Sacrificabile in un rito azteco
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Sacrificabile in un rito azteco
Lunedì c'è la prima partita e io ho voglia di lasciare il paese! Forse non sono tagliato per fare il manager... non ho le spalle abbastanza larghe...
Vuol dire che non sei pronto per indossare il "manto della responsabilità"?
Prima di andare bene a me, il "manto della responsabilità" ha bisogno di considerevoli modifiche.
(Peanuts– Charles M. Schulz)
–Mamma, sono a casa! – urlo.
Il passo successivo è far cadere il borsone sul pavimento e lasciare il trolley all'entrata.
Wolverine è il primo a raggiungermi. Scende le scale con più velocità del normale. Un po' perché chiaramente gli sono mancata, un po' perché i tre chili in meno si fanno sentire. Lo prendo tra le mie braccia, spupazzandolo tutto e ricevendo in cambio delle fusa.
La mamma lo segue a ruota. Sbuca dalla cucina con aria felice. Se fossimo in un cartone animato avrebbe le stelline negli occhi e un'aurea luminosa a far risplendere la sua figura.
–Tesoro mio! Com'è andata? – mi stringe tra le sue braccia.
Ricambio l'abbraccio.
–Benissimo! Sono ancora sacrificabile in qualche vecchio rito azteco. – vado subito al dunque.
D'altronde il "com'è andata?" non può che sottendere il "ti sei chiusa nella stessa camera di Holden? Ci hai fatto qualcosa? Mi farai diventare nonna troppo presto?"
–Che intendi? – corruccia la fronte, scostandosi da me.
–Non sono le vergini quelle che vengono sacrificate nei riti? – le faccio un occhiolino.
Ci mette poco a unire i punti e a capire.
Fa una smorfia di disappunto, rimproverandomi con lo sguardo per la mia palese prese in giro. Tuttavia, sono sicura che sia anche sollevata. Ometto perciò di dirle che io e Holden abbiamo dormito, o quasi, insieme. E soprattutto che tra me, Chas, e Pam una delle tre non è più sacrificabile in nessun rito.
–Sei tutta matta, tu, figlia mia! – mi dà uno scappellotto che riesce solo a farmi ridere.
L'abbraccio di nuovo, divertita e felice di vederla. Forse sono più pronta di lei all'idea che questa quotidianità non sarà più la mia fra poco tempo, però la tristezza di perdere tante abitudini mi pervade allo stesso modo. L'idea di non sentire più la sua voce al mattino, di non avere più davanti agli occhi l'immagine di lei che stringe tra le braccia la scopa come se fosse una chitarra o di quando si trucca davanti allo specchio, con i capelli biondi raccolti con un mollettone colorato. Mi mancherà il suo profumo, sentire la sofficità della sua pelle, perdermi nei suoi occhi scuri, così simili ai miei. Sentirò la mancanza persino dei nostri bisticci; del suo modo di incasinarmi la stanza quando la pulisce, di quando alza la voce anche quando le sono vicina. Del suo modo di cucinare orribile, ma inconfondibilmente suo. Mi mancherà Wolverine; vederlo acciambellato tutto il tempo, sentire il suo musetto sul dorso delle mie mani, mettergli una serie tv su Netflix, sgridarlo per la sua vita sedentaria, immergere le mie dita nel suo pelo dopo una giornata stancante.
–Ti va di vedere un film? Ho preso una giornata libera da lavoro. Magari mi racconti anche com'è andata, tranne la parte sui riti aztechi.
Ridacchio.
–Va benissimo! – accetto all'istante. – Però devi confessare che sei contenta di avere ancora una figlia sacrificabile.
–Contentissima. – solleva le mani, poi mi sorride.
Passiamo il resto delle ore accoccolate sul divano. Abbiamo optato per Vacanze Romane e per Sabrina. Gregory Peck per me; Humphrey Bogart per lei; Audrey Hepburn per entrambe. Nel frattempo, le ho detto che ho imparato a stare a galla, che ho passato la serata a fare karaoke, a giocare, a vedere film horror e a raccontare e ad ascoltare storie. La vedo, malgrado abbia precisato di non voler affrontare l'argomento, come cerchi di farmi delle domande che possano fregarmi, ma sono abile nel descrivere nel dettaglio ogni particolare della camera che ho condiviso con Malia.
Bob ci raggiunge per l'ora di cena. Mi stringe in un abbraccio caloroso e mi fa sorridere quando mi mette sotto il naso una busta bianca con dentro dei biscottini comprati da quello che da mesi è diventato il nostro luogo di ritrovo preferito: la panetteria in cui chiacchierammo quasi un anno fa per affrontare la questione di Chastity e della festa di Halloween. Quando gli diedi la mia benedizione, per intenderci. Sembra passato un secolo da allora.
A tarda sera, con Wolverine tra le mie braccia, trascino le valigie in stanza, poi mi lascio ricadere a peso morto sul letto.
Questo è stato il viaggio di ritorno più strano della mia vita. È stato strano tornare con la consapevolezza di dover ripartire. Certo, manca ancora qualche giorno all'inizio delle lezioni, ma il mio armadio vuoto a metà e la mia scrivania spoglia mi ricordano che tutto sta davvero per succedere. Fra pochi giorni inizierò un nuovo capitolo della mia vita.
Ho ancora un certo sfarfallio allo stomaco se ripenso a quello che è successo in questi giorni. Lascio che le miei guance rimangano paralizzate dalla felicità provocata dai ricordi freschi che iniziano a scorrermi pian piano nella mente.
Ho imparato a stare a galla, mi sono abbronzata (poco, ma meglio di niente!), ho baciato Holden e... ho baciato Holden. Ieri quasi per tutta la notte. Credo, anzi ne sono certa al cubo, che sia stata una delle notti più belle che potrò mai avere la fortuna di vivere. Le sue mani sulla mia pancia, sulle mie braccia, sulle mie guance. I suoi baci soffici e teneri sul collo, sulla mandibola, sulle labbra. Mi è piaciuto come alla fine non abbiamo permesso all'imbarazzo di vincere. O quasi. Gli abbiamo dato una mezza vittoria, mettiamola così. Siamo riusciti a passare una notte bellissima, seppur non ci siamo spinti troppo in là.
Alla fine, sono riuscita a vederlo addormentato solo per pochi minuti, questa mattina, ma è stato bello lo stesso. È stato tenero vederlo con gli occhi chiusi e sentire il suo respiro regolare a scandire ogni secondo.
Sono innamorata persa di lui.
Mi decido solo quando il trolley e il borsone mi guardano con troppo astio a staccarmi dal materasso e ad affrettarmi a disfare i bagagli di modo da mettere tutto in lavatrice e avere il tempo di stirare alcune camicie che voglio portare a Princeton.
Quando finisco, ho a malapena il tempo di sedermi che il cellulare squilla.
–Tortorella! – la nonna rischia di forarmi il timpano.
–Nonna! – trillo, contenta di sentirla.
–È finita la pacchia?
–Purtroppo, sì. Che mi racconti?
–Oh, le solite noiosità. Tu, piuttosto, quand'è che vieni a spifferarmi un po' della tua interessantissima vita? Non penserai mica di svignartela.
–Domattina? – propongo. – Dopo andrò a pranzo a casa di Holden. Stiamo organizzando una giornata al luna park per Phoebe di modo da salutarla come si deve.
–Vada per domattina. Vieni presto, eh!
***
Rivedere nonna Cecily è come prendere una boccata d'aria dopo essere stati chiusi in casa per tanto tempo; come una giornata di sole dopo una di pioggia; come bere un bicchiere d'acqua quando si ha tanta sete. Insomma, è qualcosa di meraviglioso e unico.
Mi accoglie con il suo inconfondibile profumo, i suoi vestiti dai colori sgargianti, i braccialetti tintinnanti e i capelli sale e pepe appena più lunghi del normale.
Mi stringe tra le sue braccia, poi mi invita in casa sua, dove mi attende una fumante tazzina di tè e dei biscotti che profumano di burro, marmellata e zucchero a velo.
Accavalla le gambe e mi guarda negli occhi per qualche istante.
–Allora, pulcino, sono tutta orecchie.
–Da dove vuoi che cominci? – mi porto alle labbra la tazzina.
–Da quello che vuoi. Ti sei divertita in vacanza?
–Tantissimo! – sento la mia voce carica di entusiasmo.
Inizio così a raccontarle ogni cosa, lasciandomi libera su alcuni dettagli che ho volontariamente taciuto alla mamma.
–Quindi, mi è parso di capire bene che tu e il mio Holden non siate arrivati al dunque? – fa, quando finisco.
Di tutto il discorso non poteva che soffermarsi su questo.
–No, nonna. – alzo gli occhi al cielo. – Non abbiamo fatto nulla. O quasi, te l'ho detto.
Fa un sospiro. Di quelli giganti. Come se fosse delusa.
–E ne sei contenta? – indaga.
Scrollo le spalle. – Credo di sì. Se non è successo è perché non era il momento giusto.
–Mi sembra sensato! – annuisce. – Ricorda che quando sarà dovrete volerlo entrambi, mi raccomando.
–Holden è un gentiluomo, lo sai! Non mi forzerebbe mai e ovviamente... non lo farei nemmeno io. – abbasso lo sguardo.
–Bene, era giusto per mettere i puntini sulle 'i'. In più, devi anche ricordare che quando sarà il momento dovrete proteggervi come si deve. – mi sventola il dito contro.
–Dio, nonna! – mi tappo le orecchie. – Non sono una bambina e non sono una sprovveduta.
Fa spallucce. –È sempre bene ricordarle certe cose. Da come vi guardate so che potrebbe succedere tutto molto presto. – mi fa un occhiolino.
Divertente come sua figlia, mia mamma, non voglia neanche sentir parlare di certe cose e di come lei invece non veda quasi l'ora che le faccia.
–Nonna! – la riprendo ancora.
–Fai poco l'ingenua. – incalza. – Lo sai anche tu che ormai vi piacete da matti.
–Lo so. – abbasso lo sguardo. – Anche Malia mi ha detto che c'è molta elettricità nei nostri sguardi.
– Malia? La ragazza filippina? La nostra deus ex machina? – allarga gli occhi ad ogni domanda.
– Tailandese, nonna. Sì, proprio lei. Mi ha chiesto scusa ed io ho fatto altrettanto. – sorrido.
– Ottimo! Hai un'alleata in più. Fa sempre comodo avere un ex nemica come amica. Sono le alleate migliori. – mi fa un altro occhiolino.
– Un'alleata...– annuisco. – Sì, credo anch'io che d'ora in poi la nostra sarà un'alleanza. Soprattutto quando Holden non mi vorrà raccontare qualche storia imbarazzante della sua infanzia. – mi metto a ridere.
Ridacchia anche lei.
– E le tue amiche? Pamela come sta? Domanda scontata, vero? Dopo aver fatto cosacce con quel biondino avrà toccato il cielo con un dito! – fa uno sguardo malizioso.
–Nonn...
–Nonna! – mi interrompe, scimmiottando la mia voce. – Vabbè, era solo per ridere un po'.
Sospiro, non riuscendo a trattenere una risatina. – Sta benissimo.
–Lo immaginavo. – fa una risatina. – Che ti ha detto? Ha avuto una bella prima volta?
–Puoi chiederlo direttamente a lei dato che hai il suo numero di cellulare. Però, sì... pare che sia stata magica. – sorrido.
Ieri mattina Pam è stata tutto un fuoco. Io e Chas dopo essere uscite dalle nostre camere e aver scosso la testa nello stesso momento, mettendoci poi a ridere, l'abbiamo trovata seduta sulla sedia a dondolo che c'era sul porticato, con un sorriso gigante che andava da un orecchio all'altro. Non c'è stato neanche bisogno di chiederle cosa fosse successo. È bastato guardarla un secondo negli occhi per capire tutto quello che c'era da capire. Ci ha tenuto comunque a tacere ogni dubbio, urlando testuali parole: "È successo! Io e Tay l'abbiamo fatto!!!". Il tutto condito con una gioia e un entusiasmo tale da far saltellare me e Chas sul posto. Ci ha raccontato tutto per filo e per segno, parlando come un fiume in piena e rimanendo a fissare il vuoto per la maggior parte del tempo. È stata tutto un: "è stato bellissimo!", "è stato dolcissimo!", "non sono mai stata meglio!". Era f–e–l–i–c–i–s–s–i–m–a. Poi quando ci ha raggiunto anche Taylor, ci siamo dileguate, per lasciarli soli. Era troppo palese che qualcosa tra loro fosse cambiato.
La notizia mi ha fatto un certo effetto. Da un lato mi ha reso troppo felice sapere che Pam, la bimbetta che prese le mie difese all'asilo, abbia fatto un passo così importante e che lo abbia vissuto come tutte le ragazze dovrebbero viverlo: con dolcezza, e tanto amore. Dall'altro, mentre l'ascoltavo, stando attenta a non perdermi nemmeno una parola, mi sono sentita... strana. Quasi... più piccola. Come se in qualche modo non fossimo più sullo stesso livello.
–Nonna. – do un morso ad un biscotto.
–Sì? – solleva un sopracciglio.
–E la tua prima volta, invece? Il tuo primo bacio? Sai, vero, che non me li hai mai raccontati? – osservo.
Per quanto nonna Cecily sia sempre stata più vicina a un'amica che a una nonna, crescendo mi sono accorta che sono sempre stata più io quella chiacchierona delle due; quella che le ha aperto più il suo cuore e la sua testa. Lei, con i suoi preziosi consigli, le sue parole cariche di saggezza e di affetto, mi ha sempre dimostrato il suo amore, ma è sempre stata piuttosto ermetica per quanto riguarda tutto ciò che di più profondo l'abbia toccata. Come se mostrare la parte più vulnerabile di sé fosse qualcosa di impensabile. Come se volesse mostrarsi solo come la nonna forte e positiva che non si è mai lasciata scalfire dalla vita.
Rimane in silenzio per qualche secondo, poi lascia la tazzina sul tavolino che ci fronteggia e intreccia le dita delle mani sul ginocchio destro.
–Non l'ho mai fatto? – solleva un sopracciglio.
–No.
Annuisce tra sé e sé.
–Perché non c'è molto da raccontare, tortorella. – riprende. – La mia prima volta è stata con tuo nonno. Ai miei tempi certe cose era meglio farle dopo il matrimonio. Certo, c'erano delle ragazze che transigevano a questa regola, tuttavia capitava spesso che si sposassero subito dopo con il giovanotto con cui lo avevano fatto, soprattutto se finivano con l'avere la pagnotta in forno. Capisci che intendo, no? – mi guarda dritto negli occhi.
Annuisco. La metafora è alquanto chiara.
–Sai com'è, – riprende. – per gli uomini è sempre stato più facile divertirsi prima del matrimonio, per le donne... una bella lettera scarlatta stampata sulla faccia era la normalità se non si rispettavano certe imposizioni. Le signorine erano educate per fare determinate cose in determinati tempi. E io, per quanto sia sempre stata uno spirito selvaggio, ho preferito fare le cose secondo quella che era la normalità.
Mi limito ad ascoltarla in silenzio.
–Non è stata magica come speravo. – continua. – Era molto bello tuo nonno, te l'ho detto tante volte, ma... non lo era altrettanto nello spirito. – abbassa lo sguardo, facendosi d'improvviso molto seria. – Il mio primo bacio è stato bello, però. – torna a sorridermi.
–Non è stato con il nonno?
–Nossignore. È stato con Benjamin Reed, un ragazzo che conobbi subito dopo il mio personale Nacho Garcia e subito prima di tuo nonno. – fa un mezzo sorriso.
Poso anch'io la mia tazzina, guardandola curiosa. – Non me ne hai mai parlato.
Fa spallucce. – Ogni tanto la mia mente tende a dimenticare le cose belle. Succede anche a te? È più facile ricordare le cose brutte che quelle belle, alcune volte.
Mi prendo qualche secondo per rispondere. Sì, decisamente rimangono impressi i momenti più spiacevoli, più tristi. Quelli così aspri da lasciare graffi qua e là. Quelli felici sono anche i più timidi. Si relegano in angoli diversi dell'anima e sbucano solo in alcuni frangenti.
– Credo di sì. – la guardo negli occhi.
Piega le labbra in un piccolo sorriso.
–Ti ricordi quando ti dissi che se avessi avuto la tua età avrei fatto una corte sfacciata ad un tipo come Holden?
– Certo.
– Beh... può darsi che un tipo come Holden lo abbia incontrato anche io alla tua età. E che gli abbia davvero fatto una corte sfacciata.
Sgrano gli occhi, presa alla sprovvista. – Benjamin?
–Benjamin. – conferma. – Era indubbiamente meno bello di William, tuo nonno. Però... aveva qualcosa di speciale che non ho mai ritrovato in nessun uomo. – le scappa un sospiro. – Certo, il tuo Holden è unico e inimitabile, ma entrambi hanno un certo non so che in comune. Forse la luce negli occhi, o il portamento.
Ho sempre pensato che la simpatia che la nonna ha sempre mostrato verso Holden fosse dovuta a una stima involontaria che lui deve averla indotta a provare grazie ai suoi modi eleganti e gentili, forse più simili a quelli dei ragazzi dei suoi tempi. Adesso che la ascolto, però, capisco che forse ci fosse ben altro. Magari Holden le ha sempre ricordato qualcuno. Avrei dovuto pensarci prima, in effetti. Scommetto che mia nonna non sia cambiata molto rispetto a quando aveva la mia età. Probabilmente aveva questa capacità di leggere gli occhi delle persone sin da signorina.
– Descrivimelo. – la esorto.
Per un momento le brillano gli occhi, come se non vedesse l'ora che le facessi questa domanda.
– Dunque. – si porta una mano sotto il mento. – Non era molto alto. Lo ricordo poco più alto di me e magro. Smilzo, quasi. Aveva dei lineamenti alquanto anonimi e portava le unghie delle mani sempre troppo corte. In compenso, però, aveva dei bei riccioli, sempre puliti, di un caldo castano, e una camminata leggera. Sembrava volasse ad ogni passo. E poi... era tanto gentile. – sorride. – Mi faceva sentire bellissima semplicemente guardandomi. A nulla valevano i fiori, le macchine costose e tutta la chincaglieria che usavano gli altri ragazzi per corteggiarmi. E ti garantisco che ne erano tanti. Ai tempi ero di una bellezza sconcertante! – allarga gli occhi per sottolineare il concetto. – Ricorda, Kathleen, i ragazzi gentili avranno sempre e comunque un fascino che i ragazzacci non eguaglieranno mai.
–E poi... cosa è successo?
–Se n'è andato. – abbassa lo sguardo. – Avevamo tanti progetti, tanti bei sogni, ma anche tanta ingenuità. I suoi genitori avevano in serbo per lui un fidanzamento più vantaggioso di quello che avrebbe potuto avere con me.
–E tu?
–Io... cosa?
–Hai lasciato che se ne andasse?
–L'ho lasciato andare, sì. Era più facile lasciarlo andare che combattere per qualcosa in cui chiaramente credeva poco lui stesso.
Credo di non averle mai visto un'espressione simile sul volto. O forse sono io a non averci mai fatto troppo caso.
–Ti ha lasciato andare, quindi?
–L'ha fatto. – si prende tra i denti il labbro inferiore, dipinto di rosso.
–Stupido. – biascico.
La nonna fa una risatina. – Giusto un po'. Ma credo di esserlo stata anch'io. Lo eravamo entrambi e lo erano anche i tempi. Sì, erano tempi propri stupidi. Non era molto facile amare liberamente qualcuno quando ero giovane.
– E il nonno? Come l'hai conosciuto? – mi scopro sempre più affamata di informazioni.
– Me lo presentarono i miei genitori. Era il fratello maggiore della figlia dei vicini. Non appena lo vidi, caddi ai suoi piedi. Forse non lo ricordi tanto perché... ci lasciammo quando eri piccola, ma era davvero bellissimo.
– Come il tuo personale Nacho Garcia. – osservo.
– Già. – abbassa la voce. – Loro sono abbastanza facili da incontrare, a differenza degli Holden.
– Perché ci ricascasti? Era... diverso all'inizio?
Scrolla le spalle. – Non lo so. So solo che mi piaceva, che era attraente come lo è il miele per le api, e che... la storia con Benjamin mi aveva prosciugato abbastanza. Volevo solo che tutto... finisse in fretta.
–Tornando indietro lo rifaresti, nonna? Lo lasceresti andare? Benjamin, intendo.
Rimane in silenzio per qualche istante. – Sì, bambina. Lo lascerei andare.
–Oh. – schiudo le labbra, sorpresa.
Questa è decisamente una risposta che non mi sarei mai aspettata da una tipa come lei.
–Già! Però va bene così, sai? – piega le labbra in un sorriso. – Abbiamo costruito ricordi felici insieme e anche se a volte tendo a dimenticarli, una parte di me li serberà sempre nel cuore.
Serbare ricordi felici.
Ricordi. Ricordi. Ricordi.
Non so se mi piaccia o meno sentire queste cose. So solo che d'improvviso senta gli occhi pungermi.
– Wow. Dovresti raccontarmele più spesso queste cose.
–Forse hai ragione, pulcino. Credo di non averlo mai fatto solo perché ho sempre temuto non fossero argomenti abbastanza interessanti. Però basta parlare di me. – si affretta ad aggiungere, agitando le mani di fronte a sé. – Sei tu l'adolescente delle due, signorina. C'è qualche altro consiglio che questa vecchia trentacinquenne può darti?
Sarei stata ore e ore a sentirla parlare di queste cose, ma chiaramente non le va.
–In effetti ci sarebbe. – inizio.
–Forza, allora! Sputa il rospo! – si mette sull'attenti.
–Ho pensato che sono tante le volte in cui senta anch'io che ci sia questa elettricità tra me e Holden, ma che ce ne siano altre in cui... lui sembri quasi intimorito da me. O da non so cosa. È difficile da spiegare; è qualcosa che sento sulla pelle. Un minuto prima sembra che potrebbe baciarmi fino a togliermi il respiro, quello dopo sembra che sfiorarmi lo metta in soggezione. Un minuto è sicuro e disinvolto, quello dopo è timido. E... non che non mi piaccia vedere questi suoi lati di lui, così diversi ma allo stesso tempo così teneri, però... a volte mi lasciano una sensazione strana addosso, la stessa che si prova quando qualcosa non la si capisce anche quando ci si sforza tanto. – butto fuori.
Ieri mattina, per esempio, durante la colazione si è mostrato più imbarazzato del solito, eludendo spesso il mio sguardo. Ho pensato che sapere che il suo migliore amico abbia fatto un passo così importante con la sua ragazza lo abbia imbarazzato. Allo stesso tempo mi sono chiesta se non ci fosse dell'altro.
La nonna rimane in silenzio per qualche secondo, poi accavalla l'altra gamba.
–Non dimenticare mai l'inizio, Leen. – mi dice.
La guardo, curiosa.
–Non dimenticare mai da dove siete partiti tu e lui; com'eri tu e com'era lui. Siete una coppia adesso, ma siete anche Holden e Kathleen, ognuno con un proprio vissuto, proprie insicurezze, proprie fragilità. – mi fa un mezzo sorriso.
Fragilità. Insicurezze.
Quante ne abbiamo ancora?
–Adesso che ha fatto crollare tutti quei muri che lo dividevano da te e che lo facevano sentire in qualche modo protetto, è libero di dimostrarti in tutti i modi quello che prova per te. Tuttavia...
–Sì? – la guardo negli occhi.
–Sono certa che ogni tanto nella sua bella testolina torni una vocina antipatica che gli fa: "Ma sei sicuro di non star correndo troppo?", – modula la sua voce. – "Forse non è il caso di fare così o di fare colà!". Capisci cosa intendo?
–Pensi quindi che quando si mostri più distaccato, o più spaventato, lo sia solo perché tornano a farsi strada nella sua mente alcuni dubbi?
–Certo, pulcino. Tu non ne hai mai di insicurezze? Non ci sono delle volte in cui ti piace scherzare con lui, fargli dei complimenti, e altre volte in cui ti blocchi in qualche modo?
Annuisco. – Sì. È così. Anche se so di piacergli, ho paura che a volte si sia creato un'immagine di me migliore di quella che sia e che possa deluderlo. Non che mi ritenga un mostro o qualcosa del genere, ma... non lo so. – sospiro.
Sventola la mano davanti al viso. – Fanfaluche! Sei bellissima e gli piaci da morire. Il problema è che tu non ti piaci abbastanza. Non è vero?
– Vero. – confesso.
–Ricetta di nonna Cecily: guardarsi allo specchio almeno cinque volte al giorno e dirsi per almeno tre volte: sono una sventola! Iniziamo subito. Dillo!
–Ma non c'è uno specchio nei paraggi.
–Dillo lo stesso.
–Sono una sventola! – la accontento.
–Per altre due volte.
–Sono una sventola! Sono una sventola!
–Benissimo. – gongola.
Sorrido.
–Ricorda che Holden potrà farti sentire la più bella del reame, ma che è da te che deve partire tutto. – mi punta l'indice contro. – Non esiste uomo che possa convincerci di quanto siamo belle o di quanto non lo siamo. Parte da noi stesse, da come ci sentiamo. Hai tutto il diritto di sentirti brutta ogni tanto, ma a vincere devono essere sempre le volte in cui ti trovi una sventola, con i tuoi occhi pieni di luce, il tuo sorriso rassicurante e le tue guanciotte rosse. Siamo intese? – mi guarda dritto negli occhi.
A volte credo che la nonna meriterebbe una nipote più come Pam, che come me.
–Siamo intese.
Annuisce, soddisfatta.
–Ora che andrete all'università, bada a tenere gli occhi ben incollati su di lui, okay? – riprende. – Non sia mai qualche pollastrella gli metta gli occhi addosso.
–Pensi possa succedere? – spalanco gli occhi, d'improvviso preoccupata.
–Beh, certo! Come l'ha fatto quella ragazza tailandese può farlo chiunque. Ma l'hai visto com'è affascinante? Più si fa grande e più diventa attraente.
–Non dirmi così, nonna. – sbuffo. – Ti ho appena detto che ho delle insicurezze e tu me ne metti altre.
–Non dire scemenze. Ti sto solo dicendo di non dare mai nulla per scontato e di non sottovalutare mai il tuo fidanzato. Sei bella come una rosa e gli piaci da matti, ma combatti sempre per ciò che vi lega. Dimostragli ogni giorno quanto tu ci tenga a lui. – mi fa un occhiolino.
Mi trovo a pensare che questi consigli avrebbe voluto riceverli anche lei quando era fidanzata con Benjamin.
Annuisco. – Lo farò. Non darò nulla per scontato.
–Bene. – mi prende la mano destra nella sua. – Sappi che il giorno prima della partenza vorrò vedere anche lui. Voglio guardarlo in quei begli occhioni argentati, stringergli le mani marmoree e dirgli ciò che ho detto a te. Deve tenerti gli occhi addosso, perché ci saranno tanti bei giovanotti a farti la corte in quel posto di ricconi in cui stai per andare.
–Ma che dici, nonna? Primo: quel posto da ricconi è una delle università più prestigiose al mondo. Secondo: l'unico mio spasimante al liceo è stato un ragazzino che aveva altre mille cotte e pensi che adesso che sarò circondata da ragazze sicuramente stupende, qualcuno potrà fare la corte a me? – mi metto a ridere.
–Non era anche Holden un tuo spasimante? – mi lancia uno sguardo eloquente. – Ti ho appena detto di non dare mai nulla per scontato, bambina. In questi mesi che ci sentiremo poco, voglio che tu stia attenta e che non ti lasci condizionare da insicurezze o, al contrario, da troppe sicurezze. Ci sarò sempre per te, ma è adesso il momento di tenere aperte quelle belle orecchie che ti ritrovi, dato che saremo lontane. Se qualche mascalzone ci proverà con te, tu sii pronta a dirgli: "Fila via o mia nonna ti fa a pezzi". Chiaro?
Le mie labbra si piegano in un altro sorriso. – Cristallino, nonna!
–Ottimo! Comunque, – si schiarisce la voce. – dette queste cose importanti, c'è una cosa che voglio dirti anch'io.
–Cosa? – inarco un sopracciglio.
–Mistosentendoconqualcuno. – dice in fretta.
–Non ho capito. – corruccio la fronte.
Lei alza gli occhi al cielo. – Sto uscendo con un signore da qualche settimana. È una cosa seria. Più o meno... o quasi.
Sento chiaramente la mascella cadermi a terra, mentre gli occhi fuoriescono quasi dalle orbite.
–Oh mio Dio! E chi è? E da quando? E com'è? E perché non me l'hai detto prima?
–Calma, tortorella. Si chiama Ernest e non è niente male. Ci siamo conosciuti ad un funerale.
– Cosa? – sgrano gli occhi.
– Sì, beh, è morta una signora che ci affittava una camera di una vecchia palazzina dove noi del club del libro ci riuniamo ogni finesettimana. Era una persona abbastanza sgradevole, se devo dir la verità. Però galeotto è stato il suo funerale. Aveva centodue anni, per la cronaca.
Ci metto un po' a riprendermi.
Fischietto. – Wow, nonna! Menomale che stavi vivendo le solite "noiosità". – la cito.
–È una noiosità, bambina. Il bello verrà se dureremo altre due settimane. – mi fa un occhiolino.
***
Credo di non aver mai visto il faccino di Phoebe così triste.
Gli unici sorrisi che le piegano la boccuccia ce li regala solo quando le compriamo lo zucchero filato o quando la facciamo salire su qualche giostra che guarda con gli occhi a cuoricino.
–Devi andartene per forza, Kat? Per forza, forza, forza? – non fa altro che chiedermi. – Anche Olly deve farlo per forza, forza, forza?
–Per forza, forza, forza, no, tesoro. – le accarezzo i capelli. – Devo andarmene perché lo voglio, però. Andrò a studiare in un posto bellissimo, piccola. Potrò imparare tante cose e diventare abbastanza brava da trovare un buon lavoro un giorno. – provo a spiegarle. – Lo stesso vale per Olly.
–Sei già bravissima, Kat. Puoi lavorare sempre con me, no? Anche Olly può farlo. È bravissimo, lui.
Trattengo delle lacrime, sorridendole.
–Starò sempre con te, Phoebe. Vedrai che arriverà presto il momento in cui torneremo a stare insieme, va bene?
–Prometti? – solleva un mignolo.
–Prometto. – glielo stringo.
Alla lunga lista di persone o di cose che mi mancheranno c'è sicuramente la piccola Phoebe. In questi mesi ha avuto un cambiamento spaventoso, rendendosi ogni giorno più simile a suo fratello, soprattutto per quando concerne il chiacchierare. Praticamente non c'è stato giorno in cui non mi abbia riempito la testa di parole, di racconti, di sogni, di giochi. A scuola ha iniziato a farsi sempre più amici che pian piano sono andati a sostituire quelli immaginari che ci sono sempre, ma che in qualche modo adesso sono sempre meno protagonisti. Sono sempre più invisibili. I loro contorni si stanno scolorando ogni giorno di più e va bene così.
Quando le abbiamo detto che né io, né Holden potremo più passare troppo tempo con lei per via del college, ha avuto una crisi di pianto che si è esaurita solo molte ore dopo, con la promessa di andare ad un parco giochi. Anche se le abbiamo promesso di farci sentirci ogni giorno con videochiamate e telefonate, l'ha presa davvero malissimo, lasciando presagire che il momento finale dei saluti sarà ancora più doloroso.
La riportiamo a casa diverso tempo dopo. Ha un mega coniglio di pezza a ciondolarle dalla spalla, mentre lei a sua volta ciondola dalla spalla di Holden che, con un solo braccio, la tiene stretta a sé mentre ci dirigiamo verso la macchina e poi a casa.
Juliet ci saluta con un sorriso caloroso, portando la piccola in stanza.
–Starà benissimo. – ci dice, mentre si allontana.
A modo suo anche lei è cambiata. Si è tagliata i capelli, ha preso ad indossare rossetti colorati e sembra una versione di sé più allegra di quella che conobbi la prima volta, sempre positiva, ma a tratti più affaticata da troppi ricordi. Non ha ancora trovato un compagno di vita che possa dimostrarle cosa sia il vero amore, ma la nonna mi ha già anticipato che andrà a romperle le scatole ogni giorno, così da non farla sentire mai sola.
Holden e io ci facciamo delle cioccolate calde e poi andiamo nella sua camera. Questa sarà l'ultima volta che ci entrerò per chissà quanto tempo. Do un'occhiata alla parete coperta dalle nuvole, alle figurine sull'armadio, alla sua scrivania ordinata e piena di quaderni e giochi matematici, alla finestra che affaccia sulla casa della signora Rosalia e infine sulla palla di vetro che gli ho regalato per il suo diciottesimo compleanno. È di quelle che si scuotono, piene di neve. Al suo interno c'è una piccola pista di pattinaggio e due ragazzini seduti su una panchina. Lei gli bacia una guancia; lui ha le guance rosse e gli occhiali da vista. Quando la vidi, nello stesso negozio da cui gli comprai il cappello alla Holden Caulfield, pensai che sarebbe stata un bellissimo regalo di compleanno. Le palle di vetro mi hanno sempre dato di oggetti simbolici, carichi di una magia tutta loro. Ti basta scuoterle per pensare a cose belle.
Queste pareti saranno sempre custodi fedeli delle nostre dichiarazioni, delle nostre confessioni, dei ricordi più brutti che Holden porta con sé, di quelli che io porto con me. Questo soffitto e questo pavimento saranno sempre testimoni dei nostri baci lunghissimi; delle nostre dita intrecciate; dei nostri sguardi incatenati; delle nostre orecchie piene di quella musica che i pomeriggi primaverili e poi estivi danzava nell'aria. Di quelle note che ballavano stonate e che ci divertivamo ad attraversare improvvisando dei passi scoordinati.
Armeggio con i ricordi, mentre Holden lo fa con la sua valigia, quasi piena. Ogni suo movimento è lento, preciso, calcolato. Prende alcune delle nostre fotografie appese alla parete, e il pezzo del giornalino di Henry Horwitz che ritrae il nostro primo bacio e li sistema in una bustina trasparente che ripone con cura in un quaderno. Ripone i nostri sorrisi, le nostre linguacce, le nostre facce buffe e i nostri baci sotto dei maglioni. Lo vedo poi passarsi le mani nelle ciocche corvine, deglutire e sospirare. Un sospiro. Due sospiri. Tre sospiri. Non gli chiedo nemmeno a cosa siano dovuti. Le ragioni sono le stesse per le quali sospiro anch'io, da giorni. Poi prende proprio il mio regalo e lo incarta in dei fogli di pluriball.
–Ti porti anche la palla di vetro? – chiedo.
–Certo! La metterò nella mia stanza così da averti sempre accanto durante la notte.
Gli sorrido, intenerita.
–Io ho questi a ricordarmi sempre di te, quindi siamo pari. – gli indico l'anello giocattolo, la mia collanina con il portafoto a forma di cuore e il braccialetto con Mr. Darcy, Elizabeth e il libricino con inciso 'Leen'.
Sorride a sua volta, avvicinandosi per baciarmi.
Al momento, sommersa dai ricordi e dalla nostalgia che questi portano con sè, l'unica cosa bella di allontanarmi da casa e di andare all'università mi sembra solo quella che io e lui saremo insieme.
***
L'ultima notte rimango sugli scalini del porticato a guardare le stelle. Di solito se ne vedono poche. Oggi invece sembrano volermi salutare anche loro.
La mamma è già andata a letto. Se l'è svignata nel momento in cui le ho visto gli occhi farsi lucidi.
– Tutto bene, Kat?
Mi volto. Bob avanza nella mia direzione.
– Più o meno. – ammetto.
– Posso sedermi? – indica con gli occhi lo spazio al mio fianco.
Annuisco, sorridendogli.
Una volta al mio fianco, intreccia le mani sulle sue ginocchia e rimane con il naso all'insù, imitandomi.
Spezza il silenzio solo minuti dopo.
– Ti ho mai raccontato di quando alla tua età volevo diventare un professore di lettere?
Mi volto nella sua direzione, sorpresa.
So che Robert è una persona buona. Timida. Gentile. Riflessiva. Paziente. Ma... mi accorgo di come Bob non sia solo questo. Bob è tanto altro. Un tanto altro che desidero conoscere.
– Davvero?
– Davvero! – fa un sorrisino, contento di avermi sorpreso. – Mi iscrissi alla facoltà di lettere dell'università di San Francisco nel lontano millenovecento ottantotto. Ai tempi abitavamo lì io e la mia famiglia.
Lo guardo negli occhi.
– E poi? Come ti sei trovato a fare il poliziotto?
– Sono stati i miei genitori a costringermi a cambiare strada. L'idea che volessi fare l'insegnante non era nei loro piani. Per quanto il primo anno di università resistetti all'idea di non lasciar andare il mio sogno, quando mio padre si ammalò decisi di... iscrivermi all'accademia militare. – mantiene lo sguardo verso l'alto.
– Si... ammalò? – esito.
– Sì. – si ferma. Non aggiunge nient'altro.
– Mi spiace. – poggio una mano sulla sua. – Per il tuo papà e per... il tuo sogno.
Si volta, sorridendomi. – Fare l'agente mi è valso il titolo di Bob il bradipo, no? – mi fa un occhiolino, stringendomi la mano. – E poi mi ha permesso di essere trasferito qui a Portland, di incontrare tua mamma e quindi te. Alla fine, mi è andata bene, no?
Lascio che anche le mie labbra si pieghino in un sorriso.
– Tutto questo per dirti che quel primo anno di università è stato senza dubbio uno dei più belli della mia gioventù. Dopo quattro anni di liceo a dir poco terribili, il college mi ha ridato... la vita. Mi ha ridato la fiducia in me, nella mia intelligenza, nelle mie capacità. Mi ha permesso di fare anche delle amicizie che ho mantenuto per tanti anni. – mi guarda.
– Mi stai raccontando tutto questo per...? – lo guardo negli occhi.
– Perché so che adesso hai paura. Ho ragione, Kat?
Annuisco.
– Ho paura, Bob. Non voglio lasciarvi andare. Non voglio trasferirmi. Non voglio cambiare la mia vita. – tiro su con il naso.
– Ma sai che devi farlo, vero? Sai che è il cambiamento il motore della vita. Che cambiare può significare raggiungere i propri sogni, vero?
– Vero.
– Posso dirti che andrà tutto bene, ma dovrai scoprirlo da sola. Per il momento sappi solo che io credo in te e lo stesso fa la tua mamma.
Poggio la testa sulla sua spalla.
– Hai nelle tue mani il potere di esaudire ogni tuo sogno, anche se questo comporta fare delle rinunce. Ma ricorda che non sono rinunce a lungo termine. Alla tua età il tempo inizia a volare.
Chiudo gli occhi, lasciando che una folata di vento mi smuova i capelli.
– Bob, puoi promettermi una cosa?
– Certo.
– Mia mamma non ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lei. È incredibilmente forte e piena di risorse. Tuttavia, a volte se ne dimentica. Si dimentica di quanta forza abbia. Ecco, mentre sarò lontana posso chiederti di... ricordarle di questa forza che è in lei? Posso passarti il testimone?
– Sarebbe un onore, Kat.
Lo abbraccio, affondando la testa nel suo petto e scoppiando a piangere.
***
Dalla segreteria ci arriva una mail che ci invita a raggiungere i dormitori almeno cinque giorni prima dell'inizio delle lezioni.
Il giorno della partenza arriva in fretta.
A una settimana dall'inizio dei corsi, io e Holden ci troviamo alla stazione di Portland Union, armati di bagagli, lacrime intrappolate tra le ciglia e sorrisi che servono a mascherare uno stato d'animo che oscilla tra "lasciatemi qui!" e "ho voglia di spaccare tutto all'università più figa della storia!"
Pam e Chas partiranno fra una settimana a e così spetta a loro l'ingrato compito di fare i saluti finali. Lo stesso vale per Taylor che partirà fra tre giorni.
La mamma, Bob, la nonna, Wolverine, la signora Juliet e Phoebe ci sommergono di parole, avvertimenti, consigli e minacce se non telefoneremo tutti i giorni e non passeremo tutte le feste in loro compagnia.
–Spassatela a Princeton! Fagli vedere che leonessa sia Kathleen Foster. – dice Pam. – E fai esattamente tutto quello che farei io. – mi fa un occhiolino.
–Ovviamente tienici aggiornate su ogni singolo dettaglio. La prima cosa che vorremo sapere è chi sarà la sfortunata che ti avrà nella sua stessa camera. – mi prende in giro Chas, con la voce tremolante.
–Sarà un onore stare in stanza con me, altroché. – le faccio una linguaccia, evitando di guardarla troppo a lungo.
Poi facciamo un mega abbraccio di gruppo.
–Ti vogliamo tanto bene, non dimenticarlo mai, okay? – fa Pam.
–Non dimenticatelo nemmeno voi. Mai.
–Videochiamate ogni sera e cartolina del posto entro il fine settimana. Chiaro? – Pam tira su con il naso.
–Chiarissimo. – le rispondo, sentendo gli occhi sempre più gonfi di lacrime.
Pochi istanti dopo anche la piccola Phoebe insiste per infilarsi nell'abbraccio. Ha il visino rigato di lacrime e il nasino rosso. La prendo tra le mie braccia dopo poco, riempiendole le guance di piccoli baci.
– Phoebe. – le sollevo il mento. – Ti ho già detto di non piangere, okay?
– Non riesco a smettere. Ho il rubinetto rotto.
Le faccio soffiare il nasino, poi le asciugo le guance.
– Ricorda che quando la mia mancanza si farà più forte ti basterà ritrovarmi tra le pagine di uno dei libri che abbiamo letto questa estate, okay? Puoi cominciare da Cosa c'è dietro le stelle? Che ne pensi?
Annuisce. – Leggo un capitolo e scrivo ciò che mi è piaciuto su un quaderno. Poi quando tornerai, leggerai ciò che ho scritto.
– Bravissima. – le sorrido. – Leggi e scrivi. Fallo senza che te lo chieda la maestra. Vedrai che diventerai la più brava. – le do un colpetto sul naso.
Prima di scoppiare per la centesima volte a piangere, la lascio tra le braccia di suo fratello, poi stringo Bob, mamma e la nonna in un abbraccio da orso.
–Ti vogliamo tanto bene, lo sai. – fa la mamma.
–Grazie, mamma. Per tutto. Per volermi bene, per non avermi mai abbandonata e per tutti i sacrifici che hai sempre fatto e che ora mi permetteranno di andare a Princeton. – la guardo negli occhi.
Mi stringe a sé. – Non dirlo neanche per scherzo.
Quando si scosta da me, si asciuga le lacrime, e mi sorride.
–Siamo molto orgogliosi di te. – aggiunge Bob. – Spacca tutto! – mi sorride.
–E divertiti. – fa nonna Cecily.
Poi mi si fa ancora più vicina, facendo attenzione a non farsi sentire dalla mamma. – Soprattutto con Holden. – sussurra al mio orecchio, facendomi un occhiolino.
Riesce a strapparmi una risatina su cui si infrangono delle lacrime che mi permetto di versare solo mentre salgo sul treno.
Arrivederci, casa.
Buon primo dell'anno, girasoli! 🥂
Come state? State trascorrendo bene questi giorni festosi/ di riposo? 💗
Tantissimi auguri a voi tutti di un felice 2021! ✨
Non mi sembra vero, ma... signori e signore, il 2020 è andato. Finito. Caput. Perciò, congratulazione a noi tutte per avercela fatta!
Il 2020.
Un anno che rimarrà indubbiamente nei libri di storia, non di certo per gli avvenimenti positivi che ha portato con sé. Spero che, malgrado tutto, a voi tutte non abbia tolto tanto e vi abbia fatto vivere anche dei momenti belli, che porterete con voi. Nel mio caso, fortunatamente, così è. Aver portato a termine "Come (non) innamorarsi di Holden Morris", e aver ricevuto da parte vostra tutto l'affetto che mi avete dato rientra tra le cose belle, senza dubbio. Perciò, grazie! Grazie per avermi fatto compagnia per tutto il 2020 (e alcune di voi, anche da prima!). Per il vostro sostegno, il vostro supporto, ogni singola stellina, ogni singolo commento/messaggio/riflessione, per il vostro bene. Mi avete accompagnato per tanti mesi, rendendomi felice.
Spero tanto vorrete continuare a stare accanto ai miei personaggi e quindi a me e alla mia testa stramba, anche quest'anno.
Da oggi siamo ufficialmente nel 2021. Non voglio dilungarmi su quello che spero porti con sé. Dico solo che le parole chiave che vorrei lo accompagnassero sono "salute" e "serenità". Perciò, armiamoci di speranza e... ad maiora!
Parlando del capitolo, mi auguro come sempre che sia stato di vostro gradimento.
Abbiamo visto molto poco Holden, ma in compenso abbiamo ritrovato la cara nonna Cecily. Amo scrivere di lei e so che amate anche voi leggere di lei, quindi spero che il suo ritorno in scena vi sia piaciuto. Vi mancava?
Abbiamo poi saputo che Pam ha fatto "cosacce" con il suo bel biondino. Ve lo aspettavate? 👀
Poi abbiamo sbirciato anche nella vita di Bob e abbiamo visto lacrime, lacrime e ancora lacrime.
Diciamo pure che questo è stato un capitolo di passaggio, in cui ho voluto porre l'accento sullo stato emotivo dei nostri personaggi. Stanno per scrivere un nuovo capitolo delle loro vite e per quanto adrenalinico ciò possa sembrare, le paure sono sempre dietro l'angolo. Dal prossimo, come si sarà evinto, entreremo nel vivo del college. Apriremo ufficialmente le porte di Princeton...
Pronte? Cosa vi aspettate?
Vi saluto perché le abbuffate degli ultimi giorni mi stanno dando alla testa, ma prima voglio farvi ancora una volta tantissimi auguri! Buon anno, girasoli! 🎇🌻
Un abbraccio 💗
A venerdì prossimo,
Rob
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