IV. Pericolosi fraintendimenti
Aggrottò le sopracciglia, infastidito dalla luce che colorava di un giallo aranciato l'interno delle palpebre. Che ora era? Affondò la faccia nel cuscino di piume, troppo sensibile alla luce, e la sua testa iniziò a pulsare con molta forza. Sospirò, riscaldando la zona di cuscino sotto al naso. Aveva bevuto troppo, la sera prima, e ora ne stava pagando le conseguenze. Mannaggia a me.
Si portò supino a fatica, una smorfia di dolore ad ogni minimo movimento che implicava l'addome e le braccia. Probabilmente aveva fatto a botte, perché sentiva entrambi gli zigomi pulsanti. Si mise sui gomiti, facendo di tutto per non gemere, e si tolse le coperte, scoprendosi in mutande. Cosa diamine ho fatto stanotte? Aveva una lividura all'altezza della milza, una benda legata strettamente poco sotto l'ombelico, e probabilmente aveva pure qualche costola incrinata. Forse due. Premette leggermente sull'addome e vide le stelle, ma notò anche le nocche fasciate con cura. E un morso sul bicipite. Spalancò gli occhi, inquietato. Che razza di serata era stata? Lui ricordava solo di essere entrato in un'osteria, arrabbiato con il committente che non aveva voluto licenziarlo e con il mondo che lo costringeva ancora a vivere, e con la convinta volontà di dimenticare quella giornata, sopprimendola nell'alcol. Ma non ricordava tutto il resto. Certo, era consapevole del fatto che ad un certo punto anche la pura feccia dell'umanità era entrata nel locale, ma non aveva interagito con lui. O forse sì? Possibile che avesse fatto a botte proprio con lui? E perché diamine era stato morso? Ma poi, basso com'era, lui come ci era arrivato fin lassù?
Sospirò, sdraiandosi, e smise un attimo di pensare a cose stupide, limitandosi ad osservare il luogo in cui era finito, le dita della mano affondate tra i suoi neri capelli. Era una stanza abbastanza spoglia, dalle neutre pareti grigio chiaro, con solo il letto matrimoniale, un tavolino e due sedie come mobilia. Il che era strano, considerando che in quel periodo l'horror vacui predominava su tutto. Alla sua sinistra, delle pesanti tende ricamate color acqua marina lasciavano passare un piccolo spiraglio di luce mattutina giusto all'altezza dei suoi occhi. Ai suoi piedi, la testiera in mogano era piena di ghirigori, esattamente come lo erano le due sedie imbottite con la stessa stoffa delle tende posizionate a destra rispetto all' imponente porta in mogano scuro che separava la stanza dal resto del mondo. Sul tavolo c'erano i suoi panni, ben piegati e divisi in due pile. Si girò a destra, e il cuore fece un balzo.
Spalancò gli occhi e, istintivamente, contrasse l'addome e il braccio. Il dolore che provava in quel momento era tanto, ma nulla in confronto al panico che stava crescendo dentro di sé. Una persona era sdraiata accanto a lui. Gli dava le spalle, non poteva sapere chi fosse, ma non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere da se stesso. Cosa stracazzo ho fatto stanotte? Impossibilitato dal fare qualunque cosa, rimase lì, bloccato, a fissare quelle coperte che si alzavano e si abbassavano al ritmo del respiro di lei. Perché era una donna, vero? Anche lei aveva dei corti capelli neri, che affondavano nel morbido cuscino di piume, mentre le spalle erano larghe rispetto a quelle di una donna nobile, quindi doveva trattarsi di una contadina o comunque di una lavoratrice. Giusto?
E anche lei era in intimo? Era il caso di controllare o no? Alla fin fine, anche se non ricordo nulla, dovrei aver già visto tutto di lei. Deglutì il panico e provò a farsi coraggio, alzando leggermente le coperte, e gli si bloccò pure il respiro. Dov'è la veste da notte?
Evidentemente quel leggero spostamento di coperte aveva permesso all'aria fredda della stanza di accarezzarle la schiena nuda (dalla pelle non abbastanza ramata per appartenere ad una contadina), perché la inarcò, facendo battere il cuore dell'altro all'impazzata. Di lì a poco si sarebbe svegliata e lui non sapeva che fare.
Lei, intanto, aveva iniziato a mugolare, con la voce rauca di chi si era appena svegliato, e iniziò a stiracchiarsi, scoprendo un braccio sottile ma muscoloso. Avrebbe pensato che fosse di uomo, se non si fosse costretto per tutto il tempo a considerarla donna. Peccato che le sue già precarie certezze si ruppero definitivamente quando ella si girò e sotto il naso presentò due baffetti da sparviero. Ci volle un attimo per riconoscerlo, per capire chi diamine fosse, e lo stesso tempo ci mise lui, che lo guardava con un occhio mentre si strofinava l'altro, assonnato, e il suo cuore si fermò. Quella notte aveva dormito con Gian Lorenzo Bernini.
Si guardarono impanicati per un attimo, poi balzarono via dal letto imprecando come degli scaricatori di porto e con il cuscino si coprirono l'unica cosa coperta che c'era, allontanandosi il più possibile tra di loro. Erano spalle al muro su due pareti opposte e si fissavano, entrambi stravolti dalla scoperta. Come è stato possibile?
Anche lui era pieno di lividi e di fasciature, ma lui non aveva un morso sul braccio. Che i lividi fossero causati da...? Scosse la testa, cercando di togliersi quell'orribile scena dalla mente. No, non può essere.
«COME CAZZO TI È VENUTO IN MENTE, DEMONIO CHE NON SEI ALTRO?» Bernini, ovviamente, era già partito con gli insulti e con le urla, cosa che dopo una sbronza non era tollerabile.
«Parla più piano, porca misera! E poi vedi che potresti essere stato anche tu.»
Bernini lo guardò schifato, ma poi continuò ad osservare i suoi lividi, rilassando la muscolatura del viso. «Te li ho fatti io?»
«No, me li sono fatti da solo. Mi piace sfregiarmi nel tempo libero.» usò il tono più acido del suo repertorio, ma rimase stranito dall'espressione dello scultore. Erano sensi di colpa, quelli? Guardò i suoi lividi, che erano più violacei e grandi del suoi. Ne aveva due, uno sull'addome, all'altezza del fegato, e uno sullo stinco sinistro. Gli aveva dato un calcio, nel mentre? Entrambe le mani erano fasciate all'altezza delle nocche, e il respiro tremolante indicava che anche lui aveva delle costole incrinate, se non rotte. Non si aspettava che un tappetto fragile come lui si rivelasse così allenato. E violento. Finì per pensare al pugno che gli colpiva l'addome, così forte da causargli un livido del genere, che si allargava lungo la sua forte muscolatura, fino all'altezza del ombelico; a lui che in qualche modo slogava la spalla robusta, probabilmente con un altro pugno; a lui che gli dava una gomitata sul petto e gli rompeva le costole... e poi? Cos'era successo dopo? Come erano finiti per fare pace, per passare dai pugni alle carezze, dalle testate ai baci, dal sangue a... un altro liquido corporeo? Non lo so e non lo voglio sapere. Si schiarì la voce, cercando di distrarsi da quel flusso di coscienza, e si avvicinò al tavolo, tenendosi il cuscino lì dov'era nonostante fosse inutile. «Dobbiamo andare a lavoro. Muoviti a vestirti.»
«Ma non c'è un bagno? Che razza di camera da letto non ha un bagno annesso?»
Borromini, mentre prendeva i vestiti, si allungò verso la porta e la spalancò, svelando un minuscolo ingresso quadrato con una seconda porta sulla sinistra, probabilmente il bagno, e una terza di fronte, l'uscita. «Grande esploratore, mi dicono.» non guardò Bernini che arrossiva, imbarazzato, né lo guardò prendere gli indumenti e andarsene frettolosamente, ma sentì comunque la porta sbattere e si ritrovò comunque solo in camera. Finalmente. Si sedette un attimo sulla sedia, di peso, e si mise le mani in faccia. Era già stanco di quella giornata e non voleva fosse mai iniziata. Gli faceva male tutto e non voleva esistere, ma si costrinse comunque a vestirsi. I panni erano piegati con cura ed odoravano di lavanda: chiunque si fosse occupato di loro, mentre non erano in loro, aveva fatto proprio un bel lavoro.
Si stava sistemando l'ultimo bottone della camicia, quando la porta del bagno si aprì e fece uscire un Bernini prontissimo per affrontare la giornata. «Andiamo?»
«Assolutamente no, se permetti devo cagare anch'io.»
Si guardarono malissimo per un attimo, dopodiché prese la marsina nera e si scambiarono di posto. Passarono nello stesso istante sotto l'uscio della porta della camera, ed evitarono il più possibile di toccarsi o guardarsi. Trattennero persino il respiro, pur di non avere contatti con l'altro.
Alla fine, quando uscì dal bagno, Borromini si ritrovò da solo nella stanza. Lo scultore se n'era andato. Giuro che se non ha pagato la sua parte di conto...
Uscì e scese le scale come una furia un po' azzoppata, pronto ad inseguirlo fino in capo al mondo, ma appena fu in vista del bancone si vide costretto a rallentare, trovandolo proprio lì, seduto a chiacchierare amorevolmente con la sorella del titolare. «Oh, finalmente la vostra seduta è finita!»
«Che succede? Perché siete così di buon umore?»
«Perché ho appena scoperto cos'è successo stanotte e no, non rischiamo il patibolo!» gli sorrise raggiante, pieno di sollievo. Borromini però non ricambiò, continuando a tenere le sopracciglia aggrottate per la perplessità.
«Ieri notte ho pensato io a voi due. E non ne sono affatto dispiaciuta.» la donna si mise con i gomiti sul bancone, ammiccando.
«Sì, ma cos'è successo?»
«È successo che abbiamo bevuto troppo e alla fine, per niente lucidi, ci siamo picchiati tanto da svenire per l'alcol e il dolore. Poi la gentilissima Beatrice ci ha curato e, dato che c'era solo una camera matrimoniale libera e dato che eravamo entrambi fuori gioco, ci ha messi lì.»
«Quindi non abbiamo...?»
«Assolutamente no, e ne sono felice!» e gli rivolse un secondo sorriso, pieno di sollievo.
Sollievo che provò anche lui, ma che manifestò sospirando. «Per la prima volta dopo tanto tempo sono felice di ciò che avete detto.» si girò un attimo verso Beatrice le rivolse un sorriso pieno di gratitudine. «Grazie mille per aver curato due sconosciuti lividi e svenuti.»
«Oh, per me è stato un piacere.» la donna si sporse sul bancone, abbassando la voce e fissandolo con un sorriso languido. «Soprattutto per quanto riguarda voi.»
Arrossì di botto e d'istinto si toccò il braccio, dove, sotto la veste, c'era il segno del morso. Effettivamente era troppo definito per essere stato dato sopra i vestiti da un ubriaco nel bel mezzo di una rissa. Che fosse...? «Credo... credo di dover andare. Quanto è venuto a costare il tutto?»
«Offre la casa, se tornate e chiedete di me.» mise una mano sotto al mento, continuando a provarci con lui. Come diamine si doveva comportare? Si girò un attimo verso Bernini, infastidito dalla scena, e gli mandò una muta richiesta d'aiuto, ma lui se ne fregò altamente.
«Quindi ce ne andiamo senza pagare?»
«No, voi dovete pagare la vostra parte.» la risposta fu così inaspettata che Borromini trattenne a stento la risata, facendola uscire sotto forma di grugnito. Ma Bernini non era altrettanto divertito.
«Cosa?!» la guardò stupito, incapace di comprendere la situazione.
Beatrice gli sorrise con uno sguardo di sfida, togliendosi al bancone. «Chi ha iniziato la rissa paga. E chi ha iniziato la rissa siete proprio voi.»
«No, impossibile. Sono un tipo pacato, io.»
All'architetto uscì un secondo grugnito. Sul serio aveva la faccia tosta di dire una bugia del genere?
«Cos'hai da ridere, tu? La situazione è seria.» In genere tra due colleghi, per quanto in confidenza, ci si doveva sempre rivolgere con il Voi, a prescindere da tutto. E questo facevano anche loro, solo che quando c'era rabbia o stizza tendevano a disprezzare l'altro e a trattarlo come se fosse un essere indegno di qualunque rispetto. E questo era uno di quei momenti.
«No, è solo che una frase del genere detta da voi risulta essere un po' un ossimoro.»
«Decisamente, anche perché ad certo un punto avete preso un pezzo di vetro rotto e avete trafitto l'intestino di questo stallone.» I due artisti si voltarono verso Beatrice, a guardarla stupiti. Borromini era diventato rosso come un pomodoro per l'imbarazzo, mentre Bernini era bianco come un cencio per l'incredulità.
«Cosa...?»
«Sì, ma non è questo il punto. Il punto è che avete iniziato voi, strappandogli di mano la birra che stava bevendo e spaccando la bottiglia sul tavolo.» Lo guardò delusa, cercando di farlo sentire in colpa. Peccato fosse troppo orgoglioso per esserlo.
«No, non lo farei mai. Io da ubriaco non sono così violento.»
«A quanto pare lo sei, e mi hai anche ferito. Ora paga e facciamola finita.»
«Col cazzo che pago solo io, anche tu mi hai distrutto la pancia con un pugno.»
«Era una sedia, vi ha lanciato una sedia addosso e vi ha colpito con la gamba.»
«Cosa?!»
«Sì, ma non c'è stato bisogno di medicherie molto impegnative, quindi state entrambi tranquilli perché il medico che era qui ha semplicemente cenato gratis.» andò alla cassa, dove stava scritto tutto ciò che avevano mangiato, bevuto e rotto. «Sono cinquantatré scudi.»
«COSA?!» Bernini si ritrovò in piedi, con le mani sul bancone e un'espressione incredula in volto. «E TI ASPETTI CHE PAGHI TUTTO QUESTO?» si voltò verso lo spilungone, guardandolo con occhi spalancati e spaventosi. «E tu credi davvero di non pagare?»
«beh, proprio perché sei tu...» lo guardò con sfida. «no.»
Si bloccò, incapace di dire o fare nulla. Era pieno di sconcerto, e dentro di sé stava cominciando a ribollire sempre più di rabbia.
«Quando ci vediamo, noi due?» Beatrice si ritrovò a sorridere, felicemente sorpresa dalla domanda che le rivolse l'architetto.
«Quando volete, io sono sempre qui. Ma prima voglio i miei soldi.» guardò Bernini, in attesa, e lui aggrottò le sopracciglia e mise il muso, sospirando sonoramente mentre si toglieva dal cinturino il sacchetto portamonete. Lo svuotò totalmente sul bancone e poi disse, con fare scocciato: «Borromini, puoi fare l'enorme sacrificio di mettere i tre scudi mancanti al posto mio?»
«Come si dice?»
Lo guardò malissimo, con gli occhi assottigliati e la barbetta fremente di rabbia, e rispose, tra i denti: «Per favore.»
E l'architetto sorrise, prendendo tre monete e mettendole sul bancone. «Ecco qui. Spero siate contento.»
«Tantissimo, guarda.»
«Perfetto, grazie per essere venuti alla Volpe Addormentata e passate a trovarci! Soprattutto voi, bel ragazzo.» gli fece l'occhiolino, sorridendo languidamente, mentre i due artisti se ne andavano, uno rosso d'imbarazzo, l'altro rosso di rabbia.
«Ma vedi un po' tu se devo sprecare tutti i miei soldi così, solo perché la commessa ci prova con un cretino.» iniziarono ad incamminarsi assieme ognuno verso la propria casa, decidendo entrambi di prendersi un giorno di ferie per ovvi motivi, e Bernini stizzì Borromini per l'ennesima volta.
«Se non avessi deciso di colpirmi avremmo pagato ognuno la nostra parte di conto, sai.»
«Beh, peccato che da ubriaco marcio non controllo le mie azioni! Ma poi una donna che ci prova con un uomo... incredibile, ma dove stiamo andando a finire?!» scosse la testa, indignato da ciò a cui aveva assistito. «E tu che rimanevi zitto e non le davi nemmeno corda? Ma che problemi hai?» Caspita, era davvero in vena di offendere.
Lo guardò in silenzio dall'alto, con sufficienza, per abbastanza tempo da inquietare lo scultore. «Non sono un malato di sesso, diversamente da te.»
Frenò il passo, sconcertato dalla sua sentenza. «Cosa?! Come ti permetti di dire cose del genere, pezzo di merda che non... sei.» aveva tutta l'intenzione di cantargliene quattro per tutto quello che era accaduto, ma il modo in cui si era girato bruscamente, l'aveva guardato fisso e aveva iniziato ad avvicinarsi a lui con espressione impenetrabile gli aveva soffocato le parole per il terrore. Deglutì la paura, cercando di non sentirsi più piccolo di quanto non si sentisse già accanto a lui. «Credo... credo di dover andare. Sì, ecco, me ne vado.» passò attorno a Borromini, con il cuore a mille, senza staccare un attimo lo sguardo da lui. Era davvero spaventoso, quando aveva quella faccia. «Arrivederci.» si girò, sperando di non essere preso per il colletto per essere trattenuto e ucciso, e scappò via a gambe levate, il più lontano possibile da quello sguardo.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro