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CAPITOLO III: Una ragazza dagli occhi di zaffiro e la meta

Un acuto stridore infranse il sonno di Jackson.

Il treno si stava fermando.

"Sono già a Harrisburg"

Raccolse il suo zaino e si affrettò a scendere.

Piccole pecore di nuvola trottavano paciose nel cielo cesio.

Jackson, camminando verso l'entrata della stazione, non riusciva a distogliere lo sguardo da quel mondo celeste dove tutto pareva candido e rotondo, dove nessuno lo avrebbe insultato, nessuno lo avrebbe picchiato.

In quel cielo, in quelle nuvole intravide volti che giurava di conoscere, intravide scene che credeva di aver vissuto.

 In quel cielo Jackson scorse l'evanescente prefigurazione di ciò che lo avrebbe atteso in quel viaggio. Jackson in quel cielo vide il suo futuro(perché allora quella sensazione di déjà-vu?).

Ora però non sapeva davvero cosa fare.

Le due ore di treno non avevano prodotto alcun frutto e nel suo iniziale piano non aveva previsto di riuscire ad arrivare ad Harrisburg.

"Dove vado?"

Jackson ora era di fronte ad un imponente schermo su cui erano visualizzati tutti i treni in arrivo e in partenza e le loro destinazioni.

Continuava a far correre lo sguardo su e giù e su sul tabellone esaminando ogni possibile prossima tappa del suo viaggio.

Niente.


"Mamma!"

"Natura!"

I pensieri schizzarono via dalla testa di Jack così velocemente che presero a rimbalzare ovunque nella stazione. Sembravano avere vita propria. Gli erano balenati in testa all'improvviso, senza causa apparente.

Sentiva crescere dentro di se una sorta di voce interiore che continuava a ripetere quelle due parole così intensamente da provocargli un capogiro. Era una sorta di richiamo surreale, kafkiano quasi, che ardeva nella sua mente.

Non capiva.

Non aveva ancora idea di cosa fare.

Sapeva solo che voleva viaggiare in mezzo alla natura, con la natura.

Era ancora immobile di fronte allo schermo, con un garbuglio di pensieri in testa e uno zaino più grande di lui in spalla, quando sopraggiunse dietro di lui una ragazza sulla ventina con una manciata di lentiggini sul viso e degli occhiali dietro ai quali erano incastonati, come zaffiri, due occhi colore del mare.

<< Per caso posso aiutarti? >>

Niente.

Il ragazzo dai pantaloni color cenere continuava a fissare con occhio vitreo e mente errante lo schermo.

<< Posso aiutarti? >>

Riprovò la ragazza con più vigore sfiorando con dita incerte la spalla destra del ragazzo.

Jack si girò di colpo, e nel farlo il guazzabuglio di preoccupazioni che tanto lo attanagliava si dissolse momentaneamente.

La ragazza ripeté per la terza volta la domanda al ragazzo dallo sguardo smarrito.

Jack rimase immobile, ad affogare nell'oceano dei suoi occhi.

"Dio quanto è bella"

Dopo due eterni secondi in cui la ragazza lo fissò accigliata attendendo risposta si rese conto di aver perso ancora una volta contatto con la realtà.

<< No... si... ehm...>>

Le tre parole, tremanti, caddero goffamente dalle labbra di Jack.

La ragazza continuava a fissarlo perplessa.

Dopo un altro istante di eternità ci riuscì:

<< Non so dove andare >>

Disse finalmente Jackson provando un senso di liberazione nell'aver trovato le parole.

La dipendente delle ferrovie aggrottò la fronte disegnando un intersecarsi di luci e ombre sulla sua pelle.

<< Devi visitare qualcuno ma non sai dove abita? >>

Jackson scosse turbato la testa.

I pensieri stavano iniziando a vorticare di nuovo.

La candida bellezza della ragazza non gli era d'aiuto in quel momento e provava un crescente imbarazzo a parlare con lei.

Arrossì.

La ragazza continuava a vessarlo con domande su cui non riusciva a concentrarsi.

La voce nella sua testa gridava le parole di prima:

"Mamma!"

"Natura!"

Non aveva alcun controllo su quello che stava succedendo in quel momento.

Corse via.

La ragazza dagli occhi di zaffiro fissò ammutolita il ragazzo correre fuori dalla stazione dondolando lo zaino sulle spalle.

Carter continuava a correre.

Ma da cosa stava scappando veramente?

"Non puoi fuggire dalla tua mente Jackson"

L'auto-rimprovero lo fece rallentare fino a fermarsi.

Aveva corso per cinque minuti.

Era parecchio lontano dalla stazione di Harrisburg e dalla ragazza dal viso dolce e la parlantina celere.

Era anche lontano da casa, ma questo ora era del tutto irrilevante.

Riprese a camminare, ansimando ancora, per quella via anonima di quella città che non conosceva cercando di districare il garbuglio di domande, preoccupazioni, emozioni che logorava la sua mente fin da quando aveva girato la gelida maniglia di ottone di casa sua.

Dopo circa due ore di errante vagabondaggio Jack era riuscito perlomeno a capire cosa voleva fare, dove voleva andare.

Gli era bastato rammentare un opaco frammento di sogno in cui sua madre gli diceva con voce luminosa:

<< Segui il canto che vibra nel tuo animo >>

 La melodia del suo cuore ora gli stava indicando la via, e Jackson per la prima volta riuscì a percepirla.

<< In California... >>

Aveva sussurrato tra i passi sudati e il dolore ai piedi.

<< Andrò in California. >>


Note autore:
Ciao ragazzi! Ho piacevolmente constatato che a sempre più lettori piace Un ragazzo e la libertà!
Che dire, ne sono entusiasta!

Questo è il terzo capitolo, Jackson arriva nella sua prima città ma è tormentato da una miriade di pensieri.
Come affronterà la città?
Come arriverà in California?
Secondo voi ce la farà (non è scontato)?

Spero che vi piaccia come gli altri e come al solito lasciate un commento per dire la vostra(accettò anche critiche) e se vi va votate!

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