Rebus
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Rebus
Il problema è che ci sono più persone interessate che persone interessanti
(Mafalda – Quino)
L'ultima parentesi festosa prima di lasciarci acciuffare dall'ansia per gli esami imminenti è il concerto di Capodanno degli Shangs.
Andy mi manda la posizione del locale dove si esibiranno, mentre io e Holden ci stringiamo in un autobus che sembra più un covo di figli dei fiori. Molte persone sono vestite in maschera; stringono bottiglie di birra tra le mani; cantano canzoni di dubbia qualità come se fossero vecchi lupi di mare; fumano sigarette anche se l'autista li minaccia di farli scendere; si risucchiano le facce come se fossero nell'intimità delle loro case.
Holden e io, forse per la prima volta, sembriamo davvero due fighetti di Princeton. Non tanto per i nostri vestiti, sicuramente più sobri dei loro, ma per la nostra aria infastidita, e quasi snob. Lui mi tiene vicina, stringendomi con lo stesso braccio con cui si sorregge a uno dei pali e mi guarda negli occhi. Lo fa in modo silenzioso, sorridendomi quando gli scaglio un sorriso. Poi torna serio e sonda il mio sguardo, cercando chissà cosa. A un certo punto, sono costretta a ripetergli una frase per ben tre volte. Si è chiaramente incantato.
-La radice quadrata di cinquecentoventinove? – gli chiedo.
Il mio trucco funziona.
-Ventitré. – risponde immediatamente, allargando per un momento gli occhi come se si fosse risvegliato all'improvviso.
-Ottimo, ma non mi interessa. – mi metto a ridere. – Ora ho la tua attenzione o ritieni che nel marrone dei miei occhi si celino streghe e pipistrelli?
-Ho la tua attenzione. Cioè... hai la mia. – si schiarisce la voce. – Dicevi?
Gli strizzo una guancia, sotto gli occhi di una bambina che ci fissa annoiata, lasciando che la sua bocca deformi la sua gomma da masticare in una bolla che per poco non le copre la faccia.
-Dicevo che anche l'anno scorso abbiamo passato l'ultimo dell'anno a un concerto.
Annuisce. – Vero! Fu quel giorno che Malia mi baciò. – dice come nulla fosse. Come se stesse ricordando la torta mangiata al suo decimo compleanno.
-Cavoli, non ricordarmelo. – mi passo una mano sulla fronte e poi la metto sul petto. – Mi spezzasti il cuore, quella notte.
-Anche tu lo avevi fatto. Non quella notte, ma... altre. – picchietta la punta del mio naso.
Stringo le labbra, poi abbasso lo sguardo. Vorrei tornare indietro nel tempo. Vorrei che il passato non avesse il potete di intrufolarsi in ogni spiraglio disponibile. Vorrei che in entrambe le nostre menti ci fosse, come in una sorta di gioco dell'oca, la possibilità di saltare delle caselle e finire direttamente in quelle più belle e felici. Del tipo, lanci il dado e finisci nella casella "Brutti ricordi. ALT, FERMARSI. Saltare di tre caselle fino a quella Viaggiamo tra i ricordi felici."
-Scusa, non volevo renderti triste. – il suo indice si avvicina a una ciocca dei miei capelli mettendomela dietro un orecchio.
Chiudo gli occhi, abbandonandomi al suo tocco.
-Quindi, questi... Shengs suonano musica rock? – mi domanda dopo un po'.
-Shangs! – lo correggo. – Sì, principalmente musica rock. L'ultima volta mi hanno fatto ascoltare un pezzo dei Led Zeppelin. Imogen, la cantante, se la cava anche con la musica rap, però.
-Shangs cosa significa?
Faccio spallucce. – È stato Andy a dare il nome alla band. So solo che è una forma contratta di "Shahrazād's wings", ma non mi ha mai spiegato cosa significhi. Con il tempo lo scoprirò, ne sono certa. Io e lui ci stiamo aprendo a piccoli passi.
-A me sembrava che aveste messo la quarta. – dice. – Cioè, il fatto che ti abbia dato sin da subito un soprannome che hai accettato nell'immediato è uno dei tanti dettagli da cui posso dedurlo. – punta lo sguardo oltre le mie spalle.
-Beh... lui si è avvicinato a me con prudenza ed è stato il primo a prendere più... confidenza, è vero, ma... ci andiamo piano. – rispondo.
Torna a guardarmi. – Capisco.
– A te... dà fastidio che mi chiami con un soprannome? Lo fa da tempo, è vero, ma forse non ne abbiamo parlato mai abbastanza. Cioè è solo un soprannome, ma...
-No. – mi ferma. - Te l'ho già detto una volta, lo trovo carino.
-L'hai detto anche a Phoebe. Che per te sia carino.
-Ah sì, è vero, l'ho detto anche a lei. Le ho detto tante cose, in effetti. – si morde le labbra.
-L'ho fatto anch'io.
Forse a noi due non ne abbiamo dette abbastanza.
-A te dà fastidio che Andy ti chiami con un soprannome?
Scuoto la testa. – No, è simpatico. – sorrido.
-Ti fa sorridere. – volge lo sguardo verso il finestrino.
-Cosa?
-Andy.
-La tua è una domanda o una constatazione?
-Una constatazione. – afferma.
Fisso la punta delle mie scarpe, sorpresa da questa sua osservazione.
-Sì... ci riesce spesso, ma... ecco, ci riescono anche gli altri miei amici. – sento il bisogno di aggiungere.
E ci riesci anche tu.
Mi accarezza una guancia in risposta. – È una cosa bella. Non volevo che sentissi il bisogno di giustificarti, scusami di nuovo.
-Non scusarti.
Mi appoggio al suo petto, con la fronte contro la sua spalla, poi lascio che il viaggio prosegua in maniera silenziosa. Scendiamo dopo altre cinque fermate, fermandoci in una strada piuttosto trafficata. Mi armo del navigatore e dopo pochi minuti ci troviamo di fronte a un locale che ha nell'insegna al neon un cocktail affiancato da un sole che affonda nell'acqua ricreando così un tramonto. All'ingresso c'è solo un tizio, di quelli che sembrano bodyguards di film di spionaggio, che ci controlla i documenti per sincerarsi che siamo maggiorenni. Una presa d'atto lodevole che tuttavia viene tradita quando scorgo all'interno anche ragazzini che sono visibilmente più piccoli di noi. Il clima che ci accoglie in ogni caso è piuttosto tranquillo se si escludono alcuni tipi palesemente alticci.
C'è un bancone dietro cui una donna sta servendo alcolici e un palco troneggia di fronte a noi, già vestito di fili, casse e microfoni. Una scala a chiocciola porta a un piano rialzato, chiuso da una balconata. Intravedo una palla da discoteca sospesa sul soffitto che lo sovrasta.
Accostati alle pareti verniciate di blu del piano terra ci sono dei tavolini, quasi tutti già occupati. Andy ne ha fatto riservare uno per noi, così non abbiamo problemi a trovare posto. Ci sediamo e prendiamo a sgranocchiare noccioline e patatine che una cameriera ci porta dopo aver preso al volo il nostro ordine. Ci mettiamo poi a parlare dei prossimi esami, perché non saremmo due secchioni altrimenti, ingannando così l'attesa per le imminenti esibizioni. Su un cartello affisso su una delle pareti è scritto che gli Shangs suoneranno dopo una solista e un'altra band. Sono emozionata. È la prima volta che sentirò la band dal vivo e sono curiosa, ed eccitata. Se l'ultima volta che ho sentito solo Imogen e Andy mi sia sentita come dentro una bottiglia di una bevanda frizzante, mi chiedo adesso che ci sarà anche la chitarra di Daniel e che suoneranno tutti insieme come mi sentirò.
Le luci in sala si spengono dopo un po', puntandosi sul palco su cui subito una ragazza attira le attenzioni su di sé, prendendo a saltellare e a urlare. È vestita come Margot Robbie in Suicide Squad e questo manda in visibilio soprattutto i ragazzini più giovani che le indirizzano urla e fischi di approvazione. La cantante, Sarah da come si presenta, ha uno stile che ricorda quello di Avril Lavigne, ma una voce nera, che si sposerebbe meglio con canzoni di genere blues e che non padroneggia con sicurezza. La ascolto senza troppo entusiasmo e lo stesso fa Holden che la guarda senza troppe emozioni. Identica reazione è per la band successiva che si presenta costituita da quattro ragazzi scozzesi, con barba rossa e kilt, che attirano gli sguardi di un gruppo di donne visibilmente sugli 'anta' che sventola fazzoletti ed emette strani risolini nella loro direzione. Mi concentro più su di loro che sui musicisti e questa la dice lunga.
Quando entrano in scena gli Shangs mi muovo sulla sedia, impaziente. Con la coda dell'occhio noto come anche Holden si faccia più dritto e interessato. Emergono dalle ombre ed entrano a passo leggero, con lentezza e quella eleganza che si scontra con i loro aspetti oscuri e trasandati. Mi accorgo di come tutti abbiano gli occhi truccati di nero, Andy compreso, e indossino camicie scure e cravatte rosse. Imogen si distingue per una gonnellina scozzese che indossa sopra delle calze a rete che mettono in evidenza le sue belle gambe.
I miei occhi si fiondano su ogni loro dettaglio, finché non si scontrano con quelli di Andy. Seppur poco illuminato, sono ben visibili le sue labbra che si piegano in un sorriso che mi indirizza in modo quasi impercettibile. Poi si guardano negli occhi e al 'tre' di Imogen, i giochi hanno inizio. La magia si plasma una nota alla volta. Si crea in poco tempo un'armonia che prende a volteggiare attorno a loro e attorno a ognuno dei presenti. La chitarra di Daniel grida grinta e fuoco a ogni movimento delle sue dita contro le sue corde, le bacchette di Andy su ogni parte, di cui non ricordo più il nome, della sua batteria sono energiche e pregne di vita. Imogen lascia che la sua bocca reciti parole che raccontano di sogni, di incubi e di una fanciulla incastrata in un circolo temporale. La sua voce è calda, avvolgente, a tratti ruvida, ma così bella che sento gli occhi farsi sempre più grandi a ogni strofa. Stanno cantando una loro canzone, e mi chiedo per un momento perché Andy rise di me, ma anche di sé, quando lo definii un musicista. Loro sono dei musicisti. Stanno tessendo della musica, colpo dopo colpo, parola dopo parola, accordo dopo accordo. Quando finiscono, il pubblico in sala è in visibilio. Un ragazzo prova a toccare le gambe di Imogen, ma Daniel e Andy gli scoccano un'occhiata che lo fa allontanare con la goda tra le gambe. Poi qualcuno chiede il 'bis'.
-Se Jimmy ci paga per una doppia esibizione, chi siamo noi per dirvi di no. – urla Jenny, mostrando un carisma che al canile nasconde sotto un atteggiamento più pacato, e che mi fa sorridere.
Un uomo in lontananza si mette a ridere facendo loro un cenno con la mano che si potrebbe tradurre come una sua volontà a pagarli per una canzone di più.
Gli Shangs allora si guardano di nuovo gli occhi, poi annuiscono a pensieri che non esprimono a voce alta. Imogen dice che canteranno una cover dei Guns N'Roses. In particolare della loro Don't Cry. Bastano le note iniziali, suonate proprio da Andy, per farmi capitolare. Hanno tutti e tre modo di far sentire i loro talenti. Imogen con la sua voce che si fa più bassa e sensuale, Dan con i suoi assoli di chitarra e Andy che colpisce, o forse accarezza, il suo strumento con un ritmo che si amalgama alla perfezione a quello dei suoi amici. Lei che prende a muoversi con lentezza, ondeggiando con eleganza i fianchi e stringendo il microfono con gli occhi chiusi; Dan che fa un assolo, suonando la sua chitarra in un modo che fa urlare delle ragazzine che devono avere sui quindici anni e che si avvicinano con adorazione al palco. Andy, i capelli castani che svolazzano sulla sua fronte facendolo sembrare così tanto uno di quei musicisti delle rock band del passato, di quelle che occupavano gli stadi fino a farli scoppiare. Per un momento muove le labbra per mimare delle parole della canzone. I nostri occhi si incontrano e io sorrido, fiera di lui. È la prima volta che delle persone che mi sono amiche cantino in mia presenza, che un batterista mi guardi mentre accarezza la sua batteria con evidente passione, mimando con la bocca una canzone così bella.
Quando finiscono, c'è un secondo tempo di applausi. Le luci si riaccendono da alcuni faretti e la band, prendendosi per mano, si inchina riconoscente. Andy mi fa un occhiolino prima che si allontanino. Sorrido, sentendo il cuore a mille.
-Ma hai visto... - mi volto nella direzione di Holden.
Mi interrompo quando noto che mi sta già fissando. I suoi occhi sono fissi su di me come se mi avesse guardata per tutto il tempo. Chissà da quanto ha spostato la sua attenzione dal palco alla mia figura.
-Uoh, mi stavi guardando? – mi viene da ridere.
Holden fa un colpo di tosse, poi annuisce e torna a guardare di fronte a sé.
-Sì, lo stavo facendo. Allora, che ne pensi? Sono stati bravi?
-Sono stati pazzeschi! Imogen ha una voca così bella, Daniel potrebbe diventare il prossimo Mike Knopfler, e Andy è stato molto bravo. Ti sono piaciuti?
-Sì. Hanno talento. Te l'ho detto che Andrew è come Mary Poppins. – fa un mezzo sorriso.
-Non ha suonato solo lui. – sottolineo.
Abbassa lo sguardo. – Lo so. Ho fatto riferimento solo a lui perché... in qualche modo attira maggiormente le mie attenzioni. È quello che... in fondo conosca di più della band. Comunque, ti sei visibilmente emozionata ad ascoltarli e questo mi fa felice. – sorride.
Sorrido di rimando, lasciando questa volta ai miei occhi la libertà di fissarlo, mentre lui si concentra, almeno apparentemente, sui successivi artisti. Non sembra infastidito, o agitato. Al contrario, sembra più immobile. Questo mi impensierisce a sufficienza da spingermi a stringere la sua mano nella mia.
L'ultimo cantante, un ragazzo che rappa dei versi alquanto ribelli, finisce la sua esibizione a cinque minuti dallo scoccare della mezzanotte. Jimmy, il tale che dovrebbe essere il proprietario del locale, si posiziona al centro del palco per invitare la gentile clientela a spostarsi al piano di sopra, per passare la notte tra balli e divertimento. Io e Holden ci scambiamo un'occhiata indecisa.
Allo scoccare della mezzanotte, tutto è un tripudio di coriandoli, baci e bottiglie di alcol che vengono stappate come se non ci fosse un domani. Io e lui abbiamo appena il tempo di sfiorarci le labbra che subito delle persone ci trascinano nella mischia di abbracci non richiesti e gomitate poco gentili. A tirarci fuori dal nugolo ci pensano proprio gli Shangs. Con gli occhi ancora bistrati di nero si fanno largo tra una piccola folla che tenta di fermarli. Chi tentando di approcciare Imogen, chi provando a baciare Andy e chi toccando i capelli ossigenati di Daniel come se fossero sacri o qualcosa di simile.
-Vi va di ballare? – domanda Holden. Negli occhi uno sguardo carico di dubbi.
-Sì, ma non qui. Balliamo all'aperto. – gli dice Daniel, senza spiegarsi. Poi gli dà una pacca sulla spalla e si presenta.
Lo stesso fa Imogen e così, senza farci troppe domande, ci liberiamo della marmaglia. Una volta all'aperto, c'è già qualche volante pronta ad acciuffare teste calde e ubriaconi, poi ci soni comitive che urlano parole senza senso e coppiette che si sbaciucchiano platealmente, mentre dei fuochi d'artificio scoppiano nell'aria, creando cascate di scintille colorate che mascherano il cielo a festa.
-Allora? – Andy mi dà una gomitata.
Ci dirigiamo verso non so neanch'io dove.
-I tuoi occhi truccati mi fanno un certo effetto. – gli confesso.
-Positivo o negativo? – fa una mezza risata.
-Strano. Non ti stanno male, però. Potresti diventare il nuovo David Bowie. – gli faccio un occhiolino.
Holden, davanti a noi, parla intanto con Daniel che sembra affascinato dai suoi occhiali da vista perché pare che debba cominciare a indossarne un paio anche lui e adori quelli dalla montatura spessa.
-Lo so. – si pavoneggia. – Allora? – ripete.
-Allora siete fighi, va bene? Siete stati bravi, Andy. Molto bravi.
Sorride. – Sono felice che tu ci abbia visti e che lo abbia fatto anche Holden.
Il mio ragazzo, sentendosi chiamato in causa, si volta nella nostra direzione.
-Grazie per essere venuto, Holden. – ripete allora il mio amico. – Mi fa piacere che voi ci siate stati.
-Fa piacere anche a me... Andrew. Siete in gamba. Tu lo sei. Hai un talento spaventoso.
Si guardano per un momento negli occhi, poi si scambiano un piccolo sorriso.
Gli Shangs ci portano in quello che deve essere una specie di ritrovo per musicisti. Si trova in una zona piuttosto periferica, illuminata da alcuni bracieri attorno cui c'è chi balla, chi suona la chitarra e chi beve quelle che sembrano bottiglie di birra.
-Qui ci sono tanti randagi musicali. Suoniamo e ci facciamo i cavoli nostri. – dice Imogen.
Poi salutano con strette di mano e pacche sulle spalle comitive di ragazzi che ricambiano i saluti con entusiasmo. Si respira subito un'aria che sa di festa e amicizia. Io e Holden veniamo invitati attorno a un braciere.
-Mi spiace dirti che qui non vengono servite bottiglie di latte e cacao. – Andy mi prende in giro. – Birra o cola? – domanda.
-Ma che spiritoso! – gli faccio una linguaccia. – Andrò di birra.
-Che ribelle! Holden, per te lo stesso? – punta i suoi occhi su di lui, al mio fianco.
Holden, però, è di nuovo preda della distrazione perché non risponde subito.
-Devo chiederti un'altra radice quadrata? – gli do una gomitata.
Lui sbatte le palpebre per qualche momento, poi scuote la testa. -No. Lo stesso, grazie. – mi si fa vicino. – Da quando beviamo birra? – mi sussurra.
Faccio spallucce. – Da quando siamo più disinibiti, forse.
-Io non mi sento disinibito. Non come vorrei, almeno.
-Ah no? E i tuoi baci nei corridoi sono atti di pudore?
-Vorrei esserlo di più, ma... non ci riesco.
Lo guardo per qualche secondo. Sembra che stia parlando di qualcosa che non riesco ad afferrare.
-Con "di più" – mimo le virgolette. – intendi che vorresti fare plateali spogliarelli o cose così? – la butto sul ridere.
-Proprio così. – sta al gioco.
So che non intende questo.
Poggio la testa sulla sua spalla, poi accettiamo le bottiglie che ci vengono offerte. Con un occhio sui fuochi d'artificio che scoppiettano in cielo, coprendo la mia stella, e uno su dei ragazzi che prendono a ballare sotto delle note reggae, sorseggio birra e chiacchiero con i miei amici. Questo posto, questa gente, profuma di libertà.
-Dai, balliamo anche noi. Vieni mia eroina. – Imogen mi prende per mano minuti dopo, trascinandomi in piedi e costringendomi a lasciare la bottiglia sul marciapiede.
-Perché Kathleen è la tua eroina? – le chiede Holden, divertito.
-Oh, perché è riuscita a far uscire dal letargo l'orso Andy.
Il mio amico le fa un dito medio in risposta. Io scuoto la testa, senza trattenere una risatina.
Holden si limita ad annuire, poi solleva un angolo della bocca, invitandomi con un gesto del capo a seguire Imogen.
Mi lascio convincere. Sono alquanto impacciata mentre provo a seguire i movimenti di Jenny e di altre ragazze che ci si fanno vicine. Si muovono sinuosamente come odalische, facendomi sentire un sacco di patate. Poi, però, Imogen fa degli strani movimenti con le braccia che mi fanno ridere. Ride a sua volta. Rotto il ghiaccio, comincio a lasciarmi andare. Allargo le braccia, punto il viso al cielo, chiudo gli occhi e prendo a volteggiare. Giro su me stessa e rido senza un perché. Poi ci raggiungono anche i ragazzi. Holden è accerchiato da due ragazze dalla pelle abbronzata che assomigliano a due pantere attorno a una preda. Lo fanno ballare, strappandogli una risatina divertita.
-Fosty ti stai dando alla pazza gioia, eh?
Anche Andy è piuttosto impacciato nei movimenti. Gli occhi truccati che luccicano e un sorrisetto sulle labbra.
-Io sono quella che ha stracciato dei pomposi al compito di Morley. Posso fare ciò che voglio! – saltello.
-E io? Non prenderti tutto il merito, regina dei conigli e dei topi.
-Mi piace questo titolo. – rido, euforica anche grazie a quei pochi sorsi di birra che ho bevuto.
Poi mi prende per mano e mi fa girare su me stessa. Deve essere euforico anche lui. Nel volteggiare i miei occhi si scontrano per un momento in quelli di Holden. Ci guardiamo per qualche secondo, poi sono la prima a spezzare il contatto visivo quando torno di fronte a Andy.
Balliamo per tutta la notte, fino a quando anche l'ultimo fuoco d'artificio si lascia assorbire dalla notte e anche il più brillo dei musicisti randagi è troppo stanco per suonare, cantare o ballare.
Ci scambiamo gli auguri un'ultima volta, poi ci salutiamo. Abbraccio tutti, mentre Holden si limita a una stretta di mano a cui Daniel aggiunge una pacca sulla spalla. Andy gli sorride, prima di fare lo stesso con me. Ci dice che oggi andrà dormire da Dan, mentre Jenny andrà da sua nonna. Il dormitorio toccherà solo a me e al mio ragazzo, a quanto pare.
-Andrew è un bravo ragazzo. – mi dice Holden sulla via di ritorno.
-È una domanda o una constatazione?
-Una constatazione.
***
Le lezioni del primo semestre sono ufficialmente finite e al dispiacere di poter rivedere il professor Morley solo in seduta d'esame si intensifica l'ansia per gli esami stessi. Malgrado abbia da congratularmi con me stessa per aver studiato con costanza, senza ridurmi alle ultime settimane, ogni rigo che sottolineo e ogni frase che ripeto mi sembra insensata. Ripeto, ma non ricordo nulla l'attimo dopo averlo fatto. Ogni parola si fa fantasma nella mia mente. E a quanto pare è lo stesso per Roxanne che ogni lunedì ripete in camera nostra perché la biblioteca è diventata un posto troppo affollato. Le nostre voci si intrecciano a momenti alterni e a momenti alterni c'è così tanto silenzio che se fossimo in estate potremmo sentire dei grilli frinire fuori dalla finestra.
Ogni tanto ci raggiungono in camera nostra anche Paige e Philippe che da quando ha scoperto che mi arrivano periodicamente dei prodotti di bellezza tailandesi non perde occasione di cogliere la scusa del silenzio che pare aleggi nella parte del corridoio dove si trova la nostra camera per rubare creme e maschere che applica sulla sua bella pelle, già fresca e rosea come quella di un bambino.
Tutto si è fatto d'improvviso più caotico, ma più silenzioso allo stesso tempo. L'auletta dei rappresentati è piena di studenti che tra una nuvoletta di fumo e l'altra studiano appiccicati su fogli che volano da una parte all'altra. Nei corridoi echeggiano algoritmi, formule matematiche, leggi, versi in italiano, in francese e in altre lingue che non riesco ad identificare, date storiche, teorie pedagogiche e sociologiche, massime filosofiche, numeri e catene di lettere incomprensibili. Anche le statue sembrano diverse. A volte mi sembrano meno serene e più cupe, con le mani vicino alle orecchie come se non volessero perdersi nessun bisbiglio di noi anime in evidente pena. Con gli sguardi più preoccupati, come se volessero suggerirci domande e dritte, sature come sono di sessioni d'esame che avranno visto ripetersi laconicamente anno dopo anno, ma consapevoli che dalle loro bocche di pietra non uscirà un fiato.
Anche Holden è visibilmente stressato, seppur mantenga sempre la sua aria ordinata ed elegante che contrasta con la mia immagine, sfatta e schizzata. Mi dice che darà l'esame di geometria algebrica nell'ultima data disponibile, a febbraio, per darsi modo di preparare nel frattempo altri due esami, dei progetti e di finire il lavoro sul gaming e la matematica con Violet.
Violet.
Il mio modo di vederla è sempre lo stesso: la ammiro, in un certo qual modo, ma il solo pensare il suo nome mi lascia addosso una sensazione strana... in un certo qual modo. Da una parte ci sono i suoi sguardi mielosi, i suoi movimenti posati, le sue domande educate. Dall'altra ci sono i suoi sguardi attenti, i suoi sorrisi a tratti machiavellici, le sue attenzioni verso il mio ragazzo. Giuste. Sbagliate. Nella mia mente è più simile a un rebus, di quelli che hanno l'apparenza di essere facili perché davanti agli occhi c'è un'immagine, chiara e inconfondibile, e delle sillabe che riconducono chiaramente a delle parole che rimangono sulla punta della lingua a lungo. Poi, però, una volta che ci si sente pronti a sputarle fuori, si scopre di aver sbagliato e il rebus rimane lì, fermo, pronto a creare nuove strade nel labirinto mentale.
Un rebus.
Se ci penso, anche Holden è diventato un rebus per la mia testa. Da una parte ci sono i suoi sorrisi più dolci, i suoi tocchi, la sua dolcezza. Dall'altra c'è la sua stranezza.
Le settimane diventano degli inghiottitoi in cui ogni giorno sembra durare manciate di minuti.
Tuttavia, il primo esame universitario della mia vita, quello del professor Droopy, va alla grande. Mi sento più sciolta di quando mi aspettassi lo sarei stata. Le parole mi scivolano di bocca a ogni sua domanda, anche quelle più ostiche, facendo sì che tiri fuori risposte che non credevo si nascondessero nella mia testa. È una cosa strana. Tutto ciò che pensavo di non ricordare, di non sapere, straripa come un fiume in piena, facendomi sentire più sicura, ma non meno preoccupata per gli esami successivi.
A fine gennaio, mi basta battere le ciglia per ritrovarmi davanti al naso il cerchio rosso che circonda la data della giornata speciale al canile. Un cagnolino stilizzato lo affianca, facendomi sorridere.
Io e Andy ci portiamo dietro libri e appunti, seppur consapevoli che forse non avremo modo di ripassare nemmeno una virgola. Nel tragitto per arrivare al canile mi mostra il volantino che hanno preparato per l'occasione. Sono tracciate le attività previste per la giornata, di cui il percorso a ostacoli preparato da Victor e la passeggiata pensata per chi voglia testare la propria affinità con i cani. È previsto anche un pranzo all'aperto, e una sessione di giochi e di coccole.
Il canile ci accoglie vestito nel suo abito migliore. Dei festoni agghindano le pareti esterne della struttura e dei palloncini colorati sono legati al cancello d'entrata. Le altalene per i bambini sono luccicanti e tutto ha un aspetto più bello e splendente del solito. Le cuccette di legno, le gabbiette dove i cani dormono la notte, i giochi, i cerchi e i coni già disposti in un percorso a S che sono certa divertirà sia i bambini, alcuni già presenti, sia i cani. Intravedo anche dei giochi che fino a ieri non erano presenti: un piccolo tunnel morbido color canarino, una passerella con delle rampe piuttosto basse e uno slalom con dei paletti. Tutta attrezzatura che sarà di proprietà di Victor. Su un tavolo di legno, strategicamente posizionato lontano dalle palle di pelo, ci sono delle torte e dei succhi di frutta.
Ridacchio quando vedo Baxter e Cookie con dei papillon legati ai loro collari. Sono impettiti ed eleganti come se fossero consapevoli che oggi dovranno mostrarsi nel loro aspetto migliore. Anche Marianne, Imogen e Daniel sono più in tiro del solito. La dottoressa ha una collana di perle attorno al collo lungo e il rossetto rosso, questa volta, è solo sulle labbra: il suo sorriso splende.
Quando passo davanti ai cani, strizzo l'occhio nella loro direzione, mentre loro si fanno vicini, abbaiandomi a mo' di saluto. Biagio ci raggiunge poco dopo, saltando sulle ginocchia di Andy.
-E a lui il papillon? – osservo il suo aspetto, meno impettito degli altri.
-Oh, ma il mio Biagio non si tocca. Lui ha già una famiglia, vero amico mio? – Andy lo prende tra le braccia, baciandogli la testolina.
-Dai, così non vale. Vuoi farmi piangere già da adesso? – li osservo, sentendo la mia bocca piegarsi in un sorriso.
-Quello è l'obiettivo. – mi risponde, facendomi un occhiolino.
Ci rintaniamo al chiuso dopo poco. Victor ci dà delle direttive nel caso alcuni cani dovessero stravolgere i piani all'ultimo minuto, suggerendoci di tenere in tasca degli zuccherini che dovrebbero far ritrovare "la retta via" a ogni cane in caso di necessità. In queste settimane sono stata attenta a ogni movimento e ogni indicazione che lui ci abbia dato, ma ovviamente ognuno ha il suo lavoro e io vado decisamente meglio come dogsitter che come addestratrice.
Non appena vedo Sandy mi fermo a guardarla. È bellissima. Ha un fiocchetto di velluto legato al suo collare e il suo pelo sembra più morbido del solito. Mi si fa vicino e per un momento, mentre le mie dita affondano nella sua sofficità, mi trovo a pensare a quanto l'idea di lasciarla andare mi faccia più male di quanto abbia riflettuto. A come il mio cuore traballi alla consapevolezza che se trovasse qualcuno pronto ad amarla non potrei vedere più il suo pelo bianco, la sua andatura sbilenca, la sua fragilità e i suoi occhi caldi. Ne abbiamo passate tante insieme in questi mesi e nel mio cuore sono sedimentate delle scene bellissime che ci vedono protagoniste. Ma qui non si tratta di me. Lasciarla andare via, con qualcuno che potrebbe darle di più di quello che potrei darle io, è la strada giusta, quella migliore. Mi auguro perciò che oggi qualcuno noti la bellezza di ogni suo difetto e decida di darle una casa più bella di quella che potrei mai garantirle io.
Pian piano il canile si fa sempre più affollato. Marianne saluta tutti con fare confidenziale, mostrando chiaramente di conoscere almeno la metà dei presenti. Dei bambini prendono a rincorrersi, mettendosi poi subito a giocare con i cani, lasciati liberi a scorrazzare sull'erba. Qualcuno porta persino del cibo e per un momento mi sembra di essere finita in una festa di paese. Manca solo lo zucchero filato e uno di quei tizi con i trampoli sotto i piedi.
Quando scorgo una cascata di capelli biondissimi, decido di farmi avanti anch'io.
Violet mi saluta, facendo dei passi nella mia direzione. Non è facile farci spazio in mezzo alla gente che prende a farsi più consistente, ma alla fine ci avviciniamo al tavolo del cibo, "zona sicura", almeno per il momento.
-Cavoli, ma che bel posto! – si guarda attorno.
-È un posto incantevole, hai ragione. Vedrai, abbiamo pensato a tante attività divertenti per la giornata. Tua mamma ha delle richieste particolari?
-Nulla di troppo particolare. Lei vuole un cane tranquillo, ma anche affettuoso. Hai qualche nome da propormi?
Penso a Sandy, ma la sola idea che possa essere Violet ad adottarla mi fa sentire un crampo alla pancia. La mia bocca fa il nome di Cookie.
Andy ci raggiunge poco dopo, seguito da Imogen e Daniel che si presentano alla bionda con fare amichevole. Le fanno qualche domanda, poi Daniel mi costringe a trattenere una risata quando si metta ad elencare le qualità di ogni animale, ostentando una dialettica da venditore di padelle.
-Cookie: agile, divertente, taglia media e pelo morbido. Ama le palle di gomma, preferibilmente di colore rosso, le coccole dietro le orecchie, preferibilmente subito dopo i pasti, e odia le lucertole. Amicizia garantita. – ci manca solo che tenda le mani alle sue spalle in una perfetta imitazione di un promoter.
I miei amici soffocano una risatina a loro volta e così ci avviciniamo al momento dell'esibizione. L'aria è carica di eccitazione e mi sento come una maestra prima di una recita scolastica. Anche se qui, forse, l'unico a doversi sentire come un maestro è Victor che, fischietto attorno al collo, conduce il percorso di ogni cane con maestria.
Baxter è il più pesante della compagnia e il momento del tunnel è quello che gli crea con più evidenza difficoltà. Compensa la sua difficoltà quando mostra la sua agilità nel percorso a S, muovendosi attorno a ogni cono con una leggiadria che si scontra con la sua taglia possente. Un applauso caloroso lo accompagna fino alla fine.
-Lui mi sembra un bel cagnolone. – Violet mi si affianca. – Pensi che distruggerebbe il giardino di mia madre?
-La mia risposta dipende da te: vuoi che lo faccia, oppure no?
Si mette a ridere. – Potrebbe servirmi, soprattutto quando mia mamma se la prende con me per delle sciocchezze.
-Ti capisco. Anche mia mamma lo fa.
Quando le dico così per un momento qualcosa le attraversa gli occhi, poi abbassa lo sguardo.
-Tornando a noi, - mi schiarisco la voce. - Baxter è... un cane maestoso e regale, a modo suo, e...
-Ed è il signore assoluto di un castello dove lavorano formiche e cimici. – Andy mi raggiunge, poggiando un gomito sulla mia spalla.
Mi metto a ridere. – Sì, così c'è il rischio che le schiacci ogni due per tre e rimanga senza servitori.
-La morale sarebbe proprio quella: mai prendere come dipendenti creature più piccole di te.
-E se la morale fosse che il signore del castello può non dipendere da nessuna povera formica e cimice?
-Tu sei sempre la più saggia tra noi due, non è giusto.
Ci mettiamo a ridere. Smettiamo di divagare quando gli occhi azzurri di Violet vagano su noi due. Fa un sorriso sibillino.
-Vuoi unirti anche tu al racconto, Violet? Ti assicuro che Fosty è difficile da battere.
-Potrei provarci, ma non ho la vostra fantasia. Io sono una matematica. – si drizza gli occhiali, sorridendoci, questa volta in modo più dolce.
Torniamo a fissare le nostre attenzioni ai giochi pochi secondi dopo. Tutti i cani fanno una figura più che dignitosa. Sandy è per me la più brava. Victor la guida passa dopo passo. Dei bambini più perfidi sghignazzano quando lei fa cadere qualche birillo e io provvedo a memorizzare i loro volti così da non permettere che qualcuno di loro le si faccia vicino.
Quando tutti finiscono i loro percorsi, gli applausi si perdono nell'aria, seguiti da alcune canzoncine dal ritmo quasi infantile che rendono l'aria ancora più allegra.
Nel mio piccolo, provo a imitare Daniel nel momento in cui qualcuno, mamme e nonni perlopiù, mi fanno delle domande. Presento ogni amico a quattro zampe con tutta la dolcezza che mi è propria, riuscendo a far adottare, con mio grande piacere, la piccola Betsy.
Violet fa qualche domanda ad Andy, muovendosi con lentezza tra i vari cani. Mi accorgo di come, però, nessuno di loro le si faccia troppo vicino.
All'ora di pranzo, mi concedo anch'io una fetta di crostata. Tutti i dolci e i biscotti posati in tavola hanno un ottimo aspetto e noto come tutti i presenti spazzolino velocemente ogni cosa.
-Fosty, che mi combini? – fa Andy dopo poco, mettendosi a ridere.
-Che c'è? – strabuzzo gli occhi.
-Sei come una bambina. Hai mangiato la crostata ai mirtilli di Marianne?
-Perché?
-Hai della marmellata viola proprio qui. – si tocca il mento.
-Oddio. – mi affretto a passarmi le dita sul punto che sembra mi stia indicando. – Può succedere, sai? Perché ridi?
-Bevi latte e cacao, sei la regina dei topi e dei conigli e ti sporchi la bocca con le torte. Sei una...
-Persona dall'estro creativo. – lo fermo.
Ride ancora. Poi le sue dita indugiano vicino al mio viso. – Sei ancora sporca, persona dall'estro creativo.
Sbuffo e gli permetto di aiutarmi. Gli passo un fazzoletto e lascio che mi aiuti, proprio come se fossi una neonata alle prese con la sua prima pastina. Mi si avvicina e mi sorride, divertito.
-Disturbo?
La voce di Violet ci fa sussultare per un momento. Andy allontana la mano dal mio viso e si gira nella sua direzione. Io rimango a fissarla, chiedendomi come abbia fatto a non accorgermi del suo arrivo e da quanto tempo ci stesse guardando. Per un momento, sento i miei sensi allarmarsi, come se la vicinanza tra me il mio amico possa aver dato adito a fraintendimenti nella sua mente. Ma quali fraintendimenti? Perché dovrebbe farsi strane idee? Sono io quella che si fa strane idee, da qualche tempo.
-No, ma quale disturbo. Mi stava solo aiutando con una macchia di marmellata. – le dico prontamente.
Lei annuisce, sorridendo. -Volevo chiedervi come mai quel cagnolino grigio sia più in disparte, rispetto agli altri.
-Lui è Biagio. Ma non è disponibile all'adozione. – risponde Andy.
-E perché? È molto bello, lo vedrei bene a scorrazzare in casa dei miei.
-Mi spiace. Biagio è il mio amico. Scorrazza già nel mio cuore. Giusto, Fosty? – mi guarda.
-Giusto! Mi spiace, Violet.
-Spiace anche a me. Vabbè, faccio un altro giro. La cagnolina bianca è molto carina.
Si allontana di qualche passo, poi però si blocca e fa dietrofront.
–Comunque, avete proprio una bella chimica, voi due. – ci guarda negli occhi.
Torna a fare un sorriso machiavellico. Mi appare in tutto il suo essere un rebus. Ci sono i suoi occhi da una parte e i suoi sorrisi dall'altra.
Io e Andy la guardiamo come due stoccafissi.
-Che intendi? – le chiedo. – L'unica persona con cui abbia chimica è...
Holden.
-Che avete una bella sintonia. – mi ferma. - Tutto qui. È una cosa bella, rilassatevi! – ride.
Poi ci supera definitivamente.
Rimango con gli occhi incollati su di lei e quando la vedo avvicinarsi a Sandy, mi muovo nella sua direzione. Andy mi segue.
-Lei chi è? – ci chiede, vedendoci al suo fianco.
Andy mi guarda per un momento. – Lei è la bellissima Sandy. Ha una protesi all'anca e ha delle difficoltà motorie, come avrai evinto.
Di istinto mi abbasso al suo fianco. Sandy mi lecca la mano, affettuosa.
-Ci tieni molto a lei, vero Kathleen? – mi domanda Violet.
-Moltissimo. Pensi che lei potrebbe...
-No, temo di no. – mi interrompe. – Temo che mia madre non sarebbe in grado di gestire una cagnolina disabile.
Trattengo quasi un sospiro di sollievo. Vedo Andy scrutarmi per qualche secondo. Probabilmente avrebbe insistito nel farle altre domande se non si fosse trattato di Violet. Un signore ci distrae, insieme a dei bambini, e così l'amica di Holden si allontana da noi.
La giornata prosegue in modo sereno. Il momento delle coccole è il preferito di tutti, risate e abbai trillano nell'aria e quella che è una giornata invernale si trasforma nel mio cuore in una giornata primaverile.
A fine serata, per Sandy si propone una bambina dalle trecce rosse, accompagnata da sua nonna. Stringe tra le dita un palloncino verde mela e sorride nella direzione della mia amica pelosa. Siamo rimasti in pochi e noi dogsitter ci incantiamo a guardare la scena, curiosi. La bimba e Sandy si osservano per qualche secondo, poi le piccole dita si avvicinano con cautela, ignorando le ammonizioni di sua nonna.
Fisso Sandy e rimango in attesa di una sua reazione. Non mi avvicino, sentendo che non ce ne sia il bisogno.
Sandy reagisce poco dopo, spingendo il suo musetto sul palmo della mano della piccola.
-Ma, Robin, questa cagnolina è malandata e...
-Mi piacciono le cose malandate, nonna.
Daniel allora coglie la palla al balzo e saltella al loro fianco con la sua invidiabile baldanza.
-Alla fine dovrai dirle addio, Kathleen. – la voce di Violet mi fa sussultare, per la seconda volta.
-Oh, non sarà un addio, Violet. Certi legami durano per l'eternità. – le faccio presente.
Annuisce mestamente prima di salutarci.
-È stato un piacere trascorrere questa giornata con tutti voi. Ho scattato delle foto ai cani che ci sono ancora, nell'attesa che mia mamma mi dica con quale si senta più affine. Ovviamente verrà di persona per sincerarsene, uno di questi giorni. – ci dice. – Grazie per l'ospitalità. – sorride.
-Passate pure quando volete, Violet. Il piacere è stato tutto nostro. – la saluta cordiale Andy.
Mi limito ad annuire, non troppo felice della sua frase sulla 'chimica' tra me e Andy.
Non appena il suo cappottino color pastello è lontano, lascio che le mie attenzioni ricadano tutte su Sandy. Doc ha concesso che la piccola Robin passasse ancora qualche altro momento al suo fianco. Poi, con una gentilezza che non le avevo ancora visto, le parla dei suoi problemi fisici, di come adottare un cane significhi farlo diventare parte della propria famiglia, che non sia perciò un oggetto 'usa e getta' e che il cuore di Sandy sia stato spezzato già una volta. La nonna fa per replicare, ma poi vedo chiaramente come i suoi occhi si fissino su sua nipote. La bambina gioca con la mia amica con evidente gioia. Si inginocchia al suo fianco e per un momento la abbraccia. Sandy accoglie il gesto.
-E pensare che prima era così restia a farsi toccare. – osservo a voce alta.
-Hai fatto in modo che tornasse ad avere fiducia, Fosty. Hai questo potere tu. – dice Andy, guardando la scena che ci si presenta davanti.
Non so nemmeno io quanto tempo dopo, mi ritrovo a stringere Sandy tra le braccia per un'ultima volta. A nascondere delle lacrime che mi scorrono egoiste sulle guance e a vedere un palloncino verde mela che vola via, mentre una cagnolina claudicante si allontana con una bambina dai capelli rossi.
***
Pochi giorni dopo siamo a febbraio e anche l'esame di letteratura vittoriana mi dà le sue soddisfazioni. Mi rimane quindi l'ultimo ostacolo: il professor Morley. Mi fa più paura di tutti gli altri perché il suo giudizio è quello a cui tengo di più.
Mi concentro così tanto sui miei studi, che nella mia mente passa quasi in secondo piano la constatazione che Violet non ci abbia dato più sue notizie sul canile, facendo insinuare nelle mie insicurezze il germoglio del dubbio. Il dubbio che possa aver semplicemente voluto cogliere l'attimo per osservare me e Andy. Corroborare così il suo pensiero che sia evidente che io e lui abbiamo un bel legame, una bella sintonia, un rapporto che di cui Holden le avrà parlato in uno dei loro tanti momenti insieme, confermandogli magari, con nonchalance, perché sono amici, o per ragioni a cui non voglio pensare, che lui sia perfetto o chissà che altro.
Da un lato la sua presenza si fa più evanescente perché anche lei è impegnata con lo studio, ma dall'altro la sua essenza si fa più invadente.
È come se dopo la sua visita al canile, il suo nome avesse preso a riecheggiare tra me e Holden con ancora più enfasi. Il giorno dopo la giornata delle adozioni, c'è stato un momento in cui mi è sembrato di vedere Violet bisbigliare qualcosa nell'orecchio del mio ragazzo quando io e Andy abbiamo superato il cancello all'entrata. Mi è sembrato, appunto. In questo periodo mi sento in una casa degli specchi. Sono le mie percezioni a modificare le immagini che mi fronteggiano o sono realmente così? Forse è questo il potere delle persone "rebus". Sono fraintendimenti o è reale che nelle catene di parole che ci scambiamo io e lui sembri che il suo nome si sia fatto più rumoroso? Non c'è giorno in cui non la nomini. Lo fa con leggerezza, inserendola nei suoi discorsi sul lavoro che stanno portando a termine, ma con una leggerezza che in qualche modo per me è pesante.
Affrontare in seduta il professor Morley mi distrae e ha lo stesso effetto di andare sulle montagne russe. Lo si fa con ansia, terrore, ma anche con eccitazione e voglia di salirci. Mi accoglie nel suo studio, pregno del profumo di pino che volteggia a ogni suo movimento, con il suo inconfondibile charme. Mi mette a mio agio con il suo tatto, vedendomi probabilmente spaurita.
-Lei è la mamma di Beatrice, Seamus e tutti quegli strambi animaletti, signorina Foster. Non mi guardi perciò come se fosse un topolino nelle zampe di un grifone. Sono certo che se lei fosse davvero un topolino in difficoltà, troverebbe comunque il modo di farla franca. Magari chiamerebbe in aiuto proprio una di quelle oscure farfalle crepuscolari che nella sua storia hanno un ruolo così bello.
Sorrido, emozionata. Il professor Morley ha il potere di farmi sentire al posto giusto. Mi fa sentire che quello che mi scorra nella testa valga davvero e che possa farcela. Lui crede in me e riesce a rassicurarmi.
Senza che me ne accorga l'esame ha inizio. Mi interroga come se mi stesse chiedendo cosa abbia mangiato a colazione, con le gambe accavallate, le dita sotto il mento e un'aria soddisfatta. Lui è il classico docente che manterrebbe quell'aria rassicurante anche se cominciassi a sparare che libri come Alice nel Paese delle Meraviglie non servano a nulla. Mi chiederebbe il perché di questa mia certezza, infatti. Arriviamo alla fine dell'esame con troppa velocità. È buffo, ma non voglio che finisca. Voglio che mi faccia altre domande, che non smetta di farmi sentire così potente. Il mio sapere è il mio potere magico.
-Lasci sempre che penne scintillanti streghino la sua attenzione, che la fame di conoscenza le scorra nelle vene e che la sua visione dei bambini e della letteratura rimangano immutate nel tempo. Faccia sentire sempre la sua voce e accolga ogni metamorfosi con coraggio. Arrivederci, signorina Foster. Spero che in futuro avremo modo di lavorare ancora una volta insieme. Il mio indirizzo di posta ce l'ha e sa qual è il mio studio. Sempre che la mia linguaccia ribelle non mi faccia licenziare. – mi fa un occhiolino.
Pendo dalle sue labbra, e manca poco che gli chieda se ha una sua foto da autografarmi. Lascio il suo studio con la promessa che farò di tutto per concludere il mio percorso di laurea con un lavoro che porti anche la sua firma.
Le giornate, nell'attesa del nuovo semestre, rimangono frazionate da parentesi agrodolci. Holden ha l'ultimo esame di geometria algebrica da preparare ed è proprio in un pomeriggio di neve che mantengo una promessa e che un'altra scheggia si pianta tra me e Holden. Come se fosse inevitabile. Come se dovesse per forza succedere qualcosa che sporchi quella serenità intermittente che ci avvolge.
Temo che quando si lasci che la mente prenda troppo il sopravvento, insieme a quelli che sono i sentimenti che più infragiliscono una persona, succeda di fare disastri.
Holden lascia che il nome di Violet si infiltri ancora tra di noi. Io lascio che ciò succeda.
-Allora, praticamente, c'è questa teoria che si chiama Teoria dei giochi. Violet è stata a dir poco geniale perché è lei che ha capito che si potesse fare un collegamento tra questa teoria, a cui John Nash diede un apporto importante, e il gioco degli scacchi.
Violet.
-Ogni gioco con un numero finito di giocatori ha almeno un punto di equilibrio. Violet ha ricordato di quando Nash si oppose alla teoria di Smith quando questi disse che per vincere ognuno debba semplicemente pensare per sé. Violet ha integrato le cosiddette dinamiche dominanti a...
Violet. Violet.
-Si chiama Equilibrio di Nash. Violet... Violet... Violet...
A un certo punto sento solo il suo nome. Non capisco più niente. Forse, anzi è sicuro, non ho capito niente di quello che ha detto fino adesso.
"Violet... lei ha un modo di ragionare che assomiglia al mio ed è strano... non ci ero abituato. Mi fa sentire... al posto giusto."
D'improvviso mi tornano in mente queste parole. Holden si sente al posto giusto con lei. Lei parla la stessa lingua di Holden. Lei conosce dinamiche dominanti, teorie dei giochi. Persino equilibrio strani che sembrano, per chissà quale ironia della sorte, scontrarsi proprio con il mio disequilibrio.
-Basta! Mi stai annoiando.
Non so chi abbia parlato. So solo che d'improvviso la voce di Holden si silenzia. Non si sente più nulla. Solo il gracchiare di un corvo che saltella da un ramo secco all'altro.
Me ne accorgo dopo un po'.
Sono stata io.
Ho davvero sputato fuori che lui mi stia annoiando. Ma non è vero. Non è lui che lo sta facendo. È il suo modo di pronunciare quel nome che lo sta facendo. Violet. Violet. Violet. Sembra che per lui ormai non esista nessun'altra. Mi ama. Mi bacia. Mi stringe nelle sue braccia, ma... c'è un ma che non mi permette di risolvere il rebus. Violet è quella con lui si sente al posto giusto. Quella che gli dà consigli. Quella che gli bisbiglia chissà cosa all'orecchio mentre io e Andy camminiamo nella loro direzione. Quella che guarda me e il mio amico. Che mi rivolge attenzioni irregolari e sorrisi dolci, ma anche machiavellici.
Mi copro d'istinto la bocca con le mani.
-Scusami, non volevo dirlo. – gli dico, abbassando lo sguardo.
-Hai fatto bene a farlo, invece. Hai mantenuto la tua promessa, ricordi?
Mi volto a guardarlo.
-Quale promessa?
-In estate. Una notte, vicino al lago. – comincia a mettere le sue cose a posto. – Ti chiesi di promettermi che se mai ti avessi annoiata, tu avresti dovuto dirmelo.
-Holden, tu non mi hai annoiata. Non lo fai mai. Violet...
-Violet? – chiude il suo zaino. – Cosa c'entra lei?
-Lei... per caso ti ha detto qualcosa? – lo guardo.
-Qualcosa di che tipo? – torna a guardarmi.
-Non lo so. Di me e Andy. Qualcosa che possa aver frainteso, che...
-C'è qualcosa tra te e lui che doveva dirmi? – le sue pupille vagano nelle mie.
Scuoto la testa. – No, niente. È solo che...
-Ecco, ti sei risposta da sola. – si alza in piedi. – Ora, scusami, ma ho da finire delle cose.
-Ma noi non abbiamo finito di parlare. Cioè... - mi interrompo di nuovo quando il mio cellulare vibra nella tasca dei miei pantaloni.
Lo ignoro, guardando Holden.
-Rispondi, Kathleen. Non c'è nulla da aggiungere. Ho blaterato fin troppo, oggi. – fa un mezzo sorriso. Di quelli senza vita.
-Ma... - il cellulare mi blocca ancora.
Lo prendo infastidita.
"Posso sfruttare adesso il mio bonus amicizia?"
-È Andy, vero?
Annuisco.
-Vai da lui, Kathleen. Ci vediamo dopo.
-Io voglio restare con te... - provo a fermarlo.
-Ma?
-Ma cosa?
-Il tono che hai usato lascia presagire che tu voglia restare con me, ma... ci sia qualcosa.
Abbasso lo sguardo. – No, è solo che ho promesso a Andy che... il bonus amicizia, sai... - mi impappino.
-Non voglio trattenerti, allora. Vai da lui. – ripete. – Ti sta aspettando.
-Holden...
Si allontana.
┏━━━━━━༻❁༺━━━━━━┓
Andy ti voglio bene, però proprio ora dovevi voler usare questo 'bonus amicizia'? 🙄
Lo avete pensato anche voi, vero?
E vabbè. Le cose dovevano andare così! Vi ho detto, io mi limito a mettere su carta (su pc, meglio) quello che questi giovanotti mi chiedono di scrivere, a mio rischio e pericolo e a danno della mia stabilità emotiva, ve lo assicuro.
Ma bando alle ciance, in questo capitolo abbiamo visto:
🎆 Il Capodanno di Kat e Holden. Sono andati (di nuovo) ad un concerto. Quello degli Shangs, la band nella quale Andy fa il batterista. Ci sono stati scambi di occhiate, di pensieri, di giravolte.
📚 I primi esami universitari di Kat che le sono andati meglio di quanto immaginasse. Vi confesso che mi sono ispirata alle mie sensazioni e ai miei veri esami quando ho scritto quella parte. Non so se a Princeton la modalità d'esame sia come l'ho descritta o se si usino soprattutto test scritti. Ho fatto qualche ricerca, ma alla fine ho preferito scrivere la scena a modo mio. Voi ricordate i vostri primi esami/verifiche?
🐶 La giornata speciale al canile con il ritorno di 'Violetta' , i suoi sorrisi sibillini, il suo essere un rebus...
📱La scena finale con Kat e Holden... quella che sicuramente, immagino, vi abbia lasciato maggiormente qualcosa addosso...
Non mi dilungo ulteriormente perché seguo Sanremo, sto facendo le nottate in questi giorni per non perdermi nulla e perciò sono un po' rintontita 🤭
Ci aggiorniamo venerdì prossimo con il nuovo capitolo che, vi anticipo, sarà piuttosto breve rispetto ai miei standard.
Grazie mille, come sempre, per le attenzioni che dedicate alla mia storia. A ogni stellina e prezioso commento 💚
Buon tutto,
Rob
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