alla mia vita.» Disse con un meraviglioso Tu, passando per Santa Maria del Popolo e dirigendosi verso un boschetto sulla destra. Stavano andando al Pincio. Curioso, si guardò intorno, rilassando gli arti ma rimanendo comunque attaccato allo scultore. C'erano tantissimi splendidi alberi di ogni genere: pini, salici, querce, tutti rigogliosi. Giustamente era piena estate, quindi c'era un bellissimo odore di fiori o di bacche. Inalò a pieni polmoni quell'aroma che non si sarebbe mai aspettato di trovare nel bel mezzo di una città puzzolente e depravata come Roma e sorrise serenamente. «Non sapevo ci fosse un lago al centro della città.»
«È un lago privato, per questo non ne avevate idea.»
Si girò di scatto verso Bernini, allarmato. «Cosa? E abbiamo il permesso di venire qui?»
Lo vide sorridere, compiaciuto. «Ovviamente no.»
«E perché cazzo ci stiamo andando?!»
«Perché è il più vicino.»
«Ma è-»
«Tranquillo, mi conoscono tutti. Sanno che ogni tanto vengo qui per riflettere o anche solo per fare una nuotata. Siamo al sicuro.»
Lo guardò sconcertato. In che senso avrebbero fatto una violazione di domicilio in sicurezza? «Ma ragioni prima di parlare?»
Bernini si girò verso di lui, un sorriso sornione stampato in faccia. Balzò un attimo il cuore nel petto ad entrambi, nel notare come i loro nasi si sfiorassero, e il più basso disse, con voce rauca: «Fidatevi di me.»
Rimasero così, a guardarsi mentre il cavallo continuava la passeggiata tra gli alberi. «Ci... ci proverò.» Borromini strinse le braccia intorno alla vita dello scultore e avvicinò impercettibilmente il viso al suo, l'enorme voglia di baciarlo che combatteva contro la repulsione per colui che aveva fatto mille infamie una dietro l'altra. Non sapeva cosa fare.
Alla fine ci pensò il cavallo a decidere al posto suo, fermandosi all'improvviso e sbuffando per richiamare l'attenzione. Cosa che riuscì benissimo: Bernini sbatté le palpebre, tornando alla realtà, e si guardò intorno, cercando di orientarsi in mezzo a tutti quegli alberi. «Dove...? Oh, di là!» Tirò le redini e ripartirono al trotto, e dopo qualche minuto di salita nel verde, in una strada così contorta da non far capire nulla all'architetto, ecco che si stagliò davanti a loro una radura illuminata dalla luce lunare, con un piccolo lago al centro il cui riflesso per poco non accecò i due artisti. Era bellissimo. «Eccoci al lago nel Giardino di Villa Borghese.» Diede dei colpetti alle mani di Borromini per intimargli di liberarlo, dopodiché scese da cavallo, seguito a ruota dall'altro. Si recò al tronco più vicino e legò il destriero. «Godetevelo, perché non ci tornerete mai più per il resto della vostra vita.»
Accarezzò l'animale e poi si girò a guardarlo, trovandolo già con i piedi a mollo nell'acqua, felice come un bambino. Dondolava il peso tra i talloni e le dita, un bellissimo sorriso in volto.
Gli caddero le braccia e aprì leggermente le labbra, sorpreso nel vederlo in tutta la sua tenerezza. Per una volta quell'uomo non gli appariva più come un severo papà davanti a cui bisognava abbassare lo sguardo, ma come un semplice bambino davanti a ciò che più gli piaceva, e la cosa gli riempiva il cuore al punto che gli faceva male. Era bellissimo. E ora lo stava guardando.
Borromini si strinse nelle spalle, nel vederlo così sconcertato davanti a lui. «Era da tanto che non andavo al lago.» Smise di dondolarsi e si sedette sui talloni, attento a non bagnarsi i calzoni rimboccati fino alle ginocchia, per poi immergere le mani nell'acqua, divertendosi a vedere le piccole onde che si propagavano ad ogni minimo movimento. «Mi mancava.»
Bernini si avvicinò a lui, un sorriso intenerito in viso che cercava in tutti i modi di non spegnersi mentre ricordava la sua giovinezza. «Qualcosa mi dice che vi piace il mare.»
«Ad intuito, eh?» Sollevò lo sguardo su di lui, che per una volta era più alto, e il sorriso entusiasta si incrinò leggermente. Si alzò e lo guardò preoccupato, le mani che gocciolavano sullo specchio d'acqua producendo un delicato rumore di fondo. «Tutto bene, Bernini?»
Il diretto interessato lo guardò con un triste sorriso e le sopracciglia avvicinate tra loro. La rughetta tra le sopracciglia era rimasta, nonostante avesse ripreso peso, però molte altre erano svanite, ringiovanendolo di almeno un paio d'anni. Scosse impercettibilmente la testa e disse, in sussurro rotto dal pianto che stava riempiendo i suoi occhi: «No.»
Non disse altro, e non servì dire altro. All'istante Borromini si precipitò su di lui e lo abbracciò, facendolo sprofondare nel suo petto e accarezzandogli i capelli, al diavolo le mani bagnate. Bernini non si mosse, rimase fermo come una statua, mentre tremava per non scoppiare. Sentiva le lacrime scorrere lentamente, una dopo l'altra, inumidendogli la camicia, e sentiva anche il suo flebile verso di sofferenza che stava emanando senza nemmeno accorgersene. Rimasero fermi così per tantissimo tempo, con il più basso che lentamente iniziò ad avvicinare le mani al suo corpo per cingerlo in un delicato abbraccio, sistemando meglio la faccia nel suo petto, e non parlarono mai. Borromini mise il mento sulla sua testa e chiuse gli occhi, il cuore che gli faceva male per la preoccupazione mentre cercava di rimanere solido e calmo per lasciarlo sfogare tutto il suo dolore.
«Francesco...» il cuore perse un battito nel sentire il proprio nome. Non l'aveva mai chiamato così. Si irrigidì per l'ansia, e Bernini doveva averlo notato perché subito dopo ricevette una testata sullo sterno. «Non tu, coglione!» Improvvisamente cambiò tono di voce, passando dal lamento al rimprovero. «Ho un fratello che si chiama Francesco, l'unico non artista e neanche prete.» Ah già, il fratello. Rilassò impercettibilmente le spalle, mentre Bernini continuava a parlare, come se lui non sapesse nulla: «È uguale identico a Luigi, ma di tre anni più giovane. È per questo che nonostante sia stato esiliato da Roma quello stronzo è ancora qui: mamma lo fa spacciare per il piccoletto, costringendoli ad uscire uno alla volta e mai insieme. Va alla Sapienza, è davvero bravo ma... ma non so se...» e smise di parlare, stringendolo tra le sue braccia e affondando ancora di più la testa nel suo petto.
Premeva così tanto sul costato che stava iniziando a fargli male, ma non aveva alcuna intenzione di muoversi. Continuò ad accarezzargli la schiena, non sapendo cos'altro fare.
Nel dubbio, abolì la formalità del Voi. «Qualunque cosa sia, cercherò di aiutarti ad affrontarla.» Gli diede uno spontaneo bacio tra i capelli, per consolarlo, e Bernini si bloccò.
«Potresti smetterla di baciarmi? È la seconda volta, oggi.»
E luì lo baciò una terza volta. «Lo farò finché non starai meglio.» Quarta volta. Quinta. Sesta.
«Basta! Mi metti a disagio!» Provò a scacciarlo con una mano, come se fosse una mosca, ma lui continuò a dargli i baci in testa. E arrivò il settimo, poi l'ottavo.
«E allora perché ti sento sorridere?» Era parzialmente vero: aveva sentito la sua bocca muoversi sul costato, ma poteva anche trattarsi di una misera smorfia infastidita. Nel dubbio, gli diede un nono bacio.
E lui si staccò con un bellissimo sorriso. «Non sto sorridendo!»
«Oh, a me non sembra.» Gli stampò un decimo bacio sulla fronte, e Bernini arretrò velocemente, divertito.
Si strofinò la fronte con il dorso della mano, rosso d'imbarazzo ma comunque sorridente. «Dài!»
«Vieni qui!» Cercò di catturarlo, ma riuscì a sfuggirgli ed iniziò a correre. Partì un inseguimento intorno al lago così allegro che sembrava si trattasse di due bambini che stavano giocando, e non di due quasi quarantenni che in teoria avrebbero dovuto odiarsi. «Non mi sfuggirai così facilmente!»
«Oh, questo lo credi tu!» Si infilò tra gli alberi, cercando di seminarlo nell'oscurità, ma alla fine non ci riuscì: fu catturato da dietro in uno stretto abbraccio seguito da un altro bacio in testa.
«Preso.» Glielo sussurrò all'orecchio con voce suadente, baciandolo dietro l'orecchio, e gli fece venire i brividi lungo tutto il corpo.
«Perché lo fai?» Era ancora divertito, ma adesso sentiva anche qualcos'altro.
«Perché mia madre lo faceva sempre con tutti noi, quando stavamo male. E io lo faccio con te.» Altro bacio, alla base della mandibola, più timido. «Riusciva sempre a tranquillizzarci e a farci stare meglio, facendoci sentire al sicuro.» Un altro, un po' più giù. Non sembrava più avere lo stesso scopo.
«E vi baciava così? Come fai tu ora?» Cercò di trattenere calmo il respiro, ma il divertimento era del tutto sparito.
Sentì il suo respiro tremolare, mentre scorreva il naso lungo il collo. «No.» Fu tutto ciò che disse, e il bacio che ne seguì fu sul collo, molto più morbido e lento, ma allo stesso tempo impaurito. Come se sapesse quello che stava facendo ma non riusciva a smettere.
E lo fece sospirare. «Allora dovresti fermarti.» Allungò una mano e lo accarezzò, mentre lui continuava a baciarlo timidamente, iniziando a sciogliergli lo jabot con mano tremante.
«Non... non riesco.» Bastò tirare nel punto giusto, e in un gesto ecco la fascia bianca cadere a terra e liberargli interamente il collo. «Non ce la faccio.»
Sentì il suo respiro spezzato sul collo, mentre tirava la sua testa verso di sé. Stava lottando tra ragione e istinto, tra repulsione e attrazione, e doveva aiutarlo in qualche modo. Ecco perché alla fine, contro ogni volontà, decise di scegliere per lui ed allontanarsi, lasciandolo con un vuoto tra le braccia. Si girò verso di lui, respirando con il naso per calmarsi da tutte quelle sensazioni che lo stavano travolgendo. Era per il suo bene. «No.»
«Perché?» Lo guardò incredulo, parlando con un tono di voce quasi disperato. Credeva, anzi, sapeva che voleva farlo anche lui, eppure si allontanava. Era perché l'ultima volta era stato rifiutato e voleva vendicarsi? Perché stava in una situazione familiare difficile (che ancora non aveva spiegato) e non ce la faceva a farlo senza sentirsi in colpa? O semplicemente aveva paura?
Bernini ci mise un po' a rispondere, cercando di trovare una risposta giusta. "Perché non voglio traumatizzarti di nuovo" non sembrava propriamente la migliore, per fare in modo che si allontanasse sul serio, per questo decise di usare la scusa più lampante, quella che comunque nel profondo lo faceva sentire in colpa ma non più al punto da fermarlo: «Perché non sono una donna.»
E vide perfettamente il momento in cui il cuore si spezzò nel torace dell'architetto, propagando il dolore nei suoi occhi così dolci. Occhi che dopo un attimo, un brevissimo attimo, divennero di fuoco. Ecco, come al solito tramutava la delusione in rabbia. Faceva sempre così. Lo vide serrare la mascella, prima di dire un forzatissimo: «Bene.», e poi girò con l'intenzione di tornarsene al lago, ma prima che potesse incamminarsi fu bloccato dallo scultore che parlava con tono allarmato.
«E poi... mi sentirei a disagio.» Non poteva lasciarlo così, non di nuovo. Voleva fermarlo, mica farlo arrabbiare.
E Borromini, infatti, aggrottò le sopracciglia, confuso. «Perché sono un uomo?»
«No, perché...» Bernini fece una pausa, e immaginò che stesse deglutendo per la vergogna, il suo pomo d'Adamo così sporgente che faceva su e giù. Adorava quel pomo d'Adamo. «Perché lo siete più di me.»
Si girò verso di lui il minimo indispensabile per poterlo guardare nel modo più stranito possibile. «Illuminami, ti prego.»
«Beh, ecco...» si chinò e raccolse lo jabot, sistemandoselo nuovamente al collo con grande disapprovazione dell'architetto. Stava perdendo tempo, perché si vergognava a morte di quello che stava per dire. «Io sarei disposto a farlo, nonostante nessuno di noi sia donna, ma decisamente non sono nelle condizioni fisiche adatte.»
Si girò totalmente verso di lui, stavolta: non stava capendo più niente. «Scusa, ma in che senso?»
Lo guardò stupefatto, rosso più delle ciliegie. «Ma ti sei visto? Porca troia, un altro po' e sei peggio del Plutone a Villa Borghese. Io non ho mai raggiunto una tale forma fisica, e mai ne sono stato tanto lontano quanto in questo momento. Farei solo una figura di merda, davanti a te.»
«Più parli e meno capisco, tesoro. Che cavolo è il Plutone di Villa Borghese?» Mise le mani in tasca, in attesa di risposta.
Bernini, intanto, era sempre più scandalizzato. «No, vabbè, se non sai chi sia pecchi in cultura sull'arte contemporanea.» iniziò ad addentrarsi nel bosco, dando per scontato che sarebbe stato seguito. Cosa che accadde. «Devi conoscere il tuo nemico, prima di disprezzarlo.»
Borromini, allarmato, vedeva sempre meno della sua sottile figura che si perdeva tra gli alberi. «Hai idea di che ore sono?»
«Assolutamente no, e allora?»
«E allora vuoi portarmi a Villa Borghese, adesso?»
«Ovvio, perché no?»
«Forse perché irrompere in casa altrui è reato, ancora peggio di irrompere nei laghi altrui?» riuscì a raggiungere Bernini e lo prese per il polso, fermandolo.
Si guardarono negli occhi, in una gara di sguardi che alla fine non vinse nessuno. «Tu ora vieni con me a Villa Borghese.»
Continuò a guardarlo male. «Non voglio essere coinvolto in una cazzata che mi porterà ad una denuncia.»
«Ma che denuncia! Conosco praticamente tutta la servitù, e ogni tanto vado pure lì quando sono giù di morale.»
Sospirò, scocciato. Dopotutto, erano lì perché Bernini stava male. Però insomma, non gli sembrava proprio il caso di entrare in una proprietà ancora più privata di quella. «E perché dovrei venire anch'io?»
«Perché non sai di cosa sono veramente capace, e ciò non ti fa per niente onore. Forza, andiamo a fare una splendida violazione di domicilio nella casa del cardinale Borghese!» E cominciò a tirarlo.
«E quella cosa di Francesco?» chiese, preoccupato. Erano finiti per fare tutt'altro, e lo scultore non aveva finito il discorso. Che diamine stava succedendo al fratello, perché potesse iniziare a piangere al solo pensiero?
Non sembrava, però, che Bernini volesse rispondere a tale domanda, tenendo conto di come lo guardò. Era spaventoso. «Non è il momento, Borromini.»
Per questo alla fine, dopo un attimo di tensione, lo spilungone si limitò a sospirare melodrammaticamente, per sdrammatizzare un po'. «D'accordo, allora tieniti pure i tuoi segreti, brutto nano depresso col pizzetto.» E iniziarono a camminare verso Villa Borghese, con il polso di Bernini ancora nella sua mano.
Fun fact: al lago di Villa Borghese dovrebbe esserci il tempio di Asclepio (o Esculapio, non ho mai capito come cappero si chiama), ma è stato costruito nel 1795 quindi nel Seicento non c'era manco a numero. Io avevo pronta una bellissima descrizione da farvi leggere per allungare il capitolo come mio solito, e invece l'ho dovuta togliere 😩✋
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