III. Tribunale improvvisato
La mattina dopo Borromini era lesto come un fulmine. Si era preparato in tutta fretta per poi dirigersi dritto dritto a Palazzo Barberini, senza nemmeno fermarsi in rosticceria a prendere la colazione. L'edificio, ormai quasi finito, era dotato di un largo porticato rientrato rispetto alle due più sottili ali laterali, creando un largo piazzale rettangolare, e lui arrivava da destra, dalla zona a cui stava lavorando già da qualche mese. Peccato che, nello stesso istante in cui virò per dirigersi verso l'ingresso principale sotto gli archi, chiuso, si ritrovò quel subdolo demonietto che camminava alla sua stessa velocità e con la stessa decisione verso lo stesso punto. E tenendo conto che Bernini era un piede più basso di lui, praticamente era come se stesse correndo. Si guardarono un attimo negli occhi, ed entrambi trovarono disprezzo in quelli dell'altro.
L'architetto entrò dall'ingresso orientale, e contemporaneamente lo scultore passò per quello occidentale, dopodiché virarono ognuno verso la propria scalinata e non si videro più, finché non si ritrovarono di nuovo faccia a faccia ai lati opposti di un corridoio, dirigersi l'uno verso l'altro. Ormai era palese che dovevano fare entrambi la stessa cosa. Girarono nello stesso corridoio, che finiva in una porta a due battenti, e ognuno ne aprì uno, nel medesimo istante e con la medesima forza, facendoli sbattere entrambi contro il muro e facendo trasalire il povero Taddeo Barberini, che fino quel momento era stato intento a lavorare su delle scartoffie con quei suoi occhiali strani. Taddeo era un altro committente della famiglia, leggermente più giovane di loro, ed era uno degli uomini politici più importanti e ricchi di tutta Roma. La cui mano scattò per lo spavento e scarabocchiò il foglio.
Borromini e Bernini, intanto, non avendo ancora finito di dare spettacolo, si diressero verso la scrivania, sbatterono entrambe le mani su di essa, si indicarono a vicenda e dissero, in simultanea: «IO NON CI VOGLIO PIÙ LAVORARE CON QUESTO QUI!»
Taddeo, con molta calma, posò la penna sul foglio ormai inutilizzabile, chiuse con cura il calamaio per evitare che quei due uragani lo capovolgessero, si tolse gli occhiali e si poggiò sullo schienale, portandosi le mani sul grembo e guardandoli a lungo, mentre discutevano tra di loro. Fu Bernini ad iniziare la polemica: «OH TU VUOI SMETTERE DI LAVORARE CON ME? E IO CHE SONO STATO QUASI UCCISO COSA DOVREI DIRE?!»
«DISSE QUELLO CHE SI FOTTE IL LAVORO DEGLI ALTRI E LO SPACCIA PURE PER SUO, PRENDENDOSI TUTTI I MERITI DEL MONDO.»
«BEH IO ALMENO NON HO QUASI INFRANTO IL QUINTO COMANDAMENTO!»
«E IO NON HO TOTALMENTE INFRANTO L'OTTAVO!»
Bernini fece un plateale verso di sorpresa, offeso nell'animo. «BRUTTO BASTARDO, ORA SONO IO CHE UCCIDO TE!» e si fiondò verso Borromini, con tutta l'intenzione di malmenarlo, ma fu bloccato da Taddeo che si schiariva la voce, per far ricordare loro della sua presenza.
«Buon giorno anche a voi.» i due artisti spalancarono gli occhi e si immobilizzarono, per poi rendersi conto che effettivamente non era il caso di fare quella scenata davanti al loro committente, nonché uomo capace di distruggere le loro vite come se niente fosse, decidendo quindi di calmare momentaneamente le acque e di tornare ad essere civili, Bernini con la faccia tutta rossa per la vergogna, Borromini con le braccia conserte, ed entrambi guardando i due angoli opposti della stanza. Non era molto grande né molto decorata, dato che era ancora in corso d'opera, ma era sufficientemente pronta da poter essere uno studiolo provvisorio fino a quando non sarebbe stato restaurato e decorato come si deve quello definitivo.
«Se non ho capito male, volete entrambi licenziarvi.» fu assai divertito dal silenzio tombale che si allargò in quella stanzetta, durante il quale i due artisti spostarono lo sguardo dritto dritto nei suoi occhi, indecisi su cosa dire.
«No non... Io voglio che sia lui ad essere licenziato.» ovviamente fu Bernini a iniziare, con il sorriso che tradiva il panico. Non voleva deludere il papa.
«Ma per favore, lavoro a questo palazzo da più tempo di voi che, tra l'altro, non avreste nemmeno saputo come utilizzare la prospettiva, se non vi avessi insegnato io. Siete voi a dover essere licenziato, mica io.» Borromini era passato al contrattacco, schietto e fattuale. E quando c'era lo scultore con lui diventava anche un gran chiacchierone. E non a torto: con una personalità imponente come la sua, doveva per forza lottare con le unghie e con i denti per farsi notare. E Taddeo l'aveva perfettamente capito.
«Ma se entrambi volete che l'altro venga licenziato, a me chi rimane?» i due artisti si guardarono di sottecchi, sempre più preoccupati sulla precarietà del loro lavoro. Volevano lavorare da soli allo stesso progetto, ma chissà quale dei due avrebbe vinto sull'altro. Tutto spettava al committente, che aveva sempre amato avere il coltello dalla parte del manico. «Lorenzo, perché volete che Francesco sia licenziato?»
«Beh, perché mi ha quasi ucciso.»
«Non è vero.» Borromini rispose di getto, senza nemmeno ragionare, dotato di una sfacciataggine non sua, assumendo una faccia infastidita e non abbastanza sorpresa.
Fu Bernini ad esprimere più stupore, mentre si girava verso di lui con la bocca semiaperta. «Sul serio?»
«Dovrei dirlo io, tenendo conto che mi accusate di una cosa mai successa.»
Si guardarono malissimo, senza parlare, per così tanto tempo che alla fine fu Taddeo ad essere costretto ad intervenire.
«Ci sono delle prove su tale tentato omicidio di cui lo accusate?»
«Ecco...» Si accarezzò il collo, incerto su cosa dire. Notò che si toccava con estrema delicatezza, come se avesse paura di romperlo. Strano, tenendo conto di come era atletico il ragazzo.
Alzò un sopracciglio, perplesso, ma si rifiutò di fargli la domanda che gli era sorta in quel momento. Si girò invece verso Borromini: «E voi, Francesco, perché non volete più Lorenzo qui?»
«Si è pavoneggiato davanti al papa e ha sminuito gli assistenti, addossando a loro un errore che aveva fatto lui e prendendosi tutti gli elogi.»
«E neanche questo è vero.» Lo scultore lo guardò con la stessa sfacciataggine che aveva avuto l'architetto fino ad un attimo prima. Per quanto potessero essere dotati di personalità diverse, certe volte si comportavano proprio allo stesso modo.
«Ah sì? Allora vedi un attimo le volute in cima al Baldacchino e dimmi chi le ha fatte.»
Bernini fece un verso di scherno, ridicolizzandolo. «Io, ovviamente.»
«Oh, insisti pure?» si girò verso lo scultore, un'espressione stizzita in volto che spaventava il più basso. Il temerario Bernini spaventato dal taciturno Borromini. Strano.
«Beh, bisogna ammettere, però, che questa è una cosa che fareste senza battere ciglio, pur di ricevere approvazione da mio zio.» Taddeo prese a giocherellare con la penna ancora sporca di inchiostro, scarabocchiando sul foglio ormai inutilizzabile, senza guardare nessuno in particolare ma facendo capire perfettamente a chi era rivolto.
«Cosa...?» guardò lo scultore da sopra gli occhiali, trovandolo con le sopracciglia aggrottate e con un'espressione che cercava in tutti i modi di non far apparire lo stupore e la preoccupazione per il proprio posto di lavoro che stavano crescendo nel suo animo.
Posò la penna, guardandolo dritto negli occhi con tranquillità. «Altro paio di maniche, invece, è la seria accusa di tentato omicidio. Atto così inumano da essere vagamente concepibile, e per quanto Francesco sia fisicamente capace di ammazzare persino uno dei miei soldati con un solo pugno ben assestato, non credo proprio che abbia deciso di porre fine alla vostra vita per una cosa che presumibilmente non avete fatto. Certo, non andate d'accordo, e questa discussione ne è una perfetta dimostrazione, ma addirittura accusarlo di una cosa così grave?»
Bernini spalancò gli occhi, impallidendo. Stava per essere licenziato, quindi? Evitò di girarsi verso Borromini, che sicuramente avrebbe avuto un sorriso sotto i baffi che avrebbe volentieri preso a pugni, e sorrise per sembrare tranquillo. «Cosa... cosa stareste cercando di dire?»
«Cerco di dire che sono deluso dal vostro comportamento. E con "vostro" intendo di entrambi.»
L'architetto aggrottò le sopracciglia, sostituendo finalmente la soddisfazione che aveva manifestato fino a quel momento con la confusione. «Aspettate, perché siete deluso anche da me?»
«Davvero me lo chiedete?» Si ritrovò a ridacchiare, davanti a tale domanda. Adorava quando facevano i finti tonti. «Spero solo che non vi sentiate con la coscienza pulita, dopo quello che avete fatto.» Si sistemò sulla sedia, ignorando la faccia dell'architetto che diventava purpurea (a buon intenditore poche parole, e lui le aveva capite perfettamente), e poi diede il verdetto.
«Francesco, voi siete un grande architetto e una grande persona. Rendete fiero Maderno ogni giorno che passa, e senza di voi questa struttura sarebbe una baracca travestita da villa. Tuttavia, io sono l'unico ad averlo capito, in quanto siete un uomo che tende a rimanere nell'ombra, operando lì dove nessuno riesce.» Sospirò e si rivolse all'altro. «Lorenzo, voi invece siete un grande scultore, famosissimo in tutto lo stato pontificio e anche all'estero nonostante la vostra giovane età, e avete dimostrato di essere anche un capace architetto. Tuttavia, e c'è un "tuttavia" anche per voi, dovete ammettere che prima di conoscere Francesco non sapevate praticamente nulla a riguardo. Sì, riconosco che avete già fatto un'altra chiesa, ma riconosco anche che lì avete fatto praticamente due cappelle in cui mettere delle statue. Ragion per cui» si tolse gli occhiali e si strofinò gli occhi, stanco di dover ancora parlare con loro. «Ognuno ha bisogno dell'altro, che sia per acquisire fama o esperienza poco importa. Lorenzo sarà anche favoreggiato dal papa, ma io trovo in lui un gran potenziale in ogni caso, e può essere sfruttato al meglio solo se è al fianco di Francesco. E questa teoria è avvalorata anche dal Baldacchino di San Pietro. Quindi, sintetizzando, no: mi rifiuto di licenziare uno di voi per avvalorare l'altro.» Forzò un sorriso, vedendo due artisti che lo stavano guardando attoniti. Lui vedeva perfettamente anche senza occhiali, solo che aveva un problema con la lettura, e le lenti gli servivano proprio per quello. «E ora andatevene, che devo lavorare.» Si rimise gli occhiali e prese un altro foglio dal cassetto per ricopiare ciò che era scritto in quello scarabocchiato, ignorando totalmente i due uomini che rimanevano lì, in silenzio, a metabolizzare ciò che era stato detto loro.
Non si sa quanto tempo passò, ma alla fine uscirono entrambi dalla porta, chiudendo con delicatezza un battente ciascuno per non disturbare ulteriormente. Si guardarono a vicenda, delusi, sollevati ed arrabbiati allo stesso tempo, e alla fine Borromini sospirò. «Che palle.» E se ne andò a fare colazione, lasciando lo scultore lì da solo, scosso dalla rivelazione di Taddeo. Borromini era stato davvero così rilevante ai fini della sua formazione?
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