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Peter Morris & MJ Foster

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Peter Morris & MJ Foster

"Santo Cielo! Piove anche oggi... è il tempo più stinfio che abbia mai visto!"

"Non dovresti criticare il tempo, capo... fa tutto parte del mondo in cui viviamo..."

(Peanuts – Charles M. Shulz)


Sono ufficialmente parte del club di disegno.

E ho ufficialmente due nuovi amici, o qualcosa che ci si avvicina. Dopo Roxy, ovviamente.

La prima si chiama Paige, ha la carnagione color cioccolato e bellissime lunghe treccine impreziosite da perline colorate. Un piercing al naso e alla lingua, e un sorriso bianchissimo completano il tutto. È una studentessa del dipartimento di arte e archeologia ed è super brava con la pittura. Miss Lefevre, la docente che tiene il corso, nonché assistente del professor Garcia della facoltà di storia dell'arte, non fa che tessere le sue lodi, per quanto lo faccia con tutti.

Il secondo è Philippe, un ragazzo dalle origini francesi. Ha capelli ricci, color ruggine, e occhi cerulei. Indossa sempre capi sofisticati, come maglioncini palesemente di cachemire, pantaloni dal taglio dritto e scarpe stringate, perennemente lucide. Ha l'aspetto del classico "figlio di papà", perfetto per Princeton, accentuato da una marcata 'r' moscia. Tuttavia, è simpatico. Le prime due lezioni ci ha guardato da lontano, fingendo indifferenza quando lo guardavamo di rimando. Il terzo giorno si è presentato così: "So di essere irresistibile, ma non osate innamorarvi di me. Sono del partito di Henry Cavill". Io, Paige e Andy lo abbiamo guardato con la stessa aria stralunata, così lui ha tenuto a precisare, dopo aver sollevato gli occhi al cielo, che intendesse il partito dei ragazzi mori, preferibilmente con gli occhi blu e tanti muscoli. Poi si è seduto vicino a noi, come se fosse una cosa naturale. Ci è bastato poco per capire che dietro l'aria da snob, si nasconda un ragazzo divertente.

Ho scoperto che siamo diversi, più di quanto immaginassi, a non esserci adattati da subito.

Non mi aspettavo che avrei stretto dei legami con qualcun altro con facilità, eppure è stato tutto abbastanza semplice. L'aula che ospita il club è più piccola rispetto a quelle nelle quali facciamo lezioni. I posti a disposizione non sono poi così tanti, ma io e Andy riusciamo sempre a trovarne alcuni vicino alla finestra. Il primo giorno, poco prima che venisse Miss Lefevre, mi si è presentata questa ragazza dall'aurea luminosa che mi ha chiesto se sapessi dove fosse il bagno. L'ho guardata per qualche secondo e poi, spinta da una vocetta interiore, le ho proposto di mostrarle la strada. Da lì, abbiamo preso a sederci vicine, sotto le occhiate amichevoli di Andy, che si è confermato un lupo solitario, tessendo una lezione alla volta un rapporto amichevole e piacevole.

La farfalla che è in me sta prendendo quota. Il battito delle sue ali si fa di giorno in giorno più fluido.

All'inizio era rigido, meccanico, arrugginito. Un po' come il movimento delle ballerine nei carillon. Di quelli pieni di polvere che si trovano nei cassetti delle case dei nonni o delle regge principesche abbandonate allo scorrere del tempo.

All'inizio è difficile girare la molla e vedere la danzatrice girare su sé stessa con grazia, poi dopo diversi giri, vinta la voglia di arrendersi, la danza si fa bellissima, leggera, aggraziata e spedita.

Conto i giorni che mi separano al breve viaggio con Holden, ma nel frattempo inizio a capire cosa significhi vivere in pieno la vita universitaria. Iniziare ad avere un posto preferito a mensa, conoscere ad occhi chiusi la posizione delle aule o della palestra, interessarmi al gossip studentesco. Non essere più dieci passi indietro rispetto agli altri, ma cercare di camminare al loro passo. Ho preso a intervenire a ogni lezione del professor Morley, sotto i suoi sguardi compiaciuti e i suoi sorrisi soddisfatti, io e Andy abbiamo abbozzato l'introduzione della nostra storia e ho preso parte ad altre due feste insieme a Roxy, agli amici di Holden, Philippe e Paige. Solo Andy non è stato presente per via delle prove in vista di Halloween con la sua band, su cui aleggia ancora tanto mistero. Non so ancora come si chiami, infatti.

La parte più divertente della settimana è quando Patty Lou si aggira con nonchalance nell'aula dove Morley tiene le sue lezioni per sbirciare il sosia di Harry Styles che abbiamo scoperto si chiami Liam. Del gruppo di amici di Holden è decisamente la più esuberante, ma il modo in cui anche tra noi due si stiano creando delle abitudini, come lo scambiarci degli occhiolini prima che lei entri di soppiatto e finga di essere interessata al corso per far colpo sul suo ricciolino, mi fa sentire sempre più parte di qualcosa. L'altro giorno ha preso il libro dei sonetti di Shakespeare che stiamo analizzando e ha iniziato a decantare versi a caso, con il libro al contrario. "Oh Liam, Liam, perché sei così uguale a Harry Styles?" è il verso più bello che abbia recitato.

Lo scenario fuori dalle finestre di Princeton è ormai completamente autunnale. Fa più freddo rispetto a Portland e le giornate sono quasi sempre caratterizzate da pioggia e nuvoloni grigi. Gli scoiattoli non vengono più a trovarci nei giardini e gli studenti che trovano la forza di sostare sulle panchine per più di un'ora sono radi.

La mamma, durante le nostre telefonate, mi racconta che le strade del nostro quartiere sono già un inno alla pacchianeria, per via degli addobbi di Halloween che le adornano e che persino il signor Shirley ha ceduto alla tentazione di posizionare una zucca più buffa che spaventosa nel suo giardino perfettamente curato.

Dice che le manco e che le dispiacerà non scattarmi mille foto con il mio vestito in maschera. Mi trattengo dal non spifferarle che ci vedremo eccome la notte di Halloween, seppur non credo che mi agghinderò con abiti o trucchi vari. Le racconto, però, che anche qui a Princeton le strade siano addobbate e che persino all'interno del college qualche zucca è disseminata qua e là. I colori della mia università, d'altra parte, sono perfetti per questa festività: nero e arancione. Quando le racconto del professore di contemporanea e di come io e Andy, di cui ho iniziato a parlarle, gli abbiamo fatto un disegno con un cappello da mago, scoppia a ridere. Lo immagina con la faccia di Droopy e un cappello a punta.

–Andrai a qualche festa? – mi domanda.

–Oh sì, praticamente qui a Princeton fanno una specie di tour la mattina del 31. Si fa un giro del Campus e si approda al cimitero, il tutto accompagnato da racconti su fantasmi e queste cavolate qua. In città, invece, si fa una vera a e propria parata, in cui partecipano tutte le famigliole e i bambini. Quelli della facoltà di arte e di musica organizzano belle cose. – è tutto vero, tant'è che un po' mi spiace perdermi tutti questi festeggiamenti. – In serata – invento. – io, Holden e la mia coinquilina andremo a una festa in un dormitorio qua vicino.

–Ma dai! Ti divertirai un sacco! Sicura che non ti vestirai da nulla? Se devi andare a una festa immagino che sarai costretta a fare qualcosa. – indaga.

–Non ho comprato nessun costume, te l'ho detto. Credo che mi arrangerò con una dentiera da vampiro e un po' di trucco. – improvviso. – Non sono più al liceo, mamma. Qui vige la sobrietà. – la prendo in giro. Ho visto certe foto degli scorsi anni che il costume da microfono di Henry Horwitz era nulla in confronto.

–Come no! – fa finta di bersela.

Quando metto giù, sono ancora più felice all'idea che la rivedrò. Forse sono troppo mammona, ma sono ancora solo una matricola e credo di potermi permettere per quest'anno questa scappatella nella mia casa.

Pam e Chas, d'altra parte, mi avevano detto che ci saremmo ritrovate a Portland per Halloween, ma da giorni non fanno altro che parlarmi di una festa che sta organizzando la loro confraternita. Ho insistito perché vi partecipassero, affermando che ci saremmo viste il giorno dopo, non appena per loro sarebbe stato possibile raggiungerci. Non voglio che si privino di feste ed esperienze nuove solo perché hanno il timore che mi stia chiudendo come un riccio.

Sento di stare meglio.

A rovinare l'atmosfera sono praticamente solo gli esami di metà semestre, sempre più vicini. Nelle mie giornate lo studio ha un ruolo importante, da brava secchiona che si permette di vestire i panni di una ivi leaguer grazie a una borsa di studio, ma la paura non sparisce. Come sono gli esami universitari? Il mio metodo di studio andrà bene? Deluderò Morley? Sono solo alcune delle domande che mi rimbombano in testa quando pensare a cose più felici mi sembra quasi folle.

Il giorno prima della partenza, il mio letto sembra una tela di un pittore schizzato.

–Allora, sicura di non voler venire con me alla festa di Kevin il fattone? – fa Roxanne, occhiali alla Ozzy Osbourne sugli occhi e sguardo fisso sul soffitto. Sotto le occhiaie ha due dischetti imbevuti di un detergente magico che ha rubato dalla mia scatola di prodotti tailandesi. Ha ordinato da Amazon una sedia da ufficio, di quelle con le rotelle, e adesso si sta divertendo a girarci su, come se fosse seduta su una di quelle tazze che ruotane su sé stesse nei parchi giochi.

–Sicurissima. Te l'ho detto: io e Holden torniamo a Portland per Halloween. Non sono previste feste. Saremo noi, mia mamma e il suo fidanzato. – piego una gonna e la poggio sul fondo del mio zaino. Saremo via per pochi giorni, tre secondo i nostri calcoli, ma voglio essere carina per quando io e Holden saremo da soli.

–Gli farete una sorpresa, vero? – domanda.

–Sì! Prima ci facciamo un giretto dove abbiamo passato le vacanze estive, stiamo da soli per qualche ora, e poi torniamo a Portland con un autobus che porta direttamente in città. – le spiego per la decima volta.

–E chi ti dice che tua madre e il suo tipo non se la staranno spassando la notte di Halloween? Magari saranno a qualche festa, oppure li troverai in casa a...

–Stop! – la blocco con un gesto della mano, capendo dove voglia andare a parare. – Mia mamma e Bob non sono tipi da feste in maschera e per il resto... beh... non credo che li troverò in atteggiamenti... compromettenti. – mi sento arrossire come una scema.

In effetti non avevo pensato all'altro lato della medaglia del fare loro una sorpresa.

–Compromettenti? – ferma la sedia, scoppiando a ridere. – Mamma mia, sei davvero uno spasso, Kathleen. Giuro, non lo avrei mai detto la prima volta che ti ho incontrata. – ha le lacrime agli occhi. – Al limite potrai mettere un film dell'orrore pieno di urla così da coprire le loro. – ride ancora.

–Smettila! – le lancio un paio di calzini.

–No, sul serio, un giorno ho beccato mia sorella in atteggiamenti... compromettenti, – si morde le labbra per non ridere ancora. – con il suo ragazzo, Michael. Lo ricordo come uno dei giorni più brutti della mia vita. – si copre la faccia con le mani.

In queste settimane io e Roxanne ci siamo scucite a vicenda. Lei soprattutto. Dal primo giorno in cui aveva instaurato un regime di silenzio totale in camera, si è lasciata andare a chiacchiere e pettegolezzi, forse intenerita dal mio stato di chiusura. A volte temo che quando mi veda si immagini ancora la scena del cavallo che si lascia affogare nella Palude della Tristezza, ma tant'è, poco mi importa. In ogni caso, ho avuto modo di scoprire che ha una sorella, più grande di lei di tre anni, e che i suoi genitori siano una specie di figli dei fiori, versione stagionata. La passione per i colori scuri l'ha presa da suo padre che, a quanto mi dice, fa parte dello staff di una rock band sempre in giro per gli Stati Uniti.

–Se succede, scappa a tutta velocità. Magari chiama il tuo ragazzo e mettetevi anche voi in atteggiamenti compromettenti. – ha un altro attacco di ridarella.

Mi fa ancora strano sentirla ridere così tanto. Il suo essere musona è un tratto dominante della sua personalità.

Sospiro, arrendendomi alla sua frivolezza. Intanto, ho messo in valigia un altro paio di camicie, la biancheria, e una pochette con alcuni trucchi. Porterò un solo paio di scarpe: degli stivaletti, simili a degli anfibi, ma più femminili, che ho comprato lo scorso weekend da un negozio che mi ha mostrato Paige.

–Ma non vi ci vedo, sai? – insiste. – Tu e il tuo ragazzo mi sembrate troppo due bravi ragazzi!

–Che intendi? – inarco un sopracciglio. – I bravi ragazzi non se... la spassano?

–Certo che sì! Ma voi due non credo ve la spassiate abbastanza, che vi divertiate abbastanza, vero? – abbassa gli occhiali fino al setto. – Il primo giorno mi dicesti che avresti trovato il modo di spassartela con lui. Eppure, non lo hai mai portato in camera, non sei mai sgattaiolata nella sua, non ritorni mai troppo tardi la sera... – elenca, ritornando a investigarmi.

– Credevo che queste caratteristiche mi rendessero la coinquilina perfetta. – la cito.

–Beh, sì, ma anche una coinquilina noiosa. Più passo il tempo qua dentro e più mi scopro assettata di pettegolezzi. – confessa.

–Sei prevenuta, Roxanne. Chi ti dice che non ci divertiamo la mattina, marinando le lezioni? Silenzio, stanze vuote... – la prendo in giro.

–Ma non mi dire! Che ribelli. – con la mano simula un colpo di artiglio.

Le faccio un occhiolino.

–In ogni caso, è bello vedere che tu stia rompendo la tua bolla, Portland. Hai fatto bei progressi queste settimane. Sorridi di più, sei più splendente. Sono la tua fata madrina, ammettilo! – si guarda le unghie, con fare vanitoso.

– Come no! – sto al gioco. – Tutto merito dei tuoi rimproveri, Roxanne. – in parte è la verità.

– In fondo basta poco, a volte, per diventare più leggeri, vero? Lasciarsi andare è il trucco. Si posa prima l'elmo, poi lo scudo, poi l'armatura e si vola. – allarga le sue braccia. – È un po' come stare a galla, se ci pensi. Ci siete solo tu e l'acqua. Niente paure. Svuoti la mente e capisci cosa provino gli uccelli quando si librino nell'aria.

Lasciarmi andare. Penso alla Kat che alle feste non si concede mai un goccio d'alcol, che non si sbilancia mai troppo con Holden, che si fa mille pare sul suo corpo e che a volte si sente ancora un'ombra.

Librarmi nell'aria.

–Come mi hai chiamato? – premo con entrambe le mani su una maglietta per farne entrare un'altra.

–Portland, come la tua città. Adoro quando nei film chiamano i personaggi con i nomi della città. – si risistema gli occhiali sugli occhi. – Tu e il matematico dovreste essere più sfacciati, secondo me. Alle feste dovreste dare spettacolo. Quelle tizie che gli stanno sempre dietro non mi piacciono. La tua nuova amica, Paige, invece, mi sembra una forte. Fuma anche lei le Lucky Strike, deve essere per forza una tipa tosta. Phil il francese, poi, ha la puzza sotto al naso, ma è tutta scena. Ha buoni gusti in fatto di ragazzi, sai? Ha troppo l'aspetto da fifone, ma è tosto anche lui.

– Mi fa piacere ti piacciano le mie nuove compagnie. In ogni caso, io e Holden non siamo tipi che amano dare spettacolo. – scoppio a ridere. – E le sue... amiche sono simpatiche.

Soprattutto Patty Lou.

– Dare spettacolo. – ripete, ignorando le mie parole. – Marchiarvi a vicenda. Sbaciucchiarvi platealmente, dare scandalo come facevano i miei da giovani. La vita sa essere pesante e qua dentro sono tutti fin troppo bacchettoni da bravi ipocriti quali sono. – mi accorgo che non si risparmi mai dal fare qualche commento aspro verso gli altri studenti. Proprio come Andy. – La vita è solo una, no? Non abbiamo poi tutto questo tempo. – si lascia fuggire un sospiro, come se sapesse bene ciò di cui sta parlando.

–Stai dando per scontato troppe cose, Roxanne. Lo fai dall'inizio, sai? – non le do modo di farle capire che abbia ragione sul fatto che io e Holden siamo ancora più impacciati di quello che dovremmo, sorpresa dalla piega che ha preso il discorso. Non credevo che da una come lei sarebbero mai uscite fuori parole del genere. Mi domando per un momento se lei nasconda grandi amori nella sua vita. Un giorno mi ha detto che non è brava a capire la gente, ma credo che sin dall'inizio lei sia stata quella a capirmi meglio.

–Vero. Ti chiedo scusa se ho oltrepassato dei limiti. Mia madre dice sempre che ho la boccaccia. – si fa seria.

Lei fa così: si sbilancia, fa l'antipatica, poi si pente e torna al suo posto.

– Potresti scusarti meglio raccontandomi di te... degli amori della tua vita, magari.

– Non provarci. Stiamo parlando di te adesso.

– Ti piace troppo parlare di me, Roxy.

– Un giorno, Portland. Un giorno ti racconterò delle mie avventure.

– Promesso?

– Roxanne non promette mai.

Sorrido, mio malgrado.

Non ha detto nulla di male, in fondo. Le sue parole mi hanno ricordato in parte quelle di nonna Cecily: divertiti. Eppure, l'ho fatto poco in queste settimane, se ci penso. Quando ero insieme a Chas e a Pam era tutto più facile. Non c'è stata mai una volta in cui mi sia chiesta se mi stessi divertendo o se non lo stessi facendo abbastanza. Passare del tempo con loro era naturale, era bello. Poi, però, le nostre strade si sono separate e ritrovatami sola, almeno fisicamente, ho capito che dentro di me ci sono così tanti freni, così tante ombre grigie e antipatiche che adesso stanno emergendo in superficie come oggetti troppo pesanti, per troppo tempo schiacciati sul fondo. La paura di fare nuove amicizie, di parlare con qualcuno a lezione, di dimostrare le mie conoscenze, di non piacere abbastanza a Holden, di... lasciarmi andare completamente con lui. È solo mio il potere di farle a pezzi e lasciarle volare via da me. Fa parte del crescere, del diventare grandi, immagino.

–Perché non inviti PJ alla festa di Kevin? – la guardo con malizia.

Fa silenzio per qualche secondo. – Chi?

La guardo. –PJ... non fare finta di non sapere chi sia.

–Ah! Intendi quel tizio che ha l'aspetto di un vecchio e che sta sempre con il tuo ragazzo? – riprende a girare sulla sua sedia.

–Non lo avrei proprio descritto così, ma sì... quel tizio che sta sempre con Holden. È il suo coinquilino. Comunque anch'io davo al mio Holden del nonnetto, i primi tempi. È decisamente un buon segno!

–Non fa per me. – tende le braccia verso l'alto e inizia a muoverle come se fossero tentacoli. – Sono una zitella felice.

–Perché non fa per te? – insisto. – Hai visto come ti guarda?

–Come mi guarda? – mi sorprende. Pensavo che avrebbe cambiato discorso.

–Come tu guardi un qualsiasi album di Billie Eilish. – le inferisco un colpo basso. – O un bicchiere ghiacciato di sex on the beach. – la canzono.

–Pff, come no. – riprende a ridere. Sotto i suoi occhialetti, però, qualcosa mi dice che i suoi occhi si siano allargati.

–Da cosa ti vestirai alla festa?

–Ti sembro una che abbia bisogno di un costume per la notte di Halloween? Non faccio già paura?

–È autoironia, Roxy? – mi sorprendo.

–Sì, è un'altra mia qualità, in effetti.

La mattina della partenza ricevo dei saluti da parte di Andy, Imogen e Daniel. Da quando sono entrata ufficialmente nel loro cerchio, mi hanno aggiunto in un gruppo whatsapp in cui ci aggiorniamo su eventuali cambi al turno, su ferie e altre cose più frivole. Per l'occasione, Doc ha dato una giornata libera a tutti, dicendo che avrebbe badato lei ai vari cani. Rispetto a loro tre, io mi sono presa due giornate di ferie in più che conto di recuperare con qualche straordinario, rinunciando a qualche weekend. Mi faccio promettere di vedere le loro foto in tenuta da musicisti. Sono curiosa di vedere Andy alla batteria. Non mi ha ancora confermato che la suoni, perché, per citarlo, gli diverte mantenere il mistero, e io non ho barato nel chiederla ai suoi amici. So, però, di avere ragione.

–Ci vediamo presto, Roxy. Fai la brava bambina, okay?

–Non lo sono mai stata e non conto di iniziare a esserlo adesso. – mugugna, con la voce impastata dal sonno. – Tu, invece, non farlo troppo. Al tuo rientro voglio sentire che tu e il tuo matematico vi siate messi in atteggiamenti compromettenti e abbiate dato scandalo. Te lo ordino in qualità di tua fata madrina. – tuffa la testa sotto le coperte prima che le lanci un'occhiataccia.

Il college dorme ancora mentre supero il cancello principale. Holden è già lì, con lo sguardo puntato sul cellulare e uno zainetto sulle spalle.

È molto più alto di me, eppure riesco a sbirciare il suo schermo: sta osservando delle mappe, allargando con le dita alcuni punti.

Boo! – lo spavento, cogliendolo di soppiatto.

Sussulta, voltandosi di scatto verso di me. Una mano va al petto.

–Sei una strega, Kathleen Foster. Una strega crudele. – mi attacca, mentre io me la rido.

–Addirittura con nome e cognome. – fischietto, come mi ha insegnato a fare lui. – C'è da preoccuparsi, qui. Solo mia mamma fa così quando la faccio arrabbiare.

–Fa bene! È più minaccioso chiamarti con nome e cognome. – è ancora accigliato.

–Oggi è Halloween. Non fare il brontolone. – sorrido dispettosa.

–Mhm. – mugugna, mettendo in tasca il cellulare.

–Può un bacio farti tornare il buon umore? – faccio un po' la civetta per intenerirlo.

–Potrebbe.

Sorrido, facendo incontrare le nostre labbra. Anche gli angoli delle sue si tirano all'insù, mentre mi avvicina a sé. La sua bocca è morbida e fresca. Sa di dentifricio, ma anche di lui: un sapore dolce, leggero, di quelli che vorresti assaggiare per l'eternità.

– Guarda che ho preso! – mi sventola davanti al naso una bustina di carta, separandosi da me.

Annuso un profumo dolciastro che subito fa gorgogliare la mia pancia.

–Biscotti?

–A forma di zucca per te e di fantasmino per me, entrambi con ripieno alla crema di nocciole. Non c'era quello a forma di pipistrello, altrimenti lo avrei preso.

La verità è che mi divertirà sempre il suo modo di stuzzicarmi con la questione dei 'vampiri'. È quasi una dimostrazione di "eri davvero una scema, ma l'abbiamo superata e possiamo riderci su!".

–Non ne hai bisogno, sei già un vampiro! – sto al gioco.

–Come dimenticarmene. Il più affascinante in circolazione. – mi fa un occhiolino.

Mi metto a ridere, prendendolo a braccetto e sfilandogli la colazione dalle mani.

È strano passeggiare a quest'ora del mattino, senza la preoccupazione di dover correre alle docce o a lezione. Senza il vociare dello sciame di studenti o professori. Senza il peso dei troppi 'perché'.

La verità è che vorrei essere più spensierata. Godermi di più i miei diciotto anni.

***

Il viaggio prevede più tappe: prendere il treno, un uber, e l'areo. Dovrei essere stanca, ma non lo sono. L'idea che questo sia il primo viaggetto che io e Holden stiamo facendo da soli mi dà un'energia che anima ogni mio frammento.

Passiamo ogni ora vicini, mano nella mano, o con la mia testa sulla sua spalla. Chiacchieriamo di tante cose, cominciando a riprenderci parte del tempo rubato dall'università e dal lavoro.

Quando arriviamo a Newark ci concediamo un breve giro della città. Facciamo i turisti per pochi minuti, girando i negozi (Holden insiste nel regalarmi una sciarpa verde bottiglia) osservando gli alti grattacieli, le strade affollate e lasciandoci incantare dal profumo di una panetteria da cui usciamo con due ciambelle al cioccolato. Rischiamo di perdere il volo solo quando ci incantiamo a soffiare contro i semafori. Qui ce ne sono davvero tanti.

–Con l'arrivo del freddo non potremo più andare alla nostra panchina per soffiare contro i semafori. – mi imbroncio.

–E chi lo dice? Con il cappello alla Holden Caulfield che mi hai regalato lo scorso Natale e due belle tazze di cioccolata calda tra le mani, potremo sfidare qualsiasi intemperia. – sorride, facendo stringere i suoi occhi.

–Mhm, ci sta! Quindi faremo a turno: ogni volta che farò scattare il semaforo prima di te mi darai il cappello e mi comprerai dei marshmallow da aggiungere alla cioccolata.

–Andata! – mi bacia una guancia, facendomi ridere.

Una volta in areo, salutiamo la città con la promessa di tornarci e di fare una visita anche a New York. Holden mi dice di non averla mai visitata. Lo fa con tono neutro, ma qualcosa mi fa intuire che gli sarebbe piaciuto visitarla e, in generale, vivere delle vacanze spensierate con la sua famiglia. Me lo immagino da bambino, spaventato da tante cose, troppo preso a proteggere sua mamma e sua sorella per pensare a viaggi e vacanze.

–Sai, quando andavo alle elementari, il primo giorno dopo le vacanze estive, la maestra ci chiedeva ogni anno di leggere il nostro tema sulle nostre vacanze. – racconta, come se mi avesse letto nel pensiero. – Per quanto Tay, Malia e i loro genitori mi invitassero a passare l'estate con loro, non ci andavo mai; a... mio padre non interessava nulla, la mamma insisteva perché accettassi l'invito, io non volevo lasciarla da sola. Allora immaginavo tutto. Descrivevo sempre di un immaginario viaggio a New York. Parlavo della Statua della Libertà, degli scoiattoli a Central Park, delle mele caramellate che io e la mamma mangiavamo da un venditore ambulante nella Trentaquattresima e di una piccola libreria che si trovava a Broadway, gestita da una signora che nella mia mente aveva il nome di Corinne. Insisteva però perché io la chiamassi Cora. – si perde nelle descrizioni, guardando un punto indefinito davanti a sé.

Lo vedo proprio qui, davanti a me: un piccolo Holden che guarda fuori dalla finestra della sua camera, mentre suo padre è fuori casa a ubriacarsi o a bighellonare per la città, la penna che dondola tra l'indice e il medio, gli occhialoni troppo grandi su cui finiscono delle ciocche corvine troppo lunghe, i denti imperfetti che stringono le labbra, con la fantasia che galoppa a mille per descrivere qualcosa di convincente, di bello, che avrebbe voluto vivere realmente.

–Ti prego, con un racconto del genere avresti conquistato Miss Parker in due secondi.

Riesco nell'intento di farlo ridere. – Peccato che lei non ci abbia mai chiesto di descrivere le nostre vacanze. Avrei potuto parlarle di quelle che cominciai a fare con Taylor.

In questi mesi sono stati rari i momenti in cui ci siamo messi a parlare dei nostri padri; in generale, dei nostri passati. A volte mi passano delle domande per la testa, ma le accantono in un angolino, timorosa di vedere il suo sorriso gentile scomparire dal suo viso.

–Un giorno ci andremo insieme. – gli dico, stringendogli la mano.

–Certo che sì! Ho intenzione di vedere se esiste davvero una libreria gestita da una signora di nome Cora. – mi sorride. – Dove altro vorresti andare?

–Speravo mi facessi questa domanda. Dunque: Londra, Roma, Edimburgo, e Dublino. E poi sì, mi piacerebbe visitare la città di Jane Austen o comunque qualche villaggio inglese in cui immaginarmi come una nobildonna.

Arriva il suo momento di fischiettare. – Cavoli! Mi sa che essere il tuo ragazzo diventerà sempre più difficile.

–Ormai non puoi più tornare indietro, perciò tieniti pronto! – muovo ritmicamente le sopracciglia.

–Mi metto comodo!

–Tu, oltre New York?

–Vorrei andare a Machu Picchu, a Lima e a Tokio.

–Il Perù e il Giappone.

–Ah ha, il Perù e il Giappone. Ma anche Roma va bene. Lì è seppellito John Keats, sai? E poi Parigi, ovviamente.

–Per vedere dal vivo i posti in cui sono ambientati i film da cui hai imparato a baciare?

–Esatto! – sorride.

Continuiamo a parlare di viaggi, fin quando una breve turbolenza non mi fa sentire una breve vertigine nella pancia. Sgrano gli occhi e piego i miei lineamenti in un'espressione così buffa che Holden ride ininterrottamente.

Il viaggio dura poco più di un paio di ore e così, alle otto e mezzo del mattino, ci troviamo già nella nostra città natale. Vorrei respirare l'aria della mia Portland con maggiore intensità, lasciarmi investire da tutto ciò a cui mi sono assuefatta per diciotto anni di vita, ma decido di poterlo fare in un secondo momento e che adesso dobbiamo volare a Trillium Lake e pensare solo a noi due.

***

Mi accorgo che l'ultima, nonché prima, volta che sia stata qui insieme agli altri, le mie attenzioni si erano rivolte unicamente al lago e al Monte Hood. L'obiettivo era prendere il sole, farsi dei bagni, mangiare gelato e godersi gli ultimi giorni d'estate. Adesso, invece, siamo in pieno autunno e qui, per via dell'altezza, le temperature sono ancora più basse rispetto a Princeton.

Il lago è situato nel villaggio di Government Camp, dove ci sono casette, strade piene di negozietti tipici, tavole calde e diversi sentieri alberati.

L'atmosfera che ci circonda è festosa e piacevole. Il tempo è bello: nessuna nuvola all'orizzonte. C'è tanta gente in strada, dei venditori ambulanti vendono dolcetti con la zucca e bevande fumanti, diversi bambini sono vestiti con costumi buffi o spaventosi. All'improvviso un paio di ragazzini in bicicletta ci tagliano la strada. Sto per sgridarli da brava diciottenne più prossima agli ottant'anni che ai diciannove, quando Holden si mette a ridere.

–Che c'è? Guarda che non è divertente tagliare la strada ai pedoni. – gli ricordo.

–Hai ragione. Ma quei due marmocchi mi hanno ricordato di me e Taylor quando avevamo undici anni. Ci vestimmo in modo molto simile.

Do un'ultima occhiata ai ragazzini, sbirciando un costume da fantasma per quello seduto sul portapacchi, e uno da pirata per quello che guida.

–Scommetto che tu eri il fantasmino. – lo guardo.

Oggi indossa una felpa rossa sotto il montgomery, dei jeans e le sue immancabili Vans.

Un ciuffo di capelli neri gli sfiora gli occhiali. Di istinto allungo le dita per spostarglielo. Lui sorride, intrecciando le nostre mani e riprendendo a passeggiare.

–Già. Ero piuttosto banale nei travestimenti, quando ero piccolo. Ogni anno, ad Halloween, lui... faceva dei viaggi di lavoro. Portava con il camion delle merci in cittadine vicine. Io e la mamma, e poi lo stesso quando arrivò mia sorella, ne approfittavamo per festeggiare insieme. Compravamo caramelle, popcorn, schifezze varie e guardavamo film di discutibile paura. La sera, poi, Malia e Taylor venivano da noi per fare il giro del quartiere per il classico 'dolcetto e scherzetto'. Non potevamo permetterci chissà quali abiti costosi, e così ogni anno, la mamma mi vestiva o da vampiretto o da fantasmino, sfruttando delle vecchie lenzuola. – un sorriso malinconico prende a piegargli gli angoli della bocca.

Pendo dalle sue labbra, avida di ogni suo racconto.

– Perché qualcosa mi dice che insistessi tu per vestirti da fantasmino?

Lo colgo di sorpresa. Si fa di colpo serio.

– Mi conosci così bene che potresti vincere qualsiasi scommessa su di me... – abbassa lo sguardo.

– È che conosco anche Juliet. Lei ti ha sempre visto per quello che sei: incredibilmente bello, e dubito che volesse nasconderti sotto un lenzuolo. Mentre tu... avevi i tuoi motivi per farlo.

– Già. – sospira.

– Oggi prenderesti un bel paio di forbici e taglieresti il lenzuolo, vero?

Ci mette qualche secondo a rispondere, poi annuisce.

– Devi dirlo, Holden. Dì che lo avresti squarciato quel lenzuolo. – stringo gli occhi.

– So che me le avresti date tu le forbici e che lo avremmo ridotto a coriandoli. – si volta per guardarmi, donandomi un sorriso sfuggevole.

– E se non ci fossi stata io?

Fa spallucce. – Lo avrei tagliato, Leen. – dà un calcio a un sassolino. – Tu, invece? – si affretta a cambiare discorso.

Mi lascio convincere.

–Sfruttavo il mio incarnato malaticcio. Mi travestivo sempre da streghetta o da vampira, come te... – gli do una gomitata. – Un anno, però, mi vestii da pirata, sai? L'animatore di una festa mi confuse per un maschietto. – scuoto la testa.

Si mette a ridere. – Eri già avanti con i tempi. – ricambia con una spallata leggera.

–Puoi dirlo forte! A proposito, se quest'anno fossimo andati a una festa, da cosa ti saresti vestito? Un Dr Jekyll e Mr. Hyde parte due?

–Ti pare che avrei optato per lo stesso costume dello scorso anno? – finge di essere offeso. – Probabilmente mi sarei vestito da dandy, in stile Dorian Gray. – inarca un sopracciglio con fare malizioso.

–Ma dai, che fanatico! Però mi avresti mandata in brodo di giuggiole. Sai che impazzisco per certe cose. – sospiro estaticamente.

–Lo so, Miss Foster! Tu, invece?

–Mhm... forse avrei optato per un abito in linea con il tuo. Qualcosa con la gonna lunga e il corsetto, in stile Jane Eyre. Magari, però, in versione gotica. Una Mary Shelley, a pensarci bene.

–Il corsetto? Dio, Leen... che visione paradisiaca mi sto immaginando!

Arrossisco, dandogli un'altra spinta. Lui se la ride.

–A proposito, Phoebe oggi andrà alla sua prima festa di Halloween. Una ragazzina che si è trasferita quest'anno nella sua classe ha organizzato un pigiama party a casa sua e lei è stata invitata. Guarda com'è bella. – armeggia con il suo cellulare e poi me lo avvicina.

Phoebe è una visione dolcissima. I capelli biondissimi sono lasciati sciolti sulle spalle e decorati con un cerchietto nero; a fasciarle il corpicino magro c'è un vestitino azzurro e bianco che si abbina a delle ballerine di vernice. Bunny, in un cestino di vimini che lei stringe nella manina destra, ha un collarino di stoffa con un piccolo orologio da taschino come ciondolo.

–Alice e il Bianconiglio! – esclamo, colpita.

–Le sta benissimo, non trovi? Sono adorabili. – fa lui, emozionato. Ogni cosa che riguarda sua sorella lo riempie di una gioia contagiosa.

–Meravigliosi. Phoebe è stupenda!

Annuisce, orgoglioso.

– Sei felice di rivederla?

– Tantissimo! Non vedo l'ora di riabbracciare il mio mostriciattolo. Scommetto che sarà più alta e pesante.

Continuiamo la nostra passeggiata, camminando su una strada in salita. Davanti a tutte le case dai tetti spioventi ci sono zucche intagliate in espressioni inquietanti, scheletri di plastica che mormorano parole che dovrebbero essere spaventose ma che risultano solo buffe, e spaventapasseri orribili. Uno scheletro, a un certo punto, fa fare un salto a una coppia di anziani e, anche se non sta bene, io e Holden non possiamo fare a meno di scoppiare a ridere.

Gli alberi e i sentieri sono vestiti da foglie scricchiolanti. Domina l'arancione e l'aria è pregna del profumo delle castagne, delle mele caramellate e delle zucche. Una folata di vento va svolazzare la mia nuova sciarpa verde, facendomi il solletico. D'improvviso, mi sembra di essere finita in una di quelle commedie con Julia Roberts e Richard Gere, con paesaggi fiabeschi e la sensazione che la vita valga la pena di essere vissuta anche solo per questi momenti fugaci.

A un certo punto, due bambine ci trascinano verso il loro banchetto dei trucchi. Una è vestita da coccinella e una da dinosauro. Sono buffe e carine. Insistono per disegnarci le guance con i loro trucchi giocattolo. Holden è quello che sta più al gioco. Chiude gli occhi, lascia che la coccinella gli metta un cerchietto per portargli le ciocche nere all'indietro e si mette a fare amicizia. Io me la rido, intenerendomi per la sua incredibile capacità di stare con i bambini. Si ritrova con una farfalla sulla guancia sinistra e un cuoricino su quella destra, prima di lasciarmi il posto. Anche con me vicina, le bimbe fanno domande a lui, rapite dalla sua gentilezza. Prima di andarcene, lui scaglia loro dei bacetti volanti, mentre io lascio alcune caramelle comprate poco prima da una bancherella nei loro cestini, insieme a una banconota da dieci dollari.

Per pranzo ci fermiamo in una tavola calda che offre anche un servizio esterno. Ci sediamo a un tavolino da picnic di legno, verniciato di bianco, che si trova all'aperto. Ordiniamo dei panini al formaggio e al prosciutto e dei muffin guarniti con glassa. Sul mio è disegnato con del cioccolato un pipistrello. Su quello di Holden, invece, una zucca. La coppia che gestisce il locale deve trovarci carini perché ci sorprende a metà pranzo, chiedendoci se possano scattarci una foto con la loro Polaroid. Pare che appendano ogni fotografia scattata a coppiette e famigliole al pannello di sughero che si trova all'ingresso. Io sono intimidita, così tocca a Holden accettare con entusiasmo.

Ci mettiamo in posa: lui che mi cinge le spalle e io che imito i giapponesi che popolano le città turistiche: indice e medio sollevati per formare una 'V' di vittoria. Sorridiamo, mentre il mio cuore batte più veloce avvolta come sono dal calore e del profumo del mio Holden.

La signora ci scatta due foto di fila, regalandocene una e prestandoci, sotto nostra richiesta, un pennarello con cui Holden si appresta a scrivere la data di oggi e il nome del luogo.

– Mi spiace, Leen, ma questa me la tengo io! – stringe la fotografia tra le mani, guardandola come se fosse un gioiello.

– Ehi! – fingo di imbronciarmi.

– È il mio nuovo tesoro! – le dà un'altra occhiata sognante, infilandola nel portafoglio che estrae dalla tasca dei suoi jeans.

Sembra un bambino a cui è stato regalato qualcosa di bellissimo. Mi intenerisco al punto che vorrei prenderlo per il bavero della felpa e riempirlo di baci. Ma mi contengo.

Riprendiamo a chiacchierare. Mi racconta altri aneddoti del suo passato, come quando la mattina di Halloween lui, sua mamma e Phoebe preparassero dolcetti che regalavano poi ai bambini del quartiere.

Sorride, è felice. È spensierato. Mostra una leggerezza che mi era mancata. Sentirgli parlare di matematica, di esami, di libri, dei suoi nuovi amici... mi piace. Tantissimo. So che ha trovato finalmente il suo habitat naturale, il suo posto nel mondo. Tuttavia, ho avuto modo di provare quella frustrazione che percorre ogni lembo del proprio corpo quando di qualcosa di tremendamente bello si possa avere solo un fugace assaggio ogni giorno. Oggi, adesso, invece, è solo mio. Non è del dipartimento di matematica. Non è della radio. Non è della pizzeria. Non è del club di basket. Non è dei suoi nuovi amici. È mio e basta.

Ci bagniamo nel mare dei ricordi dei nostri passati, senza lasciarci affogare da quelli più dolorosi.

– Okay, ultima tappa: andiamo vicino al lago, passeggiamo nei sentieri circostanti e poi prendiamo l'autobus che ci porterà a Portland. Dobbiamo fare attenzione all'orario, mi raccomando. Oggi è festa e ne passa solo uno in serata. – mi ricorda.

Per un momento sento un leggero fastidio. Vorrei rimanere qui, sola con lui per ancora tanto tempo. Per sempre, magari.

– Faremo in modo di non perderlo.

Nell'ultimo tratto che ci separa dal sentiero che ci condurrà al lago, intravedo un negozietto per turisti. In mostra ci sono coriandoli, e giocattolini di gomma che sicuramente oggi non mancheranno tra le mani dei più piccoli. Quando intravedo una dentiera con due canini allungati, fermo Holden.

– Per reggere meglio il gioco: indossiamo questi denti finti così mia madre si assicurerà che siamo a una festa a tema. – gli spiego.

Ridacchia, ma i suoi occhi vagano verso altri oggetti. – Ho un'idea migliore. Aspettami qui.

Non mi dà il tempo di fargli delle domande, che entra in negozio. Esce pochi istanti dopo, con una busta tra le mani.

– Hai comprato le dentiere? – domando.

– Qualcosa di più carino. – tira fuori dalla busta una parrucca rossa.

– E questa? – mi viene da ridere. – Devo interpretare Jessica Rabbit? Guarda che al mio fisico manca tutto per interpretarla.

Me la prende tra le mani e me la sistema sui capelli, aggiustandomi con le dita delle ciocche più lunghe che mi sfiorano gli zigomi.

–Leen, sei Mary Jane e io sono Peter Parker. Con dei pastrocchi sulle guance, ma siamo loro. Non trovi che siamo originali? – allarga gli occhi, come se avesse avuto l'idea del secolo.

Mi specchio immediatamente allo schermo del mio cellulare, trattenendo un'altra risata.

–Ma Kirsten Dunst è bellissima! Io, invece...

–Lo sei ancora di più! – mi blocca, sfilandomi il cellulare, sbloccandolo e posizionandosi alle mie spalle.

In pochi istanti ci scatta una foto.

–Io ho la polaroid e tu hai un autoscatto, così siamo pari! E poi, guardaci, siamo perfetti e super credibili.

Guardo lui, i suoi capelli ordinati e puliti, gli occhialoni e l'aria intelligente; poi ci sono io, con un mezzo sorriso che mi rende ancora più ebete, gli occhi brillanti e dei capelli di plastica rossi.

–Oh, mio Peter Morris. – lo canzono.

–Oh, mia MJ Foster. – sbatte le ciglia, teatralmente.

Ci mettiamo a ridere, poi mandiamo la foto alle nostre mamme. Sono sicura che anche la nonna apprezzerebbe, ma sono settimane che latita per via dei suoi immancabili viaggi.

Passo dopo passo, riconosco subito la vegetazione e il paesaggio che ci accolsero ad agosto. Ripenso alle risate di Pam e di Chas e di come ci divertimmo.

A metà strada, con le luci del pomeriggio che ci bagnano, osservo Holden e la placida tranquillità che ci circonda. Mi sento leggera. Potrei volare. Potrei fare qualsiasi cosa.

Non c'è nessuno. La cittadina è piccola e tutti sono nella zona più periferica.

D'improvviso lo tiro verso di me e lo bacio come avrei voluto fare alla tavola calda.

Lo colgo di sorpresa, così ci mette un po' a rispondere. Quando lo fa, mi spinge con delicatezza verso il tronco di un albero e mi bacia con intensità. Con le mani gli sfioro il collo e la nuca, sentendolo tremare sotto le mie dita. Mi accorgo solo quando ci separiamo che smettere di baciarlo, forse per la prima volta, mi è costato tanta forza. Avrei voluto sentirlo ancora più vicino.

Sono abituata a essere sfiorata da lui, a sentire il suo profumo, a uscirci insieme, ma... forse perché in questi due mesi siamo stati trascinati da una routine che ci tiene separati per gran parte del tempo, in questo momento sento in me vibrare il desiderio di non volermi separare da lui nemmeno per un secondo. Forse sto diventando troppo appiccicosa, una di quelle fidanzate 'sanguisughe', ma mi era mancato così tanto stargli così vicina che sono disposta a correre il rischio di sembrarlo.

– Wow! Quella parrucca deve averti dato dei poter magici. – si inumidisce le labbra, sorridendo.

– Ehi! Non ho bisogno di poteri magici per baciarti bene! – gli faccio una linguaccia.

***

Vedere Trillium Lake colorato d'autunno fa uno strano effetto.

Il sole è nel pieno del tramonto, e con lentezza si lascia trascinare dal fondale del lago. Alcune fronde aranciate si specchiano sulle superficie cristallina. Sulla riva non c'è nessuno, né coppiette, né bambini. Solo un signore anziano armeggia con un pedalò in lontananza.

–Ti va di entrare in acqua? – mi propone Holden. Mi accorgo solo quando mi volto nella sua direzione che in questi minuti deve avermi fissata.

– Cosa?! Vuoi congelarti? – lo guardo preoccupata.

–Non voglio farmi un bagno. Solo bagnarmi i piedi, fino alle caviglie.

Sto per obiettare, ma poi mi ricordo le parole di Roxanne.

– Va bene.

Sorride, compiaciuto.

Lasciamo i nostri zaini vicino a dei sassi, poi ci togliamo calzini e scarpe e ci pieghiamo i bordi dei pantaloni fino ai polpacci.

Cammino lentamente, lui è più veloce.

– È ghiacciata! – alza la voce.

– Ma dai! Pensavo fosse calda. – lo prendo in giro, immergendo anche i miei piedi.

Lo faccio ridere di nuovo quando la mia faccia si increspa in un'espressione di terrore. L'acqua è gelata e potrei giurare che mi stia entrando nelle ossa.

– Dai, raggiungimi! – fa qualche passo all'indietro.

– Mi stai provocando, Holden. Non so quanto ti convenga.

– Cosa mi farai? – d'improvviso il suo sguardo si carica di malizia.

– Cosa vuoi che ti faccia? – lo ripago con la sua stessa moneta.

Solleva le sopracciglia, sorpreso. Poi scoppia a ridere, facendosi rosso. Mi faccio rossa anch'io.

Lo raggiungo a passo di pinguino, osservando l'acqua pulita e i sassi che solleticano la mia pelle.

Quando gli sono vicina, allargo le braccia e chiudo gli occhi. Un leggero vento mi allarga i lembi del giubbotto, infiltrandosi sotto la mia maglietta. Assaporo la libertà e la spensieratezza.

Lo sento posizionarsi alle mie spalle e sfiorare le mie braccia con le sue.

– Stiamo facendo il remake di Titanic? – mi bisbiglia all'orecchio, facendomi solletico.

Mantengo gli occhi chiusi, aprendo però le labbra in un sorriso gigante. Oggi è tutto così facile.

– Ti va di urlare? – mi chiede, chiudendo le sue mani sulle mie. Le braccia sempre aperte.

– E far spaventare quel vecchietto in lontananza?

–IO AMO KATHLEEN FOSTER! – ignora la mia domanda, alzando la voce. Poi caccia anche uno 'yu–hu!' con tante 'u' finali.

–Ma sei pazzo? – ridacchio, divertita.

–Fallo anche tu! Urla quello che vuoi. – mi sorride.

Mi ammutolisco per qualche istante, stringendo le labbra.

–IO AMO HOLDEN MORRIS! – lo copio, squarciando il silenzio con più forza. Uno stormo di uccelli vola via, spaventato.

Poi scoppiamo a ridere, consapevoli di aver appena costruito uno di quei ricordi che da vecchi ricorderemo con nostalgia.

Reggiamo per qualche altro minuto, poi mi propone di rimanere a guardare ciò che rimane del sole. Accetto all'istante, mentre lui sfila dal suo zaino un telo che stende sul tappetto di sassolini che ci circonda. Ci sediamo dapprima a gambe incrociate, poi ci facciamo prendere dalla stanchezza e ci stendiamo. Mi accoccolo al suo fianco, appoggiando la mia testa sul suo petto, mentre il suo braccio mi cinge i fianchi.

Abbiamo ancora i piedi nudi, l'aria è fredda ma piacevole, e il suo petto è caldo e confortevole. Il battito del suo cuore è come una dolce ninna nanna.

–Sei felice, Leen? – sussurra.

Pian piano chiudo gli occhi. – Tantissimo, Holden. Come non lo ero da tempo. – mi lascio sfuggire.

Mi stringe più forte.

Poi mi dice qualcos'altro, ma non ricordo più nulla.

***

–Leen, presto!

Mi sento scuotere leggermente, mentre la voce di Holden mi entra nelle orecchie.

–Mhm, che c'è? – biascico, aprendo a fatica gli occhi.

Una goccia d'acqua prende a bagnarmi una guancia.

–Non c'è bisogno di bagnarmi. Sono sveglia. – borbotto.

–Sbrigati, sta per scoppiare un acquazzone. In più è tardissimo. – mi passa le mie scarpe, inginocchiandosi per aiutarmi a mettere i calzini. – Ci siamo addormentati e rischiamo di perdere l'autobus.

È buio quando apro completamente gli occhi e capisco cosa stia succedendo. Holden mi infila anche le scarpe, come se fossi una bambina, poi mi tende la mano e mi tira su in pochi istanti.

–Cavoli, mi sono appisolata di brutto. – lo aiuto a piegare l'asciugamano e a rimetterlo dentro il suo zaino.

–L'ho fatto anch'io. Era tutto così rilassante. – sospira. Poi mi prende per mano e inizia a camminare a passo svelto.

Faccio 'ciao, ciao' con la mano al lago, e lo seguo.

–Dimmi che hai un ombrello? – gli chiedo, quando le gocce si fanno sempre più grosse.

–L'ho dimenticato... – è chiaramente dispiaciuto. – Lo avevo anche preparato. Ma quella testa di rapa di PJ lo avrà nascosto sotto la pila dei suoi vestiti. – sbuffa. – Dobbiamo arrangiarci. – continua, sollevando con una mano il suo montgomery sopra le nostre teste.

–La fermata è distante da qui?

–Quindici minuti buoni. Ma noi dobbiamo arrivare lì in sette, altrimenti... – si ferma, ma è chiaro il messaggio.

Penso per un momento all'eventualità di rallentare e perdere l'autobus. Se succedesse? Dovremmo chiamare un taxi? Dovremmo fare l'autostop? Dovremmo... rimanere qui per questa notte? Quest'ultima ipotesi mi fa perdere un battito.

Corriamo. Vedo che il dorso della sua mano si scontra con dei ramoscelli, tagliandogli la pelle. Vorrei fermarmi, ma mi tiene vicino a sé, senza smettere di marciare.

Quando ci rituffiamo nella parte periferica, vediamo il caos che dilaga. I turisti che corrono coprendosi le teste con copricapi improvvisati, i proprietari dei locali che chiudono i tavolini esterni, i bambini in costume che scappano ridacchiando.

Lo scenario mi fa fare un salto nel passato. Noi che corriamo, la mia mano nella sua, grande e asciutta, la sua presa ferrea per non farmi sbucciare le ginocchia.

Raggomitolata in questi pensieri, non mi accorgo che ci siamo fermati. Due sfere luminose si fanno sempre più lontane, mentre delle macchine ci schizzano le caviglie.

– Porca vacca! Lo abbiamo perso. No! – geme Holden, il respiro accelerato.

Siamo entrambi bagnati.

– E ora? – gli domando, stringendomi al suo braccio.

–Non ne passano più e temo che non ci siano neanche così tanti taxi disponibili. Potremmo...

– Rimanere qui? – continuo per lui.

Non dovrei, perché i piani erano altri e l'idea di rivedere la mamma mi fa fremere dalla gioia, ma adesso mi sento quasi sollevata da come si siano evolute le cose.

Holden corruccia la sua fronte, tra la confusione e la sorpresa.

– Cosa...? – mi chiede, quasi come se volesse avere la conferma di aver sentito bene.

–Ti andrebbe... sì, stavo pensando che... – farfuglio. – beh, potremmo rimanere qui e partire direttamente domattina. Tanto le nostre mamme e Bob non sanno nulla. Dovevamo fargli una sorpresa, no? Solo Winona, Pam, Chas e Tay sanno che siamo qui e quindi se dovessero ucciderci, lo saprebbe qualcuno e poi sa qualcosa anche PJ e... – inizio a straparlare.

I suoi lineamenti tornano regolari. – Vuoi passare la notte qui? Con... me? – tituba, sbattendo gli occhi più volte.

– Sì. Cioè... sì, voglio dire... l'autobus è andato, piove a dirotto, siamo fradici...

Rimane in silenzio per istanti che mi sembrano ore.

– Sempre che ti vada. – mi affretto ad aggiungere, sentendo d'improvviso il peso di essere forse una fidanzata davvero troppo 'sanguisuga'. – Se non ti va, possiamo aspettare un taxi o...

– Mi piacerebbe moltissimo. – mi ferma. È serissimo. – Scusami se ci ho messo un po' a rispondere. Potremmo andare nella casa di Taylor dove siamo stati in estate. So dove nasconde la chiave di riserva. Non credo che gli dispiacerà. La proprietà è ancora vuota, lo so per certo.

Sorrido. – Bene. Ci sto.

– Bene. – mi riprende per mano. Le ciocche nere ormai appiccicate sulla fronte. I vetri dei suoi occhiali coperti di piccole gocce che scivolano andando a bagnargli i dorsi delle mani.

– Non credi che abbiamo già vissuto questa scena? – gli chiedo, quando riprendiamo a correre.

– Fammici pensare: Lollipop, tu che pensi che Katiuscia sia innamorata di me, Pam e Tay che se la svignano, io che mi dichiaro, tu che mi rifiuti?

L'ultima parte mi colpisce dritta al petto.

–Sbagliato. Tu che ti dichiari e io che faccio la deficiente. Questa è la versione corretta.

Si volta un attimo nella mia direzione, scagliandomi un sorriso impacciato.

Quando la pioggia si fa più forte, decidiamo di fermarci sotto la tettoia di un locale, ormai chiuso.

– Ma questa mattina il tempo era bellissimo. – strofino i palmi delle mie mani contro le braccia.

Lui mi si avvicina, posando il suo cappotto sulle mie spalle.

– Scusa, è bagnato.

– Non fa niente. – gli bacio una guancia.

– Ci aspetta un'avventura, Leen: correre, ma non troppo, fare di tutto per non scivolare, non farci male e arrivare a casa di Taylor sani e salvi. Ci riusciranno i nostri eroi?

–Sei Peter Morris e io ho una parrucca rossa che rende i miei baci più belli e che quindi mi dà i super poteri. – rispondo, leccandomi le labbra per allontanare l'acqua piovana dalla mia bocca.

Gli occhi di Holden vengono catturati dai miei movimenti.

– Siamo a posto allora! Ma prima di andare dobbiamo rispettare i nostri ruoli. Certo dovrei essere a testa in giù, ma facciamo finta che lo sia.

Mi prende il viso tra le mani e mi bacia. Il mio primo bacio sotto la pioggia. Le sue labbra sono bagnate e fredde, ma la sua bocca è calda, soffice e avvolgente. Mi stordisce come se avessi scolato tutto d'un fiato un bicchiere di alcol. L'effetto di cui mi ha parlato Roxy, penso.

– Questo è anche perché quel giorno, quando ci ritrovammo zuppi d'acqua vicino a quel portone, avrei voluto baciarti. Il mio cuore simile a un albero di Natale lo avrebbe voluto.

Mi fa un occhiolino e, con la mia mano ancora nella sua, riprendiamo a correre.


Okay, so che sono di parte, ma ho un sorrisino da ebete.

Sento questo capitolo molto "mio". Mi spiego meglio: ha proprio il mio stile. È lungo (forse anche troppo), corposo, pieno di miele e sentimenti. Kat e Holden mi hanno ricordato i Kat e Holden della prima storia, quelli impacciati, legati già da qualcosa di tanto forte, che si confidano e parlano tanto tra di loro. Mi mancava dedicare loro così tanto spazio 💗

Ma... non spetta a me fare commenti su quanto ho scritto. Chi si loda, si imbroda, no? 😂

Voi che ne dite? Vi è piaciuto? Vi aspettavate che le cose sarebbero finite come hanno fatto, quindi con questo cambio di programmi finale? Ora che succederà?

Halloween è ormai vicino anche per noi, e spero perciò di aver creato un po' di atmosfera...🍂🍁🦇 🎃

Ho pensato che in CNIDHM avessimo già avuto una festa di Halloween con costumi, balli e trucchi e che quindi sarebbe stato carino cambiare le cose in questo sequel, pur lasciando questa festività sempre molto "Holdeen centrica"! Approvate la mia scelta?

Grazie mille, come sempre, per ogni stellina e ogni commento. È stato bello tornare e ritrovare molte di voi tra i commenti. Riuscite sempre a divertirmi, e a rendermi felice 💚

Ci sentiamo venerdì prossimo con un capitolo che... NON SIETE PRONTE, ve lo dico già!!!👀

Vi voglio bene! Alla prossima,

Rob

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