XX. Una verità inaspettata - Borromini
Si girarono di scatto, urlando per lo spavento e tenendosi istintivamente per mano alla ricerca di qualcuno a cui afferrarsi, e si ritrovarono Caterina e Luigi Bernini dietro di loro a guardarli con aria soddisfatta. Lei aveva le mani incrociate, lui le braccia.
Rimasero un attimo a guardarsi così, con i credenti che li fissavano infastiditi, poi i due artisti seduti presero consapevolezza di ciò che stavano facendo e si alzarono immediatamente, pulendosi le mani sui calzoni come se avessero toccato qualcosa di sporchissimo. Si schiarirono la voce, guardando ai lati opposti della chiesa con le scocche rosse, e poi Bernini fece il sorriso più bello e credibile che fosse capace di sfoggiare, prima di parlare: «Caterina! Fratellino! Qual buon vento vi porta qui, a San Giovanni in Laterano, dall'altra parte della città, in un orario poco consono per la messa e quando in teoria si dovrebbe stare a casa a mangiare?»
Il sorriso dello scultore più giovane si allargò, mentre si avvicinava e tirava fuori dal taschino un foglietto ripiegato. «Indovina un po'.» glielo porse tra l'indice e il medio, e Lorenzo glielo strappò di mano, aprendolo per scoprire cosa stava scritto: era l'appuntamento che si erano dati, con il mese di giugno sbarrato e corretto con quello di luglio da un'altra calligrafia. Borromini si era appuntato tutto.
«Li mortacci...» l'architetto gli diede una gomitata d'avvertimento, invitandolo a smorzare la frase. Erano comunque in territorio sacro, e non era il caso dire certe cose.
«Come l'avete preso?» Borromini cercò di mantenersi calmo, mentre la rabbia e la frustrazione gli ribollivano dentro. Voleva urlare, fare qualcosa, ma rimase fermo lì dov'era, a parlare con tono distaccato.
E Luigi, in risposta, gli prese gli orli della marsina e li allisciò, avvicinandosi a lui in modo sconveniente. «Come avrei potuto prenderlo, secondo voi?» Rimase con le mani sugli orli della marsina, guardandolo negli occhi con un finto sguardo innocente. E in quel momento gli venne in mente la loro ultima conversazione.
Sotto richiesta di Lorenzo, aveva finto di incrociare per caso suo fratello a Via del Corso mentre si dirigeva verso casa e, approfittando del fatto che per una volta era da solo e che entrambi avessero fame, lo aveva invitato a fare uno strappo lì vicino, alla rosticceria preferita del Maderno che ancora frequentava, per prendere qualcosa da mangiare.
Avevano gemuto per la bontà del loro cibo, si erano puliti dalle briciole e poi, tra una chiacchiera e un'altra, riuscì a far sbucare fuori l'argomento che più gli interessava. "Per caso avete qualche notizia di Costanza?"
"Perché lo chiedete?" Alzò le sopracciglia, incuriosito.
"Beh, perché è stata leggermente sfregiata. Volevo sapere come stesse."
"Non ho idea di come stia, non le parlo da quando mi sono rotto le costole, se così vogliamo dire." Finalmente a Piazza di San Marco, girarono a sinistra, per tornare a casa Bernini. Mancava poco, doveva sbrigarsi.
"Oh, davvero? Come mai?"
E Luigi sospirò, già stanco di avere quella conversazione. Non che a Borromini interessasse della sua opinione: doveva farlo parlare e basta, era per un bene superiore. Non divino, ovviamente, ma comunque superiore. "Beh, è stata lei a provocare me e mio fratello, manipolando entrambi abbastanza astutamente da non far capire che fosse impegnata con qualcun altro oltre a suo marito. È stata molto sleale, e per quanto mi piacesse stare con lei non aveva senso continuare ad avere rapporti."
In realtà era colpa un po' di tutti quanti, a partire dal marito che non soddisfava la moglie dal punto di vista sia fisico che mentale, però trattandosi di una società in cui qualunque errore veniva immediatamente addossato alla prima donna coinvolta, preferì non discutere a riguardo. Purtroppo Luigi non sembrava avere una mente molto aperta sulla situazione. Esattamente come il fratello. "E con Gian Lorenzo avete qualche intenzione di riallacciare i rapporti?"
Luigi alzò un sopracciglio, perplesso. "Non credo proprio, perché? Non volete il peso di parlare con entrambe le fazioni della famiglia?"
"Sapete benissimo quale sia la mia opinione su di lui e che non mi interessa averci a che fare. Penso, piuttosto, che dobbiate fare pace, perché un fratello è per sempre, nonostante le bravate che commette."
"Bravate? Prendermi a mazzate nel bel mezzo di una piazza non penso possa essere definita una semplice bravata."
"Sì, lo so, però-"
"E allora vedete di chiamarlo per nome: tentato omicidio. Perché è questo che ha fatto, e non è neanche stato punito. E qualche pacchero della giustizia non glielo levava nessuno." Si mise le mani in faccia e fece un lungo respiro per calmarsi, dopodiché gli rivolse un cordiale sorriso di circostanza. "Vogliate scusarmi per il mio comportamento, ma quando si parla di quello stronzo del cazzo tendo a perdere il controllo."
"Oh, tranquillo, capisco perfettamente. Anch'io facevo così, all'inizio."
"Davvero? E come mai ora avete smesso?"
Scrollò le spalle. "Semplice: non lavoro più con lui, quindi non ho più alcun motivo per parlargli."
Arrivarono a Santa Maria Maggiore: erano arrivati. Eppure Luigi non demordeva. "E allora perché siete venuto a cercarlo, l'altra volta?"
"Beh, per insultarlo per lo scandalo." Non era totalmente una bugia: aveva comunque riso di lui, e quella era una bella offesa.
"Eppure non sembravate particolarmente arrabbiato, né all'arrivo né all'uscita."
"Ma perché quando scolpisce è ridicolo! Anche il solo guardarlo mi ha svuotato da tutta la rabbia che provavo e mi ha fatto ridere a crepapelle finché alla fine non ci siamo insultati, e poi me ne sono andato."
"Mh." Lo guardò con un sopracciglio alzato, non particolarmente convinto. Purtroppo Borromini non era un gran bugiardo, però sapeva fingersi impassibile e sereno quando mentiva. Anche perché alla fin fine la sua era semplice omissione della verità, non una vera e propria storia campata in aria.
In ogni caso, Luigi sorrise. "D'accordo, fingerò di credervi solo perché Anch'io l'ho visto scolpire e fa davvero pariare." arrivarono alla porta e si fermarono l'uno di fronte all'altro. "Volete salire a pranzo? Mamma fa sempre il triplo del cibo che serve, quindi un piatto in più esce senza problemi."
"No, no: ho già tutto pronto a casa, magari facciamo un'altra volta."
"Va bene, allora è il momento di salutarci." E così di punto in bianco lo abbracciò, lasciandolo di sasso. Fu un attimo, con qualche pacca sulla spalla, e poi si staccò, mantenendo comunque le mani sull'orlo della marsina, come a sistemargliela. "Grazie per questa passeggiata così tranquilla e stimolante; spero di non essere stato troppo inquietante, prima."
"No, figuratevi, è sempre un piacere parlare con voi." Sorrise imbarazzato, in attesa che quelle mani si togliessero da lì. Ma continuavano a scendere, arrivando al petto e poi all'addome.
"Anche per me, Francesco." Si avvicinò di un passetto e gli stampò un bacio sulla guancia, facendolo arrossire come un pomodoro. "Arrivederci." E si staccò, lasciandolo lì davanti la porta a sfiorarsi la guancia con i polpastrelli.
Quel giorno capì che Luigi Bernini era sfacciato quanto il fratello, se non di più, e quel giorno a Borromini venne il dubbio sull'effettiva colpevolezza di Caterina.
Ed ora ecco entrambi i sospettati lì davanti a loro, con uno dei due che stava facendo lo stesso identico gesto che aveva fatto quella volta, a passeggiata finita. «Come diavolo...?»
Lorenzo, in risposta, sospirò, stanco. «Se c'è una cosa che Luigi Bernini sa fare, è rubare.»
E l'architetto, scandalizzato, lanciò subito via le mani di Luigi che ancora erano ferme sul suo petto. «Oh, voi, brutto-»
«Francesco, potete venire con me? È meglio che questa questione si risolva tra loro due.» Si intromise Caterina, appositamente per evitare che continuasse la frase, e gli lanciò uno sguardo d'avvertimento.
«No, Borromini rimane, altrimenti rischia di scatenarsi una rissa.» disse Lorenzo.
«Se Francesco rimane, sarà lui a scatenare la rissa. E se permetti è più lecito se è tra fratelli, così la questione sembra più caciarona e meno seria.»
Caterina e Lorenzo si lanciarono sguardi pericolosi. «Luigi, vai via, voglio parlare con Caterina.»
«No, parlerete voi due.» continuarono la gara, finché alla fine non fu lo scultore a cedere. Cavolo, sapeva imporsi davvero bene. «Prima o poi avreste dovuto confrontarvi, e questo è il momento giusto per farlo. Con permesso.» guardò di sfuggita Borromini, poi si avviò verso le prime panchine della navata, girandosi in attesa di essere raggiunta.
L'architetto la guardò inquieto per un po', poi si girò verso i due scultori che lo guardavano perplessi e soppesò le opzioni che si palesavano davanti: andare da una psicopatica o rimanere in mezzo ad una faida tra fratelli rischiando le mazzate? Mh, in realtà ci sarebbe anche la possibilità di darsela a gambe levate. Non era poi così male come idea, però significava che avrebbe abbandonato Bernini in pasto alla migliore amica e al fratello, quindi non sembrava propriamente giusto nei suoi confronti. Sospirò, maledicendosi da solo mentre si dirigeva verso Caterina: perché non era egoista come loro tre?
«Sedetevi, caro.»
Caro? Quando mai l'aveva chiamato caro? Confuso, fece quando richiesto, seguito a ruota dalla donna. «Bene, ora posso sapere perché ci siamo isolati?»
«Beh, è evidente: quei due tra poco si picchiano e noi dobbiamo far finta di non sapere minimamente chi siano.» gli rivolse un sorriso sardonico, ma lui si sforzò di non ricambiarlo. Per quanto simpatica, rimaneva una donna crudele e da manicomio.
«E quale sarebbe l'altro motivo, quello più nascosto che nessuno riesce mai a capire con chiarezza?»
La domanda la spiazzò, lasciandola a sbattere le palpebre per capire cosa dovesse dire. Era seriamente riuscito a sorprenderla, per la prima volta nella sua vita. Solo che poi sorrise senza gioia, capendo di cosa parlasse. «Quindi sapete la teoria di Lorenzo sulla medaglia: che c'è sempre una faccia nascosta dietro quella più evidente. Ebbene, devo dirvi che è vera, che io faccio sempre tutto per due motivi: uno che capiscono tutti, e uno che tengo solo per me. In pochi riescono a capirlo, e di solito quei pochi sono Lorenzo e la signora Angelica. Ma ora penso sia il caso che lo sveli anche a voi.» Il sorriso svanì, e finalmente Caterina divenne seria. «Sono qui per avere conferma che voi e Lorenzo vi state parlando. E da come vi siete comportati al mio arrivo, direi che non state facendo solo quello.»
«Di che cosa state parlando?»
Caterina squadrò i due fratelli dalla sua postazione, che cercavano di confrontarsi pacificamente nonostante stessero parlare tra i denti: il più alto era giovane, bello, dalle spalle larghe e ben proporzionato, con due occhi di fuoco che esprimevano tutto il suo rancore; il più basso, seduto sullo schienale della panca davanti e con i piedi sul sedile di quella di dietro, era invece piccolino, magro, esile, ma molto meno di prima. Nell'ultimo periodo aveva ripreso peso, e ora finalmente non era più pelle e ossa. Era uno splendido miglioramento, significava che stava cercando di tornare ad essere se stesso e di abbandonare il dolore per il tradimento di Costanza, sostituendolo con la determinazione a trovare chi l'avesse sfregiata così spietatamente.
«Avrete notato anche voi che Lorenzo è ingrassato.»
Aggrottò le sopracciglia, perplesso. «E questo cosa c'entra?»
«Il suo corpo rispecchia il suo stato d'animo. Quando sta bene, è stabile. Quando è innamorato, si gonfia di muscoli. Quando sta male, dimagrisce fino a diventare un filo d'erba. È da quando lo conosco che fa così.» Sorrise con fare materno, come se fosse orgogliosa di lui. «E ora, dopo un terribile periodo di sofferenza, ecco che si sta riprendendo. È tornato a mangiare, a vivere, a fare quello che faceva prima. E non può essere per una decisione presa a caso, non è da lui.» Si girò verso di lui, e ora lo sguardo era glaciale. Cercava di leggergli l'anima con quegli occhi castani d'improvviso così spaventosi. «Dev'esserci qualcuno che l'abbia cambiato. Qualcuno che gli abbia fatto capire di non essere solo, di essere ancora desiderabile. Perché è di questo che parliamo.» Si sporse verso di lui. «Lorenzo è dimagrito perché non era più corrisposto allo stesso modo da Costanza. E ora sicuramente si sta riprendendo perché si sente di nuovo voluto da qualcuno. Ma chi?» Gli mise una mano sul ginocchio, facendogli venire i brividi. Aveva capito dove voleva andare a parare. «Me lo sono chiesto per mesi, ma mai avrei immaginato che la risposta era stata davanti a me per tutto il tempo.»
Cercò di rimanere impassibile, per il proprio bene, ma il ginocchio non poté evitare di fare un leggero scatto. Aveva i nervi a fior di pelle, l'aveva scoperto. Sorrise sardonico, cercando di deriderla. «E io dovrei corrisponderlo? L'uomo che più odio al mondo?»
Caterina rilassò le sopracciglia e lo guardò come a dire "non prendetemi in giro": «L'uomo che più odiate al mondo non sarebbe mai stato seduto accanto a voi su una panca, né vi avrebbe mai preso la mano per lo spavento.»
«Ciò non significa che ci desideriamo a vicenda.» Si avvicinò a lei con un sorriso provocante, cercando di intimidirla o metterla a disagio in qualche modo. Cosa che fallì miseramente, perché lei non fece altro che ripagarlo con la stessa moneta, come faceva sempre Beatrice. Meno male che si era esercitato con lei, sennò si sarebbe fatto subito tutto rosso per l'imbarazzo.
«Vorreste quindi dirmi che ho dei pessimi gusti riguardo le persone di cui mi innamoro?»
Pessima domanda. Trattenne una risata, mentre rispondeva: «Oh, sappiate che l'ho sempre pensato. Da quando vi conosco.» Ed era la semplice verità: Lorenzo era il fratello peggiore, come aveva potuto innamorarsi di lui? Borromini aveva creduto di esserne attratto, ma dopo gli eventi accaduti l'ultima volta era molto scosso dai dubbi: voleva riempirlo ed essere riempito a sua volta fino a svenire, ma allo stesso tempo era disposto a vivere all'altro capo del mondo pur di non averci a che fare. Ne era attratto e spaventato contemporaneamente. Ma Caterina ne era perdutamente innamorata. Pazzamente, tenendo conto che ormai aveva perso il senno.
«Eppure piace anche a voi.» Si avvicinò un altro po', parlando con voce spezzata. «Altrimenti non avreste mai perdonato tutte le infamate che ha fatto e avreste creduto allo scandalo dello sfregio senza discutere, invece di indagare con lui sulla verità nonostante abbiate visto con i vostri occhi ciò che ha fatto a Luigi.»
«Ah sì? E quale sarebbe la verità?» abbassò il tono di voce, come se ciò che si stavano dicendo fosse un segreto di stato. Erano incredibilmente vicini, ma nessuno osava allontanarsi e fare la figura del più debole.
A tale domanda Caterina sorrise per schernirlo, guardandogli per un attimo le labbra prima di tornare agli occhi. Si era creata una strana tensione tra loro, per la pura testardaggine di non ritrarsi per primi. Dava fastidio ad entrambi la loro vicinanza, e si vedeva perfettamente, ma nessuno voleva cedere per primo. «È tutta una farsa, questa è la verità. Costanza è intatta come una principessa.»
E Borromini, troppo sconvolto per continuare ad impuntarsi, cedette e si allontanò. «Cosa?»
Caterina, in risposta, sorrise soddisfatta, ma non ebbe il tempo di proferire parola che il suono sordo di uno schiaffo si propagò per tutta la navata. Si girò di scatto come tutti nell'edificio, trovando Luigi con la testa girata di lato e un'espressione sorpresa in viso. Ahia.
Si alzò, con tutta l'intenzione di raggiungerlo, ma la ragazza lo prese per il polso. «Sedetevi, Francesco. Non ho ancora finito con voi.»
«Non hai sentito lo schiaffo che c'è stato letteralmente cinque secondi fa?»
«Sì, ma Lorenzo ha 37 anni e Luigi 24, il vostro bambino sa cavarsela da solo.»
Il vostro bambino. Borromini spalancò gli occhi, sconcertato dalle sue parole. Come stracazzo si permetteva di chiamarlo così, e con quale diritto diceva che era suo?
La rabbia iniziò a montargli dentro, ma cercò di rimanere impassibile. Sfoggiò la sua classica espressione impenetrabile, la più spaventosa del suo repertorio, e lentamente si avvicinò a lei, guardandola dall'alto. Caterina cercò di mantenersi decisa e serena, ma Borromini sentì che la presa sul suo polso si stava facendo più incerta.
«Come, scusa?»
«Ho detto che Lorenzo ce la fa anche senza il tuo aiuto.»
E lì sorrise crudele, poggiando una mano sullo schienale della panca, vicino la sua testa, e chinandosi verso di lei. Con sua grande soddisfazione, vide il collo di Caterina fare su e giù. Aveva deglutito per la paura. «Oh, quindi è lui il mio bambino?»
«Beh, per come lo trattate-»
«Per come lo tratto? Tutto ciò che ho fatto davanti a te è stato prenderlo per mano in un gesto istintivo dettato dallo spavento. Non è stato per niente un gesto paterno. Come hai potuto capire che lo tratto come un bambino, data la totale assenza di prove?»
Caterina impallidì, gli occhi lievemente più aperti. Era spaesata, incapace di rispondere. Il Tu doveva aver fatto effetto. «I-io non...»
Sentì una mano sulla spalla, e d'istinto si alzò e prese per il collo chiunque fosse. Ci mise un po' a capire che era Lorenzo, che ora lo guardava spaventato.
«Oh, scusatemi.» subito lo lasciò andare, a disagio. Non voleva spingersi a questo, ma quando si arrabbiava era capace di tutto. «Sono stato troppo preso da-»
«Sì, lo so. Ho sentito anch'io.» si massaggiò il collo, ma non sembrava infastidito. Probabilmente era perché ormai c'era abituato. «Caterina ha una memoria di ferro: si ricorda qualunque cosa le venga detto, quindi anche le mie lamentele durante i lavori a Palazzo Barberini in cui dicevo che mi trattavi come un bambino troppo viziato dai genitori. E semplicemente lei ha iniziato a prendermi in giro dicendo che che andavo a lavorare dal mio paparino.»
«Oh, non ne avevo idea...»
«L'ho notato.» Caterina si spostò di lato per alzarsi senza avere Borromini davanti, con tutta l'indignazione del mondo. «In ogni caso-»
«Tu ora ti stai zitta, se permetti hai combinato abbastanza guai e seminato abbastanza caos.» si girò a guardare l'architetto. «Voi invece venite con me, così vi spiego tutto.»
E uscirono dalla chiesa, lasciando Caterina lì a guardarli. Chissà che fine aveva fatto Luigi.
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