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CAPITOLO VI: La saggezza di una tazza di caffè e un dibattito interiore

Jackson Carter era seduto di fronte ad una tazza di caffè fumante al bar della stazione. Frugandosi nelle tasche aveva raccolto circa tre dollari con cui aveva deciso di acquistare la bevanda.


Quella tazza, quell'inebriante aroma che emanava, gli faceva pensare a sua madre, e a quel sogno che stranamente ricordava alla perfezione.


La sua gamba destra martellava nevrastenica il pavimento di sterile colore.


Jackson fissava, con fatuo sguardo, le galassie di schiuma che il caffè formava sulla superficie.

Ogni tanto mescolava, aspettando che un nuovo cosmo si figurasse nella tazza.


Anche se il suo viso traspariva calma apparente, nella sua testa un vortice di delusione, rabbia, paura impazzava.

Herald, l'uomo incontrato a Harrisburg, gli aveva dato una mappa di Columbus e raccomandato alcune persone che l'avrebbero aiutato, ma tutto ciò era del tutto irrilevante dato che ora Columbus distava qualche centinaia di chilometri da quella stazione, da quel bar, da quel caffè.


"Come diavolo farò ora?"

"Come mangerò?"

"E la notte?


I pensieri caddero come zollette nella tazza.

Era zucchero dal retrogusto assai amaro quello.


Il bar aveva una lunga vetrata che offriva un'ampia vista verso l'esterno.

Jack alzò l'occhio sconsolato dalla nebulosa di caffè e guardò fuori.


Il cielo aveva viso di grigio candore.

Gocce di lacrima piovana sgorgavano dalle sue iridi di nuvola, per poi frantumarsi sull'asfalto, suonando monotona malinconia.

Cielo e terra parevano impregnati di quell'egra acqua.

E anche l'animo fragile di Jackson, ad ogni goccia, ad ogni battito di pioggia, diveniva sempre più empio di quella scrosciante mestizia.


Quel cielo pareva riflettere le sue emozioni, ma Jack sapeva di vedere nelle cose, sempre solo ciò che voleva vedere.

E in quel momento l'unica cosa che vedeva, che voleva vedere, era la tristezza.

Una bagnata tristezza grigia.


Inesorabilmente, il suo sguardo ricadde in quell'universo di schiuma e caffè.


Mescolò di nuovo.


L'immagine che andò a figurarsi sulla superficie era differente dai vortici concentrici di schiuma che era solito vedere.

Era così definita, così chiara, che sembrava disegnata a mano.


Jackson aggrottò lo sguardo perplesso cercando di leggere quella che pareva essere una parola galleggiante.

Si sistemò sulla sedia e si strofinò gli occhi.


"Ma come diavolo è possibile?"


Una scarica di elettrica eccitazione lo pervase.


"V E H E"

Jackson sapeva esattamente cosa significasse, aveva studiato il latino da autodidatta per anni nel suo maleodorante appartamento. Era sempre stato convinto che avrebbe imparato molto da quella lingua antica, e ora, sembrava proprio che avesse avuto ragione.


"V I A G G I A"

Era un imperativo, un comando: qualcuno o qualcosa lo stava spronando a continuare, a non lasciarsi ammattire dalla prima difficoltà incontrata, qualcuno voleva che si alzasse da quella sedia.


Quella però, era pur sempre una tazza di caffè, e null'altro poteva essere.

Jack non aveva mai creduto nel sovrannaturale e nei segni del destino, cercò dunque di esplicare quella sicuramente bizzarra coincidenza psico-analizzando il suo status emotivo.

"Sei stanco Jack, hai il morale a pezzi, non hai idea di dove ti trovi e questo non è altro che un mero postulato del tuo debole pensiero."


Seppur le sue argomentazioni sarebbero state approvate da uno psicanalista esperto, il ragazzo dai pantaloni color cenere non era del tutto convinto.


"E se fosse mamma?"

"Effettivamente avrebbe senso una tazza di caffè come mezzo di comunicazione per lei."

"Forse dovrei ascoltarla."


"Dio mio Jackson ma ti senti? Stai delirando."

Gridò la sua ragione dal fondo della caverna della sua mente.


I dibattiti tra l'istinto e la ragione erano frequenti nel suo animo. Ecco perché forse era sempre così titubante e riflessivo nel prendere decisioni.


"Alzati e viaggia Jackson, devi farlo!"


"Guarda in faccia la realtà ragazzo! Non sai dove ti trovi, non hai un soldo e sei solo. Torna a casa."


La vertenza tra l'intuito e l'intelletto di Jack si prolungò per altri lunghi cinque minuti di grida di pensiero riecheggiante e sguardi vuoti. Doveva essere pazzo. O forse era solo Jackson Carter.


Jackson finalmente prese la sua tanto ponderata scelta.



Si alzò di scatto.

La libertà bruciava oceano nei suoi occhi.


Jack, con il suo migliore amico di stoffa e materiale isolante in spalla, uscì a passo spinto dalla stazione.



Ancora una volta il suo cuore aveva prevalso.


Carter aveva appena dato ascolto ad una tazza di caffè, ma non gli importava. Era la cosa giusta da fare. Lo sentiva.

E poi tornare avrebbe significato rischiare di essere uccisi da un ubriacone maleodorante.



Il ragazzo dallo zaino abnorme seguì le indicazioni per il centro di Cleveland.

Erano le 12:45 e doveva assolutamente mettere qualcosa sotto i denti.


Tra i suoni dei passi della pioggia e i suoi, Jack ripensò a quella parola ancora impregnata di caffè e schiuma:

"Vehe"

"Viaggia"

Era impossibile, per Jack, non notare la somiglianza fonica con un altro termine latino: "vivo", letteralmente "avere vita", "vivere veramente".


Forse le due parole erano legate.

Forse si doveva viaggiare per vivere.


Carter camminò, con la mente che sapeva ancora di caffè e uno stomaco che non la finiva di lamentarsi, fino al centro della città.


Jack odiava così tanto quel posto.

Lui doveva trovarsi a Columbus in quel momento.

Eppure non aveva ancora idea di che cosa meravigliosa lo aspettasse in quella città di vetro, cemento e ragazze con ombrelli blu...




Note autore:

Ciao ragazzi e ragazze! Eccomi tornato(scusate il ritardo) con il VI capitolo di "Un ragazzo e la libertà"!

Jack è spaesato. Non ha una casa, un pasto caldo e non conosce nessuno. Le indicazioni dategli da Herald si rivelano del tutto inutili ora che ha perso la fermata per Columbus.

Ma Cleveland forse non sarà poi così male per Jackson Carter...

Chi sono "le ragazze con ombrelli blu"?

Se ne intende una in particolare?

Lo scopriremo insieme a Jack nel prossimo capitolo ragazzi!

Lasciate un commento per dirmi cosa ne pensate su questo capitolo e se vi piace votate. A prestissimo!


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