Solo Peter, solo Wade
Capitolo 4
Solo Peter, solo Wade
Erano passati due giorni da quello strano incontro con Wade Wilson.
Erano trascorse quarantotto interminabili ore da quando Peter gli aveva gentilmente raccolto il portafoglio per poi riconsegnarlo nelle mani del legittimo proprietario fingendo noncuranza sull'aggressione da parte dello stesso verso un povero maître di sala, solo qualche istante prima che si avvicinasse a lui.
Non sapeva esattamente perché avesse deciso di seguirlo.
Peter si giustificava dicendo a se stesso di come Spiderman avrebbe compiuto la medesima azione. L'unica differenza è di come in quel momento lui fosse "solo" Peter che passava casualmente di là, al termine delle sue lezioni universitarie.
Tuttavia Peter non poteva mai permettersi di essere "solo" Peter. È vero, in quel momento la sua identità non era celata dall'affidabile costume da Spiderman, ma il suo senso di ragno e il conseguente avvertimento del pericolo lo avevano allertato immediatamente, non appena Wade si era scagliato inesorabile su quell'uomo.
In un istante aveva pensato ad un'aggressione di un teppista, ad un tentativo di rapina grossolano, alla scenata di gelosia per una fidanzata da parte di un uomo.
In un istante aveva vagliato mille e più ipotesi su come sarebbe potuto intervenire, calmare le acque senza scoprirsi troppo, aiutare il ragazzo nel locale a gestire la situazione eppure, quando si era voltato per analizzare la scena con i suoi occhi, tutti i buoni propositi erano svaniti.
Quell'uomo, che adesso aveva un volto, e non un volto qualsiasi, era disperato.
I suoi occhi emanavano un'inquietudine ottenebrante, le sue mani mal celavano un tremore incerto e il suo sterno sembrava agognare l'aria come se la Terra fosse stata improvvisamente privata di tutto l'ossigeno.
Quell'uomo aveva un attacco di panico.
Peter aveva riconosciuto immediatamente i sintomi perché sapeva bene cosa si provasse.
Certo, continuava a giustificarsi di aver compiuto una buona azione come "solo" Spiderman avrebbe potuto fare, ma la verità è che "solo" Peter aveva provato un'inspiegabile e intima empatia nei confronti di quello sconosciuto.
Poi, davanti a quel caffè, scoprì di come quello sconosciuto amasse parlare.
Wade Winston Wilson, così si chiamava, aveva la facoltà, anzi no, il super potere di parlare alla velocità della luce.
Senza freno, senza ritegno, senza alcuna decenza o pudicizia.
Talvolta gli era sembrato che parlasse addirittura con se stesso e di come si rispondesse da solo. I suoi discorsi parevano sconnessi e privi di senso, ma la verità è che ci era abituato. Wade e il suo martellante ciarlare sembravano famigliari tuttavia, nonostante avesse un piccolo tarlo nella testa che gli suggerisse di come quello strano tipo gli ricordasse qualcuno, non riusciva proprio a venirne a capo e comprendere chi.
Nessuno nella sua vita presente o passata era in grado di sparare così tante parole al secondo.
Forse solo lui nelle vesti di Spiderman.
Chiunque sarebbe scappato a gambe levate da quel caffè con quello strano tipo ma lui non era chiunque... lui era Spiderman. E, che volesse ammetterlo o meno, né era rimasto inconcepibilmente affascinato. In quel breve quarto d'ora Peter aveva percepito un'arguzia di spirito, scaltrezza e ironia a lui affini (volgarità a parte, si intende) e al contempo un'angoscia e un'afflizione tali che credeva che nessun essere umano da solo potesse contenerle in sé.
Nessuno, tranne lui.
La verità è che Peter avrebbe voluto dimenticarsi di Wade, del suo incessante blaterare e del fatto che si fosse concesso la libertà di chiamarlo Bambi innumerevoli volte ma semplicemente, non poteva.
Sì perché Wade prima che si congedassero aveva afferrato la mano del moro per scribacchiarci sopra il suo numero di telefono nel caso avessero voluto rincontrarsi. Chiaramente Peter aveva cancellato il contatto con una buona dose di sapone appena arrivato a casa, ma la sua maledetta testolina da genio aveva fatto sì che registrasse il numero nella sua memoria ancor prima che se ne accorgesse.
Per questo, dopo due giorni, si trovava ancora lì a pensare a Wade e alla sua tanto ostentata disperazione.
Forse avrebbe dovuto chiamarlo... così, giusto per ringrazialo del caffè? Il pensiero lo scalfì per un secondo ma lo rimosse istantaneamente dal cervello maledicendosi per aver anche solo potuto vagliare tale ipotesi. Aveva già troppi guai nella sua vita per accollarsi quello strano tipo.
Aveva già troppi pensieri.
Troppe colpe da espiare.
Troppe responsabilità.
Decise di indossare la tuta e stagliarsi nel cielo notturno, sventare qualche crimine gli avrebbe sicuramente concesso un po' di quiete.
[...]
- C O M E C A V O L O M I È V E N U T O I N M E N T E D I D A R G L I I L M I O N U M E R O D I T E L E F O N O ? ! -
- Non lo so! -
- Io ti avevo detto di non farlo! -
- Personalmente trovo che la cosa sia solo una gran seccatura... -
- State zitti! Non lo stavo chiedendo sul serio a voi ragazzi! -
- E allora a chi...? -
- Già, con chi credi di parlare? Larry ha ragione: non puoi chiederci un'opinione per poi snobbarci. -
- Larry? L A R R Y! Cristo Santo, cosa mi tocca sentire, non osate darvi dei nomi o io... -
- O tu cosa...? -
- Suvvia Mister Pool, Larry non ha torto, se avessimo dei nomi sarebbe più comodo ai fini della trama. Siamo certi che sia l'autrice che i lettori farebbero meno confusione. -
Deadpool si trovava da ore appollaiato su un cornicione a litigare con se stesso. In realtà si trovava lì per svolgere un incarico ben preciso: uccidere un trafficante di organi di bambini. Quel misero animale sarebbe dovuto giungere nel palazzo indicato due ore prima, tuttavia non si era presentato ancora nessuno e Deadpool cominciò a pensare inesorabilmente a Peter. Non che negli ultimi due mesi non avesse fatto lo stesso sia chiaro, ma averlo così vicino e averlo potuto toccare con le sue stesse mani, era stata un'esperienza quasi astrale. Durante quel caffè (Peter aveva ordinato una cioccolata con una spruzzata di cannella, non mancò di fargli notare il suo prepotente subconscio) il ragazzino era stato incredibile.
Niente paura, nessun linguaggio verbale o non verbale che dimostrasse che avrebbe preferito essere altrove, nessuno sguardo strano dinanzi la sua pelle segnata, nessuna espressione di pena o compassione né tanto meno di disgusto. Peter lo guardava con una naturalezza e un candore che aveva dimenticato, Peter non fuggiva il suo volto per nascondere disagio o imbarazzo di fronte alle bruciature e le cheloidi, Peter non lo fissava insistentemente per cercare di carpire quale torbido segreto si celasse dietro al suo aspetto mostruoso. Peter lo osservava e basta, lo osservava come se lui fosse un normalissimo e comunissimo essere umano. Era questo che stava facendo ammattire Deadpool. Perché quel ragazzino non aveva paura di lui? Perché i suoi enormi occhi lo osservavano con la stessa purezza d'animo con cui lui guardava i chimichanga? Ne sarebbe uscito pazzo.
O per meglio dire, più matto di quello che già non fosse. In quel breve momento trascorso con quel ragazzino, il mercenario si era concesso un lusso in cui non si permetteva più di indulgere da moltissimo tempo: essere "solo" Wade. Per la durata di un caffè non esistevano né Deadpool, né le voci nella sua testa (Larry compreso), né i suoi incessanti pensieri di morte (la sua o quella degli altri, non faceva alcuna differenza).
Wade era "solo" Wade perché quel ragazzo che di lui non sapeva niente, aveva parlato del più e del meno senza alcun imbarazzo. Wade aveva percepito solo una leggera timidezza dettata dalle buone maniere del più piccolo ma nulla di più. Sempre Wade avrebbe voluto domandargli un sacco di cose.
Avrebbe voluto chiedergli dei suoi studi, del suo lavoro in libreria, della sua passione per la fotografia, di zia May e pure del suo contorto legame con Flash. Ma si era imposto di trattenersi per evitare di sembrare un inquietante stalker di ventiquattrenni.
Insomma per quanto Peter sembrasse perfettamente a suo agio e padrone della situazione, lui era pur sempre un uomo di trentatré anni con la faccia piena di abrasioni e tagli e dal turpiloquio discutibile. Ammettere di sapere una miriade di cose di lui lo avrebbe fatto fuggire a gambe levate e questo Wade non lo voleva.
- Non scordarti inoltre che lo hai spiato come Deadpool e questo sì che sarebbe stato ancora più strano da spiegare... -
- Sta zitto Larry! -
- Ho capito, ho capito, niente nomi. Però Larry mi sembrava azzeccato per la mia person- -
- Shhhh! No sul serio! Sta zitto, ho sentito un rumore. -
Deadpool assottigliò improvvisamente gli occhi per cercare di carpire da dove provenisse quel fruscio lontano. Che il venditore di organi fosse arrivato? Aguzzò la vista verso l'oscurità della notte che si stagliava dinanzi a lui ma non riuscì a scorgere nulla. Eppure, quel rumore si faceva sempre più vicino.
Gli sembrava di conoscerlo.
Gli ricordava un'eco lontana.
Gli ricordava una ninna nanna di pace.
- Ehy! Come va Mister Pool? -
In quell'unica frase riuscì a cogliere un'inflessione di scherno ma anche una nota di fibrillazione quasi piretica.
Spiderman. Ecco cosa gli ricordava.
Spiderman e le sue ragnatele sulle quali si era vergognosamente addormentato quasi due mesi prima.
- Allora, che combini stasera? - Chiese avvicinandosi incautamente il ragnetto.
Di sicuro sarebbe stata una lunga notte.
[...]
Spiderman aveva sempre evitato Deadpool.
Per meglio dire, Deadpool aveva sempre tenuto Spiderman a debita di distanza e il più piccolo, non aveva mai fatto nulla per accorciare questa linea di confine che il mercenario aveva deciso di tracciare senza un apparente motivo.
Inoltre Deadpool non godeva di una buona fama. Sia gli Avengers che gli X-Men lo bannavano come un essere scostante, inaffidabile, volgare e amorale. I primi tempi aveva cercato di andare oltre il pregiudizio degli altri super cercando di avvicinarsi a lui senza opinioni di sorta, tuttavia constatò lui stesso di come ciò che gli era stato suggerito fosse vero.
Deadpool era davvero scostante, inaffidabile, volgare al limite dell'imbarazzo (quello di Peter, ovvio) e amorale. Non erano state però queste poco lusinghiere qualità di Deadpool a rendere Spiderman ritroso nei suoi confronti.
Infatti, c'era un solo piccolo dettaglio che Spidey boy (come amava appellarlo ironicamente Deadpool) proprio non poteva tollerare del suo collega in costume: Deadpool uccideva.
Ammazzava a sangue freddo, senza pesi sulla coscienza, senza dubbi o incertezze.
Certo anche gli altri eroi con cui aveva collaborato nel corso della sua "carriera" stroncavano vite, tuttavia Spiderman trovava sempre un motivo valido che giustificasse tale decisione. Insomma loro salvavano la gente da ogni genere di minaccia, Deadpool sembrava uccidere per guadagno, svago e divertimento personale. Tutte cose che andavano contro i sani principi di Spiderman.
Ma Peter non era "solo" Spiderman e aveva colto qualcosa nell'agire dell'uomo che si celava dietro la potenza delle sue katane e l'infallibile mira.
Inutile nasconderlo, le sue attenzioni verso Deadpool erano cambiate da quando il mutante lo aveva salvato dall'attacco di Flash. Ovviamente Peter non correva alcun pericolo ma questo lui non poteva saperlo né tanto meno poteva immaginare che dietro la maschera di Spiderman si nascondesse proprio il timido ragazzo cui aveva fatto ricomprare lo skateboard. Da quel giorno Peter aveva iniziato ad osservare il mercenario sotto un'altra prospettiva cercando di interpretare le ragioni del suo agire o quanto meno comprenderle. Tuttavia Deadpool si mostrava sempre più reticente e scontroso, totalmente incapace di farlo avvicinare. Questo rendeva Spiderman ancora più curioso: è vero Deadpool lavorava da solo e saltuariamente collaborava con gli X-Men ma sapeva bene quanto gli piacesse avere qualcuno intorno da schernire e prendere in giro. Lui era una delle sue prede preferite.
Eppure Deadpool si dimostrava sempre più distaccato e feroce. Persino nei confronti del bimbo ragno che aveva sempre considerato poco meno che un insetto (in tutti i sensi possibili).
Ma Peter aveva un buon motivo per insistere perché Deadpool lo aveva salvato. Aveva compiuto una buona azione e sapeva bene di come questo andasse in netto contrasto con il suo codice di antieroe. Per questo si era fermato da lui appena lo aveva notato sopra quel tetto a parlottare tra sé.
Perché quell'unica buona azione poteva essere l'inizio di qualcosa.
E per Peter un sogno di redenzione.
[...]
- Allora che combini stasera? - Chiese Spiderman con la sua voce frizzantina e, a detta di Deadpool, irritante.
- Accidenti Larry, a causa tua non l'ho percepito con chiarezza e non ho potuto fuggire! -
- Come scusa? - Chiese Spiderman perplesso.
- Senti ragazzino, non tu. Non ora. Non qui. Né adesso, né mai. -
- Chi ti dice che sono un ragazzino? - Chiese nuovamente l'altro, ignorando platealmente la richiesta del mercenario di sloggiare.
- Hai ragione, ragazzina. Perdona la mia disattenzione ora, se non ti spiace, potresti cortesemente andare fuori dai coglioni?! -
- Oh Mister Pool ma come siamo scortesi! Mi piace la vista da quassù, credo proprio che resterò un po' con te. -
Detto questo Spiderman si sedette comodamente affianco al maggiore guardandolo dritto in volto, o meglio, dritto in maschera. - Allora che si fa questa sera? Salvi innocenti? Aiuti la polizia con un caso oppure... -
- Oppure mi metto a catturare farfalle saltellando mano nella mano con il commissario Gordon? - Lo interruppe ironicamente l'altro. - Polizia? Innocenti? Ma con chi credi di parlare? Sono qui per uccidere un pezzo di merda e dato che questa non è roba per i deboli di cuore, direi che è proprio ora che tu vada a farti cambiare il pannolino da qualche Avengers! -
Improvvisamente Spiderman si incupì lasciandosi sfuggire un lungo sospiro. - E adesso cos'hai? È il momento in cui mi parli dei tuoi problemi adolescenziali? Senti ragnetto, io devo lavorare e nel caso tu non lo abbia notato, io lavoro da solo. -
- Innanzitutto io non ho problemi adolescenziali! Per tua informazione ho ventiquattro anni e la pubertà l'ho superata da un pezzo, secondo poi mi vuoi dire perché sei così convinto che io sia una cazzo di mascotte dei Vendicatori? Io me ne sto per conto mio perché a differenza di quello che credi tu, sono un ragazzo normale con problemi reali. Non posso permettermi di vivere come loro in una torre d'avorio acclamato dalle genti. -
Peter non sapeva esattamente perché si stesse giustificando con Deadpool nonostante lui non facesse altro che respingerlo e trattalo nel peggiore dei modi, ma avvertiva un bisogno penetrante di fargli comprendere chi fosse. Almeno come Spiderman.
Deadpool l'aveva salvato. Questo voleva pur dir qualcosa.
Inoltre Peter l'aveva visto.
Peter sapeva bene che Deadpool lo teneva d'occhio. Chiunque altro si sarebbe spaventato per un tale comportamento, ma nella sua doppia vita come Spiderman ne aveva viste di cose strane e la morbosa attenzione di Deadpool nei suoi confronti non era nemmeno tra le prime dieci all'interno di un'ipotetica classifica. Da quando era intervenuto durante il suo diverbio con Flash, Deadpool lo aveva pedinato giorno e notte. Controllava Peter con una perizia e meticolosità che lo avevano sorpreso. D'altronde lo credeva incapace di rimanere concentrato per più di cinque minuti sulla stessa cosa e invece, quello strano non-supereroe gli stava addosso come non mai.
Era il suo angelo custode.
Anzi, il suo diavolo custode.
Per questo Peter si trovava accanto a lui. Per questo non accennava ad andarsene.
Deadpool lo aveva salvato.
Deadpool aveva cura di lui.
Questo doveva pur dir qualcosa.
Peter non si sentiva speciale da molto tempo ormai. È vero, la popolazione di New York il più delle volte gli era grata tuttavia questo non bastava più. Spiderman aveva commesso un imperdonabile errore. E sia lui che Peter avrebbero dovuto fare ammenda il più possibile, dedicandosi anima e corpo agli altri. Ancora di più di quanto già non facesse.
Da grandi poteri derivano grandi responsabilità.
Deadpool si era prepotentemente insinuato nel suo estenuante tentativo di redenzione: avrebbe potuto redimerlo.
Lo sapeva. Lui lo aveva salvato. Aveva salvato Peter.
- Senti ragazzino devi andartene. A me non fotte un cazzo dei tuoi problemi esistenziali né tanto meno di quello che fai nel tempo libero. Quindi ora vattene via. Non abbiamo altro da dirci. -
Il mercenario si alzò improvvisamente per imporre una distanza fisica tra loro. Un invito a congedarsi da lui e dai suoi pensieri.
- Ma-ma hai salvato quel ragazzo! - Sussurrò Spiderman, vergognandosi subito dopo di essersi lasciato sfuggire una tale futilità.
- Di che parli? - Chiese fintamente non curante Deadpool.
- Di quel ragazzo, il ragazzo che tu... oh insomma! Il ragazzo con lo skate. Quella notte, sulla quarantaduesima... - Ribatté il giovane quasi disperato. Come se fosse alla ricerca di chissà quale appiglio. Voleva che il mercenario confessasse la sua strana ossessione per lui. Agognava uno spiraglio di speranza più dell'aria. Non poteva fingere così con così tanta ostinazione. Come poteva restare così imperturbabile? Ma d'altronde, perché Deadpool avrebbe dovuto confessare proprio a lui le sue bizzarre stranezze? Peter si sentiva chiamato in causa in prima persona, al contempo sapeva bene che Spiderman non era altro che uno sconosciuto per l'altro.
- Non ricordo di nessun ragazzo. - Affermò improvvisamente il mercenario, interrompendo bruscamente il flusso di pensieri di Peter.
- Ma-ma tu... -
- Senti ma si può sapere cosa cazzo vuoi da me? Devi andartene Spidey boy. Ti farai del male a stare con me e per quanto l'idea di te sfregiato dal sottoscritto mi stuzzichi, sei un sottospecie di speranza per la gente di questa merda di città. Quindi vattene via prima che io cambi idea e ti colpisca con una di queste! - Concluse il maggiore estraendo una delle sue pistole ancor prima che Spiderman potesse accorgersene. Il ragno calcolò immediatamente la traiettoria e intuendo di essere sotto tiro.
- La schiverei ancora prima che tu possa premere sul grilletto. - Rispose Peter, improvvisamente sprezzante.
- Lo so. Ma io ho tempo. D'altronde sono immortale. -
- Immortale e sfacciatamente solo. - Rispose gelido Spiderman.
Non sapeva perché stesse reagendo in quel modo. L'indifferenza di Deadpool lo infastidiva. Non era da lui essere duro ma la noncuranza con cui si fingeva malvagio lo irritava come non mai.
Deadpool non si congedava mai da Peter prima di essere certo che fosse rientrato a casa al sicuro. Perché anche Spiderman non poteva godere di tale premura, di tale privilegio? Perché non poteva redimerlo? Mentre cercava di indagare l'ottenebrata mente dell'altro, Deadpool in un istante gli fu addosso con spietata efferatezza. Ancor prima che la katana potesse trafiggere l'esatto punto in cui Peter sostava solo un istante prima, Spiderman si era già sposato di parecchi metri.
- Ci vediamo Mister Pool. - Sussurrò sconsolato Peter, prima di librarsi nel cielo notturno.
[...]
Qualche ora dopo Spiderman rientrò a casa. Tolse la maschera per tornare a respirare, per concedersi di essere ancora una volta "solo" Peter. Ripensò alla strana serata trascorsa e il pensiero martellante di Deadpool gli riempiva la testa.
Spiderman stava diventando ossessionato da Deadpool quando quest'ultimo lo era da Peter. Peccato che fossero la stessa persona. Peccato che non avrebbe mai potuto dirlo a nessuno, figuriamoci ad uno pseudo eroe criminale di dubbia moralità.
Si sedette sul divano ancora con la tuta addosso. Sospirò a fondo e le sue braccia stanche si afflosciarono sul divano. Chiuse gli occhi e si assentò per chissà quanti minuti finché non avvertì qualcosa sfiorargli la mano.
Il suo cordless era stato malamente dimenticato sul sofà qualche ora prima quando aveva chiamato zia May. Sicuramente la batteria era a terra: avrebbe dovuto metterlo in carica.
Fece per alzarsi dal divano per posarlo sulla solita mensola, quando improvvisamente un'idea assurda, gli balenò nel suo piccolo cervello da genio nerd.
Anche Wade, lo strano tipo del caffè, come Deadpool era riuscito a fottergli la testa quella settimana. Solo che, a differenza di Deadpool, Wade si era dimostrato gentile e desideroso di rincontrarlo. Se dapprima Peter aveva prepotentemente accantonato l'idea di ricontattarlo, adesso la faccenda non gli sembrava più poi tanto disturbante.
Ripensò a Wade, ai suoi sorrisi a metà, al suo fuggire la gente, al suo attacco di panico e alla sua voglia di scappare.
Quante cose aveva potuto cogliere di lui in così pochi minuti trascorsi insieme. Chissà quanto altro avrebbe potuto dargli.
Chissà cosa avrebbe potuto fare lui per Wade. Forse donargli un po' di agognata serenità.
Forse, per la prima volta Peter sarebbe potuto arrivare dove Spiderman non poteva.
Afferrò con forza il telefono e digitò il numero.
- Fa che risponda, fa che risponda, fa che risponda... -
- Se non sei la mia fata madrina che mi chiama per dirmi che mi darà una faccia nuova, non chiamarmi mentre lavoro, chiunque tu sia! -
- Ehm, Wade? Sono Peter... Parker. -
Nda: Ehy readers! Spero che stiate bene e felici. Lo so è passato un po' ma spero di farmi perdonare con questo capitolo piuttosto lungo. Per chiunque abbia voglia di seguirmi/conoscermi un po' più da vicino può trovarmi sulla mia pagina Instagram come Thalia_Argentea
A presto! Love u!
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