Capitolo 7
Più ci provava, meno quel filo voleva saperne di entrare nella cruna.
Emise un sospiro. Da quando non sapeva nemmeno più cucire?
Ripose l'ago e la stoffa che stava lavorando, per poi guardare Frances: il suo filo era entrato perfettamente nella cruna, e sul viso aleggiava un'espressione rilassata, seppur con una punta di malinconia. Erano le sue palpebre, leggermente cadenti; sembrava sempre persa altrove col pensiero, in cerca di qualcosa, come se stesse attraversando le scogliere della Cornovaglia.
Ma in realtà, sapeva bene che aveva i piedi ben piantati per terra e che quella era solo la conformazione del suo viso.
La vide voltarsi.
"Mimi?", sorrise.
"Sì?"
"Ti vedevo fissarmi. C'è qualcosa che non va?"
Mimi scosse il capo.
"Nulla. Le mie... mani non vogliono collaborare oggi, così guardavo te e... pensavo a Thea", disse.
"Parli del matrimonio?", precisò, ritornando a cucire.
"Sì... era molto entusiasta ieri, quando ce ne ha parlato. Mi ha confidato che Lord Marsham è un uomo molto gentile, ha avuto modo di conoscerlo meglio durante le sue ultime visite a Brannon Hall."
Sul volto di Frances apparve un sorrisetto.
"Mrs Livingston sarà soddisfatta, e Thea molto felice. Sono lieta che sposi un uomo apprezzabile come lui."
"È vero, sono felice anche io", si sforzò di increspare le labbra.
Lo era davvero. Nemmeno per un attimo avrebbe detto o sentito il contrario, ma il matrimonio di Thea non era stato il primo pensiero affioratole alla mente. Il suo o quello di Clara, invece, si manifestavano con costanza, e prepotenza, come il bisogno impellente di correre fra i prati durante i mesi estivi.
Non sopportava più quel silenzio a quattro giorni dalla cena. Si vergognava anche solo di incrociare lo sguardo di suo padre e quello di Clara nel constatare che lui le aveva tolto la parola. Aveva il batticuore se solo pensava che nei meandri della sua mente già aleggiava il nome di chi fra loro due avrebbe probabilmente sposato Sir Percy e ancora esitava a parlare, a rendere note le loro sorti.
Aveva provato a dormire o quasi le notti precedenti, ma non era riuscita a chiudere gli occhi e restare tranquilla. Ripeteva di continuo, e inutilmente, a sé stessa le parole che avrebbe voluto dire a suo padre per chiedergli di alleviarle i dubbi; ma sapeva che non le avrebbe mai pronunciate, che non avrebbe mai trovato il coraggio di parlargli.
"La lettera, Frances. Non mi hai più detto cosa ha scritto Mr Browning", chiese nel tentativo di cambiare argomento e pensare ad altro.
La vide sollevare nuovamente il viso.
"Oh... perdonami, Mimi. Ho così tanti pensieri per la testa che deve essermi sfuggito di mente. In ogni caso, sembra che abbiano assecondato la sua richiesta e il 5 aprile potrà essere qui per sposarmi", sorrise.
Poi posò anche lei gli strumenti per il cucito.
"Dovrei ritenermi fortunata perché i preparativi sono stati ultimati in anticipo. Se non gli avessero concesso la licenza, non so nostra madre come avrebbe preso la notizia", aggiunse ridacchiando.
"Lei e tutta Flambury si sarebbero disperate!"
"Soprattutto Miss Blackmore!"
"Ci sarà anche lei?"
Frances sospirò e poi annuì, ma senza scomporsi.
"Sono certa che se nostra madre avesse potuto evitarlo, avrebbe fatto in modo che la notizia non fosse giunta fino a lei e che le pubblicazioni le fossero state precluse. Non invitarla, però, avrebbe significato portare un danno di immagine alla nostra famiglia, non credi?"
Hermione piegò il capo in un cenno. Era impossibile contraddirla, aveva sempre ragione.
Non che pensasse di darle torto, ma le ragioni da lei addotte non lasciavano mai dubbi. Desiderava essere come lei, a volte, così razionale da riuscire a controllare tutto quello che pensava e sentiva, senza che la paura divenisse ogni volta un ostacolo insormontabile.
Un picchiettio risuonò sulla porta. Si voltò e Frances fece lo stesso.
"Avanti", invitò sua sorella.
Miss Templeton emerse dal corridoio, imperturbabile nel tempo e nello spazio, come sempre.
"Sono desolata per l'interruzione, ma ho una richiesta da parte di Sir William per voi, Miss Hermione", disse gettando lo sguardo verso di lei, invece.
"Una richiesta?", le rispose Mimi.
La donna annuì.
"Domanda che vi rechiate nel suo studio appena possibile. Miss", si congedò con un altro cenno.
Mimi trattenne il respiro e la guardò sfilare via. Poi rivolse gli occhi a Frances e sentì il cuore cominciare a batterle più forte.
La fissò: le sue labbra erano dischiuse.
Aveva capito, persino il suo scetticismo era crollato sotto quella coincidenza. Ora anche lei sapeva che Clara aveva avuto ragione, che il destino di una di loro era stato segnato quel giorno in cui la Vedova Dunford aveva fatto visita a sua madre.
"...Frances", riuscì soltanto a dire.
La mano di sua sorella le si posò sul braccio.
"Andrà tutto bene, ne sono certa, Mimi. Che sia tu o che sia Clara, tutto finirà per il meglio", disse scandendo le parole e mantenendo lo sguardo su di lei.
Annuì e poi sfilò via, guardando dritto davanti a sé. Se avesse esitato o distolto le pupille da quel punto, avrebbe preso le scale per nascondersi nella sua camera, accanto a Clara. E avrebbe pianto, silenziosamente.
Ma non poteva sottrarsi a ciò che l'aspettava.
Stirò le pieghe dell'abito e svoltò l'angolo per ritrovarsi davanti alla porta dello studio.
Deglutì, anche se non aveva saliva.
Tentò di fermare la mano, che si rifiutava di non tremare mentre bussava sulla superficie di legno.
"Entra pure, Mimi", udì dall'interno.
"Padre", sussurrò con quel poco di fiato che le restava.
"Siediti, ti prego. Fa così freddo sull'uscio della porta", sorrise.
Avanzò e prese posto, tenendo le gambe unite. Sfregava le mani in grembo e non riusciva a frenarsi.
Suo padre la guardava, ancora perso in quell'espressione dolce. Allungò una mano verso di lei, per carezzarle il viso e Mimi si lasciò andare in quell'attimo di calore, in quell'abbraccio immaginario che avrebbe voluto chiedergli.
"Clara è sempre stata una tempesta, non troppo violenta, ma carica d'acqua. Ha sempre irrigato i campi. A Frances è toccato il compito di smuovere il terreno e piantare i semi. Ma tu, Mimi, figlia mia, sei sempre stata il sole che riscaldava quel campo," disse modulando dolcemente la voce, "sei preziosa come il suo calore e delicata come il primo raggio che spunti dopo una tempesta."
Dischiuse le labbra mentre continuava a fissarlo.
"Forse ti starai chiedendo perché ti dica queste cose. Volevo che lo sapessi, che ne fossi consapevole, prima di riferirti ciò che probabilmente già potrai immaginare", aggiunse.
Deglutì e tentò di ignorare quella sensazione di oppressione che le chiudeva la gola.
"È Sir Percy, padre? Si tratta di... Sir Percy?", chiese.
Lo vide annuire e lei lo imitò.
"Vuoi che riferisca a Clara... la sua proposta?"
Lui inspirò e tacque per un attimo.
"No, bocciolo. No. La proposta è per te."
"Per... me, padre? Sir Percy ha chiesto di sposare... me?"
Non riusciva a crederci.
"Sei più stranita di quel che ipotizzassi."
"Oh, è che... per tutto questo tempo ho pensato avrebbe avanzato una proposta per Clara. La lettera a zia Henrietta non è stata più spedita, e credevamo entrambe fosse perché Sir Percy avesse intenzione di sposare lei. Inoltre tutte le questioni del retaggio..."
Mimi guardò in basso, sul pavimento ligneo, mentre la voce le moriva in gola: non avrebbe dovuto introdurre quel discorso, sapeva che a suo padre non piaceva.
"Retaggio, bocciolo? Il tuo è pari a quello di Clara. E di Frances. Sei una Pembroke, tu, e degna, in quanto tale, di sposare un baronetto come lui", precisò lui.
Avvertì la mano dell'uomo allungarsi sulla sua. Lasciò che lo facesse, forse avrebbe smesso di tremare, finalmente.
"Se non per il retaggio, allora... perché me? E Clara? La questione di Londra, padre?"
Lo vide annuire e prendersi un attimo di pausa. Doveva essere molto più complicato e contorto di quanto avesse ipotizzato.
"Poco dopo la visita della Vedova Dunford, ho ricevuto una missiva da parte di Sir Percy. Mi chiedeva esplicitamente di voler prendere in sposa una fra te e Clara. Ne abbiamo discusso a lungo, prima che giungesse il giorno della cena, in uno scambio di lettere e in un incontro a Flambury. Tuttavia non mi ha concesso un nome prima dell'altra sera, quando lui e sua madre sono stati qui. Infine, ha scelto te. Ha detto di essere stato colpito dal tuo temperamento che trova ideale per sé, sebbene non ti conosca davvero a fondo. Ha anche aggiunto che, fortunatamente, il fatto che tu sia la figlia maggiore fra quelle non sposate, sia una piacevole coincidenza."
"Il mio temperamento..." si lasciò sfuggire fra sé.
Se davvero Sir Percy non aveva deciso fino a quel momento, le parole impetuose di Clara dovevano essere state determinanti per farlo orientare verso di lei. Dunque c'era stata una possibilità, anche più grande di quella che forse suo padre voleva farle credere, che il baronetto avesse scelto sua sorella e che poi ci avesse ripensato perché infastidito dalle parole che lei gli aveva rivolto.
Sentì la gola come stretta da un cappio. Aveva voglia di piangere, di stringere le mani in grembo e restare in silenzio, così, chinata e sola.
"Padre io... sono pronta ad accettare di buon grado ciò che tu vorrai per me", si sforzò di dire, senza sapere da dove le provenisse quel coraggio.
"Oh, no, Mimi. No. In questo frangente è importante solo ciò che vorrai tu. Io, dal mio canto, desidero solo che tu sia felice e, proprio per questo, sei libera di accettare o declinare la proposta di Sir Percy. Se vorrai sposarlo non dovrai fare altro che dirmi di sì, e io gli scriverò. Se non vorrai, dimenticheremo tutta la faccenda, come se non fosse mai accaduto nulla", rispose suo padre.
Lo fissò.
Quante parole di sfiducia aveva pronunciato Clara contro di lui? Se solo fosse stata lì ad ascoltarlo, avrebbe provato rimorso per tutto ciò che aveva detto, pensato; per la sera in cui era inveita inutilmente, perché guidata e spinta da una rabbia ingestibile.
"Voglio che tuo marito sia un uomo che possa renderti felice e che tu... trascorra una vita matrimoniale tranquilla. Sir Percy non mi è sembrato propriamente un uomo espansivo, ma so che è colto, istruito e nonostante il suo apparire così schivo, ho l'impressione, da ciò che mi è stato detto, che nel privato sia diverso", continuò.
"Diverso?", chiese Mimi.
"Da come si è mostrato l'altra sera, a cena. Non mi è piaciuto il modo in cui si è rivolto a sua madre per ben due volte, ma non sono affari che mi riguardano da vicino. Auspico che, come marito, il baronetto possa essere un uomo differente... e sono portato, in realtà, a credere che lo sia, mia bellissima figlia. Lo credo per ciò che ho udito su di lui e per il retaggio che può vantare. Un uomo come lui è più... nobile di ciò che appare e d'altronde..."
Mimi spostò lo sguardo sulla finestra, oltre lo spiraglio aperto dalla tenda.
Non sentiva più nulla, c'era solo silenzio.
La sensazione di vuoto si sparse per tutto il corpo: non percepiva più il pavimento, né il freddo legno sotto le mani; la voce di suo padre era un ricordo lontano.
Solo un macigno sulle spalle: il peso della scelta.
Poteva davvero definirla in quel modo? Poteva permettersi il privilegio di chiamarla scelta, lei che non era mai stata nemmeno invitata a danzare? Lei che difficilmente sarebbe stata prediletta da qualcuno come moglie?
Se non avesse colto quell'occasione, sarebbe rimasta sola a vita.
Le sovvennero alla mente Clara e poi Thea. Se fossero state lì le avrebbero detto di non farlo, che stava barattando la sua felicità per un matrimonio che nessuno avrebbe desiderato o auspicato.
Un matrimonio con Sir Percy.
'...Nessuna donna vorrebbe mai sposare Sir Percy, nemmeno se fosse l'ultimo uomo rimasto nel Devonshire.', le aveva detto Thea quella sera durante il ricevimento.
Eppure, se non lui... chi? Quale altro uomo? Non poteva aspettare ancora, non con l'incombere dell'estate e l'arrivo dei diciannove anni.
Non vedeva un'altra strada che fosse percorribile e il sentiero era buio davanti a sé: c'era nebbia, tanta nebbia e poca luce; nessuna certezza, nessuna mano tesa che la aiutasse a rialzarsi.
Poteva attendere, certo, e sperare che un giorno, di punto e in bianco, uno spiraglio si sarebbe aperto e la sua vita sarebbe cambiata. Poteva sperare in un giorno migliore, in una luce diversa.
Ma quanto era concreta questa possibilità? Non più del diventare la moglie di un baronetto che, per quanti debiti avesse ereditato dal suo defunto padre, aveva cucito a sé un nome antico e prestigioso.
Forse non era un matrimonio molto vantaggioso, o forse non lo era per niente. Ma era l'unica via che, se imboccata, non l'avrebbe lasciata sola in un angolo della sala per i futuri dieci anni, nell'attesa che un uomo si accorgesse di lei.
E della sua voglia a deturparle il viso.
E del suo sangue non Pembroke.
"Mimi, bocciolo, tutto bene?", sentì la voce di suo padre sovrastarle i pensieri
Lo fissò ancora. E poi dischiuse le labbra.
"Sì, padre. Io... sposerò Sir Percy."
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Ebbene, cari lettori, una risposta vi avevo promesso e una risposta è arrivata! :D
Alcuni di voi lo avevano già ipotizzato, altri si erano persi nei meandri del dubbio, ma alla fine abbiamo scoperto che questa - pessima - sorte toccherà a Mimi!
Passando al lato tecnico, questo capitolo è stato rimaneggiato più volte, e ancora adesso, rileggendolo, mi sembra troppo scarno. Sono sempre in dubbio, quando scrivo, se rendere più densi i capitoli o snelli e, sebbene abbia raggiunto uno stato di pace con me stessa al riguardo della stilistica, a volte questa incertezza mi fa valutare l'idea di riscrivere interi capitoli dall'inizio. Perciò, se avete annotazioni di qualsiasi tipo, sentitevi liberi... e libere, naturalmente, di esporre tutto! :D
Nel frattempo, gli eventi importanti non sono ancora finiti. Nei prossimi capitoli ci saranno tante altre novità e accadimenti!
Grazie sempre per leggermi 💕
A presto! 💕🌷
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