Speciale - Il supereroe sfigato
SPECIALE
La La Land dal punto di vista di Holden
Il supereroe sfigato
Va tutto bene, questa è la mia nuova filosofia.
(Peanuts- Charles M. Schulz)
Un raggio di sole trapassa il tessuto della tenda che copre la finestra. Mi colpisce dritto negli occhi.
Di istinto mi porto l'avambraccio a nasconderli.
Sono sveglio da almeno tre ore. Anzi, credo proprio di non essermi nemmeno addormentato. Ricordo di aver forzato le palpebre a rimanere calate, ma anche riuscendoci il sonno non è riuscito a farmi suo prigioniero.
Sbircio l'orario sul mio cellulare. È prestissimo. La natura si sta svegliando un cinguettio alla volta e anche se il sole inizia ad essere invadente, non riesce ancora a convincere tutti che sia meglio abbandonare il mondo dei sogni.
Poggio le dita della mano sinistra sul petto. Sento il cuore battere veloce sotto i miei polpastrelli. Oggi più di sempre.
Per tanto tempo avere il batticuore era quasi sempre un cattivo segno.
Il battito accelerava quando sentivo parole sgradevoli, rumori troppo forti, frasi dal sapore amaro. Quando i miei occhi scrutavano la violenza. In ogni angolo. Quando sentivo il panico farsi strada in ogni mia cellula.
Poi c'è stata Malia.
Malia è stata la prima ragazza che abbia catturato la mia attenzione, facendomi chiedere come sarebbe stato ricevere una carezza sulla guancia da una mia coetanea e non dalla mamma. Come sarebbe stato tenere una ragazza per mano. Andare al cinema insieme. Guardarci negli occhi come persone legate da qualcosa di più della semplice amicizia.
Lei era l'unica in grado di farlo battere veloce per qualcosa che non fosse la paura, l'ansia, l'angoscia, l'impotenza.
Poi, però, ho conosciuto Kathleen.
Lei mi ha dimostrato che quello che provassi per la mia adorabile amica fosse qualcosa di prettamente infantile. Dolce e tenero, ma dal sapore bambino.
Con Kathleen è stato totalmente diverso. Lei è riuscita, senza fare nulla di particolare, semplicemente esistendo, a far battere questo strano muscolo che sbatte contro le costole, ad una velocità quasi spaventosa. Da capogiro. Ci è riuscita con i suoi occhi scuri, con il suo profumo ammaliante, con la sua bocca che è stata la prima a baciare la mia, con i suoi sguardi che mi fanno sentire amato. Che mi fanno sentire bello. Bello in un modo che qualsiasi superficie riflettente ogni giorno vuole ricordarmi che io non sia. Ma, al diavolo ogni specchio, io le piaccio e va bene così.
Taylor, al mio fianco, dorme nella stessa posizione che gli ho visto fare tante volte da quando eravamo piccoli. Dorme sul fianco destro, con le braccia incrociate sul petto, le ciocche bionde a coprirgli la fronte e le labbra leggermente dischiuse. Sembra quasi un cherubino. Oppure un arcangelo, a voler esagerare. Uno di quelli che gli artisti di una volta potevano ritrarre sulle cupole delle chiese più importanti. Con una spada tra le mani dalla pelle dorata, pronto a tagliare la testa a qualsiasi diavolo, a sfidare il fuoco e le fiamme per far vincere la luce sulle tenebre.
Mi alzo dal letto. Le molle cigolano leggermente.
Osservo il sole che pian piano sorge. Squarcia il cielo latteo con una luce ancora pallida, ma potente. Rimango a guardarlo per minuti che a me sembrano ore. Penso. Penso che anche questi giorni stiano finendo. Domani faremo le valigie e tanti saluti a questa piccola favola. Mi chiedo cosa mi aspetti. Iniziare il college. Studiare nella stessa università in cui sono intrappolate le ombre di Albert Einstein e di John Nash e di altri mostri sacri della matematica, della fisica, dei numeri. Ho paura e ansia. Nulla di esagerato, ma quel tanto che basta ad impensierirmi. Sospiro. Non credo sia il momento giusto per pensare a quello che potrebbe accadere in quello che è un futuro prossimo, ma che è pur sempre futuro. Un 'ansia alla volta. Per oggi credo di averne abbastanza.
Prendo dal cassetto biancheria e vestiti, poi le scarpe. Potrei mettermi a suonare una chitarra elettrica e Taylor non si sveglierebbe, tuttavia non faccio il minimo rumore. Fa bene a riposare lui che ci riesce. Probabilmente sa già cosa succederà con la sua ragazza questa notte. O probabilmente no. So che se sapesse che pensieri mi frullano nella testa mi guarderebbe storto dicendomi che lo idealizzo e che sottovaluto il peso delle sue paure, non minori delle mie. Ma non riesco a non pensare che comunque le sue lo siano. Se non minori, di certo diverse.
Prima di chiudermi in bagno, rimango a guardare la porta che chiude la stanza dove dormono Kathleen e Malia. Fa strano sapere che stiano dormendo insieme, che se non siano amiche, vadano comunque d'accordo. Kathleen non ha mai voluto spiegarmi cosa sia successo esattamente tra loro due e io non ho mai voluto intromettermi, non ho mai ceduto alla tentazione di sbirciare quelle lettrici tentatrici che si sono scambiate per tanto tempo. Non ci vuole molto comunque a capire che la mia migliore amica, la mia piccola Malia, deve aver rivolto alla mia Leen parole amare, per il puro piacere di difendermi da qualsiasi atteggiamento ferente che la mia ragazza possa aver avuto nei miei confronti in un passato che ormai a me sembra lontanissimo e che possa averle confessato, pur minimizzandolo.
Sotto la doccia, lascio che l 'acqua fresca mi bagni i capelli neri, la pelle troppo chiara malgrado le diverse ore passate sotto al sole, le ossa sporgenti, questo corpo troppo alto e spigoloso. A volte così sottile da riuscire a farsi inghiottire da una folla più grossa e imponente, a volte troppo ingombrante.
Insapono la pelle, poi passo ai capelli. Strofino e provo a non pensare al cuore che non ha mai smesso di bussare troppo forte. Sembra voler dirmi: "Fai qualcosa. Sbrigati! Liberami da ogni esitazione. Lasciami uscire fuori e metti da parte ogni stupida paura." Vorrei far finta che sia diventato di colpo un ragazzo sicuro, che sapere di essere amato dalla ragazza più favolosa della storia mi abbia permesso di distruggere ogni barriera che ho costruito anno dopo anno. La verità è un'altra, però. Da quando Kathleen è diventata la mia ragazza, mi sento una persona diversa. Sono più leggero, più disinvolto, ameno la maggior parte delle volte, più consapevole di me. Consapevole soprattutto di avere anch'io delle qualità fisiche che magari a me non convincono e non lo faranno mai, ma che convincono lei. Tuttavia, ho ancora dentro di me delle trappole. Catturano cuore e cervello in alcuni momenti, a volte più fugaci, altre più duraturi.
Lei mi ha visto. In tutti i sensi. Ha visto che non ho realmente i muscoli di uno di quegli attori bellissimi che possono interpretare dei supereroi; ha visto che le mie braccia che tante volte la stringono non sono forti come vorrei; ha visto che anche con i capelli bagnati dall'acqua del lago o con il corpo baciato dal sole non sia nulla di speciale. Ma le piaccio lo stesso. Lei mi trova speciale. E io ho visto lei. Le sue forme meno accentuate di altre ragazze che stupidamente lei invidia anche; quelle curve morbide che spesso ho sognato di accarezzare con le mie labbra; le ciocche scure, pregne d'acqua, a incorniciarle gli zigomi alti, la linea dolce del viso.
Ci sono volte in cui il desiderio di andare oltre quel legame fisico che abbiamo instaurato, si insinua nella mia testa, passando per il cuore, serpeggiando tra gli spiragli della mia anima. Volte in cui vorrei toccarla, sentirla ancora più mia, ma in cui metto tutto a tacere. Vorrei fosse tutto più semplice. Che ci fosse un manuale che mi spiegasse cosa fare e come farlo. Che mi dicesse come fare la cosa giusta, senza spaventarla, senza farmi sembrare un mostro che voglia profanare la sua purezza. Probabilmente un altro ragazzo, al posto mio, avrebbe trovato già il modo di concretizzare le proprie voglie, facendo sembrare tutto magico e giusto. Io, invece, sono un imbranato cronico.
Chiudo l'acqua. Mi asciugo, lasciando solo il petto libero dalla camicia. Fa già caldo. Oppure sono i miei pensieri a far aumentare la temperatura del mio corpo.
Davanti allo specchio mi prendo la mandibola tra le dita, notando che un velo di barba ombreggia le mie guance. Non mi sta per niente bene. Apro lo sportello che lo fiancheggia, ma con la mano già tesa per prendere il rasoio e la schiuma non trovo nulla. Corruccio la fronte per un momento, ma poi penso che Tony, Tom o Taylor possano aver portato tutto nell'altro bagno, quello che tacitamente si sono prese le ragazze. Ieri mattina c'è stato un tale trambusto per il corridoio. Malia e Pamela sono quelle che creano più caos, tra vestiti, costumi, trucchi e altre diavolerie che riescono sempre a farmi sorridere.
Mi avvio a passo svelto, ma quando apro la porta che lo richiude, per poco il cuore non riesce a vedere esaudito il suo desiderio di squarciarmi il petto. Sento gli occhi sgranarsi, poter quasi uscire dalle orbite, quando la vedo. Il sole alle sue spalle la illumina. Irradia il suo corpo bagnato, avvolto da un asciugamano troppo corto. Sembra così piccola in confronto a me. Indifesa. Nulla a separarci se non un telo troppo leggero e un paio di jeans che ora mi prudono sulle gambe.
Deglutisco dieci, cento, mille volte, poi faccio la prima cosa che mi passa per la testa. Richiudo la porta alla velocità della luce, avendo cura di conservare nella mia mente i suoi occhi incuriositi. Sorpresi, di certo. Per fortuna non spaventati.
Era vera o era una proiezione della mia testa? Forse l'ho pensata così tanto da averla concretizzata davanti ai miei occhi. O forse no.
Rimango a pensare per qualche secondo. Non posso far finta di nulla e ritornare in camera come nulla fosse. Cioè potrei farlo, ma perché dovrei? Non ho fatto nulla di male. Cioè, non sapevo che ci fosse qualcuno a quest'ora del mattino. Non sapevo che ci fosse lei. E se ci fosse stata un'altra ragazza? Diavolo, avrei fatto un'altra figura terribile. Dovevo bussare. Sì, vero, avrei dovuto farlo, ma... non ci ho pensato. Non ho sentito rumori e ho dato per scontato che fossi l'unico ad aver ceduto alla voglia di svegliarmi così presto. E poi, non era nuda. Nuda. Senza vestiti. No, era coperta. Okay, basta. Devo smetterla.
Mi tocco la fronte, e sospiro altre volte.
La mano destra bussa contro il legno prima che il cervello possa urlarmi che ho bisogno di altri minuti per capire cosa fare.
Mi invita ad entrare. Okay, è reale. Non è un'illusione. Lo faccio, mantenendo lo sguardo basso. Che carine queste mattonelle.
Mi affretto a chiederle scusa. Come minimo. Ho fatto la prima figuraccia della giornata. Proprio oggi che noi due dormiremo da soli nella stessa stanza. Che i nostri corpi saranno a stretto contatto in piena notte.
Incespica con le parole. Sembra imbarazzata anche lei. Ovvio che lo sia. Le sono piombato davanti alle prime luci dell'alba, mentre si stava asciugando, con solo un asciugamano addosso. Mezza nuda. Senza vestiti. Basta. Non devo pensarci.
Deve aver capito che sto morendo dalla vergogna. Mi chiede di guardarla. Esaudisco la sua richiesta con fatica. È nella stessa posizione in cui l'ho lasciata. Con la stessa bellezza di un attimo fa.
Mi scuso ancora, ricevendo da parte sua quasi delle giustificazioni. Ma l'unico a dovergliene dare sono io. Improvviso che siano stati i film horror della scorsa sera a farmi perdere il sonno. Non mi sembra il caso di farle sapere che sia l'idea di poterla avere tutta per me questa notte ad avermi privato del riposo. Mi dice che ha l'abitudine di svegliarsi presto ogni ultima mattina di vacanza. Sorrido, incuriosito da questa sua particolarità. Conosco un'altra piccola cosa di lei. Che bello.
Mi domanda se mi serva qualcosa. Perso in una delle mie trappole mi ero completamente dimenticato del motivo per cui mi fossi diretto in questo bagno. Stupido, Holden. Mi affretto a dirle che ho bisogno del rasoio e della schiuma da barba. Annuisce e così mi avvicino con lentezza. Ho quasi paura di spaventarla. O che sia lei a spaventare me.
Prendo ciò che mi serve, rimanendo poi incantato da una H e una K disegnate sullo specchio, sfruttando il vapore che lo appanna. Le confesso che sia la prima volta che noti qualcuno tracciare l'iniziale del mio nome con la propria. Credo che, intorno ai quindici anni forse, ci abbia anche pensato a come sarebbe stato bello essere il protagonista delle attenzioni di qualche ragazza. Vedere il mio nome scritto sui suoi quaderni, o le mie foto incollate sul suo armadietto. Un po' come succedeva a Taylor, da sempre corteggiato da decine di ragazzine pazze per il suo bell'aspetto e i suoi modi gentili. Questa tenerezza che lei mi riserva mi fa morire dentro. Mi fa ridere dicendomi che la H stia per Harold, il nome del suo buffo materassino a forma di dinosauro.
Poi mi accingo a salutarla. Voglio scappare. Mi sento troppo strano. Come se potessi davvero superare dei limiti che non sento sia il momento di valicare.
Lei mi ferma, però. Mi sorprende due volte. Chiedendomi di baciarla e se possa farmi la barba. Di nuovo il cuore prende a ricordarmi che non voglia rallentare nemmeno un po'. Temo che possa sentirlo anche lei così mi sbrigo a sfiorarle le labbra con le mie. Solo un assaggio. Breve, brevissimo. Ma lei pretende di più. Mi bacia con passione, ricercando la mia bocca con un calore che mi travolge. Mi ritrovo a cedere. Mi lascio vincere dal suo incantesimo. Glielo dico. Rischia di uccidermi. La faccio sorridere. Poi, conscio che il desiderio di radermi non verrà messo a tacere, accetto questa sua richiesta. La imploro, però, di coprirsi. Rischio grosso sul serio se non lo fa.
In questi giorni ho scorto lembi del suo corpo che fino ad allora avevo solo immaginato. Ma era diverso. Sento che era diverso. Lo era forse perché mi ero preparato all'idea di vederla per la prima volta più... scoperta. In questo preciso instante mi sembra tutto così... intimo. Siamo completamente soli, la casa dorme, questa notte il mio corpo sarà vicino al suo con solo il buio a farmi da scudo. Mi sento elettrico. Se la toccassi potrei prendere la scossa.
Gioco a fare l'eroe per la maggior parte del tempo. Mi mostro coraggioso, come se farmi vedere coperto da un solo stupido costume non mi costasse mille paranoie. Ammicco, faccio battute idiote. Mi viene facile farlo. Mi diverte farlo, ma la verità è che in certi momenti il suo amore, il modo in cui i suoi sguardi mi trafiggono, mi spaventano. Non ci sono abituato. Lei conosce le mie fragilità, sa ormai tutto di me. Eppure, voglio ancora che a vincere siano sempre i momenti in cui mi veda impavido, fiero. Come uno di quei ragazzi che sa dire la parola giusta al momento giusto.
Minuti dopo sono seduto come un soldatino sullo sgabello che affianca la doccia. È troppo piccolo per me. Mi sento un bambino pronto a farsi tagliare i capelli dalla propria mamma.
È finalmente vestita, ma i capelli sono umidi e le sue gambe bellissime sono ancora bagnate dalla luce lattiginosa dell'alba.
Le spiego velocemente cosa debba fare. Non le chiedo nemmeno se abbia mai fatto la barba a qualcuno. Do per scontato che la sua risposta sia negativa, non avendo avuto un padre molto presente. Neanche il mio, ovviamente, mi ha spiegato come radermi, cosa fare per evitare di sfregiarmi la faccia. Non che gli sarebbe importato. Magari con un bello sfregio lungo la pelle, sarei stato meno mostruoso ai suoi occhi. Non c'era già più quando prese a farsi prepotente sulle mie guance, sul mio mento. Fu il padre di Taylor ad insegnarmi a farla. Lo fece sia con me che con suo figlio. Ricordo ancora quel pomeriggio, nel loro bagno. La casa di Taylor è stato un caldo rifugio per tanti anni. Così come erano calde le grandi mani di suo padre mentre stringevano le mie per spiegarmi a tenere il rasoio nella posizione giusta. Erano anche callose, tipiche di un uomo abituato a lavorare tanto con le mani. Profumava di caffè.
Kathleen mi dice di aver capito tutto. Mentre inizia con il suo lavoro mi sembra una bambina. È felice e vede il tutto come un gioco.
Emana un buon profumo, in modo ancora più intenso del solito, e i suoi occhi grandi sono concentrati su di me. Le sue dita sono leggere e morbide mentre mi tocca le guance. Stranamente sono anche calde. Di solito sono sempre fredde, dandomi di conseguenza la possibilità di stringerle tra le mie. L'anulare sinistro è colorato dall'anellino di plastica che vanta come se fosse un gioiello prezioso; al polso ciondola il braccialetto che le ho regalato a Natale; a sfiorare il petto la collana con il ciondolo porta foto. Deglutisco con lentezza, cercando di non agitarmi troppo. Un anno fa immaginare che avrei avuto una ragazza del genere ad un palmo da me mi avrebbe fatto ridere e piangere nello stesso momento. Oggi è la mia realtà. Mi ricordo di quando, lo scorso dicembre, mi sfiorò i lineamenti durante mosca cieca, nella serata natalizia del club del libro della favolosa Cecily, sua nonna. Un minuto in più e sarei svenuto, quel giorno. Per lei era solo un gioco probabilmente. Per me era un assalto al cuore.
È brava. I suoi movimenti sono delicati. Non ho paura che possa tagliarmi. Non ce l'ho nemmeno per un secondo. Sento che lei non mi farebbe del male neanche se per qualche motivo lo volesse. Mi fido di lei. Il rasoio sembra un pennello tra le sue dita. Anche se più che una tela, mi sento più una scultura tra le sue mani. Mi modellano. Stringe gli occhi per raggiungere alcuni angoli. La aiuto, gonfiando le guance. Poi si inumidisce le labbra, facendo saettare il mio sguardo sulla sua bocca. Solo per un secondo.
Mi distrae dai miei pensieri quando mi fa presente che la stia distraendo con i miei sguardi insistenti.
Penso allora che possa capire come mi senta ogni volta. Lei è una continua distrazione per me. Non posso farci nulla. Il mio cuore si dibatte come matto in una camicia di forza ogni volta che mi sia vicina.
Glielo faccio presente. A volte, minimizzo dato che lo faccio tutti i giorni da che stia con lei, mi chiedo se non stia sognando. Se non sia finito in una realtà onirica, parallela magari. Se non sia caduto in un sogno, di quelli da cui non vorresti mai svegliarti. Da quelli che percepisci che siano solo sogni, che devi per forza riaffacciarti nella realtà se no il dolore sarà troppo forte da sopportare, ma da cui vuoi lasciarti avvolgere per l'eternità.
Mi dice che devo abituarmi. Lei è la realtà, non è sogno. Mi ricorda che meriti amore e bellezza. E allora non ce la faccio più a trattenermi. Cedo alla sua magia per l'ennesima volta.
Me ne frego di ogni trappola e la travolgo. Le stringo il polso tra le dita. Lei lascia cadere il rasoio, ricambiando il mio bacio dapprima con lentezza, sorpresa forse che stia mostrando dell'intraprendenza dopo aver fatto lo stoccafisso per chissà quanto tempo. Ci mette poco a rispondere con sempre più trasporto. La trascino su di me. Lascio che si sieda sulle mie cosce. La stringo mentre la mia bocca rincorre la sua con foga. Ho paura che difficilmente potrà vivere ancora emozioni simili. Ho paura che tutto questo un giorno sarà solo un bel ricordo. Non voglio. Voglio che lei sappia quanto io la ami e quanto il mio amore possa essere così forte da tenerla stretta a me per sempre. Le accarezzo i capelli bagnati, poi sposto le mani sulla sua schiena per avvicinarla ancora di più a me. Trema un po' mentre la sfioro. Lo faccio anch'io. La sento la scossa di cui avevo paura fino a pochi minuti fa. Mi incendia.
In questo momento sento che tra le sue mani ha tutto di me. Che con lei ci sia il mio cuore, la mia anima, i miei occhi, la mia bocca, le mie mani.
Perderei tutto. Di me rimarrebbe il nulla, se lei se ne andasse.
***
-Allora, cari i miei monellacci, come passerete la nottata? Spupazzerete le vostre ragazze o siete troppo spaventati?
Malia stringe le sue braccia esili attorno alle nostre. Cammina come se avesse ancora tutta l'estate davanti a sé e non solo un misero tratto in una radura poco lontana da casa; guarda me e Taylor con quella sua luce particolare. Le fa brillare gli occhi a mandorla ricordandomi la bambina con cui ho condiviso il bello e il brutto della mia infanzia.
-Ma da quando sei così sboccata, Nanerottola? Spupazzare... pff, che modo poco elegante per esprimerti. – le do una gomitata.
Sobbalza leggermente, mettendosi a ridere.
-Che puritano che sei, Ciuffetto! Vedo come la guardi la tua Kathleen. So che non siete arrivati in quarta base, ma non per questo non è tuo desiderio farlo, sbaglio? – muove ritmicamente le sopracciglia.
Mi volto a guardarla, mentre Taylor soffoca una risatina.
-E tu non ridere. Neanche tu hai quagliato un granché con Pamela, si capisce. Sarete arrivati in terza base, a occhio e croce. – Malia lo riprende. Lui smette subito di ridere, facendo una smorfia.
-Te lo ha detto lei? – le domando.
-Gliel'ho chiesto, sì. – confessa.
Poi lascia le nostre braccia e si siede vicino al lago. Si sfila velocemente i sandali e prende a giocare con l'acqua. Batte i piedi contro la superfice del lago come se fosse una bambina piccola e non avesse lunghe gambe da gazzella.
-Tu, invece? Con Tom...- lascio la frase in sospeso. Mi siedo poi al suo fianco. Taylor mi imita.
-Se ce la spassiamo sotto le coperte? Beh, sì, ci divertiamo più di quanto voi lo facciate con le vostre ragazze. – si mette a ridere.
-Holden, ma l'hai sentita? – Taylor le dà una spinta leggera. – Ragazzina, fai attenzione, okay?
-Certo che l'ho sentita. Questa nanerottola si dà alla pazza gioia con quello lì. – avverto una punta di fastidio nella mia voce. Malia, ne ho avuto più di una volta conferma, è ormai più simile a una sorella.
-La finite? Non sono più una bambina. Ho tutto il diritto di divertirmi. – ci fa una linguaccia.
Io e Taylor scuotiamo la testa nello stesso momento, entrambi consapevoli di non poterci fare nulla. Poi mi lascio ricadere sull'erba. Intreccio le mani dietro la testa, sentendo la maglietta sollevarsi sopra la pancia. Un leggero soffio di vento solletica la mia pelle.
-Voi, invece, perché non avete ancora fatto progressi con le vostre ragazze? Paura di fare cilecca?
Malia è sempre stata così. Niente peli sulla lingua. Verità, nient'altro che la verità.
Quando ero piccolo e mi rifugiavo a casa sua, lei reagiva sempre con rabbia. Non nei miei confronti, ma in quelli di mio padre. Sollevava il pungo e digrignava i denti, rivolgendo lo sguardo verso la nostra casa, ben visibile dalla sua finestra. Aveva la mia stessa età, ma era decisamente più coraggiosa di me.
-Ti piacerebbe! Stiamo semplicemente aspettando il momento giusto. Ti ho raccontato che con la mia ex non è stato nulla di romantico. Con Pam, invece, voglio fare le cose per bene. Merita tutte le attenzioni di questo mondo.
-Oh, ma che carino! Taylor innamorato. – sbatte le ciglia civettuola, prendendolo in giro. - E tu, Ciuffetto?
Faccio un bel respiro. – Stiamo aspettando il momento giusto anche noi. – ripeto.
-E basta? Non c'è davvero altro motivo per cui non ti sia fatto ancora avanti?
-Questa domanda a Taylor non l'hai mica fatta. – osservo.
-Che c'entra, per lui non sarebbe la prima volta. Per te sì, invece.
-Proprio per questo la tempistica è ancora più importante.
-La tempistica. – mi guarda indagatrice. – Non è che non sai come si fa, vero? Devo spiegarti con un disegnino cosa tu debba fare?
-Ma la finisci? – le lancio un'occhiataccia. – Non sono più un bambino, Malia.
A volte temo se ne dimentichi.
Fa silenzio per qualche secondo, poi si siede sulle ginocchia.
-Hai ragione. Ho fatto un po' troppo la scema, scusami. Mi perdoni? – prende a punzecchiarmi il dorso della mano con la punta dell'indice.
-Va bene. – mi scappa un sorrisino.
A lei perdonerei ogni cosa. O quasi.
-Volevo solo prenderti in giro. – ribadisce. - È solo che pensavo che, essendo entrambi chiaramente molto innamorati l'uno dell'altra e stando insieme già da un po', non avreste aspettato troppo per strapparvi i vestiti di dosso. Mi hai dato un due di picche a Capodanno e ti ritrovo ancora verginello. Fa strano. – fa spallucce.
-Non dirlo come se fossi delusa. Non è piaciuto neanche a te il nostro bacio di Capodanno. – le ricordo.
-Non ricordatemelo, vi prego. Mi viene da vomitare. – Taylor simula un conato. – Siete disgustosi. Dei mostri. Che schifo. – fa una faccia inorridita.
Non dimenticherò mai la sua faccia quando venne a sapere di quello che era successo tra me e lei la notte di Capodanno. Impallidì e sgranò gli occhi a dismisura. Se fosse stato in procinto di avere un infarto avrebbe avuto una cera migliore.
Io e Malia scoppiamo a ridere.
-Holden bacia benissimo, Reddy. Peccato che tu non sia abbastanza coraggioso da provarlo sulla tua pelle.
Taylor stacca un mucchio di fili d'erba dal terreno al suo fianco, lanciandoglielo addosso. Lei caccia un piccolo urlo, mettendosi a ridere.
-Comunque, non mi hai risposto, Ciuffetto. – torna seria. – Cos'è che vi blocca?
-Te l'ho detto. Non è ancora arrivato il momento giusto. – rispondo, allora. - Io e Kathleen siamo così diversi, ma anche... - faccio una pausa. - così simili. Fino a oggi abbiamo passato tanti momenti da soli, soprattutto di pomeriggio, ma... non abbiamo mai creato, o non si è ma creata, la situazione giusta per spingerci oltre. Credo che manchi da parte di entrambi quella voglia di allentare ogni freno.
-La voglia, oppure il coraggio? – si sdraia al mio fianco, volgendo il suo viso verso il mio profilo.
-Il coraggio. Da parte mia, sicuramente. – confesso.
Mi guarda per qualche secondo, in silenzio. Sembra voler ponderare bene le parole giuste da dirmi.
-Bene. – riprende. - Sei stato sincero. – torna a guardare il cielo. Taylor ci imita, sdraiandosi vicino a lei. Non mi chiede di cosa abbia paura. Lei sa. – Non c'è fretta, Ciuffetto. So già che quando sentirete che è arrivato il momento ve lo godrete come matti. Con le mani che ti ritrovi, è assicurato il divertimento.
Mi sento arrossire. Odio questa sua capacità di mettermi in imbarazzo con la sua eccessiva spigliatezza.
-Smetterai mai di fare la scema? – la rimprovero.
-No. Fa parte del mio DNA.- mi fa una linguaccia.
-Credo che questa scema abbia ragione. – rimbecca Taylor. – Per parafrasare la sua frase in modo più romantico, voi due vi amate così tante che avrete sicuramente una prima volta da sogno. In ogni caso, non c'è fretta. Non c'è mica un orologio a pendere sopra le vostre teste.
-E io che ho detto? – Malia gli dà una spallata.
Non dico nulla, ma so che entrambi abbiano ragione. Non ho fretta. Sento che io e Kathleen stiamo semplicemente godendoci ogni attimo, amandoci nel modo che per il momento ci viene meglio. A volte, però, mi chiedo se per caso lei non stia aspettando un qualche segnale da parte mia.
-Quando capirò che è il momento? – le parole mi escono di bocca senza che ci stia troppo a pensare.
Sento che entrambi smettono di bisticciare per voltarsi verso di me.
-Quando sia tu che Kathleen spegnerete il cervello.
-E come si spegne il cervello?
-Dai, Ciuffetto, non farmi spiegare proprio tutto. – Malia prende a reggersi la testa con la mano sinistra. I lunghi capelli castani a ciondolarle dalla spalla destra. – Sono sicura che tu sappia bene cosa significa staccare la spina quando stai con lei. Non c'è bisogno di un manuale, lo capisci e basta. Riesci a fare ancora quella cosa dei semafori?
-Intendi soffiarci contro per far scattare il verde? – chiedo.
-Già, questa stramberia.
-Certo che ci riesco ancora. Il mio è un talento. – faccio un mezzo sorriso.
-Beh, quando decidi che è il momento di soffiare non c'è nessuno che te lo dica, no?
-No. Lo sento dentro.
-Ecco. Quando tu e Kathleen sentirete che il vostro semaforo potrà diventare verde... lo sentirai dentro. Intanto, piccolo trucco, smettila di farti venire troppe paranoie. Ci sta essere rispettosi, per carità, però ogni tanto... lasciati andare. A noi donne piace essere sorprese. Non so se te ne accorgi, ma Kathleen ti mangia con gli occhi, Holden.
E allora di noi due non rimarrà più nulla un giorno, perché anche i miei occhi fanno lo stesso con lei.
***
Al ritorno, le ragazze e Tony sono già in posizione "lucertola".
La mia Kathleen ha la pelle coperta da uno spesso strato di crema protettiva, un capello gigante a coprirle la testa e un libro tra le mani. Scommetto che è qualche romanzo di ambientazione vittoriana oppure uno di formazione. Amo il modo in cui entri in simbiosi con i libri. Se la si guarda in controluce si può notare chiaramente come ogni lettera, ogni parola, ogni riga le scorra su ogni angolo del corpo quando legga. La fronte corrucciata, gli occhi concentrati, la bocca arricciata, a volte morsa dai denti perfetti, le dita che si stringono alle pagine come se da esse dipendesse la sua stessa vita. Princeton sta per accogliere un vero portento.
Non mi viene concesso di rimanere imbambolato a guardarla, perché subito Tom organizza dei giochi con la palla a cui non posso sottrarmi. Mi diverto. Io, Malia, Taylor e Tom facciamo squadra contro Pam, Chas e Tony. Leen si rifiuta di prendere parte alle partite. Fa delle smorfie di disgusto e dei gesti di paura quando la invitiamo a giocare con noi. Soffoco delle risatine, pensando che avrò modo di essere insistente quando le chiederò di entrare in acqua. Non mi sono di certo dimenticato di doverle insegnare almeno a stare a galla. Che poi... insegnare è davvero un parolone. È nella nostra natura galleggiare.
È bello sentire i suoi sorrisi e i suoi sguardi addosso mentre noi giochiamo. Come ormai succede da diversi mesi, mi sento finalmente parte di qualcosa. Per tanti anni ho avuto solo la compagnia di Taylor e Malia. Poi solo di Taylor. La sola idea di avere un gruppo di amici, di avere più di una persona su cui poter fare affidamento, con cui poter organizzare delle giornate, delle vacanze, con cui poter condividere il bello e il brutto della quotidianità mi sembrava inopportuna, quasi sbagliata. Ora invece è tutto così naturale. Tutto così piacevole.
La palla mi colpisce in pieno proprio nel vivo dei miei pensieri. Malia se la ride mentre scivolo, cadendo per terra come uno stupido. Lo fanno anche gli altri, soprattutto Kathleen. Si copre la bocca con la mano sinistra, stringendo il libro con la destra. Le brillano gli occhi.
Faccio finta di prendermela, mostrandole quello che la aspetta. Le faccio credere che fra poco arriverà il mio momento di divertirmi, quando entreremo nel lago.
In realtà sono più agitato che divertito. Più di quanto dia a vedere. Devo scendere a patti con la realtà dei fatti. E lo faccio poche ore dopo. Sembra agitata anche lei. Anzi, non è solo un apparire, ma è proprio un essere. Ha davvero il terrore di perdere il controllo e di affondare. La costringo a scendere dal suo fedele dinosauro di gomma, prendendole le mani. Voglio che oggi il suo rapporto con l'acqua cambi. Che capisca che non c'è bisogno di temerla, ma che debba fidarsi di lei. La vedo impaurita, così, di istinto, la prendo in braccio. Le tocco le gambe, mentre la sua spalla e il suo braccio mi sfiorano il petto. È bello sentirla così a contatto, pelle contro pelle. Ed è ancora più bello non sentirmi inopportuno quando la tocchi. Poter fare naturalmente gesti come questo senza quella paura che a volte mi intrappola in modo irrazionale.
Il mio gesto la preoccupa. Teme che possa gettarla in acqua, e nel mentre mi ricorda che se lo facessi me la farebbe pagare per tutta la notte, dovendola passare con me. È la prima volta che menzioni ciò che ci aspetti. Un brivido mi attraversa le dita quando lo dice. Le prometto che non la farò cadere e che mi ricordo bene che sarà tutta mia nelle prossime ore. Come potrei dimenticarmene. Se solo sapesse che labirinto sia oggi la mia testa.
Pian piano la immergo nel lago. La tengo sempre salda a me. Le faccio capire che non la mollo. Provo a risultare ancora più convincente, e avvicinandomi al suo orecchio le suggerisco di chiudere gli occhi e di lasciarsi abbracciare dalla natura.
Lo fa, ma la sento ancora troppo rigida. Ha un po' di pelle d'oca sulle braccia e si aggrappa a me con tutte le sue forze. Provo a tranquillizzarla, lasciandole piccoli baci sul collo che forse sortiscono l'effetto sperato, ma che nel frattempo scombussolano me. La sua pelle è calda, profumata e soffice. Sa di sole, nuvole, zucchero filato. Potrei passare la vita in questo modo. La mia bocca sul suo corpo e la natura a farci da palcoscenico. Lei trema, ma si lascia andare. Pian piano si fa leggera. Allento la presa poco a poco; quando mi accorgo che ormai ci è riuscita: galleggia. Le rimango vicino, ma ormai sta facendo tutto da sola. Si fida di me e dell'acqua. È libera da quest'altra paura. Mi sento così felice.
Galleggia e sorride. Non si accorge nemmeno che lo stia facendo. Quando glielo faccio notare apre gli occhi. Per un secondo l'ombra della paura le attraversa gli occhi, poi però mi guarda e si rasserena di colpo. Mi dice che è bellissimo quello che stia provando. Io penso che sia lei quella bellissima.
-Te l'ho già detto più di una volta: non devi mai fare l'errore di sottovalutarti. – le ricordo. Lo fa troppe volte. Se solo si vedesse con i miei occhi capirebbe che potrebbe volare, solcare i mari più profondi e brillare nella notte senza alcuno sforzo. Ha ali, una coda di sirena al posto delle gambe, e l'anima che le arde.
La affianco. L'acqua a sorreggerci; il sole a illuminarci; un altro momento felice che si sedimenta al centro del mio petto.
***
-Okay, posso andare allora?
-Certo che puoi. – sistemo il cuscino per la centesima volta.
-Stai bene? È tutto okay?
-Taylor, - mi fermo, sospirando. – Sto benissimo. Pamela ti sta aspettando. Vai.
Mi mette le mani sulle spalle e fissa i suoi occhi verdi nei miei.
-Pensi che questa sarà la notte in cui tu e lei... - si ferma.
-Di nuovo? Ne abbiamo già parlato, no?
Mi dicono che non ci sia fretta, eppure credo che parte delle mie paure siano dovute alla pressione che sento da quando ho una ragazza. Come se tutti avessero delle aspettative su di noi.
-Lo avete fatto tu e Malia, non tu e io. Con me puoi essere più libero di parlare di certe cose.
-Lo so. Tuttavia, la mia risposta non cambia. Non so se questa sia la notte giusta. Non credo. Non... non lo so. – ripeto, deglutendo. – Tu e Pamela?
Fa spallucce. – Forse sì, o forse no. Non ci pensiamo. Cioè sì, ci pensiamo. Vediamo come va, okay? Se succede, succede. – sembra molto agitato anche lui. Mi fa sorridere. Forse ha ragione lui. Non dovrei sottovalutare le sue paure.
Annuisco.
-Nel caso tu e Kathleen sentiate che è il momento, nel cassetto del comodino trovi i...
-Sì. – lo fermo.
Annuisce. In questo momento sembra più un fratello maggiore che un amico dalla mia stessa età.
-Mi raccomando, non farti troppe paranoie. Vivi questa notte con serenità. Se succede, succede.
-L'hai già detto. – mi scappa un sorriso.
-L'ho già detto. – sorride anche lui. Poi mi dà una pacca sulla spalla.
-Vado? – fa un passo indietro.
-Certo che devi andartene. Ho passato già troppo tempo con te! – gli do una piccola spinta. – Pamela non vede l'ora che la spupazzi. – muovo ritmicamente le sopracciglia, canzonandolo.
-Sei tu che hai le mani che possono fare magie. – mi fa un occhiolino, prendendo a muovere le dita davanti a sé.
-Avanti, non fare il geloso! Anche le tue non sono male. – sto al gioco.
Si mette a ridere.
Poi poggia la mano sulla maniglia e mi fissa.
Annuisco di nuovo, rispondendo alla sua tacita domanda. Annuisce anche lui in risposta, poi se ne va.
Rimango impalato a guardare la porta per qualche secondo. Sospiro e deglutisco un'altra volta. Mi scrocchio le dita delle mani, faccio un bel respiro e mi volto verso il letto. Con il palmo della mano liscio ogni piega e sprimaccio di nuovo i cuscini.
Voglio che tutto sia in ordine. Che tutto sia perfetto.
Penso che potremmo vedere un film. O almeno potrei far finta di farlo quando in realtà fisserei lei. Dei popcorn. Sì. Potrei prendere qualcosa da mangiare.
Quando faccio per aprire la porta, però, me la trovo davanti. Sobbalzo. Ha la mano chiusa a pugno, a mezz'aria. La prima cosa che mi viene in mente è di salutarla e di chiederle se stia per entrare. Mi accorgo della stupidità della domanda il secondo dopo, così provo a correggere il tiro.
Bastano momenti come questi a cancellare ogni mio atteggiamento di disinvoltura.
Mi domanda se possa entrare. Mi affretto a risponderle affermativamente, giustificando la mia esitazione con la mia consapevolezza che le piaccia prendere un po' d'aria la sera. Me lo conferma, sorridendomi. Per non peggiorare la situazione, le chiedo se voglia accompagnarmi a prendere qualcosa da sgranocchiare dalla cucina. L'idea del film sembra convincere anche lei.
Siamo molto silenziosi nel prendere tutto e nel risalire in camera. Anche in casa tutto tace. Le porte delle varie camere sono chiuse e nemmeno il vento fischia fuori dalle finestre.
-Okay, sistemo il vassoio qui, accanto al computer. – la guardo, aspettando una sua risposta.
Sento il bisogno di avere tutto sotto controllo. Di sapere che non la stia infastidendo con il mio essere imbranato, che vada tutto bene.
Mi tranquillizza. Poi scioglie la vestaglietta leggera che le fascia il corpo. Rimane con dei pantaloncini alquanto corti e una maglietta. Nulla di provocante. Potrebbe indossare anche un sacco, eppure mi farebbe sempre un certo effetto. Mi inumidisco le labbra, d'improvviso troppo asciutte, e sbatto le palpebre velocemente.
Ci guardiamo per qualche secondo, poi ci mettiamo a letto.
Indelebili nella mia memoria ci sono tutti i pomeriggi in cui siamo rimasti distesi sul letto della mia camera, oppure sul suo. Le ore passate a chiacchierare di tutto e di niente, a ricercare le sue dita per stringerle alle mie, a farle il solletico per il piacere di sentire il suono delle sue risate, con il suo Wolverine che miagolava un po' geloso, un po' divertito.
Ora è diverso, però. I nostri movimenti sono misurati e cauti. Fa così strano sapere che siamo soli in questa stanza, che la notte ci scruti attenta e che proprio qui e adesso potremmo lasciare che i nostri corpi parlino una lingua diversa.
Le propongo La La Land. Ci ho pensato per tutta la cena, e alla fine ho optato per questo film perché lo trovo bellissimo. Ha tutto: un bel cast, una bella scenografia, una bellissima colonna sonora, una trama emozionante.
Kathleen mi si fa vicina dopo pochi secondi. Sento i suoi sguardi su di me. Sorrido.
Scherziamo su Emma Stone, Ryan Gosling e sul fatto che dovremmo limitarci ad amarci a vicenda. La faccio ridere quando nomino Pamela Anderson. Mi piace divertirmi con lei. Accorgermi di avere nelle mie mani il potere di farla sorridere.
Poi si àncora al mio braccio, prendendo a fissarmi. Quando fa così, mi fa sentire vulnerabile, ma anche potente. Mi fa sentire bellissimo. Quasi un supereroe, per davvero. Certo, non uno di quelli come Thor, ma piuttosto uno come Spider- Man. Occhialoni, bravo a scuola, la nomea dello sfigato appiccicata addosso, una cotta non ricambiata, per tanto tempo, per una ragazza bella e speciale. Sì, in effetti io mi sento molto come Peter Parker quando sto con lei. Kathleen è la mia Mary Jane. Per essere riuscito a conquistare la ragazza dei miei sogni devo avercelo per forza qualche super potere.
Con la punta delle dita accarezzo il dorso della sua mano. Scrivo con una penna invisibile, per ben quindici volte, che la ami. Ogni occasione è giusta per ricordarglielo. La vedo sorridere.
Quando il film comincia a carburare, prendo a guardarla con la coda dell'occhio. Divora ogni scena con attenzione. Ogni tanto schiude le labbra, in alcuni momenti canticchia qualche parola, in altri dondola il ginocchio come se volesse ballare. Poi corruccia la fronte e stringe tra le dita il tessuto della mia maglietta, nervosa. Gliele accarezzo con le mie. Poi le sistemo alcune ciocche di capelli dietro le orecchie. Arriva alla fine con le lacrime agli occhi. Sembra davvero triste.
Provo a convincerla che il film sia bellissimo anche se ha un finale meno convenzionale, ma non ci riesco. Mi fa tenerezza. Si impunta sul fatto che l'amore dovrebbe avere sempre un lieto fine. Nonostante non abbia vissuto in famiglia un amore da favola, lei continua a crederci. Se non lo facessi anch'io, seppur in misura minore rispetto a lei, ci sarebbe da invidiarla. Due si amano e quindi devono finire insieme, insiste. Senza 'se' e senza 'ma'. Finisco per dirle che l'amore a volte non basta. Non perché sia una persona cinica, ma perché ne ho vissute tante e so che la vita sa essere infida. Anche il mio caro John Keats lo dimostra. La parte più razionale di me sa che a volte, per chissà quale trappola interna ed esterna, anche l'amore più puro finisce per essere messo da parte.
Nel frattempo, le accarezzo di nuovo i capelli e la stringo ancora più forte a me. Sento di doverle dimostrare che in ogni caso noi non siamo Sebastian e Mia.
Arriva a chiedermi se a noi l'amore basterà sempre e comunque. Percepisco la sua preoccupazione. Mi coglie impreparato. Non pensavo che nella sua mente si stesse affacciando questo dubbio. Forse sono stato troppo duro. Forse ho scelto il film sbagliato. Non le rispondo subito. Inizio a pensare a tante cose, alcune in contrasto tra loro. Io so che la amo. Tantissimo. Una vocetta dentro di me, però, mi dice che non posso rispondere a questa domanda con un 'sì' netto perché è tutto così dannatamente imprevedibile. La metto subito a tacere. Sono sempre stato per il vivere nel presente, per il godersi l'attimo.
Le mie parole la tranquillizzano. Subito si stringe al mio petto. Sorrido. Poi il mio sguardo si ferma sullo schermo ormai scuro del computer. Mi schiarisco la voce e chiudo tutto, con lentezza.
E adesso?
Il cuore torna a essere troppo veloce.
Comincio dalla cosa più facile. La stringo e le bacio la testa. Le confesso che sia stata la vacanza più bella della mia vita. È la verità. Mi sono sentito per tutto il tempo leggero, preda di una felicità che difficilmente avevo mai provato.
Finisce per ringraziarmi per averle data un'altra possibilità. E mi blocco. So che lo fa con innocenza, che vuole farmi capire che si senta fortunata ad essere al mio fianco. Tuttavia, non mi piace che lo faccia. Stiamo insieme da mesi. Lo siamo perché siamo innamorati. Non deve dirmi 'grazie' perché la ami o perché lei ami me. Glielo faccio capire. Mi lascio sfuggire che la desideri con il cuore e anche con il corpo. La voglio. La amo. Non sto con lei per dovere.
-Lo sai che questa notte gli altri... - rompo il silenzio.
Sobbalza leggermente, sorpresa che possa aver detto una cosa del genere. Sono sorpreso anch'io. Ho una paura folle perché non so cosa fare eppure la voglia di capire cosa voglia fare lei mi spinge a essere più disinibito.
L' aria si fa tesa e lei scoppia a ridere, contagiando anche a me. È imbarazzata quanto me e questo mi conforta.
È il suo momento di sorprendermi quando mi chiede cosa voglia fare. Cosa voglia fare. Sembra che voglia che sia io a scegliere. Ma queste cose si scelgono in due.
-Oh... qualche idea ce l'avrei. – do voce ai miei pensieri. Un po' per divertirla. Un po' per fare quello sicuro di sé.
In teoria è vero, nella pratica però... il semaforo è ancora rosso.
-Ma sentilo. – risponde.
La voce le trema un po'. Ha paura. Non sa cosa fare e vuole che sia io a decidere tutto.
La sua presenza è calda e confortevole. La sento così vicina, soffice, mia. Profuma di buono. Mi accende senza fare nulla di particolare.
Ripenso alle parole di Malia.
Devo essere rispettoso, ma non farmi troppe paranoie. Forse il nostro semaforo non è ancora verde, ma possiamo farlo diventare arancione, se a lei va.
Mi dimostra che sia spaventata quando aggira il discorso pensando che voglia passare la notte con lei a cantare. Sta chiaramente prendendo tempo, vittima come me di chissà quali pensieri. Non è pronta. Non lo siamo. Se lo fossimo sarebbe forse tutto più naturale.
Le propongo il mio piano: baciarla e farlo fino a quando le nostre bocche non saranno sazie. Mi sembra un buon progetto per questa prima notte che passiamo insieme.
Ritorna d'improvviso più serena, lanciandomi frecciatine che mi fanno ridere.
La bacio, poi mi fermo. È un gioco tutto nostro che rende l'aria più elettrica.
Mi minaccia di non fermarmi, così acquisto maggiore sicurezza. Le sue mani prendono ad accarezzarmi il viso e poi il collo; le mie scendono curiosamente verso il basso. Le sfioro la vita e la pancia, poi sento la mia voce chiederle se possa sollevarle la maglietta. Sono terrorizzato. Allo stesso tempo ho dei desideri che non voglio silenziare. Voglio toccarle la pelle. Voglio sentire il suo calore, la sua morbidezza sui polpastrelli, sui palmi.
Esita per qualche istante, ma poi accetta. Ho paura di spaventarla, di correre troppo, così procedo a piccoli passi. Con la punta dell'indice percorro una linea immaginaria attorno al suo ombelico. Lo faccio per diverse volte, fino a perderne il contro. La sento fare dei piccoli sospiri. Sono tremolanti, ma non spaventati. Lascio che le mie dita continuino così il loro percorso. Le lascio carezze fugaci sulla sua pancia. Ha la pelle liscia, soffice, caldissima. Proprio come immaginavo. Anzi, meglio. Azzardo dei pensieri più pericolosi. Vorrei sostituire le dita con la bocca, ma prima che questo pensiero possa farsi insistente, sento le sue mani intrufolarsi sotto la mia maglietta. Mi coglie impreparato.
Mi accarezza, rendendo il mio respiro più lento. Arrivo a trattenerlo. Sento il mio corpo irrigidirsi. Nessuna ragazza mi aveva mai riservato certe attenzioni. Non sono abituato a sentire mani così gentili amare la mia pelle come fa lei. Penso che forse possa sentire quanto sia magro e quanto sia poco in forma rispetto a tanti altri ragazzi. Che possa trovare poco gradevole la mia pelle. Che possa accorgersi che mi veda più bello di quanto non sarò mai.
Giustifico la mia rigidità, e subito è il suo turno di infondermi tranquillità. Non stiamo facendo nulla di brutto. Ci stiamo scambiando attenzioni belle, bellissime.
Con le dita continua con i suoi movimenti. Piccoli, gentili.
Le carezze continuano, delicate e timide. Mi sfiora l'ombelico, poi percorre con i polpastrelli quei pochi muscoli che si affacciano sul mio addome grazie agli allenamenti di basket. Nulla di scolpito. A lei sembra non importare nemmeno un po'.
Mi lascio andare un po' di più.
Torniamo poi a permettere solo alle bocche di essere più fameliche, di amarsi con quella passione che i nostri corpi temono ancora.
Le mordicchio le labbra. Fa lo stesso con le mie.
I sospiri si intrecciano come le nostre mani.
Il mio cuore si dimena inferocito.
Sarebbe così facile lasciarmi andare, ma... non è il momento giusto.
So che quando io e lei saremo pronti a soffiare contro quel semaforo immaginario che d'ora in poi figurerò sempre nella mia mente, lui, il cuore, prenderà il volo.
Per adesso va benissimo così.
Ciao, girasoli!! 🌻
Da quanto tempo!! Come state?
Mi mancavate, sapete?
Vi chiedo scusa se sono stata assente per diverse settimane. Purtroppo, non è un periodo molto facile per me per una serie di ragioni. Non mi dilungo perché voglio che questi nostri angolini rimangano felici e sereni, però sappiate che ho pensato spesso alla scrittura. È la mia àncora di salvezza. Per cui, non credo ci sia bisogno di dirlo, ma lo faccio lo stesso, anche se a volte potrò essere lenta con gli aggiornamenti, io ci sono e non mollo di certo la storia... 💗
Detto questo, passiamo alle cose importanti. Che mi dite di questo speciale? Dovevamo "festeggiare" le 100K letture di "Come (non) innamorarsi di Holden Morris" e, come saprete, su Instagram ha vinto la bellissima proposta di farvi leggere il capitolo La La Land dal punto di vista di Holden. Come sempre, non è stato facile vestire i suoi panni, ma allo stesso tempo è stato molto bello farlo. Mi permette di conoscere suoi lati di cui io stessa sono a conoscenza in modo parziale. Per cui, grazie di avermi dato la possibilità di riscrivere dalla sua prospettiva un capitolo come La La Land.
Non è lunghissimo, è vero, ma trovo che sia bello carico. Ci sono pochi dialoghi e a prevalere è la parte più introspettiva di Holden. Facciamo un piccolo viaggio all'interno della sua testa e della sua anima e scopriamo cosa abbia provato durante questa vacanza al lago, soprattutto durante l'ultima sera. Non so se vi aspettavate qualcosa di diverso, ma spero che il risultato finale vi sia piaciuto.
Credo che per questo speciale fosse più opportuno procedere senza troppe descrizioni, o senza troppi dialoghi. Per questi abbiamo già Kat, no?
Che dire... io sono tutta orecchi. Sono davvero curiosa di sapere cosa ne pensiate, se qualcosa vi abbia colpito di più o di meno. Insomma, quello che vi va. Leggervi mi rende sempre molto felice, lo sapete! ❤️
Grazie per tutto il vostro sostegno, davvero 💚
Spero di poter pubblicare presto il nuovo capitolo, quindi di tornare al punto di vista di Kat e di conseguenza a Princeton. Purtroppo non l'ho ancora iniziato, ma spero di poterlo fare in questi giorni.
Vi abbraccio forte,
a presto,
Rob
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