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XVII. Origliare al mercato è davvero illuminante

Io ve lo dico: questo capitolo è una ✨ merda ✨ scritta con i ✨ piedi ✨ ed è da inizio giugno che sto cercando di sistemarla in qualche modo, fallendo miseramente e peggiorando solo la situazione. Ragion per cui credo che entro qualche giorno, massimo una settimana, arriverà un capitolo riparatore fatto un pochino meglio [è sempre una merda, ma non a questi livelli (che vi aspettavate, un capolavoro? Illus*)] e con un po' di romance (vi mancava, vero? Dite di sì e fatemi contenta), e niente, buon sanguinamento di occhi a tutt*, che ve devo di'.

«Guardate che belle pesche!» Caterina percorse velocemente la bancarella del fruttivendolo, ammirando i vari frutti appena colti. Era la prima volta in vita sua che si dirigeva al Campo de' Fiori per il mercato mattutino, e non aveva mai visto tanta calca in vita sua.
Borromini sorrise, avvicinandosi a lei e prendendone un paio. «Se proprio ne volete una ecco a voi.» le pagò, poi tornò a guardare la sezione della verdura. Era solito pagare un prodotto alla volta, così da poter mettere tutto in una busta mandando piacevolmente in crisi il fruttivendolo. Teneva sempre a mente il peso precedente, così da fare la differenza e pagare di conseguenza, quindi era conosciuto come "lo scienziato di Campo de' Fiori". Sì, in quella piazza si praticavano le pene capitali e sì, lì era morto Giordano Bruno, ma quello di solito avveniva di sera. La mattina, invece, tutti i domestici di Roma centro si incontravano appositamente per parlare male dei loro padroni e spettegolare sulla nobiltà e la borghesia e, tra una chiacchierata e l'altra, fare scorta di viveri. Ma non loro due, che semplicemente si erano trovati per caso poco prima.
«Oh, grazie!» prese una pesca e la accarezzò, scoprendo quanto la buccia fosse vellutata. In vita sua non aveva mai toccato le pesche senza che prima venissero tagliate dalla servitù. Le aveva sempre e solo viste da lontano, mentre gliele sbucciavano. «Che meraviglia, sembra pelle...»
Borromini si limitò a guardarla intenerito, mentre continuava con la spesa. Non aveva mai fatto compere in compagnia di qualcuno, men che meno con una borghese che non aveva mai visto nulla del mondo reale. Si erano intravisti poco prima, presso il Pantheon: lui aveva appena smesso di lavorare e gli serviva qualcosa per il pranzo; lei aveva appena finito di pregare e stava semplicemente tornando a casa con Sara, la sua domestica. Si erano salutati, si erano detti i programmi per la giornata, e Caterina si era accodata a lui, seminando la povera domestica. Era una donna curiosa, sempre contenta di vedere cose nuove, soprattutto se si trattava di cose che non aveva il permesso di vedere. Infatti eccola lì, a prendere delle carote ed annusarle come se non ci fosse nessuno a cercarli, l'inseparabile mantellina azzurra a coprire quelle sue spalle così delicate, mentre l'architetto si guardava intorno con tutto l'allarme del mondo per paura che Sara li trovasse e creasse uno scandalo. E, tra l'altro, era anche piuttosto a disagio con lei: dopo cinque ore di duro lavoro si ritrovava pieno zeppo di sudore, puzzolente come una scimmia, e al suo fianco aveva una donna borghese che se ne fregava altamente. Tutti quelli intorno arricciavano il naso, ma lei no: come cavolo era possibile?
«Sono buone, non trovate?» Gli mostrò l'ortaggio che aveva in mano, un sorriso strano in volto.
Leggermente confuso, sorrise e prese un paio di carote molto grandi, così da non prenderne mille piccoline, e le tolse di mano la terza. «Io ne vado matto.»
Il sorriso strano si allargò, mentre l'ortaggio veniva pagato. «Sara in genere accompagna sempre le carote ai cetrioli.»
«Sì, son buoni anche quelli. Ma oggi non mi va molto di mangiarli. E poi» li guardò un attimo, restio a prenderli. «costano un po', e io non ho portato chissà quanti soldi.»
«Giustamente. E le melanzane? Ci stanno?»
«Sono estive, ancora non spuntano.»
«Oh, capisco. E vi piacciono?»
«Certo, mi piace tutto ciò che è commestibile.»
«Quindi anche i piselli?» si girò a guardarlo, interessata, e gli venne un brivido dietro la nuca. Era da tanto che non lo sentiva, con lei. Eppure aveva semplicemente preso in mano un baccello, per farglieli vedere.
«Sì, mi piacciono anche quelli.» sentiva un improvviso bisogno di finire la conversazione. Perché ora stavano parlando di piselli?
«Tutti i tipi?» si avvicinò goffamente a lui, spinta da una domestica che evidentemente aveva fretta nel fare compere, ma non disse niente. Era concentrata sulla sua risposta, come se si trattasse di una questione di vita o di morte.
Borromini era sempre più confuso ed inquietato. Gli piacevano i piselli, sì, ma perché aveva la sensazione che dirlo fosse sbagliato?
«Hai sentito cos'è successo alla povera signora Bonarelli?» sbatté le palpebre, nel sentire la voce di una ragazza alle sue spalle. Si girò, grato che avessero spezzato quella situazione così strana, e rizzò le orecchie, incuriosito dalla conversazione così come lo era Caterina.
Prese il primo ortaggio che aveva davanti: un cetriolo. Te pareva. Finse di guardarlo, mentre i pensieri si affollavano nella sua testa. Era da un po' che non si sentiva parlare di Costanza: cosa le era successo? Sapeva che qualche settimana prima era stata reclusa in un convento per redimersi dalla condotta lussuriosa che aveva avuto negli ultimi anni, ma non si aspettava che qualcuno provasse compassione nei suoi confronti. In genere erano tutti degli ipocriti che la insultavano senza pietà, come se loro non avessero degli istinti da soddisfare.
Come volevasi dimostrare, ecco che l'altra rispose: «Poverina, dopo tutto quello che ha fatto subire a suo marito? Gli ha rovinato la reputazione e la carriera: ora è visto da tutti come un marito incapace ed è stato pure licenziato dal cavalier Bernino, che tra l'altro era l'amante. Non merita alcun tipo di compassione, quella poco di buono.»
Cavalier Bernino. Il suo cuore fece un balzo, all'udire il suo nome, al punto che rimase bloccato con il braccio a mezz'aria, incapace di non pensare all'ultima volta che l'aveva visto.
Era passato un mese dall'incredibile trauma che aveva subìto, quella mattina nella propria casa. Bernini era immensamente dispiaciuto per quello che aveva fatto, o almeno era questo che cercava di dimostrare, con le scuse che gli aveva rivolto la settimana prima, e quella prima ancora. L'ultima volta se l'era ritrovato a lavoro, seduto a terra davanti alla scala per salire sull'impalcatura ad aspettarlo con il suo solito atteggiamento scorbutico.
"Tu sei uno stronzo."
Alzò le sopracciglia, stupito dalla sua aggressività. "Non eravate voi quello che ha spacciato per sua la mia idea delle volute sul Baldacchino?"
"Cavolo, ma mi hai mai perdonato qualcosa?"
"Mi avete mai chiesto di farlo?"
"Sì!" Si alzò furiosamente, mettendosi a un passo da lui con fare intimidatorio. Probabilmente avrebbe terrorizzato anche il più temerario dei criminali, ma ormai, dopo tutte le volte che aveva fatto l'arrogante viziato ed insopportabile, agli occhi di Borromini questa sembrava solo una scenata come un'altra. "Sì, te l'ho chiesto, e anche varie volte."
"Davvero erano così tante? Io ne conto solo una."
"NON È QUESTO IL PUNTO." Gli picchiettò energicamente un dito sul petto varie volte, al ritmo delle proprie parole.
Incrociò le braccia, perplesso e a disagio per la sua vicinanza non richiesta. "E quale sarebbe il punto? Io non ne vedo nessuno."
Iniziò a sbraitare, ma poi si accorse che effettivamente non aveva senso perché tanto erano vicini: "IL PUN- il punto è che non ha senso tenere il broncio dopo che io sono stato anche disposto ad inginocchiarmi per dimostrare quanto ci tengo ad essere perdonato."
Alzò un sopracciglio, appositamente per irritarlo. "Eppure non l'avete fatto."
Bernini spalancò gli occhi e impallidì all'improvviso, rimanendo sconcertato dalla sua risposta. Non si aspettava una richiesta del genere, era parecchio evidente. "Seriamente devo farlo?"
E lui alzò semplicemente le spalle, indifferente. Ovviamente voleva solo infastidirlo, non avrebbe mai chiesto una cosa del genere neanche al suo peggior nemico. Che tra l'altro era proprio lui. "Io non ho mai detto nulla a riguardo, state facendo tutto voi."
Dopo un tempo indefinito passato a ragionare, alla fine deglutì e fece un passo indietro, confondendo Borromini. "Bene, se proprio devo farlo allora..." gli tremarono le gambe, ma alla fine iniziò a piegarle, sconvolgendolo. Non aveva previsto che l'avrebbe fatto davvero.
"No!" Lo prese per le ascelle e lo sollevò, stupendosi di quanto fosse leggero.
"Perché no? Non volevi questo?" Iniziò a far ondeggiare le gambe, sospese nell'aria. "Puoi mettermi giù?"
Un'improvvisa ondata di tenerezza gli avvolse le guance, colorandogliele appena, ma era troppo sconvolto per lasciarsi sopraffare. "Non voglio che vi umiliate davanti a me, o almeno non in pubblico! Porca troia, ma quanto cazzo siete dimagrito?" Lo teneva ancora, con l'improvvisa paura che lasciandolo andare non fosse più capace di tenersi in piedi.
"Si chiama paura, non so se la conosci. Paura di non essere desiderati. Di rimanere da solo. Fa questo effetto su di me: mi corrode il corpo finché non rimane più niente." Lo guardò con distacco, come se fosse una cavolata o comunque qualcosa che non aveva a che fare con lui. "Tu non c'entri un cazzo con questo, ovviamente, ma se vuoi crederlo fai pure. Intanto però mettimi giù."
Borromini aveva gli occhi sbarrati. Continuava a reggerlo. "Come siete arrivato fino a questo punto?"
"Te l'ho detto, la paura della solitudine." Provò a scrollare le spalle, ma giustamente in quella posizione non poteva. "Sai com'è, quando la tua amante ha un amante improvvisamente la sua attenzione si dimezza. E io l'amavo alla follia, quindi questa cosa mi faceva stare leggermente di merda." Fece una pausa, guardandolo per un attimo, e stavolta provò a stringersi nelle spalle, fallendo di nuovo. "Smettila di guardarmi come se fossi pazzo."
Lui l'amava alla follia. Gli era rimasta impressa la sua dichiarazione così spontanea, come se non fosse niente di che. Quel giorno gli era parso così strano, come se niente di ciò che riguardasse i suoi sentimenti avesse più rilevanza. Paura, amore, odio... a lui non interessavano. Probabilmente era perché Costanza si era infischiata di tutto, seducendo tre uomini senza ricambiare nessuno.
«Sì, ma forse non hai capito che il viso della bella Costanza è stato sfregiato, e proprio dal Bernini.»
Sbatté numerose volte le palpebre, tornando in sé. No, non è possibile. Guardò Caterina, in preda alla confusione, e lei rimase impassibile, con il suo solito sorrisetto sereno. Gli venne di nuovo quel dannato brivido sulla nuca nel vederla così: perché non gliel'aveva detto, e perché faceva finta di niente?
«Ma che state dicendo?»
«La verità. L'altro giorno un domestico ha sfregiato la faccia di quella povera donna con un regalo da parte del principino. Palesemente era andato lì per suo conto. Adesso ha tutta la faccia bendata e fatica ad uscire dalla sua stanza.»
«Cavolo, che mostro.»
Borromini guardò le due donne con la coda dell'occhio, stranito, mentre posava il cetriolo e se ne andava con Caterina al suo seguito. Perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Non era per niente il tipo che rovinava la bellezza femminile, anzi: la cercava, la esaltava, la onorava. E soprattutto, Bernini amava Costanza alla follia. Gliel'aveva dichiarato apertamente.
Ignorò le critiche velenose allo scultore, preferendo andarsene con le orecchie fischianti per la confusione mentale, e si diresse verso casa, accompagnata dal passo leggero di Caterina, che per tutto il tempo non aveva mai perso il suo sorrisetto sereno.
«Perché non me l'avete detto?»
Caterina alzò le sopracciglia, incuriosita. «Che cosa?»
«Non avete sentito? Bernini ha rovinato la faccia di Costanza senza un motivo valido!» stava iniziando a spazientirsi: era così calma che rasentava l'inquietante.
«Oh, il motivo era più che valido, a prescindere dal Bernini di cui stiamo parlando. Costanza ha rovinato la sanità mentale di Lorenzo e quella fisica di Luigi. Lo sfregio era niente in confronto a quello che effettivamente meriterebbe.» l'aveva detto con una naturalezza tale da scuoterlo fin nel profondo. Davvero pensava una crudeltà del genere? Una donna cresciuta con i più nobili valori dela borghesia andava dicendo che un'adultera meritava di essere trattata peggio di così? Era sempre più indignato.
«Non c'è alcuna giustifica per ciò che ha fatto. Ha posto fine alla vita sociale di quella donna, e questo non è minimamente paragonabile ad un misero tradimento.»
Caterina alzò un sopracciglio, perplessa. «Sapete che anche un tradimento rovina la vita sociale?»
«E per caso rovina anche il fisico? Costanza non sarà più capace di guardarsi in faccia.»
«Beh, che si ritenesse fortunata se può anche solo guardare.» Borromini spalancò gli occhi davanti a tale risposta, indignato, e non riuscì a proferire parola. Caterina però non si accorse di averlo sorpreso e continuò a dire, dopo un sospiro scocciato: «L'avessi fatto io, non sarebbe stata sfregiata solo alla faccia.»
«Caterina, non credete di star esagerando?» il corpo era improvvisamente in allarme. In genere c'era solo il classico brivido alla nuca, ma stavolta era parecchio diverso. Si bloccò, sentendosi impallidire, e la ragazza se ne accorse dopo qualche passo, girandosi incuriosita verso di lui.
«Perché starei esagerando? Così come gli stupatori meriterebbero di essere castrati così quella donna rovina-famiglie merita di non provare più piacere.» nei suoi occhi apparve un'improvvisa oscurità, come se stesse parlando un giustiziere al posto della classica amica buona e chiacchierona con cui aveva a che fare.
Ancora senza parole, Borromini la vide avvicinarsi a lui con un terribile sorriso rassicurante. Gli poggiò la mano sul petto, tranquilla, e gli sussurrò, in un atteggiamento quasi materno: «Ehi, non serve che vi spaventiate così: non sono capace di fare del male ad una mosca. Sono sempre la solita dolce Caterina che prima vi ha tartassato di domande sulle verdure, solo che ho delle opinioni un po' drastiche della vita. Ma non ho mai detto che le avrei applicate.» gli prese la testa tra le mani, accarezzandogli le guance con i pollici, e continuò: «Nessuno è mai stato, è o sarà mai in pericolo, su questo potete stare tranquillo.» lo baciò sulla fronte e poi lo abbracciò. «Va tutto bene Francesco.»
E Borromini rimase fermo lì dov'era, rigido come un tronco per la consapevolezza di avere un'amica tutt'altro che buona. Per anni gli aveva mostrato quel lato oscuro, ma mai in maniera così sfacciata ed evidente. Perché aveva deciso di dirgli tutte quelle cattiverie? Che senso aveva? Sicuramente sapeva che così facendo l'avrebbe scandalizzato, eppure l'aveva fatto lo stesso. Cosa l'aveva spinta a rivelarsi così apertamente a lui?
Deglutì il panico che era cresciuto dentro di lui, dopodiché cercò di staccarsi Caterina dal collo. «I-io devo... Il pranzo...»
«Oh, sì, scusatemi: mi ero dimenticata di questo dettaglio.» missione riuscita: si allontanò e iniziò a guardarsi intorno, alla ricerca di qualcuno. Che solo allora ricordò.
«State cercando Sara?»
«Sì: prima era al Campo de' Fiori, ci ha controllati tutto il tempo mentre faceva la spesa anche lei, ma ora non ho idea di dove sia.»
«Sono qui, signorina.» una voce rassicurante spuntò dal nulla spaventandolo, ed ecco lì la domestica personale della ragazza. Era un po' vecchiotta, intorno alla sessantina, ma era sempre stata perfettamente capace di stare dietro alle mille peripezie della sua padroncina, da quando era nata. Compresa quella.
Annuì, spaventato dalla sua apparizione, e deglutì il disagio che mai prima d'allora aveva provato in presenza di Caterina. «Ok allora...» prese una pesca dalla borsa della spesa e gliela posò delicatamente sulla mano. «buona giornata, Caterina.»
La ragazza gli sorrise, intenerita da quel gesto. «Buona giornata a voi, Francesco.» e se ne andò assieme a Sara, lasciando l'architetto da solo in mezzo alla strada a sospirare per il sollievo. Improvvisamente quella donna era diventata una presenza opprimente nella sua vita, e non voleva più averci a che fare. Rilassò le spalle, avviandosi verso casa, ed iniziò a pensare che comicamente Bernini stava mostrando il suo lato cateriniano, mentre Caterina il suo lato berniniano. Si stavano scambiando i ruoli, e sinceramente non gli piaceva molto.
Si girò l'anello al dito, mentalmente stanco. Ah, Beatrice: dovevo fidarmi del tuo sesto senso fin dall'inizio.

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