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VII. Un vestito strano

Preannuncio che questo capitolo è una trashata pazzesca ancora più degli altri. Buon sanguinamento di occhi a tutti.

«Oh, ciao Cecco!» Non appena Beatrice aveva detto che sarebbe venuta con lui, Borromini l'aveva sfruttata per scoprire quale fosse il sarto presso cui si era recato Bernini con la sua donna misteriosa, andando ognuno da una parte. Inutile dire che l'architetto fosse andato da quello sbagliato, e che quindi avesse fatto una seconda figuraccia da ricordare. Ed era solo prima mattina.
"Salve signore, qual buon vento vi porta qui di domenica poco prima della messa del papa? Volete qualcosa d'importante?"
"No, in realtà è Bernini che evidentemente vuole qualcosa di importante. Per caso è nel camerino?"
E il sarto l'aveva guardato come se fosse stato uno stupido. Perché tutti pensavano che lo fosse?
"Scusate, ma a prescindere di chi stiate parlando nessuno dei tanti Bernini si è ancora presentato qui, quest'oggi."
Si guardarono in faccia per qualche secondo, in silenzio, mentre un cliente alternava il suo sguardo confuso tra i due uomini, e poi l'architetto se ne andò chiedendo scusa per l'inconveniente, tutto rosso per l'imbarazzo.
Per questo aveva attraversato la strada senza fare caso ai passanti e scontrandosi con due di loro consecutivamente. Non si era mai scusato tante volte nel giro di pochi minuti.
Alla fine, terminata l'impresa di recarsi dal sarto giusto, entrò e annunciò la propria presenza con il campanellino, facendo girare verso di sé Beatrice, che aveva avuto una fortuna incredibile beccando nientemeno che la donna dai capelli bicolore sola soletta davanti al bancone, ma che non si era minimamente degnata di avvisarlo.
«Mi sono fatta una nuova amichetta, mentre vi aspettavo, e abbiamo teorizzato che tipo di figuraccia avreste potuto fare dall'altro sarto.»
«E quale vostra usanza ci fosse in tali situazioni.» la donna sorrise tranquilla, cercando di essere simpatica e rimandando all'altra figuraccia che aveva fatto con lei, sempre a causa della strega mancata che aveva al suo fianco.
Peccato che Borromini non ricambiò il sorriso, ma invece si fece nuovamente purpureo per la vergogna. «Posso spiegarvi perché prima ero in quella posizione...»
«Ah, state tranquillo: comprendo perfettamente perché lo spaventoso Francesco Borromini abbia avuto paura di vedere il piccolo e gracile Gian Lorenzo Bernini.»
E in quel momento si sentirono le voci di due uomini parlare in simultanea, una, profonda, con tono normale, l'altra, un po' più acuta, urlando, proveniente da un punto impreciso dietro il bancone del sarto:
«Non ho mai avuto paura di quello scricciolo!»
«NON SONO PER NIENTE PICCOLO E GRACILE!»
Non appena si sentì la potente voce irritante dello scultore, tutti e tre fecero un balzo per lo spavento, voltandosi verso la tenda azzurra che veniva scenograficamente spostata di scatto verso destra. Al suo posto, un ometto dal viso i cui lineamenti erano resi ancora più spigolosi dall'espressione di sdegno che lo deformava, e che poteva essere definito con qualunque aggettivo ma decisamente non piccolo e gracile. Sullo sfondo, nella stanza piena di tessuti arrotolati in vari scompartimenti lungo entrambe le pareti, c'era un vecchietto pelato pieno d'imbarazzo con uno spillo in bocca e un altro in mano, che guardava con occhi spalancati ciò che aveva appena fatto il suo cliente.
Non era nudo, ma non poteva nemmeno essere definito vestito. Indossava un completo bianco, di una lana finissima e ben lavorata, che non copriva proprio un bel niente, anzi: accentuava praticamente ogni singola curva e rientranza del suo corpo, tanto che era attillato. L'avambraccio che dal polso che toccava la tenda si allargava al livello del gomito, il rigonfiamento del bicipite, la spalla robusta, persino la clavicola riusciva ad emergere da sotto il maglione, seppur timidamente. Per non parlare del torso: nonostante fosse a malapena visibile a causa del tessuto, un accenno di ombra qua e là c'era lo stesso. Ed era scandaloso. E tu non avresti dovuto notare tutte queste cose.
Chiuse gli occhi ed iniziò a sfregarseli freneticamente, scandalizzato dal coraggio dello scultore. «Dio mio, cos'hanno visto i miei occhi!» come se fosse stato possibile, divenne ancora più rosso, e con lui la donna dalla mantellina celeste, ma non Beatrice: lei in tutta la sua sfacciataggine, si limitò a guardarlo dall'alto in basso compiaciuta, annuendo e fischiando flebilmente davanti a ciò che vedeva.
«Come se si trattasse di qualcosa di brutto.»
«Beatrice!» solo in quel momento smise di torturarsi gli occhi, e solo per guardare male l'amica. Il cuore ormai era partito ed era difficile farlo calmare. Il suo disagio e il suo spavento l'avevano mandato nel panico, e infatti gli veniva difficile respirare. Voleva andarsene da lì al più presto, per evitare di finire come l'altra volta.
«Che c'è? È vero!»
«Oh, finalmente qualcuno che capisce! Grazie Beatrice, voi sì che non siete come Caterina.» Bernini continuò a guardare malissimo la donna, che abbassò lo sguardo, incapace di proferire parola. Aveva gli occhi spalancati e il rosso del suo viso era diventato intenso quanto il celestino della sua mantella. Se fossero stati fidanzati non si sarebbe mai comportata tanto pudicamente. Che fosse innamorata di lui?
«Caterina?» si girò a guardarla incuriosito, cercando in tutti i modi di non guardare lo scultore. Era ancora fermo lì, ma ora c'era il sarto seduto sui talloni che armeggiava con i suoi pantaloni, sempre in lana, che però gli andavano leggermente più larghi, cadendo morbidamente lungo le gambe. Evidentemente non erano abbastanza indecenti.
«Sì, è la mia migliore amica. Ora però spiegami perché cazzo sei venuto a ficcanasare pure qui, mentre sto facendo una cosa privata. Non riesci proprio a stare lontano da me e a non torturarmi, eh, gigantone?» Bernini incrociò le braccia, facendo girare tutti e tre, compreso Borromini, verso di lui per guardarle. Per quanto indecoroso, era pur sempre uno spettacolo degno di essere visto. Alzò un sopracciglio, sorpreso da come nessuno lo stesse guardando negli occhi. «Cosa vuoi da me, architetto?»
Il diretto interessato chiuse gli occhi, scrollando le spalle come per calmarsi, e poi finalmente riuscì a ricambiare il suo sguardo con la stessa serietà. «Volevo solo darti un promemoria su una cosa che ti sei offerto di fare ormai tre settimane fa.»
Lo scultore assottigliò gli occhi, spostando il peso su un piede per permettere al sarto di lavorare all'altro. Sapeva perfettamente di che si trattava. «E se io non volessi?»
«Te l'ho detto, sarò il tuo incubo per tanto altro tempo. E credo che mi ci impegnerò per bene, poi.» incrociò anche lui le braccia, e stavolta toccò a lui non essere più guardato negli occhi. Fortunatamente, però, lui aveva il mantello, la marsina, la camicia e la maglia intima, e di certo non quel maglione così strano, quindi al contrario di qualcun altro non era per niente vergognoso.
La minaccia velata dell'architetto era già stata fatta una volta, ma faticava ad entrare in testa allo scultore: davvero sarebbe stato capace di essere peggiore di come già non fosse? E cosa c'era di peggiore rispetto ad un tentato omicidio? Un omicidio effettivo? Come avrebbe potuto essere un incubo, poi, se tanto non avrebbe più vissuto? No, non ci credeva, ma allo stesso tempo aveva paura di rischiarsela. E poi, da un lato gli dispiaceva non averlo più al suo fianco: nonostante fosse terrificante, era comunque stato una sottospecie di maestro che, seppur controvoglia, era finito per insegnargli tutto quello che sapeva sull'architettura, e per quanto si rifiutasse di ammetterlo davanti agli altri ne era perfettamente consapevole. Sì, era un essere spregievole, ma sapeva anche fare buone azioni, che in qualche modo riusciva ad apprezzare. E non voleva esserne privato. Sì, era egoista, ma d'altronde era Gian Lorenzo Bernini: lui faceva sempre quello che gli passava per la testa senza fregarsi degli altri. E la paura per lui gli faceva battere il cuore all'impazzata e gli dava un'energia incredibile. Non l'aveva mai provata prima di averlo conosciuto, e certamente non aveva intenzione di rinunciarci. O almeno, non più.
Alzò leggermente la testa, in un gesto di sfida: «Sai che quella lettera va contro i miei principi.»
Borromini, in tutta risposta, rilassò le sopracciglia, sospirando spazientito. Stava iniziando ad arrabbiarsi, con grande soddisfazione dello scultore. «E tu sai che me ne sbatto altamente il cazzo. La voglio pronta entro una settimana, guai a te se non lo sarà.»
Si ritrovò a ghignare, mentre lui si girava per andarsene. Da dietro era tutta un'altra visione. «Perché, se non lo sarà che fai? Mi soffochi?»
L'architetto aveva già la mano sulla maniglia della porta, quando girò il viso verso di lui rimanendo comunque di schiena: era riuscito a far tornare quella terribile espressione impenetrabile in volto, con le sue sopracciglia aggrottate e la mandibola contratta.
Al diavolo l'imbarazzo, al diavolo la leggera colazione che aveva avuto con lui poco prima: quel bastardo era pur sempre un egocentrico che meritava il peggio e che gli aveva rovinato la carriera proprio sul nascere. «No.» e non disse altro, andandosene.
Beatrice rimase lì, interdetta, a squadrare l'omino bianco palestrato un altro po', dopodiché disse, gesticolando: «Per... perché siete vestito così? Giusto per sapere, eh: non ho alcuna intenzione di giudicarvi.» non ricevendo altra risposta se non sguardi truci, annuì impercettibilmente, alzò il pollice e scappò fuori, salutando e seguendo l'amico. Era nero di rabbia, incredibilmente spaventoso. Davvero non capiva con quale coraggio Bernini continuasse a farlo arrabbiare ogni volta.
«Cecco...»
«No. Se permettete non ho alcuna intenzione di parlare di nuovo delle sue mani, né elogiare le sue braccia o qualunque altra bellissima parte del corpo di quello stronzo. Non merita di essere così bello, non merita di essere così geniale. Non merita proprio un bel niente.» se ne andarono dalla piazza a tutta birra, con Beatrice che correva per stare al passo con Borromini.
«Cecco, vi prego, non fate così... Se è per questo non merita nemmeno la vostra rabbia. Sapete che ha paura di voi; prima o poi vi farà quella lettera. Sapete perfettamente che lui dice e dice e poi non fa niente. È tutto fumo e niente arrosto, e ne siete consapevole.»
«Ed è questo che mi fa incazzare, porca miseria!» si fermarono tra due palazzi, in modo tale che avessero abbastanza privacy da potersi sfogare quanto volevano. «Lui me l'ha promesso, cazzo. Mi ha promesso che l'avrebbe fatta, quella lettera. E io fesso che ci sono pure cascato! Perché mi sono lasciato abbindolare da lui, dalla sua paura per me, dal fatto che avrebbe fatto qualunque cosa purché io non mi arrabbiassi. E invece eccomi qua, con un pugno di mosche in mano, totalmente privo di fama e alle sue dipendenze. Non posso fare nulla, senza di lui, senza quella lettera. Io ho bisogno di lui, e lui lo sa! Per questo mi tratta così! Si crogiola nella sua fama, lo stronzo, e io sono qui, nell'ombra, incapace di avere la mia gloria in modo diverso dall'andare dietro a Bernini.» fece un sonoro sospiro, poggiandosi con la schiena alla parete. «Sono così stanco di questa situazione, così stanco di lui.» e si mise la testa tra le mani. Era disperato.
Beatrice non seppe che dire. Voleva consolarlo, in qualche modo, dirgli che sarebbe finita, che Bernini sarebbe cambiato, ma non ci credeva nemmeno lei. Sapeva benissimo quanto fosse cattivo, anche se aveva avuto a che fare con lui solo una volta e mezzo. E bastava.
Fu per questo che non fece altro che accarezzargli la testa, compassionevole. «Le cose si sistemeranno, prima o poi. Basta solo avere pazienza e non arrendersi nemmeno davanti all'ennesimo ostacolo».
«Anche perché credo proprio che farà quella lettera a breve.» una voce femminile fuori campo catturò l'attenzione di entrambi, che si girarono verso la sua provenienza. La tranquilla e taciturna Caterina era lì, in tutta la sua comprensione e la sua modestia.
Borromini aggrottò le sopracciglia, alzandosi e avvicinandosi a lei, con Beatrice al suo seguito. «Che ci fate qui?»
«Semplice: ho lasciato Lorenzo da solo con il sarto e vi ho seguito. Vi ho raggiunto solo ora perché eravate davvero veloci. Comunque, volevo chiedervi di darmi un mese al massimo, perché io riesca a convincerlo a farvi quella benedetta lettera. In genere quel rompipalle non resiste più di tanto alle mie doti persuasive.»
«Come fate ad esserne certa?»
«Secondo voi ascolterà di più un uomo che lo odia a morte o una donna che conosce fin da bambino e che ha sempre dimostrato di avergli fatto fare la scelta giusta?»
La guardò spaesato, non riuscendo a credere alle proprie orecchie. Davvero la migliore amica del suo rivale lo stava aiutando? «Ma perché dovreste farlo?»
E lei, in tutta risposta, scrollò le spalle. «Mi sono semplicemente stancata di sentire una continuazione a Lorenzo che si lamenta di voi: fidatevi, lo faccio più per me che per voi.»
«Si lamenta di me? E perché? Non ci parliamo neanche.»
«È molto... rancoroso. Ma state tranquillo che, crollasse pure il mondo, tempo un mese e avrete la vostra raccomandazione per la Sapienza. Ne sono certa.»
Borromini la guardò interdetto, con occhi e bocca spalancati. Non si era aspettato minimamente una svolta del genere, e ne era immensamente grato. Invaso dal sollievo, incapace di trattenere la gioia che quella donna gli aveva donato, corse verso di lei e l'abbracciò di scatto, ridendo. «Oh Dio, grazie grazie grazie!»
Caterina rimase bloccata lì, con la faccia affondata nel suo petto, mentre Beatrice la guardava gelosa: anche lei voleva essere abbracciata così. Rimasero così per poco, ma quel poco bastò per far capire a Beatrice che voleva anche lei quell'affetto da Borromini.
Quando si staccò, le stampò un bacio in fronte le disse: «Sono in debito con voi, qualunque cosa vogliate da me io la farò.»
«Oh, state tranquillo: finché quel chiacchierone non parlerà nuovamente di voi lo considererò già ripagato.» gli rivolse un sorriso gentile, dandogli delle leggere pacche sulla spalla, e poi iniziò ad allontanarsi, camminando all'indietro. «Tra un mese se ancora non succede niente sappiate che sono sempre reperibile qui intorno: cercatemi e datemi il 'promemoria' come avete fatto con Lorenzo. Arrivederci, signor Borromini.»
«Chiamatemi pure Francesco.»
Gli sorrise. «Arrivederci, Francesco.» si girò e se ne andò di corsa, facendo sospirare l'architetto.
«Come fa un angelo come lei ad essere amico di uno psicopatico come Bernini?» era una domanda rivolta al niente, ma Beatrice rispose lo stesso.
«Ha qualcosa di oscuro. Lo sento.» si strinse nella mantellina vecchia anni, assottigliando gli occhi e guardando il punto in cui aveva svoltato.
Borromini si girò verso di lei, pensieroso, ma poi annuì impercettibilmente e scrollò le spalle. «Considerando le sue amicizie può anche essere, ma finché mi aiuta a scrollarmi di dosso quel bastardo a me va più che bene averci a che fare.»
«Secondo me invece Bernini ha cambiato idea e non vuole più scrollarsi di dosso voi, per questo esita a farvi la lettera.»
«Dove volete andare a parare?» l'architetto si stava facendo sempre più confuso.
Beatrice stava ragionando troppo in fretta e senza abbastanza prove per dimostrare le sue teorie. Eppure ciò che era successo nell'ultima ora era così strano... «Credo solo che secondo me Caterina è subdola quanto Bernini, e sicuramente lei è venuta qui a sua insaputa. Le ho parlato, mentre non c'eri, e da quel poco che ho capito di lei e della loro amicizia si conoscono da fin troppi anni per non essersi influenzati a vicenda.»
In quell'ultima frase c'era di che riflettere. Ma avrebbero avuto tutto il tempo del mondo, dopo essere stati al cospetto di Dio per un'ora o due. «Io invece credo sia solo il momento di andare a messa. Andiamo?»
Beatrice, immersa nei suoi pensieri, sbatté le palpebre più volte per tornare con i piedi per terra e poi annuì, prendendo sotto braccio l'amico e facendo teorie sull'utilità di quei vestiti bianchi così svergognati (un qualcosa di volutamente provocante o semplicemente un altro strato di vestiti da mettere sotto a tutti gli altri?), e insieme si diressero verso la basilica di San Pietro, ad assistere all'omelia di papa Urbano VIII che non avrebbe neanche accennato a tutte le vicissitudini recentemente accadute con Galilei.

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