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Cucciolo d'uomo


Consapevole della mia nuova decisione, qualche giorno dopo affrontai la giornata lavorativa con maggiore impegno. Avevo ancora un velo di paura che oscurava la mia allegria, ovvero il discorso che dovevo fare con Tommaso, ma per il momento non volevo pensarci.

Ero fuori da un'enoteca e, come al solito, ero molto sobria. Indossavo un costume da bottiglia, di vino ovviamente! Sulla testa dovevo tenere un ridicolo cappello a forma di tappo di sughero. Tutti quelli che passavano mi lanciavano occhiate divertite, ma ormai ero abituata a questo tipo di attenzioni.

Non ero preparata però allo sguardo che incontrai, quando mi girai verso destra, per prendere uno degli assaggi che offrivamo. I miei occhi si scontrarono con quelli verdi del Dr. Giovanni... il mio ginecologo!

Ma perché doveva vedermi sempre travestita in questo modo?

"Camilla?" mormorò confuso, riconoscendomi. Poi la sua espressione si fece sempre più stupita e io constatai che aveva ricollegato tutti i nostri incontri. Dannazione!

"Buongiorno dottore..." risposi a disagio, abbassando lo sguardo sulle mie scarpe. Calò un silenzio imbarazzante, che cercai di rompere offrendogli uno dei nostri assaggi. Lui accettò di buon grado, ma poi non sapendo che altro dire, sostenne di avere un impegno e si dileguò velocemente.

Perfetto, e siamo a due figure di merda!

Quando il mio turno finì, era ormai pomeriggio inoltrato. Il proletario dell'enoteca mi regalò una bottiglia, per ringraziarmi della pazienza. Non era una delle più ricercate logicamente, ma per quello che ci capivo io di vino, poteva andar decisamente bene!


Quella sera invitai Rebecca a casa mia, per prepararmi psicologicamente alla conversazione che dovevo sostenere con Tommaso. Avevo intenzione di parlargli il prima possibile. Soprattutto prima di ripensarci.

"Potresti iniziare dicendo: vorresti un cucciolo?" stava blaterando Rebecca, tra un sorso di vino e l'altro.

"Sì, un cucciolo d'uomo dovrei specificare" riposi ironicamente, sollevando le sopracciglia.

"Dettagli" sentenziò lei.

"Dai Becky, fai la seria. Mi serve davvero un aiuto!"

Rebecca si appoggiò allo schienale della sedia con fare pensieroso, mentre io, seduta dall'altro lato, mi lasciavo cadere sul tavolo, allungando le mani, fino a sfiorare il bicchiere di Rebecca.

Lo afferrai e senza rifletterci troppo e versi un po' del vino in bocca. Rebecca mi guardò sconvolta, e allora realizzai (ancora una volta) che io non potevo bere alcol! Dannazione, questo particolare dovevo scrivermelo sul braccio, perché non era facile da ricordare. In momento difficili come questo poi, lo era ancora meno! Non avevo ancora deglutito, così aprii semplicemente la bocca e sputai il liquido scuro nel calice.

Rebecca fece una smorfia ed esclamò: "Che schifo! Quello era il mio vino!"

Stavo per scusarmi, quando sentii bussare alla porta. Andai ad aprire e mi ritrovai davanti Samuele.

"Ciao Cami, posso entrare?" mi chiese un po' nervoso.

"Certo" sussurrai, lasciandolo passare. Quando Samuele mise piede nel mio appartamento, notò Rebecca e la salutò, ma continuava ad avere una strana agitazione, che non gli permetteva di stare fermo.

"Questo è per te" disse infine, porgendomi un sacchetto che stringeva nella mano.

Lo guardai dubbiosa e aprii la busta, tirando fuori il libro sulla gravidanza che stavo sfogliando in libreria. Samuele si affrettò ad aggiungere: "Volevo fare qualcosa per aiutarti... anche se non è molto, è un inizio" si portò una mano dietro al collo, cercando di smorzare la tensione che aveva accumulato.

"Grazie, è un pensiero carino e sarà sicuramente utile" gli risposi sorridendo, mentre andavo a posare il libro sopra una mensola che era vicino alla porta d'ingresso.

Rincuorata da tutto quel sostegno, presi coraggio e chiesi: "Tommaso è in casa?"

"Sì, dovrebbe essere in doccia. E' appena tornato dall'allenamento di boxe" spiegò Samuele.

Guardai Rebecca cercando un incitamento. Lei mi fece un cenno con la testa ed esclamò: "Vai Cami, devi dirglielo"

"Dirmi cosa?" la sua voce mi arrivò da dietro, sfiorando le mie orecchie e arrivando dritta al mio cuore. Il mio respiro si bloccò e il viso sbiancò. Avevo perso tutta la mia fermezza, tutta la mia sicurezza, tutta la mia forza.

Tommaso era dietro alle mie spalle, mentre di fronte a me vedevo, da una parte Samuele e dall'altra Rebecca, che fissavano la scena con gli occhi spalancati, immobili nelle loro posizioni. Questa nuova abitudine di Tommaso di entrare in casa mia senza annunciarsi, non mi piaceva neanche un po'!

Samuele fu il primo a riprendersi e farfugliò: "Ah si, io avevo bisogno di... del sale! Devo fare quella cosa... di là e..." abbassò lo sguardo a disagio e poi ci superò, diretto alla sua porta, aggiungendo "ci vediamo ragazze."

Restammo in tre nella stanza, con una tensione che non accennava a diminuire. Rebecca si affrettò ad alzarsi e si avvicinò a noi dicendo: "Anch'io devo andare, ho quella cena... a casa di Stefano... quindi..." uscì sul pianerottolo, sotto lo sguardo indagatore di Tommaso e concluse "va bene, allora ciao."

"Ma sono le dieci di sera... a che ora cena Becky?" domandò confuso Tommaso, spostando la sua attenzione dalle scale, dov'era appena sparita la mia amica, a me, che ero bloccata e gli stavo ancora dando le spalle.

"Cami va tutto bene?" mi chiese poi, facendo qualche passo nella mia direzione e posizionandosi davanti a me.

"Sì" riposi subito, sollevando finalmente lo sguardo su di lui. Fissai i miei occhi nei suoi, e mi ritrovai persa in quella distesa azzurra. Completamente sincera e trasparente. Mentre le mie iridi scure, celavano un segreto che mi faceva sentire ingiusta nei suoi confronti. Sospirai rassegnata e mi corressi: "No, in realtà non va bene... sediamoci un attimo"

Lo condussi sul divano, mentre lui mi guardava confuso e un po' spaventato. Quello che stava pensando, probabilmente non era niente, rispetto a quello che stavo per confessargli. Ci sedemmo vicini e io presi un profondo respiro, mi girai leggermente verso di lui e provai a parlare, ma la mia lingua sembrava come impastata.

Tommaso intuì la mia agitazione e mi poggiò una mano sulla coscia, cercando di trasmettermi conforto e dicendo: "Cami, qualsiasi cosa sia, puoi dirmelo. Io e te siamo..."

"Sono incinta" buttai fuori all'improvviso, senza fargli finire la frase. Serrai gli occhi per paura della sua espressione. Lui si immobilizzò e sentii i muscoli della sua mano tendersi. Non avevo davvero il coraggio di guardarlo, avevo il terrore di leggere la delusione stampata sul suo viso.

Il silenzio sembrò durare secoli così, alla fine, mi feci coraggio e lentamente aprii gli occhi. Tommaso era di fronte a me, pallido e imbambolato. Gli occhi fissi sulla mia faccia, immobili e la bocca chiusa in una linea piatta.

"Tommi..." provai a dire, avvicinando una mano alla sua guancia. Il contatto con le mie dita sembrò ridestarlo. Sbatté le palpebre diverse volte, senza però vedermi realmente e poi sussurrò: "Sei sicura?"

Annuii convinta e poi aggiunsi: "Io voglio tenerlo"

Lui finalmente mi guardò per davvero e corrugò la fronte, ma senza aggiungere altro. Potevo chiaramente intuire la sua confusione, così continuai: "Ci ho pensato bene, da quando l'ho scoperto, e ho capito che posso farcela. E' quello che voglio. Non sto dicendo che devi farlo insieme a me, anche se..." non conclusi la frase perché lui si era alzato dal divano e aveva preso a camminare avanti e indietro davanti a me, con la testa tra le mani.

"E come pensi di prendertene cura? Cosa farai con l'università? E il lavoro? E io, cosa dovrei fare?" parlava a raffica, respirando affannosamente e senza aspettare un momento per lasciarmi rispondere.

Cercai di calmarlo, alzandomi a mia volta e provando a fermarlo, ma non voleva ascoltarmi. Ad un tratto arrestò la sua camminata bruscamente. Mi guardò combattuto e mormorò: "Cami... non so se posso farcela... io..." si interruppe, mentre io lottavo contro l'impulso di piangere "scusa... ci devo pensare" concluse. 

Si sfregò la faccia con le mani, sbuffando ripetutamente, poi tornò a posare i suoi occhi su di me. Mi sentivo svuotata, come se qualsiasi parte del mio corpo si fosse improvvisamente congelata. 

Lui mi rivolse uno sguardo sconsolato, mi superò e senza aggiungere altro uscì dalla mia casa. In quel momento ebbi l'impressione che fosse uscito anche dalla mia vita.

Quando percepii il silenzio che era calato, il mio cuore riprese a battere ad un ritmo esagerato. Fu come se la diga, che bloccava tutta la mia preoccupazione, avesse ceduto, riversando tutto il dolore dentro di me. Iniziai a tremare e le lacrime caddero copiosamente sulle mie guance. Mi rannicchia, abbracciandomi le ginocchia e lasciai uscire tutte le mie emozioni, proteggendo l'unica cosa che mi era rimasta: il mio bambino. 

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