1. Respiro spezzato
Era una notte senza stelle. Solo oscurità.
Il silenzio, la mia unica compagnia.
Il dolore, l'unico sentimento a possedere le chiavi della porta dei sogni.
UN ANNO PRIMA
Ricordo poco di quella notte. La fronte imperlata di sudore, le mani che tremano, il respiro affannoso. Piccoli frammenti delle sensazioni che provavo ormai da diversi mesi. Non mi riconoscevo, non ero più io. Ricordo di aver tentato di riprendere fiato, di calmarmi, di fare respiri profondi mentre contavo i movimenti irregolari del mio petto. Cercavo di trattenere le lacrime che minacciavano di scivolarmi lungo le guance. Ma niente da fare. Ero di nuovo succube delle mie stesse paure, non mi capacitavo di come la situazione avesse preso il sopravvento da un momento all'altro. Non potevo andare avanti così, soffrivo troppo.
Giorno dopo giorno, incubo dopo incubo, in me cresceva il terrore. Temevo che qualcosa potesse stravolgere la mia vita al punto da distruggerla. E mi illudevo, perché era già tutto cambiato. Ormai tutte le mie speranze si erano infrante sulla riva dell'incertezza, tutti i miei sogni erano precipitati nell'oblio, ogni cosa a me più cara era andata in pezzi. Ogni notte, quando mi svegliavo in preda al panico, la mia mente correva all'unico pensiero che mi faceva soffrire: Jordan. E la cosa peggiore era dover mettere a tacere le domande che desideravano ardentemente una risposta. Dov'era Jordan? Perché non rispondeva ai miei messaggi e alle mie chiamate? Era tutto finito? Ero diventata un peso per lui? Perché mi escludeva nei momenti in cui aveva più bisogno di me? Non sapevo spiegarmi nulla di tutto ciò, e questo mi faceva stare male. Così, nel tentativo di tranquillizzarmi, annegavo le lacrime nel cuscino fino a quando, stremata, non riuscivo a prendere sonno.
Quando mi svegliai la mattina seguente, a stento riuscivo a reggermi in piedi. Mi ritrovai a osservare il mio riflesso nello specchio del bagno e a non riconoscermi. I miei occhi azzurri erano rossi e gonfi, cerchiati da due profonde occhiaie. A completare il volto terrificante che appariva davanti a me, vi erano le scie nere che il mascara aveva lasciato: sembravo la versione horror di me stessa. Aprii l'acqua e rinfrescai il viso, lavando via le tracce di trucco e cercando di apparire quantomeno presentabile. Poi indossai i primi vestiti che trovai nell'armadio: un paio di jeans e una maglietta bianca a maniche corte e scesi per la colazione.
Passando davanti alla camera di mia madre, mi resi conto che era già uscita per andare al lavoro. In compenso, però, notai che mi aveva lasciato una tazza di caffellatte sul tavolo della cucina. Era proprio quello che mi serviva per iniziare bene la giornata. Tutto questo rappresentava la mia normalità, la monotonia a cui ero abituata: durante il giorno cercavo di offrire al mondo il meglio di me, comportandomi come se tutto quello che mi accadeva non mi toccasse quasi per nulla, come se fosse di poco conto. Durante la notte, invece, riversavo nel cuore tutto il dolore accumulato, singhiozzando, come se tanti piccoli spilli mi perforassero l'anima.
Stavo terminando la colazione, quando una notifica mi fece sobbalzare. Ormai ero abituata a controllare i messaggi alla velocità della luce, il cuore che batteva a mille. Sullo schermo comparve il nome della mia migliore amica, Nora. Non era di certo il messaggio che mi aspettavo, ma le fui comunque grata per avermi scritto.
"Buongiorno, come ti senti? Ti va se facciamo un pezzo di strada insieme oggi?"
Sorrisi. Nora era capace di leggermi nel pensiero, la consideravo la mia medicina.
Le risposi all'istante: "Hey, buongiorno. Certo, ti aspetto alle panchine. A dopo."
Poggiai la tazza nel lavandino, lavai i denti ed infine andai all'ingresso per mettermi le scarpe. Presi le chiavi di casa, il cellulare e, con lo zaino in spalla, uscii. Un raggio di sole mi colpì in pieno viso. Amavo sentire il caldo sulla pelle, il leggero vento che mi scompigliava i capelli chiari. Per un attimo dimenticavo ogni cosa: Jordan, la scuola, i miei compagni, le lacrime, i sorrisi forzati. Per un attimo potevo spogliarmi delle mie insicurezze, fingere di vivere un'altra vita. E solo per un attimo, non ricordavo più lo strazio dilaniante della notte precedente. Ma quel momento era destinato a finire non appena passavo davanti alla casa di Jordan. Subito mi tornavano alla mente le miriadi di ricordi che avevo condiviso insieme a lui. E non mi sembrava vero.
Jordan abitava in una villetta a schiera a pochi passi dall'appartamento in cui vivevo io. Era bianca, con un ampio giardino così curato da sembrare quello di una fiaba. La madre di Jordan prestava molta attenzione ai fiori e alle piante; infatti, ogni qualvolta andavo a trovarla, la trovavo intenta ad annaffiare i cespugli di rose bianche che costeggiavano il vialetto d'ingresso. La parte che più preferivo della casa era sicuramente la terrazza, dove un giorno i suoi genitori avevano organizzato una grigliata invitando me e mia madre. Ricordo di aver giocato a palla con il piccolo Alexander, il fratello minore di Jordan. Aveva solo quattro anni allora, ma era il bambino più tenero che avessi mai incontrato. Mi abbracciava sempre e rallegrava le mie giornate con un semplice sorriso. A pensarci ora, mi vengono quasi le lacrime agli occhi; sono mesi che non lo vedo e mi manca troppo.
A interrompere il flusso ininterrotto dei miei pensieri fu la voce di Nora.
"Hey Chanel, sono qui!" disse raggiante, facendomi un cenno con la mano.
I suoi capelli erano scuri, perfettamente lisci e morbidi. Li teneva sciolti, lasciandoli ondeggiare ai suoi movimenti. Indossava un cerchietto sottile, di colore argento, che le donava moltissimo. I suoi occhi, anch'essi castani, sembrarono illuminarsi non appena mi vide. La raggiunsi all'istante, togliendo il velo di malinconia di pochi minuti prima.
"Ciao, eccoti." La salutai, cercando di apparire serena. Nora mi strinse in un abbraccio, uno di quelli che ti riempie il cuore.
"Come stai?" domandò. "Sembri uno zombie con quelle occhiaie!" esclamò ridendo.
"Sto bene, ho solo dormito poco." Mi sforzai per quanto possibile di sembrare sincera.
"Avanti, su. Lo sai che non puoi mentirmi. Hai pianto di nuovo, vero?"
Mi guardai le scarpe, incapace di sostenere il suo sguardo.
Nora inclinò la testa e incrociò i miei occhi.
"Jordan?" domandò.
Annuii.
Gli occhi iniziarono a pizzicarmi. Cavoli, ero proprio brava a nascondere le mie emozioni!
Nora mi abbracciò di nuovo.
"Scusami, sono patetica." sussurrai ancora tra le sue braccia.
Nora mi sollevò il viso con un dito.
"Non sei affatto patetica." Disse, guardandomi dritta negli occhi.
Provai ad abbassare lo sguardo, sentendo che non sarei riuscita a resistere un secondo di più prima che le lacrime cominciassero a scendere.
"Chanel, guardami. Non sei patetica."
Mi sforzai di guardarla. La sua voce così delicata e sincera mi permetteva di riversarle addosso tutte le mie preoccupazioni, qualora ne avessi avuto il bisogno, per riuscire a liberarmene. Ma non volevo essere egoista con lei, preferivo tenermi tutto dentro, sigillando ogni brutto pensiero con il nastro adesivo. Mi asciugai qualche lacrima, provando per quanto possibile a farmi forza.
"Grazie, non so cosa farei senza di te." le dissi, abbozzando un sorriso.
"So che è difficile, e sai anche tu. È orribile, probabilmente una delle peggiori situazioni, ma tu ce la farai. Tu sei perfettamente in grado di superare tutto questo."
Mi spostò una ciocca di capelli: "È uno schifo, Chany. Non posso nemmeno immaginare cosa provi. Ma tu sei forte, ricordalo sempre."
Le sue parole erano in grado di cucirmi ogni ferita; Nora era la mia curatrice di dolore. La soluzione a ogni problema. L'arcobaleno dopo la tempesta. Mi asciugai le lacrime.
"Coraggio, adesso." disse. "Dobbiamo andare a scuola. Il nostro terzultimo giorno ci aspetta."
"Mancano solo tre giorni?" domandai sorpresa.
Com'era possibile? Avevo perso completamente la cognizione del tempo.
"Ebbene sì, cara Chanel. Fra tre giorni ci lasceremo alle spalle tutto questo obbrobrio!"
Risi. Mi sentivo meglio.
Nora mi prese a braccetto e cominciammo a camminare per il viale alberato, pronte per il nostro terzultimo giorno di scuola. Avevo il cuore più leggero e per un attimo misi a tacere tutte le mie ansie. Almeno fino a quando non raggiungemmo l'ingresso.
Alunni di tutte le classi erano riuniti nei loro gruppi: alcune ragazze dell'ultimo anno erano sedute sulle gradinate, altri ragazzi ascoltavano musica sulle panchine. Presi un respiro profondo; per me era difficile essere di nuovo lì. Nora mi strinse forte la mano mentre salivamo le scale. Sentivo gli occhi di tutti puntati addosso, come se il luogo in cui mi trovavo non fosse quello giusto. Era una sensazione orribile. Avevano la minima idea di quello che stavo provando? Sapevano quanto poteva essere straziante?
Io e Nora attraversammo il corridoio mentre io continuavo a tenere le dita tra le sue. Non sapevo perché, ma quel contatto mi infondeva coraggio. Raggiungemmo le nostre aule, ancora vuote. Non riuscivo a spiegarmi se fosse un bene o un male che fosse priva di studenti. I miei occhi si fermarono sul banco accanto al mio: quello di Jordan. Ne sfiorai la superficie liscia, mentre i ricordi riaffioravano. Dio, se mi mancava!
Appoggiai lo zaino a terra e presi i quaderni. Nora mi guardò, appoggiata allo stipite della porta. Era difficile cercare di capire cosa stesse provando in quel momento; i suoi occhi erano pieni di compassione e di malinconia. Mi osservava con dolcezza, forse anche a lei mancava Jordan.
"Ti manca?" le chiesi, con la voce spezzata.
"Sì, molto." sussurrò, avvicinandosi a me. "Mi manca Jordan, la vita di prima." Fece una pausa, posandomi una mano sulla spalla. "Ma soprattutto mi manca vederti felice."
Quella affermazione non solo mi commosse, ma mi fece provare emozioni contrastanti. Ero triste, arrabbiata, tesa, spaventata. Pensai a quando sarei tornata come prima. Pensai a come fosse bella la mia vita prima. Pensai a come tutto era cambiato, così rapidamente e senza che potessi fare qualcosa. Io dovevo fare qualcosa.
"Chanel, non voglio vederti stare così male." Sentii la voce di Nora vicina a me, ma era come se le mie orecchie non stessero più ascoltando.
"Non ti lascerò sola, sono qui per te. Resterò seduta fino a quando non suonerà la campanella." Nora si sedette accanto a me e tutto ciò che provai in quell'istante e che avevo provato per mesi, finalmente, riuscì a liberarsi dal mio cuore.
**
Lasciai lo zaino all'ingresso, tolsi le scarpe e mi precipitai in camera mia. Mi lasciai cadere sul letto, come se fossi stata prosciugata di tutte le mie energie. E in un certo senso, era così. La giornata era sembrata lunghissima, forse perché era stata tra le più tristi della mia vita. Dopo la scuola, Nora mi aveva accompagnata in ospedale.
"Hai bisogno di risposte" mi aveva detto e io mi ero convinta che fosse la cosa migliore da fare. Ma quando mi ero ritrovata davanti alla segretaria e lei aveva risposto "sì" alla mia domanda "Jordan White è ricoverato qui?", allora il mio mondo era caduto di nuovo in pezzi.
Corsi via.
Nulla aveva più avuto senso.
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