Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Palloncino

17

Palloncino

Questo è il segreto della vita... rimpiazzare una preoccupazione con un'altra.

(Peanuts – Charles M. Schulz)

È strano guardare una partita di basket dalla prospettiva di una spettatrice e non più di una raccattapalle. Senza l'ansia, quindi, che la palla vada fuori gioco e che debba tenermi pronta per scattare nel caso ce ne sia il bisogno. Ogni tanto ripenso agli sguardi che il coach del mio liceo teneva a lanciarmi e mi torna la pelle d'oca e la sensazione di inutilità che provassi ai tempi. È ancora più strano guardare la partita dalla prospettiva della ragazza di uno dei giocatori, quindi di farlo con l'emozione e l'orgoglio di vedere in un mucchio di ragazzoni alti come colossi il mio fidanzato.

Era da tanto che non venivo agli allenamenti di Holden. Di solito si intersecano con le lezioni del club di disegno, ma oggi Miss Lefevre verrà con un'ora di ritardo e perciò ne ho approfittato. Sarà una sorpresa per lui e perciò sarà divertente vedere la sua faccia non appena mi vedrà. Con un occhio sull'età vittoriana descritta sul mio libro e uno sul campo, mi trilla il cellulare nella tasca dei jeans. Lo prendo e noto subito una notifica da parte di Chas. Mi ha risposto a un messaggio che le avevo scritto poco prima di venire in palestra, in cui le avevo chiesto come andassero le cose con Pam. Difatti, malgrado in questo periodo io e lei ci siamo sentite svariate volte, a volte temo che mi stia, senza nemmeno accorgersene, tacendo alcune cose che forse lei stessa non ha davvero metabolizzato.

"Oggi ennesima lite con Tay. Lei si distrae come può e vedo come provi a far finta di nulla, ma temo che il loro legame si stia recidendo sempre di più..."

Sospiro, sentendo il cuore perdere un battito. Rileggo il messaggio cinque volte di fila.

"Quindi credi che il giorno del Ringraziamento, il rivedersi non servirà a nulla?" – stringo il cellulare.

È online, ma ci mette un po' per rispondere. La dicitura "sta scrivendo..." sovrasta la nostra chat. Scompare per qualche secondo, poi ritorna. Così via per parecchi minuti.

"Non lo so, Kat... è triste vederla così, ma credo che nella sua testa tutto abbia un senso. Quando la guardo da vicino mi sembra terribilmente amareggiata, ma anche consapevole e decisa. Più matura e razionale di come l'abbia mai vista. Sa quello che fa e sa quello che vuole. Il college le sta aprendo la mente verso delle strade che credo neanche lei pensasse potessero figurarsi davanti ai suoi occhi. Se vuoi la mia opinione, penso che a volte... certe cose vadano semplicemente in un certo modo e se si arriva al punto in cui bisogna forzare qualcosa per farlo rientrare in dei binari che crediamo siano i migliori, vuol dire che quel qualcosa non va più bene e va... semplicemente lasciato libero. Non fraintendermi, io ho il cuore a pezzi a sapere che forse loro due si lasceranno, ma... mi fido di entrambi e so che qualsiasi decisione prenderanno, sarà quella giusta."

Lasciarlo libero.

Mi mordicchio le labbra e fisso lo schermo in silenzio. Rifletto su come la razionalità di Chas sia sempre stata una benedizione per il nostro trio. Così riflessiva ed equilibrata, sa sempre quali parole usare. Le pesa, vagliando sempre ogni pro e ogni contro. Quando sono pronta, le rispondo dicendole che la sua saggezza è inconfondibile, punga e faccia male, ma che capisco cosa intenda. O almeno, credo di capirlo. Forzare significa letteralmente fare forza perché qualcosa vada come vogliamo che vada. Ma se c'è bisogno di fare forza allora forse non ne vale la pena, soprattutto se un tempo tutto era naturale.

Rimetto il cellulare in tasca e osservo tutto ciò che mi circonda con fare pensieroso. Come se di fronte ai miei occhi mi si figurasse un paesaggio suggestivo degno dei poeti più profondi e non una palestra che puzza di chiuso, di sudore e di ormoni ballerini. Lascio che le parole di Chas mi scorrano sulla mente fino a che non vengano assorbite tutte, facendo sì che si ripetano una alla volta nella mia testa.

La verità è che crescere è davvero difficile. Nessuno ti dice quanto lo sia quando sei piccolo. All'improvviso, senza che tu te ne accorga, ti ritrovi, un passo alla volta, a camminare per una strada che si fa via via più labirintica. Quando sei piccolo neanche ci fai caso se è lineare; te ne accorgi solo con il passare del tempo, non appena davanti agli occhi ti ritrovi un percorso che sembra un serpente che si contorce su sé stesso. All'inizio c'è qualcuno che ti stringe con fermezza la mano, che ti aiuta a stare in piedi, a saltare e a correre, ad attraversare la strada e ad andare in bici senza rotelle. La mano è grande e calda. All'improvviso, però, si stacca e si fa sempre più lontana, il calore si dissipa e senza sapere più dove mettere la tua, ormai non più tanto piccola, decidi che è il caso di metterla in tasca. La mano che prima era più grande si allontana come un palloncino che si è tenuto stretto per il filo per tanto tempo. Lo tieni tra le dita, credendo che basti la pressione che eserciti nel tenerlo stretto. Poi però ti distrai, il vento soffia un po' più forte, il palloncino vola e non capisci se fosse destino che si allontanasse o se tu avresti dovuto stringerlo più forte. Quando diventa un puntino colorato, pronto a farsi inghiottire dalle nuvole, arrivi persino a chiederti se magari, per chissà quale stupida ragione, fossi tu in realtà a volerlo lasciare andare. Ti piaceva tanto prima, ma poi il filo ha preso a pizzicarti il palmo della mano e non ce l'hai fatta più a tenerlo. Per un momento vorresti riprenderlo, ma proprio non puoi.

Ci sono tanti palloncini che stringiamo nel corso della vita. Tanti che lasciamo andare allargando le dita con lentezza, o con più velocità. Tanti che se ne vanno al primo soffio di vento.

Forse Pam ha semplicemente capito che Taylor non è più il suo palloncino.

Un fischio mi fa tornare alla realtà. A quanto pare sta per cominciare il secondo tempo. I lati est e ovest della palestra sono occupati da una piccola tifoseria. Principalmente fidanzate e amici dei vari giocatori. Qualcuno impreca come se fossimo ad una reale partita, qualcun altro sembra essere venuto qui solo per studiare in compagnia senza il peso del silenzio, date le calcolatrici e i quaderni che occupano alcune sedie. Ci sono delle cheerleaders, alcune intente a fare stretching, altre sedute in panchina con un cartellone che celebra i 'Tigers', i giocatori della squadra. Sono una frana con tutto ciò che riguardi lo sport e le notizie che vi vorticano attorno, ma Holden mi ha raccontato che i giocatori della squadra maschile di Princeton si sono aggiudicati per anni vittorie su vittorie a tornei e campionati di fama importante, e che sono diversi ad aver ricevuto onorificenze a livello nazionale. Il loro allenatore, Mitch Henderson, si presenta come un uomo dai modi severi, ma allo stesso tempo gentili. Ogni tanto stoppa la partita e si avvicina a qualcuno dei giocatori per mostrargli le strategie di gioco migliori. Quando si avvicina a Holden, metto da parte ogni pensiero e lo fisso. Ha le guance rosse e i capelli neri appiccicati sulla fronte. Annuisce e guarda negli occhi il suo allenatore. Poi sorride e la partita riparte. Anche qui, proprio come era a scuola, è il più esile di tutti. È meno muscoloso degli altri, ma è anche il più agile e leggero. Mi accorgo di come in pochi mesi abbia fatto così tanti progressi. Al liceo era bravissimo a giocare, ma in qualche modo i suoi movimenti, rispetto a quelli che gli vedo compiere adesso, erano forse più meccanici e rigidi. Causati probabilmente dalle inibizioni dovute alla presenza in squadra di Adam e dalle sue insicurezze.

–Dove sono i numeretti della divisa di Holden? Non li vedo dipinti sulla tua faccia!

Paige e Roxanne mi vengono incontro. La prima ha un sacchetto di popcorn tra le mani, la seconda ha i soliti occhiali da 'becchino' sugli occhi. Si siedono rispettivamente alla mia destra e alla mia sinistra.

–Che intendi? – guardo la mia coinquilina con il sopracciglio inarcato.

–Quella cosa che dovreste essere più sfacciati, ricordi? – solleva le sopracciglia. Ha questo brutto difetto di farlo quando le sembro troppo scema per vivere in questo college. O in questo mondo.

–Io sono diventata più disinibita, Roxy. Quando sono sola con Holden, lo sono. – preciso.

–Dovresti esserlo anche in pubblico!

–Che cosa carina! In effetti dovresti farlo, Kat. Così tutti verrebbero di chi sei la ragazza. – fa Paige con la bocca piena.

–Ed è così importante che tutti lo vedano? Cioè, non dovrebbe essere una consapevolezza solo mia e del mio ragazzo? – chiudo del tutto il libro, mettendolo nello zaino.

– Il fatto che voi ne siate consapevoli è essenziale, ma non sufficiente. Devono esserlo anche quelle persone che non esitano troppo a incasinare la vita degli altri. Persone come Violet. Lei e Patty Lou hanno qualcosa che non mi convince. Te l'ho già detto. Il chakra del terzo occhio me lo suggerisce.

–Il che? – chiede Paige. – Roba buddista?

–Incasinare la vita degli altri. – ripeto. – Non pensi di esagerare?

Certo che esagera. È una parola grossa 'incasinare'.

Ripenso per un momento all'altra sera, alle braccia di Holden attorno ai fianchi di Violet, alle sue parole sul sentirsi al posto giusto con lei, come lei sembri così spontanea in ogni suo piccolo gesto nei confronti di lui. Poi mi attorciglio per interi secondi una ciocca di capelli attorno all'indice, mi gratto una guancia e tergiverso fino a quando i pensieri non si nascondono di nuovo.

–Si comincia da piccole cose, Kathleen. Uno sguardo di troppo, un tocco accidentale, una caduta improvvisata. I ragni non tessono le loro tele in un colpo solo. Anche gli insetti più belli e innamorati possono finire nelle loro tele e quando succede... bang, – allarga di colpo le dita delle sue mani, facendomi sussultare. – è fatta!

Mi si presenta davanti agli occhi la scena di una farfalla innamorata che rimane incastrata in una ragnatela. Anche le farfalle si innamorano.

–I tuoi mi sembrano solo dei pregiudizi. Li hai avuti anche nei miei confronti, no? Ero una gatta morta per te, i primi tempi. – le ricordo.

Si aggiusta gli occhiali da sole, d'improvviso quasi a disagio.

–Lo so, ma... non ho mai avuto dubbio che tu fossi una ragazza tranquilla e buona. Patty Lou, invece, mi sembra artefatta. Assomiglia a una bambola di porcellana, di quelle che hanno il sorriso sempre stampato sulla faccia, ma che in realtà dentro sono piene di aria. Violet, d'altra parte... lei... – fa una smorfia. – non mi piace e basta. Non mi piacciono i suoi occhi.

–Ma se sono bellissimi. – ribatto. – Pagherei per averli come i suoi. Sono azzurri come l'acqua di un fiume. Di quelli che attraversano quei paesini del Nord Europa, coperti di neve e di magia.

–Come l'acqua torrida, forse. Puoi vedere solo qualcosa di quello che c'è sul fondo. Non è cristallina. – si volta nella mia direzione. – E poi l'acqua è trasparente. È solo un gioco di luci che la fa sembrare blu. Lei la luce la riflette, ma in maniera fittizia. – ci tiene ad elargire un'altra perla.

Luce artificiale. Ne parlammo, una volta, io e Holden. Adam era luce artificiale. Lui è la luce vera.

Paige la guarda con ammirazione, come se non si aspettasse certe metafore da una tipa come lei. Sgranocchia dei popcorn e poi punta il suo sguardo su di me, entrando così nella modalità "spettatrice di una partita di pingpong."

–Da quando spari tutti questi paroloni, tu? Sono io la letterata tra le due. – aggrotto le sopracciglia.

–Il chakra del terzo occhio. – risponde.

Sospiro. È davvero un caso perso. Prima mi fa tutti questi discorsi come se avesse fatto un tuffo in un libro di filosofia, poi cade nello spiritualismo, senza farmi capire un accidente.

–Le hai fatto una diagnosi completa. – prendo atto. Mi domando per un momento se Roxanne non abbia conosciuto nella sua vita qualcuno che le ricordi Violet. Qualcuno come lei che forse le ha fatto qualche torto.

–Ho questo talento! La serata del bowling è stato il sintomo più lampante. Dovresti farle anche una tu una bella diagnosi.

Abbasso gli occhi per un solo momento, mandando giù un groppo invisibile.

–Al bowling non è successo nulla... – dico. – È caduta e basta.

–È caduta e basta! – mi fa il verso, scimmiottando la mia voce. – Impossibile fare una caduta come la sua in modo spontaneo.

–Beh, no, dai, poteva succedere invece. – aggiunge Paige.

Sospiro.

–Io – comincio. – sono certa che lei e Patty siano brave ragazze. Sono intelligenti e socievoli. Violet è solo un'amica con cui Holden si sente bene.

–Oh, tranquilla, che è reciproco. – continua Paige. – Mi sembra che vadano molto d'accordo.

Mi gratto l'altra guancia, aggiustandomi una ciocca di capelli, poi annuisco.

– Già, è così. E Holden ne è felice, perciò... va bene così.

–Lo stai dicendo a noi o a te stessa per convincerti che sia così?

Mi prendo altri secondi per rispondere. Mi mangiucchio una pellicina di un dito, poi riprendo a guardare il mio ragazzo. Sta marcando un giocatore possente e massiccio, attento a non permettergli di fare canestro e ignaro di cosa mi stia vorticando nella testa. In momenti come questi avrei bisogno di sentirmi dire che sono una sciocca a dare spazio, anche in piccolissima parte, a certi pensieri e non che qualcuno me ne carichi addosso altri.

–Non c'è nulla di cui debba convincermi. Patty Lou e Violet sono due ragazze con cui Holden ha stretto un legame. Violet... è quella con cui lui è più affine. Suo padre è un pezzo grosso e sicuramente questo legame gioverà a Holden, anche in futuro. – mi sento ferma sempre allo stesso punto, come se stessi ripetendo questo discorso più volte di quante me ne sia accorta. La puntina del giradischi si è bloccata e la musica non va avanti.

–E a te gioverà, Kathleen? – domanda Roxy.

–Perché no? – prendo a guardarla. – Sono amici! Cosa dovrei fare?

Mi guarda di rimando, fissandomi da dietro le lenti. Poi fa spallucce. – Non sei mai stata gelosa di lui? – chiede.

–Certo che lo sono stata. Della sua amica di infanzia, una ragazza bellissima. La stessa da cui scrocchi i prodotti di bellezza tailandesi. Ma, ai tempi Holden non era ancora il mio ragazzo, mentre adesso lo è. C'è una differenza, mi sembra.

Fa silenzio, rimanendo con il capo rivolto verso di me. Starà sicuramente pensando che sia solo un'ingenua che gioca a far finta di non capire. Se mia nonna fosse qui, le darebbe ragione. Mi direbbe che non dovrei far finta che certe parole, certi gesti, non mi facciano effetto. Non credo di fingere. Mi fanno effetto, è vero, è solo che non voglio pensarci troppo. Perché dovrei farlo? Perché dovrei vedere sotto la luce peggiore ogni cosa? So che nonna mi direbbe, come d'altronde ha già fatto, che dovrei fare attenzione, ma... a cosa? Una volta le ho detto che non avrebbe dovuto caricarmi di altre preoccupazioni, ma la Kat di adesso vuole solo sentirsi più grande e consapevole. Dovrei davvero temere che Holden si innamori di un'altra persona? Che un'altra ragazza me lo strappi via dalle braccia? Sì, dovrei. Sì, mi accorgo, ce l'ho. Ma mi sembra anche che ostentare questa mia paura con gesti plateali come quelli che nonna e Roxy vorrebbero che io facessi mi si ritorcerebbe contro, in un effetto boomerang. Del tipo "lo fai perché hai paura e se hai paura è perché non credi abbastanza nella potenza del legame che ti unisce all'amore della tua vita". E io, invece, ci credo eccome a questa potenza.

–Quello che abbiamo io e Holden – riprendo. – è qualcosa che trascende il disegnarmi i numeretti della sua maglia sulla mia faccia o stare in allarme perché una ragazza gli aggiusta il cappello anche se potrei benissimo farlo io. – stringo il ciondolo portafoto che è appeso al mio collo.

Sono approdata alla consapevolezza che il mio cuore non mi appartenga più nella sua interezza dallo scorso dicembre, seppur già da prima Holden fosse il mio primo e ultimo pensiero, ogni giorno. Non posso, non voglio, permettere a degli stupidi pensieri di creare dei nodi nel laccio che ci unisca.

–Patty Lou gli ha aggiustato il cappello? – chiede Paige, sollevando le sopracciglia.

–Violet, zuccona! – la riprende Roxy. – Un altro sintomo che si aggiunge alla diagnosi.

–Qui, – riprendo. – non si parla di Violet, o di qualsiasi altra ragazza, ma di Holden e io...

–E tu? – Paige mi circonda le spalle con un braccio.

–E io lo conosco e so cosa ci unisce. Holden è semplicemente gentile. – lo guardo mentre palleggia la palla.

–E questo cosa significa? Che può lasciare campo libero alle altre? – Roxy lo fissa a sua volta.

–No, lui non fa nulla del genere! Amarlo significa anche riconoscere che il suo più grande pregio e il suo più grande difetto sia la sua infinita gentilezza. Lo è con tutti, sempre e comunque, fin troppe volte e questo... a volte mi disorienta perché egoisticamente vorrei che lo fosse solo con me, ma non funzionano così le cose. Lui è semplicemente gentile con i suoi amici, non c'è nulla di più di questo.

Non c'è nulla di più. Non può esserci. Non deve esserci.

Vorrei che Holden fosse sempre e solo il mio Peter Parker, ma dimentico che il ragazzo geniale e gentile, sia anche un supereroe. Peter è solo una faccia della medaglia. L'altra è occupata da Spiderman, l'amichevole eroe di quartiere che deve essere gentile anche con gli altri. O quasi, se si escludono i cattivi di turno. È nella sua natura essere esattamente com'è: carezzevole e disponibile con tutti.

L'episodio del bowling ne è solo l'esempio. Caduta accidentale, o meno. Holden non ha fatto nulla di male. Devo ricordarmelo ogni volta che rivedere la scena mi faccia sentire strana. O che ripensare alle sue occhiate e ai suoi modi permissivi mi faccia sentire prurito sulla pelle.

–Come vuoi, Portland. Lo sai che non sono adatta a vestire i panni dell'amichetta del cuore. Ti suggerisco solo di tenere gli occhi aperti. Tu conosci il tuo ragazzo, ma non conosci così bene chi lo circonda.

–Neanche tu! – le faccio presente.

–Io guardo tutto, te l'ho già detto una volta. – risponde. – Fossi in te marcherei di più il territorio, tutto qui.

–Marcare il territorio. – ripeto, osservando il tiro a canestro di un compagno della squadra di Holden. Ha le spalle large e così tanti muscoli che mi chiedo come le sue braccia non siano ancora scoppiate. – Non è da persone insicure? – tiro fuori.

Insicurezza. In– si– cu– rez –za. È questa la parola magica che ogni tanto mi lampeggia nella testa. Sono una persona insicura? Decisamente. C'è un modo per non esserlo più? Per fingere di non esserlo? Forse sono sulla strada giusta.

–Più da persone prudenti. – replica. – Dico solo un'ultima cosa: prima ho visto Violet dipingersi dei numeretti sulla faccia. Lo stava facendo nel bagno che si trova fuori la palestra. – continua la mia coinquilina. – Da qui mi è venuto in mente che dovresti farlo anche tu.

Mi blocco per qualche istante.

–Cosa?! – sento la fronte accartocciarsi e le sopracciglia farsi più vicine.

–Davvero? – fa Paige, sgranando gli occhi.

–Perché ti agiti? – Roxanne piega le labbra in un mezzo sorriso.

–Perché fare una cosa del genere sarebbe comunque... troppo. – alzo la voce. Poi faccio un colpo di tosse per rimediare.

–Rispetto a cosa sarebbe troppo? – mi sfida.

Sbuffo e smetto di guardarla.

–Ho mentito. Non ho visto Violet. Ti ho beccata, Kathleen. – mi tira una ciocca di capelli. – Hai anche tu un certo sentore, ma sei troppo codarda per ammetterlo. Anzi, sei troppo gentile. – mi fa il verso.

Non ho modo di ribattere. Cioè, in realtà potrei farlo, ma Roxanne è peggio del miglior avvocato che il diavolo abbia mai avuto. Troverebbe sempre il modo di farmi sentire davvero insicura, fragile e gelosa. Tutto ciò che non voglio essere. Perciò mi limito a lanciarle un'occhiata di fuoco, sperando che attraversi le lenti tonde e nerissime dei suoi occhiali. Poi, stizzita, riprendo il libro e mi rimetto a studiare.O almeno, ci provo.

Mezz'ora dopo il coach segna la fine della partita con un sonoro fischio. Quando alzo lo sguardo, noto come le cheerleaders siano le prime ad uscire. Solo alcune si intrattengono con dei giocatori. Fuori dalla palestra, scorgo Andy con un libro in mano, le cuffiette nelle orecchie e la borsa a tracolla, pronto per l'imminente corso di disegno. Poi gli occhi mi cadono anche su PJ, Colin, Patty e Violet poco lontani da lui. Stanno chiacchierando tra loro, aspettando chiaramente che Holden esca.

–Pff! – sbuffa Roxy. – Sono già pronti a rubartelo, Portland.

Non le do modo di aggiungere altro. Rimetto tutto a posto, poi mi catapulto fuori dagli spalti, scendendo i gradini che mi separano dal campo di gioco con foga. Holden intercetta dopo qualche secondo il mio sguardo, smettendo di chiacchierare con un suo compagno. Rimaniamo a guardarci, lui con gli occhi sgranati per la chiara sorpresa e io con un sorrisetto sulla faccia. Alcuni compagni – dei grattacieli. – si fermano a scrutarci con fare goliardico, mettendosi a ridere quando faccio qualche passo nella sua direzione e gli salto addosso come se d'improvviso mi fossi trasformata in un koala. Gli passo le braccia attorno al collo e lo bacio. Lui ricambia immediatamente, mettendosi poi a ridere.

–Sono sudato, bagnato fradicio e non ho il mio solito incantevole profumo. Ti conviene scappare, Leen.

Non è vero. Cioè sì è sudato, ha i capelli umidi e le guance rosse, ma emana comunque un odore gradevole. Vorrei infatti sniffarlo tutto. Ma capisco da me che non sia una buona idea.

–Tanto scapperai tu fra poco. – gli faccio presente. Gli picchietto la punta del naso, facendoglielo arricciare in modo buffo.

–Non avevi il corso di disegno adesso? – mi sorregge meglio con le braccia, iniziando a fare dei passi in avanti, verso l'uscita.

Mi stringo meglio a lui.

–Oggi Miss Lefevre ha fatto ritardo. Dovrò andarci a minuti. – spiego.

–Oh, capisco.

–Continui ad allenarti, amico? – sento la voce di PJ alle mie spalle.

–Sì, ora sono passato a fare i pesi. La mia Leen è pesantissima.

–Ehi! – gli do un pizzico sulla guancia. – E le braccia alla Chris Hemsworth a cosa ti servono allora?

Si mette a ridere, nascondendo il viso nell'incavo del mio collo. I suoi capelli che mi solleticano la pelle, facendomi stringere le labbra per non scoppiare a ridere.

Per un momento penso che anche Violet ci stia guardando. Senza che me ne accorga mi ritrovo a stringergli il viso tra le mani e a baciarlo un'altra volta, con più passione, beccandomi un fischio da parte di PJ e una sghignazzata da parte di qualcuno che presumo essere Colin. Lo stringo forte pensando che da un po' le mie strette su di lui si siano fatte più salde, come se dentro di me ci fosse una girandola di emozioni contrastanti. Penso all'altra notte, quando dopo la serata al bowling, nella mia camera ho sentito il bisogno di sentirlo vicino, vicinissimo, a me. A come lo abbia baciato e stretto al petto per oscurare nella mia mente quei momenti vissuti in precedenza che in qualche modo mi davano fastidio.

–Mi hai fatto una sorpresa bellissima! – mi dice, quando ci separiamo.

–Ti è piaciuta? – gli accarezzo le sopracciglia con le punte degli indici.

–Più di quanto immagini. – mi sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Ci fissiamo. Pian piano i nostri sorrisi si ridimensionano e rimaniamo piantati vicino alla porta della palestra, con i nostri amici alle nostre spalle e una matassa di giocatori che ci passa accanto. Lascio che le sue iridi grigie mi parlino e mi rispondano alla domanda che prende a farsi strada nella mia mente. Mi chiedo se sia solo una presuntuosa a credere che non dovrei temere che lui si lasci incantare da un paio di occhi bellissimi e da un carattere a lui così affine. Sono sicura di me o sono davvero solo una stupida? Devo preoccuparmi e far vedere al mondo intero che lui abbia il mio cuore e che io abbia il suo? Accidenti, vorrei avere una coscienza più ferrea e non così confusa.

Poi torna a sorridermi, ma per un momento mi sembra che i suoi occhi si velino di una patina malinconica, che si facciano più tristi senza un apparente perché. Mi domando se in realtà non sia il riflesso dei miei a dare loro questo aspetto.

–Ehi Romeo e Giulietta, ve ne volete andare?

Smettiamo immediatamente di guardarci, come se d'improvviso qualcuno ci avesse gettato un secchio di acqua gelata addosso. Il coach tuona alle nostre spalle altri rimproveri, dà una pacca sulla spalla di Holden, più simile a una spinta, invitandolo così ad andarsene.

– Mi sa che la magia è finita. Prima che ti rapisca, ti lascio andare da Miss Lefevre. – bisbiglia al mio orecchio, portandoci definitivamente fuori. Gli occhi d'improvviso tornati alla loro vivacità, come se davvero fosse stato solo il mio modo di guardarlo a essere più malinconico.

–Non mi dispiacerebbe essere rapita da te. – gli sussurro a mia volta.

–Anche a me non dispiacerebbe rapirti. – mi abbraccia, baciandomi il collo.

Ma non si può. Non possiamo sempre scappare dalla realtà quando questa si fa d'improvviso troppo stretta. Sarebbe da codardi. Il nostro amore è riuscito a vincere il veleno delle mie parole e il fardello di un passato violento. È doveroso mostrare che sia abbastanza forte da superare ogni avversione.

Lo abbraccio stretto un'ultima volta. Poi mi rimette giù, sotto le mie smorfie dispiaciute.

–Ciao, ragazzi! – saluto tutti, guardando Violet per un solo secondo. Lei ricambia, facendomi un piccolo sorriso.

È troppo bella per essere un ragno.

Andy mi si affianca, insieme a Paige. Roxanne getta un'occhiata veloce nella direzione di PJ che risponde con lo stesso sguardo incerto. Mi appunto che prima o poi sarà il mio turno di metterla sotto torchio. Di puntarle una torcia sulla faccia e di metterla alle strette.

–Bene. Noi andiamo a lezione di disegno. – fa Paige.

Colin sbadiglia, cingendo poi le spalle di Holden e facendoci 'ciao, ciao' con la mano. Lo osservo. Giusto per qualche secondo. Lui mantiene sul volto un'espressione odiosa, di quelle che ti fanno venire l'orticaria. Ha lo stesso sguardo e sorrisetto del compagno di classe che non ha studiato seppur sappia che oggi toccherà a lui essere interrogato, ma che si culla su chissà cosa, convinto che avrà comunque un bel voto, che riuscirà a cavarsela anche meglio di te che hai studiato da una settimana.

Holden mi dice che ci sentiremo dopo, poi gli altri si avviano a delle macchinette, mentre lui va alle docce. Io e miei amici, allora, ci dirigiamo verso l'aula di disegno. Si trova nell'edificio del dipartimento di architettura, nella direzione opposta alla palestra. Percorriamo uno dei cortili esterni beccandoci con Philippe a metà strada. Indossa degli occhiali da sole dalla montatura quadrata e sembra particolarmente stanco, dato il modo in cui se ne sta come uno stoccafisso, con le caviglie incrociate e una mano a coprire ripetuti sbadigli.

–Che ti è successo? – gli chiedo.

–Non vi dico.

–Dicci, invece. – lo esorta Paige.

–Ieri sera sono stato a una festa che prometteva di essere figa. Ho conosciuto uno studente di medicina così bello che mi è partita nella testa La Bohème di Charles Aznavour.

–La che? – fa Paige. Mi accorgo di come lei mi preceda sempre nelle domande. Prima con l'occhio buddista di Roxanne di cui non ho ancora capito niente e ora con questa Bohème. Charles Aznavour, tuttavia, non mi è completamente nuovo. Ricordo di averlo sentito ne "Il tempo delle mele".

–Una canzone bellissima del cantante francese preferito dalla mia mamma. Me la faceva sentire sempre quando ero piccolo, per farmi addormentare. Da allora mi parte sempre nella testa quando mi prendo una cotta per qualcuno. – spiega. – Quando rimango stregato da un paio di occhi, da una bella bocca, da un corpo statuario.

–Che poeta! – fischietto. – E com'è andata con il dottorino? – mi intrometto.

–Mi ha fatto una corte sfacciata per tutta la serata, ve lo giuro, era proprio spudorato, e poi mi ha piantato sul più bello...

–Quando stavate per limonare, in pratica. – precisa Andy.

–Baciarci alla francese, meglio. Io sono piuttosto bravo, potete immaginare il perché. Ma, non mi distraete. Mi ha piantato perché è venuta la sua fidanzata a reclamarlo. Quando si è presentata questa tizia che sembrava la brutta copia di Paris Hilton ha finto che io ci stessi provando con lui, assumendo d'un tratto uno sguardo inorridito. Se n'è scappato con la coda tra le gambe. Mi ha trattato come se fossi un morto di attenzioni che stava implorando la sua vicinanza. – gli trema un po' la voce. – Cioè, capite?

Mi immagino la scena e mi sento d'improvviso triste e mortificata. Philippe è un ragazzo che sa fingere. Finge di essere una persona sicura che fa ogni cosa per il suo tornaconto, di essere un cigno che vuole prendere le distanze da ogni anatroccolo. Ma la realtà è diversa. Penso alla prima volta in cui ci si è fatto vicino, con baldanza, ma anche con fragilità. Philippe osserva, fa dei passi in avanti, cerca fiducia in chi vede possa accettarla e proprio come chi è come lui soffre il doppio quando qualcuno accetta la sua presenza per poi prendersene gioco.

–Non ti sei perso niente, okay? Provo pietà per questo tizio perché chiaramente non è sincero nemmeno con sé stesso. – dico.

Andy annuisce, dandogli una pacca amichevole sulla spalla.

–Che stronzo! Mi spiace, Phil. – Paige gli stampa un bacio sulla guancia, sollevandosi sulla punta dei piedi.

–Grazie, ragazzi! Mi riprenderò in fretta, tranquilli. Ho già passato la notte in bianco per pensare a quanto sia sfigato in amore, credo basti così. Ho deciso che per stare meglio darò al Bambin Gesù che sto dipingendo il mio volto.

–Come atto di pura modestia. – sottolinea Andy mettendosi a ridere.

Mi unisco alla sua risata. Philippe ha forgiato il suo scudo e per il momento va bene così. Fa spallucce, riprendendo a parlare di altro, come se si fosse già dimenticato di ogni cosa. Finge, ancora una volta. A quanto pare siamo in tanti a scegliere le stesse armi per difenderci.

–Ehi, Kat. Comunque, per quanto riguarda la chiacchierata, di prima, in palestra... – mi si avvicina Paige. Lo fa con evidente timore, come se temesse di risvegliare la mia parte più vulnerabile e quindi più aguzza.

–Vuoi ripetermi che dovrei urlare al mondo intero chi è il mio ragazzo? – alzo gli occhi al cielo, andando incontro al suo timore.

Andy ci lancia un'occhiata, poi si mette a parlare con Philippe.

–Nulla del genere. Volevo solo dirti che... – si schiarisce la voce. – Roxy ti vuole bene e chiaramente a modo suo prova eccome, anche se lo nega, a fare l' "amichetta del cuore" – mima le virgolette. – Però... a volte non si rende conto che ognuno è semplicemente quello che è. Tu vai già benissimo per quello che sei e non hai bisogno di forzarti ad assumere atteggiamenti che non ti appartengono, okay? Non hai bisogno di certi mezzucci. – mi fa un occhiolino.

Forzare. È la seconda volta che oggi senta questa parola.

Senza accorgermene mi rendo conto di come le sue parole mi facciano bene. Come se prima, inconsapevolmente, avesse preso a insinuarsi dentro di me il dubbio che dovrei fare davvero qualcosa. Che sia mio dovere evitare con ogni mezzo che certi legami si facciano forti al punto da surclassare il nostro.

Insicurezza. Insicurezza. Insicurezza.

–Grazie, Paige. – le sorrido.

Mi sorride in risposta, poi prende il posto di Andy al fianco di Philippe, sommergendolo di parole con il chiaro intento di distrarlo. Paige ha questo potere, scopro. Alleggerire le situazioni più pesanti.

Andy torna allora al mio fianco e mi passa una cuffietta, facendo giungere così alle mie orecchie una canzone dei Guns N' Roses. Da quando abbiamo cominciato a trattare l'arte sacra, mi sembra più energico, ma anche più taciturno.

Arriviamo al club di disegno con cinque minuti di ritardo. Miss Lefevre ci dice di sbrigarci. Il faccione di Topolino che troneggia sulla sua maglietta le fa perdere credibilità come docente del club, ma la rende anche giovanile e simpatica. D'altronde, non credo che abbia più di dieci anni rispetto a noi. Si scusa per il ritardo con cui ha fatto partire la lezione, poi non perde altro tempo e comincia a parlare, mostrandoci alla LIM ulteriori opere considerabili arte sacra. Spiega dettagli sulle tecniche di disegno e di pittura adoperate, analizzando i soggetti rappresentati, e svelandoci dettagli nascosti e i motivi che possano aver spinto determinati artisti a dar vita ai loro lavori. Perlopiù si tratta di opere che sono state pensate per chiese, cattedrali o per le case di antichi signorotti pieni di soldi. Ritraggono scene e figure bibliche, dalla Madonna, alla Crocifissione, ai cherubini, ad altre figure di carattere religioso, illuminate da tanta luce e quindi circondate da tante pennellate di colore dorato.

Le opere rinascimentali sono le mie preferite. Il marmo in molte sculture si fa carne e ogni corpo d'improvviso ha muscoli e ossa. Sotto gli abiti di pietra e la pelle dura riesco quasi a vedere cuori che battono e vene che pulsano, lacrime intrappolate tra le ciglia e bocche che sbuffano sospiri impercettibili. La rabbia, la sofferenza, la dolcezza, l'estasi sono rappresentati con dei semplici colori, con delle linee, con polveri di matita, con la pietra, plasmata con la genialità umana in occhi vacui, bocche distorte, sorrisi accennati, sguardi colmi di devozione, assettati di perdono.

Guardo tutto con la bocca dischiusa e gli occhi sgranati. Per un secondo mi costringo anche a tener ferma la mano destra che vorrebbe allungarsi verso la lavagna e sfiorare i contorni delle figure. Rimango abbagliata dallo stile di Michelangelo e di Leonardo al punto tale da desiderare che in questo preciso momento una macchina del teletrasporto si figuri di fronte ai miei occhi e mi porti in Italia. Vorrei guardare da vicino certi colori, sentirmeli sulla pelle, potermi riempire gli occhi di lacrime con il cuore saturo di felicità.

Quando Miss Lefevre finisce con le sue spiegazioni, sebbene rimanga poco tempo alla fine della nostra ora, ci sollecita a continuare con le nostre tele poiché non rimangono poi molte settimane all'arrivo delle vacanze di Natale.

Mi prendo qualche minuto per riprendermi, poi mi accorgo di dovermi sbrigare.

–Non vedo l'ora di continuare il racconto di Seamus. Sai che ho scoperto che mi piace un sacco scrivere cose per i bambini? – mi avvicino al cavalletto di Andy con nonchalance.

Sulla tela una serie di linee che immagino già cosa andranno a definire.

–Non lo metto in dubbio, dato che sei tu la testa del progetto. Metto piuttosto in dubbio che tu ti stia avvicinando con fare furtivo alla mia tela solo per dirmi che non vedi l'ora di scrivere. – mantiene gli occhi incollati sul disegno, lasciando che le sue dita si muovano veloci nel tracciare ogni linea.

–Cosa hai deciso di ritrarre? – mi arrendo. – Io non ho idee!

–Tu non hai idee? Tu che hai definito il Bianconiglio uno stacanovista, che non ci metteresti troppo a urlare: "Io credo nelle fate. Lo giuro, lo giuro!", e che per poco non collassavi di fronte all' Ultima cena, non hai idee? Non farmi ridere.

–Il modo in cui il tuo cervello memorizzi ogni dettaglio che mi riguardi è snervante, Andrew. – sbuffo.

–Odio quando mi chiami con il nome intero. Sei crudele, Fosty. – sorride.

–Lo so. Lo faccio apposta. Allora, mi dai una mano o devo urlare davvero che creda nelle fate? Lo giurerei davvero, per la cronaca.

–Vai di scultura, Fosty. Ho notato che tu sei bravissima con i disegni in bianco e nero. Disegnare una scultura ti aiuterebbe a dare il meglio di te con le sfumature di grafite. Ricorda di usare tutte le matite, dalla HB, alla 8B. Poi completa il tutto con il carboncino.

–Una scultura? – fisso gli scarabocchi che sporcano il mio foglio. Sono letteralmente delle linee a casaccio, nate senza un perché. – Tipo?

–Eh, quello non posso dirtelo io. Devi avere il colpo di fulmine con un'opera. – risponde, senza distrarsi. – Prima ho visto che stavi allungando le mani verso la lavagna in stile baby Andy quando si sbilanciava dalla poltrona del cinema per i film in 3D. – apre le labbra in un altro sorriso.

–Lo facevi sul serio? Anch'io! – ridacchio. – Avevo una voglia matta di toccare tutto ciò che sembrasse uscire dallo schermo.

Gli angoli della sua bocca rimangono sollevati, mentre i suoi occhi scuri sono incollati alla sua tela. Prendo allora a guardare la mia, dando solo una fugace occhiata ai disegni degli altri. Paige sta ritraendo la Madonna. Non sembra essersi ispirata a nessun'opera famosa. Vedo le sue mani da bambina, dalle unghie troppo corte, stringere la matita come se fosse un pennello. Sta disegnando un volto femminile dall'incredibile bellezza. La donna ha gli occhi chiusi e dei lineamenti dolcissimi. Philippe, poco più avanti di me, d'altra parte, sta davvero realizzando il Bambin Gesù, donando al piccolo viso i suoi stessi lineamenti, solo più infantili. Mi domando quante volte debba essersi guardato allo specchio per riuscire a ricreare così fedelmente i dettagli del suo viso. Sorrido, poi chiudo gli occhi per qualche secondo lasciandomi avvolgere dall'estasi che ho raggiunto prima.

La Pietà. – dico all'improvviso. – Era questo il nome dell'opera che maggiormente volevo toccare, prima.

Andy solleva di nuovo gli angoli della bocca. – Hai trovato il tuo 'match', Fosty.

–Cos'è? Siamo entrati su Tinder? – domando.

–Tinder? Ci sei anche tu, André? – Philippe drizza le antenne e si volta a guardarlo.

–Ma per piacere! La uso quello zuccone di Daniel. Io sono un tipo più romantico.

–Anch'io sono romantico, André. Non fare il vecchio barbagianni e non esorcizzare le app di incontri.

Andy fa spallucce, mantenendo un'aria divertita.

Scuoto la testa, avvicinandomi alla cattedra per chiedere a Miss Lefevre di farmi rivedere il libro di storia dell'arte. Mi fa un sorrisone quando le dico che vorrei lasciarmi ispirare dall'opera di Michelangelo. Osservo la cura maniacale dell'artista: le pieghe nel velo di Maria, le arricciature della veste, lo sguardo di una madre addolorata, dolcemente rassegnato a una fine di cui era sempre stata consapevole, i denti, quasi impercettibili, che si intravedono dalle labbra di Cristo e i suoi capelli, dei riccioli che sembrano veri. Mi mordo le labbra nel momento in cui sento di voler piangere proprio qui, davanti a tutti, in questa stanzetta calda e luminosa in cui mi sento tremendamente a casa. Miss Lefevre mi fa una carezza sulla guancia, vedendo la mia reazione, e poi mi offre una caramellina al caffè che tira fuori dalla tasca del suo impermeabile appeso alla sedia. La frangetta le fuoriesce da un basco color prugna che risalta sui suoi boccoli nerissimi.

Quando torno a posto, mi silenzio e prendo a disegnare. Comincio con il tracciare il contorno dei corpi. Le linee più tondeggianti del capo chino di Maria, proseguendo con quelle più asimmetriche del corpo morente e disteso di suo figlio. Traccio e cancello un'infinità di volte, fino a che lo scheletro del disegno mi convince e comincio a sentirmi sempre più entusiasta. Mi accorgo di quanto il college, ora che ho trovato la giusta chiave per esplorarlo, mi stia aiutando a capire quante sfaccettature facciano parte di me. Quanti colori io abbia. A liceo era, in un certo senso, tutto più... limitato. Ero più sicura, più o meno, più serena, più spensierata, sapevo esattamente quale strada percorrere ogni giorno. Ora invece mi accorgo che magari di strade ce ne possono essere diverse, che possono intrecciarsi, e che questo loro intreccio sia naturale che confonda e spaventi, ma che ci possa in realtà aiutare a conoscerci meglio, a scoprire davvero quali persone saremo un domani. Magari fra qualche ora, sbattendo la testa sui libri, mi accorgerò di quante stupidate stia partorendo la mia mente, ma adesso è bello pensarla così. Mi faccio così tanto prendere dal momento che per un momento penso che per Natale potrei regalare a Holden un ritratto del suo volto. Gli ho già dato qualcosa di simile, una volta, ma era solo uno schizzo. Questa volta, invece, vorrei regalargli un disegno curato in ogni dettaglio, che gli faccia capire quanto sia bello. Magari lo potrei disegnare nei panni di Peter Parker, con il costume di Spiderman a coprirgli solo il petto e potrei così usare degli acquerelli per colorarlo. Lo immagino in ogni dettaglio proprio qui, in questo istante. Sorrido e non smetto di lavorare fino a che non iniziano a farmi male le dita e la prof ci dice che con rammarico la lezione del giorno è terminata. Sospiro, triste all'idea che debba già andarmene, ma mi riprendo quando Andy si mette come un gufo dietro alle mie spalle.

–Cavoli, Fosty. La concorrenza con te è spietata.

–Sta venendo bene?

–Decisamente. Riconosco già le sagome di Maria e di Gesù. Non avrai alcun bisogno di ritoccare i contorni. – si fa un po' più vicino, sfiorandomi la guancia con il filo delle auricolari che porta attorno al collo. Lo guardo con la coda dell'occhio per un solo momento, lusingata dal fatto che un artista come lui non trovi difetti nello 'scheletro' del mio ritratto.

–Tu, invece, non mi hai ancora detto cosa stai disegnando. Anche se mi gioco tutto che stai ritraendo un angelo.

–Ma dai, dici? – si rimette dritto, tirando verso l'alto la zip del suo giubbotto e arrotolando il suo disegno. – Quale angelo? Ce ne sono tanti. – solleva le sopracciglia.

L'angelo caduto, di Cabanel. – Philippe non mi dà modo di riflettere.

–Davvero? Che opera sexy, Slater. – interviene Paige, posandomi il gomito sulla spalla. – Wow, Kat, stai disegnando La Pietà, vero?

Annuisco, sorridendole.

–Philippe, non l'avevo chiesto a te! E poi come hai fatto a capirlo? Non l'ho mica finito. – si imbroncia Andy.

–L'avevo capito già dalla scorsa lezione, André. Si capiva subito dalla posizione orizzontale del corpo e dalla bozza dello sguardo triste di Lucifero. Ho visto che hai fatto prima il disegno su un foglio di carta.

–Il diavolo. – dico, mettendo a posto il materiale.

–La prima stella del mattino. Lucifero, portatore di luce. L'angelo traditore e ribelle. – spiega Paige, chiaramente soddisfatta di sapere almeno adesso di cosa si stia parlando.

–Sì, vabbè. Lo sappiamo tutti chi è. – la riprende Philippe, con i ritrovati occhiali da sole sugli occhi.

Paige gli lancia un'occhiata torva.

–Sicuro che allora non sarà blasfema la tua opera, Andy? – svio la loro attenzione, rivolgendomi ad Andy.

–L'arte non lo è mai, Fosty. – filosofeggia lui.

Ci mettiamo a ridere, poi usciamo dall'aula, sostando in un bar per goderci una cioccolata calda al volo prima che io e Andy voliamo al canile. Ad accoglierci oggi c'è anche Daniel che, tuttavia, ci dice che se ne dovrà andare dopo poco. Si è portato i libri per la patente, sbuffando che gli pesi essere l'unico a non averla ancora presa. Quando gli dico che neanch'io ce l'ho, mi abbraccia entusiasta, come se lo avessi risollevato da ogni preoccupazione.

–Paura di diventare una piratessa della strada? – mi domanda Andy, caricandosi in spalla una busta di cibo per cani.

–Paura di essere presa in pieno da qualche pirata... – confesso.

Mi domando spesso se mi sarebbe più semplice superare un labirinto di automobili rispetto a uno dei tanti labirinti che mi passano per la testa. Sono abbastanza certa di sì. Forse dovrei pensarci sul serio a prendere la patente. Maggiore autonomia, indipendenza e libertà. Così come ho superato la paura di farmi dei nuovi amici all'università, così dovrei farmi passare anche questo blocco. Mi immagino al volante di una cabriolet, il vento tra i capelli, un foulard al collo e una montatura da sole, dalle lenti triangolari, sugli occhi. La paura si fa già più piccola.

–Ti facevo più impavida, Fosty. – mi guarda.

Temo che lui mi faccia migliore di quel che sono.

–Non potevo mica nascere perfetta! – ribatto.

–Uoh, grande! – Daniel mi dà il cinque, mantenendo lo sguardo sul suo libro.

Sottolinea diverse pagine mentre prendiamo l'occorrente per la giornata, poi biascica cose a voce alta. Si fa interrogare da Andy sulla parte più legislativa e poi corre nello studio di Marianne per salutarla. Saltella come un bambino piccolo e per un momento non mi sembra il chitarrista di una rock band. Ci saluta pochi minuti dopo, non appena la veterinaria si prende una pausa nella quale finge di non osservarmi con attenzione nel mio lavoro con i cani. A mia volta, mi fingo una dogsitter esperta, divertendola quando le mostro come abbia insegnato a Pearl e a Cookie a sollevare la zampa nel classico gesto del "dammi il cinque!".

A fine serata, io e Andy troviamo finalmente il modo di lavorare sulla nostra storia.

–Dunque, con i dialoghi sono a un buon punto. Ho costruito quelli in cui Seamus si mostra a Beatrice nel suo bel caratterino, quelli in cui lei gli risponda per le rime, e quelli degli uomini del canile. Ora siamo rimasti al momento in cui dovremmo inserire qualche nuovo personaggio per dare una svolta agli eventi. – mi dice, puntando lo sguardo verso i fogli pieni di idee e scarabocchi.

Mordicchio il tappo della mia penna, mentre Pearl mi passa tra le gambe, facendomi solletico alle caviglie.

–Che ne dici di aggiungere un coniglio?

–Un coniglio? – solleva un sopracciglio. – Perché?

–Perché i bambini amano i conigli e perché li amo anche io. I conigli hanno orecchie lunghe con cui possono origliare ogni piano malvagio, – allargo gli occhi. – hanno musetti ballerini con cui possono bisbigliare segreti e aspetti angelici che possono trarre in inganno. Sono perfetti come spie, come amici del cuore, come dame di compagnia e come signorotti di contee lontane.

Andy rimane a guardarmi per qualche secondo, con un accenno di sorriso sulle labbra. Poi scuote la testa e prende a scrivere.

–La tua fantasia mi fa male al cuore, Fosty. Te la invidio.

Scoppio a ridere. – Ma scherzi! Ho una fantasia buffa, nulla di invidiabile.

–Non sottovalutarti, altrimenti mi fai ancora più male! Allora, come lo chiamiamo questo sbruffone dalle orecchie lunghe?

–Si potrebbe chiamare... – alzo gli occhi al cielo. – Lord... Lord... Batuffolino ed essere un esponente della classe sociale aristocratica. Un personaggio ricco, di potere, ma anche buono. Sarà lui a permettere a Seamus e agli altri cani di correre verso la libertà. – propongo.

–Lord Batuffolino... – ripete, mettendosi a ridere. – E sia. Un riccone, se buono, può fare comodo alla compagnia. Altri animali?

–Dei volatili, magari. Un gufo, una civetta oppure delle farfalle. Qualche animale che ha le ali e che possa aiutare la combriccola a non fare passi falsi.

–Qualcuno che faccia la spia al posto del coniglio, giusto! Delle... falene? – avanza.

–Hai scelto un animale a caso. – sollevo un sopracciglio.

–Ovvio. – borbotta. – C'è tutta una metafora dietro le falene, ricordalo.

–Sei tu l'intellettuale tra i due, me lo ricorderò. – mi metto a ridere.

–Sono solo un cantastorie, Fosty. – mi fa un occhiolino. – Pensavo ...– si blocca, fissando il vuoto alle mie spalle.

–Sì? – mi incuriosisco.

–Che nella parte introduttiva del racconto, per dare un po' di azione, potremmo inserire delle scene in cui i cani, di notte, si riuniscano per fare degli spettacoli, aiutati anche dalla piccola Beatrice. Spettacoli come quelli che ogni tanto mettiamo in scena qui, nel nostro canile, e che potrebbero aiutare i personaggi canini della nostra storia ad avere successo come artisti di strada, una volta liberi. – mi guarda.

Mi immagino la scena davanti agli occhi e annuisco.

–Mi piace! E poi potremmo aggiungere che il loro talento colpisca le attenzioni di Lord Lawrence, il padrone di Lord Batuffolino. Che, in particolare... – mi prendo altri secondi per pensarci. – il talento di Seamus attiri le sue attenzioni al punto tale che lui e la piccola Beatrice trovino in questo ricco signore e nella sua consorte una famiglia e una nuova casa. Ovviamente gli altri cani avranno comunque un futuro roseo.

Annuisce, sorridendo e scrivendo ogni cosa con la sua solita scrittura, piccola e ordinata.

–Allora direi che abbiamo concluso. Con la trama, intendo. E anche con i temi di natura filosofica. Ora ci restano solo gli ultimi dettagli.

–Come il nome della storia. Di solito i racconti per bambini hanno nel titolo sempre il nome del protagonista, come Peter Pan, Alice o Harry Potter. Per cui forse dovremmo farlo anche noi. – osservo.

–Lo credo anch'io. – arriccia le labbra. Poi prende a colpire la penna contro il bordo del tavolo, come fa con la sua batteria. – Dovremmo inserire anche il nome di Beatrice, allora. Tipo... Seamus e Beatrice... – inizia a mugugnare dei 'mhm' incomprensibili. –... alla ricerca della libertà. Alla ricerca della libertà! – ripete con più enfasi, facendo scattare verso l'alto le sue sopracciglia.

Allargo gli occhi, colpita. Poi batto le mani, emozionata, attirando così l'attenzione di Biagio, di Sandy e di Pearl. Mi guardano tutte e tre con i loro occhioni e con il medesimo sguardo interrogativo. Cookie, d'altra parte, abbaia facendo ridere Andy.

–Mi piace tantissimo! E sono sicura che anche a Morley piacerà da matti. Se vuoi, potrei anche passarlo al vaglio della mia Phoebe prima di consegnare il lavoro. Così da vedere cosa ne pensi una bambina.

–Phoebe è la sorella del tuo ragazzo? – mi chiede.

–Sì. È una bambina dolcissima e molto intelligente, ma soprattutto molto schietta. Se il racconto farà schifo, ce lo dirà.

– Proprio quello che ci serve. Mi sembra una buonissima idea. – posa la penna, poi si tira in piedi, avvicinandosi al frigo.

–Glielo manderò non appena pronto, allora. – sorrido.

– A proposito, fammi fare il curioso: hai conosciuto, quindi, tutta la famiglia di Holden?

Deve essere arrivato il momento del "conosciamoci meglio".

Faccio scrocchiare le dita delle mani e mi metto anch'io più comoda. – Sì, tutti... tranne suo padre... e qualche altro parente più alla lontana. Ho conosciuto, a dirla tutta, prima sua mamma e sua sorella, senza sapere quali ruoli avessero nella sua vita. Ho iniziato infatti a fare la babysitter a Phoebe e solo più in là ho saputo che fossero sue parenti. – snocciolo. – Sono stata un'idiota perché era chiaro che fossero fratelli, ma... ero alquanto cieca lo scorso anno.

–Vi siete innamorati a scuola, tu e lui? – prende una lattina di cola e poi si appoggia al frigo.

–Sì, a scuola. – faccio un piccolo sorriso. – Un passo alla volta. Ho capito solo con il tempo che ragazzo meraviglioso fosse e adesso lui... è tutto per me. – torno seria, abbassando lo sguardo.

–L'amore è proprio una cosa strana. – dice, bevendo un sorso della sua bevanda. – È il risultato di un'equazione perfetta in cui si somma la chimica, la passione, la reciprocità e qualcosa di indefinito.

–Ne sai qualcosa? – mi interesso, accavallando le gambe. – Non mi hai mai parlato della tua vita sentimentale. Anzi, tu sei sempre fin troppo ermetico con me. – osservo.

–Non c'è molto da raccontare. – prende a giochicchiare con la linguetta della lattina. – Credo di non essermi mai innamorato veramente. Ho avuto una sola storia al liceo, ma... – fa una smorfia. – nulla di troppo serio. Eravamo troppo distanti io e lei. Ci piacevano cose diverse e avevamo prospettive troppo diverse.

–Non si dice che gli opposti si attraggono? – lo guardo. Penso che in fondo anche io e Holden siamo diversi in tante cose.

Fa spallucce. – Credo che l'attrazione non serva a nulla se poi non si condivide niente.

Stringo le labbra, annuendo. – E quindi stai aspettando di trovare una persona che abbia dei punti in comune con te?

Annuisce. – Una persona con cui possa essere me stesso e con cui poter condividere tutto, o quasi. Non dico che dovremmo essere uguali in tutto, perché altrimenti sarebbe noioso, però mi piacerebbe potermi confrontare con una persona che mi capisca e che sia affine a me.

Andy è un ragazzo attraente. È bello, nella maniera più canonica in cui si possa definire bello un ragazzo. Ha tutto perché file di ragazze gli ronzino dietro, eppure mi dimostra chiaramente di essere molto selettivo nelle sue relazioni. Ha una sua morale, sue visioni della vita e dei sentimenti, e un'anima da esplorare. Fisso per un momento i suoi occhi scuri e sorrido.

–Quindi Patty Lou non andrebbe bene? – scherzo.

Ride. – Temo che siamo proprio incompatibili io e lei. E poi, secondo me non è vero che le piaccia. Primo perché è infatuata del sosia di Harry Styles e poi perché... a volte mi sembra quasi più interessata a te, dato il modo in cui ti guarda. – mi fa un cenno con la testa.

Spalanco gli occhi. – Ma che scemo che sei!

Nasconde un altro sorriso portandosi la lattina alla bocca.

– Comunque, – mi schiarisco la voce. – spero che un giorno potrai anche tu trovare qualcuno con cui sentirti legato da un laccio. Sai, Jane Eyre e...

–Mr. Rochester. – continua per me. – Certo che lo so. Per chi mi hai preso?

–Pardon! – sollevo i palmi delle mani.

–Tu provi questo con Holden?

Annuisco, fissando il mio anello giocattolo.

–Sei fortunata, lo sai?

–Lo so.

Sorride. – Lo spero anch'io, Fosty. – mi guarda. – Nel frattempo, mi terrò stretto al mio Biagio. Vero, amico mio? – prende il visino del suo amico tra le mani e lo spupazza, grattandogli le orecchie. – Gli angeli... – comincia, poi.

Lo guardo, sollevando le sopracciglia.

–Mi ricordano una persona speciale. Il mio più grande amore, probabilmente. – fissa negli occhi Biagio che, in cambio, gli lecca il dorso della mano destra.

Schiudo le labbra per qualche secondo, sorpresa da queste fenditure che sta creando nel suo muro. Mi sta lasciando sbirciare in alcuni angoli della sua vita, e lo sta facendo nel modo più imprevedibile possibile. Pensavo che ci sarebbe voluto molto più tempo perché si aprisse con me sui suoi amati angeli, e invece, anche se mi ha dato solo un dettaglio, lo ha fatto nella maniera meno aspettata, più semplice. Penso subito che stia parlando di un amore diverso da quello che possa unire una coppia. D'altronde, solo pochi minuti fa, mi ha chiaramente detto di aver avuto una sola relazione nel suo passato.

–Perché me lo hai raccontato? Non te l'ho chiesto. – butto fuori.

Fa spallucce. – Perché mi hai detto che sono troppo ermetico con te e per quanto la mia arma migliore sia il mistero, ora sentivo di volertelo dire. Tu parli sempre di tutto, a cuore aperto e... credo mi stia contagiando. – assottiglia lo sguardo. – Ma, farò di più... – torna nella mia direzione, avvicinandosi a una sedia per prendere il suo zaino.

Ci litiga per parecchi secondi, scostando quaderni dalle copertine rovinare e fogli sporchi di varie dimensioni. Poi ne tira qualcosa. E me lo porge.

–Cos'è? – aggrotto le sopracciglia.

–Lo schizzo che quell'impiccione di un francese ha sbirciato. Non mi serve più. So come portare a termine il disegno.

Lucifero guarda un punto indefinito di fronte a sé, lo sguardo tagliante come una lama affilata, ma allo stesso tempo rotto e sofferente. Il braccio muscoloso a coprirgli il viso in un gesto di protezione e di difesa. Il corpo in tensione, levigato e realistico, massiccio e forte, che si tende in tutta la sua caduta dal regno della luce.

–È semplicemente mozzafiato, Andy. – quasi boccheggio.

–È solo una bozza, ma grazie! È tuo, adesso! Così saprai di non dover mai abbassare le armi con me. – si mette a ridere.

–Non posso tenerlo. È tuo ed è troppo bello perché te ne privi.

–Lo faccio sempre, ricordi? Lascio i miei disegni ovunque. Voglio che lo tenga tu come regalo di Ringraziamento.

–Un regalo di Ringraziamento? – gli chiedo.

–Già. Per ringraziarti della tua amicizia. Ti conosco da poco, eppure sto imparando molto da te. Hai una mente brillante e il cuore buono.

Le sue parole mi toccano il cuore. Mi sento arrossire per un solo momento.

–Grazie, Andy. Anche io sto imparando molto da te.

–A essere un orso? – mi prende in giro.

–A non avere fretta. – lo guardo negli occhi.

Mi sorride.

***

Qualche giorno prima del Ringraziamento io e Holden riusciamo a incastrare un momento tutto per noi in un pomeriggio piuttosto freddo. Uniamo l'utile al dilettole, perché in vista dei lavori scritti che dobbiamo entrambi portare a termine e degli esami vicini, ci scambiamo dei baci tra un capitolo e l'altro dei nostri manuali.

Siamo nella biblioteca. Lui ci è stato già altre volte con i suoi amici, mentre per me è la prima volta. Si presenta come un ambiente grande, fresco, dalle pareti coperte di file infinite di libri, intrise di storia e pregne dell'odore della carta e della cultura. Ci sono diversi tavoli di legno scuro qua e là e in generale l'arredamento di mogano mi fa pensare a uno spazio vittoriano. Delle lampade verdognole troneggiano sui tavoli e un vecchio bibliotecario dormicchia vicino all'ingresso, fingendo di essere sveglio e attento ogni qual volta qualcuno entri e lo svegli con sonori colpi di tosse.

Non sono molti gli studenti intenti a studiare, perciò ci sono molti tavoli liberi. Intravedo infatti solo un ragazzo che si sta tenendo la testa con le mani in una posa di evidente esaurimento, una ragazza che la muove a ritmo di chissà quale canzone che le sta rimbombando nelle orecchie dalle sue cuffie viola e due tizi che si stanno mangiando con gli occhi, circondati da pile di libri di giurisprudenza che assomigliano a due torri di un castello. Me li immagino come due innamorati ostacolati dalle reciproche famiglie, alla Romeo e Giulietta, affamati di attenzioni.

–A che pensi?

Nonostante gli spazi a disposizione, io e Holden siamo seduti per terra, su un tappeto persiano che copre l'ala ovest della libreria. Anche se da qui ho una visuale niente male su ciò che mi fronteggia, siamo nascosti da occhi indiscreti e sono certa che difficilmente qualcuno ci troverebbe. È appoggiato con la schiena a una schiera di libri che parlano di economia e matematica, pieni di formule che per me hanno l'aspetto di scritte arabe, le gambe distese e le caviglie incrociate di fronte a sé, il mio corpo appoggiato al suo petto, con le ginocchia portate al mento. Ha lo sguardo fisso su una pagina, e con l'indice della mano sinistra attorciglia una ciocca dei miei capelli, facendomi sentire le farfalle nella pancia.

–Immagino scenari imprevedibile che coinvolgono questi poveracci che stanno studiando come noi.

–Noi non stiamo studiando. – ribatte.

–Ah no? – inclino la testa per guardarlo meglio.

–No. Tu ti fai film mentali su sconosciuti, e io mi godo la morbidezza dei tuoi capelli e inspiro il tuo profumo cercando di capire come possa imbottigliarlo e portarlo sempre con me.

Sorrido, tracciando con la punta della matita alcuni cuoricini su una pagina dedicata a Oliver Twist. Solo quando mi accorgo che il libro è della biblioteca, capisco la portata della cavolata che abbia fatto. Prendo la gomma e comincio a cancellarli.

–Bugiardo! So che sei tutto preso da John Nash!

–Conosci meglio di me i miei pensieri, Leen?

Per un momento il mio sorriso si smorza. Vorrei dirgli di sì, che li conosco meglio di quanto li conosca lui perché abbiamo condiviso così tanto che si è creato tra un noi un rapporto di simbiosi. Ma poi mi accorgo che in realtà non li conosco affatto. O almeno, da qualche tempo non so più se li conosca davvero.

-No, Holden. Vorrei, ma temo di non conoscerli abbastanza. – ammetto.

-Quindi confessi che non sia un bugiardo e che non sia preso da Johnny?

-Può darsi. – sorrido.

-Non ti perdi molto, comunque. Sui miei pensieri, intendo.

-Ah no? Ho i miei dubbi.

-Non averne.

E invece ne ho.

Faccio dondolare la matita tra l'indice e il medio, poi mi accoccolo meglio sul suo petto, portandomi la sua mano sulla mia pancia. Le mie dita che prendono a giocare con le sue.

-Tu conosci i miei?

Non risponde subito. Lo sento prendere un respiro, solleticandomi così la nuca.

–Ovviamente, Leen. – dice.

-E a che sto pensando adesso? – lo sfido.

-Che vorresti conoscere i miei pensieri più profondi, no?

Sorrido. – Vero!

-Te l'ho detto che ti conosco. – con le dita intrappola il mio mignolo.

–Ho già deciso quale regalo ti farò a Natale. – cambio argomento.

–Anch'io.

–Davvero? – allargo gli occhi, voltandomi del tutto nella sua direzione.

–Ah ha. – smette di fissare il libro e pianta i suoi occhi nei miei. – Cosa mi hai fatto? – abbassa la voce, mettendo il libro da parte e facendomi sedere sulle sue gambe.

–Pensi di usare la tua voce sensuale per scucirmi delle anticipazioni? – poggio le mani sulle sue spalle.

–Ah ha. – ripete, fissandomi le labbra.

–Non ne avrai nemmeno una. – avvicino il mio viso al suo.

–Nemmeno tu. – si avvicina anche lui.

Poi le nostre labbra si trovano a metà strada, accorciando ogni distanza. Mi bacia con lentezza, accarezzandomi i capelli e facendomi sciogliere tra le sue braccia. Lo bacio e inspiro il suo profumo. Lo bacio e mi nutro di convinzioni che spero mettano a tacere ogni sibilante dubbio. Sono io che lo sto baciando. Sono io che lo sto stringendo tra le mie braccia. Basta questo.

–È possibile amarti così tanto da sentirmi uno scemo gran parte del tempo? – mi domanda dopo un po'.

–Devi dirmelo tu. – rispondo. – È possibile?

–È possibile. – conferma. – Prima di conoscerti e di stare con te non avevo mai pensato a cosa fosse vivere l'amore. Viverlo davvero. E sai cosa ho scoperto?

–Cosa? – pendo dalle sue labbra.

–Che è un sentimento bizzarro. A volte è così straboccante da farmi dondolare il cuore.

–L'hai rubata a John Keats?

–No, è di Holden Morris questa.

–Meglio così! E cosa vuole dirci il poeta con questa frase? – indago.

Fa spallucce e prima che possa insistere i suoi occhi si posano su qualcosa che cattura la sua attenzione e che si trova alle mie spalle.

–L'hai fatto tu? – chiede.

–Cosa? – seguo la traiettoria del suo sguardo. – Oh no, è un disegno che...

–È bellissimo. – si sporge in avanti, con me ancora vicino, e lo acciuffa da un mio quaderno con le sue lunghe dita. – Riconosco chiaramente il tuo stile. È a dir poco strabiliante. – la fissa per interi secondi. – Però è molto triste. Come si chiama quest'opera?

–L'angelo caduto. È di Cabanel. – rispondo. – Ma no... hai fatto cilecca. – sorrido. – Il disegno è di Andy. Me l'ha regalato come pensierino per il Ringraziamento. – spiego.

Holden rimane con gli occhi puntati sul disegno, le sopracciglia che in maniera impercettibile si tendono verso l'alto e l'angolo della sua bocca che ha un leggero guizzo. Fissa l'angelo con attenzione, poi con l'indice ne sfiora il contorno.

–Avete un modo di ritrarre così simile. – sussurra.

-Non è vero! Mi sarebbe piaciuto, ma lui è molto più bravo di me.

– Scusami, mi sono confuso. – abbassa il disegno.

Poggio i palmi delle mani sulle sue guance lisce, provando a catturare il suo sguardo. – Va tutto bene? – gli chiedo, d'improvviso preoccupata.

–Certo. Mi sono solo confuso. È molto bravo lui, sai? Ha un talento spaventoso. – abbassa il suo sguardo.

–Tutti abbiamo dei talenti spaventosi. – gli faccio presente.

Annuisce.

–Sicuro che vada tutto bene? – insisto.

Pensavo che avessi superato da tempo la fase in cui mi era difficile decifrarlo. Quella in cui lui mi sembrasse simile a una tela che ti dice tutto, ma che in realtà non ti dice niente.

–Mi sento solo strano ultimamente. Provo sensazioni a cui non so dare un nome perché mi sono estranee. – mi mette una ciocca di capelli dietro l'orecchio. – Ma è solo per le novità che la vita mi sta dando modo di vivere. – sorride.

–Definisci 'strano' e definisci anche quella cosa per cui il cuore ti dondola. C'è qualcosa che non va? Che ti dà fastidio, che... – lascio cadere il discorso.

–Le cose strane lo sono proprio perché è difficile spiegarle, no? – mi guarda negli occhi. – Non c'è niente che non va, no?

–Te l'ho chiesto io. – sottolineo.

–Già, hai ragione. – fa una risatina. – Non c'è niente che non va. – annuisce tra sé e sé.

–Sicuro? – mi avvicino al suo viso.

–Sicuro. – mi bacia le labbra.

–E la cosa del cuore che ti dondola e che l'amore è bizzarro? – insisto.

Mi avvolge con le sue braccia e mi avvicino al suo petto. – È che ti amo troppo, Kathleen. E a volte questo mi fa paura perché non credevo possibile amare qualcuno così tanto. Il mio cuore allora si fa prendere dalle vertigini.

–E allora ti capisco, Holden. Perché il mio fa lo stesso.

Chiudo gli occhi e lascio che le nostre vertigini si intreccino, petto contro petto.

Ed eccoci qui con l'ultimo capitolo...

... dell'anno!🤭

Partiamo subito: qual è stata la frase più triste e perché proprio quella sul palloncino? O forse se la gioca con quella sulle 'vertigini'? 🎈

Un capitolo che è venuto più lungo di quel che credessi e su cui sono tutt'ora indecisa. Ci sono scene che ho pronte da tempo, da quando ho deciso di scrivere questo sequel, ma un conto è pensarle, e un altro è incastrarle con tutte le altre, inserirle al momento opportuno e far sì che tutto fili. Tante cose, poi, cambiano in alcune sfumature perché i personaggi decidono all'ultimo che ci sono dettagli da modificare e alcuni dialoghi nascono in pochi secondi, di colpo. Il risultato finale mi spaventa sempre, perché sono capitoli 'traballanti', fragili, più malinconici... ma ho deciso di dovermi fare meno 'pare' e di doveri buttare.

In questo capitolo ci siamo addentrati molto nei pensieri di Kat. Nella sua dimensione più introspettiva. Abbiamo visto da vicino la confusione che il personaggio di Violet sta cominciando a crearle, confusione corroborata da alcuni atteggiamenti di Holden e dal terzo occhio di chakra di Roxanne( su cui, ci scommetto, siete d'accordo)! Pensieri in generale su sé stessa (il disegno, la patente, ciò che le piace fare) e su Andy, sempre un po' più presente. Questa storia è nella mia mente, prima di tutto, un romanzo di formazione e in quanto tale mi piace dare spazio alla mia protagonista e a tutto ciò che la riguardi. Mi scuso, perciò, se a volte decido di mettere "in secondo piano" scene più romantiche a favore di quelle più introspettive.

Spero che, malgrado questa 'patina malinconica' (per citare Kat) che abbia, secondo la mia prospettiva, velato ogni rigo, il capitolo vi sia piaciuto e vi abbia dato degli spunti su cui, se vorrete, sarei felice di ascoltare la vostra.

Non mi dilungo ancora, ma volevo ringraziarvi per il supporto che mi avete dato nello scorso capitolo. Ci sono periodi in cui mi sento più insicura di altri, e leggere certe parole mi ha ridato un po' di carica. Perciò... grazie, davvero! 💚

Spero abbiate passato un bellissimo Natale e che possiate passare un felice ultimo giorno dell'anno e un buonissimo primo giorno del 2022 (ci sentiremo sicuramente per gli auguri per il nuovo anno)! 🍾 ✨

A prestissimo,

Rob

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro