Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Limbo

6

Limbo

Non posso scendere in campo oggi, Lucy... Non sono un buon manager... ho paura!

Volevi fare il manager e farai il manager. Adesso vai fuori e fai il manager!

***

Ciao, Charlie Brown! Dove sei stato? Ti stavamo aspettando...

Beh, prima credevo di non farcela ma alla fine sono venuto qui sotto l'influsso dell'influsso!

(Peanuts– Charles M. Schulz)

Princeton.

Princeton.

Princeton.

Se lo ripeto altre cento volte magari mi sembrerà davvero di non star vivendo un sogno.

Provo anche a sillabarlo. Le lettere si sciolgono in bocca.

Così come sembrano sciogliersi anche le mie gambe e le dita delle mani che stringono almeno dieci opuscoli studenteschi.

Come se la sola vista di questa fortezza di pietra dallo stile neogotico che d'ora in poi dovrò abituarmi a chiamare casa avesse il potere di rendere i miei arti simili a budino.

Sento sotto la pelle un crescendo che va dallo stupore, all'incredulità, passando per l'eccitazione mista a qualcosa di indefinibile, per approdare poi allo spavento, al panico e all'ansia. Del tipo: "Cacchio! Sono a Princeton. Sono una matricola universitaria. Sono a Princeton. Sono al college. Sono a Princeton.". E poi di nuovo: "Cacchio! Sono a Princeton." Il tutto, questa volta, con un accento diverso. Con sfumature diverse.

Della serie: "Tutto molto bello, incredibilmente bello, ma ora? Che faccio? Dove vado? Sarà il posto giusto per me? Non lo sarà? E se non lo sarà, cosa farò? E se lo sarà, cosa farò?".

Mi sento piccola piccola sotto l'aurea intelligente di questo colosso. Sotto l'aurea della mia università.

La mia università.

Tutto di questo posto trasuda cultura e sapere. La fila di finestre; alcune bifore, altre trifore, altre sporgenti, che sembrano occhi pronti a scrutare ogni mossa; il grande orologio che troneggia sopra l'entrata ad arco raggiungibile con una seria di scalini su cui già immagino il suono dei miei passi; i tetti che già vedo davanti agli occhi pieni di neve nel periodo invernale; il verde che fiancheggia la struttura e il viale che assomiglia a quello di un libro di fiabe che mi raccontava mia mamma quando ero piccola.

La prima e ultima volta che sono stata qui ero ancora una studentessa del liceo, spaventata alla sola idea di dover fare il colloquio con qualche pezzo grosso che avrebbe potuto decidere del mio futuro, con una stupida lettera di raccomandazioni tra le mani e decisamente tanta paura.

Lo ricordo ancora il mio colloquio. Dopo le solite domande di rito mi fu chiesto perché Princeton, uno dei college più prestigiosi al mondo, avrebbe dovuto scegliere me. Me lo chiedo anch'io, avrei voluto rispondere. Sentivo queste cinque parole premere sulla punta della lingua, sui denti, sulle labbra per uscire fuori. Alla fine, tuttavia, risposi semplicemente che avrebbero dovuto prendermi perché volevo dimostrare ai tipi come Holden Caulfield, che riteneva "schifa" l'idea di frequentare un'università della Ivy League, che Princeton poteva essere un posto anche per loro.

Una delle cose più assurde e insensate che potessero passarmi per la testa. Tuttavia, funzionò.

Adesso, la paura non solo è rimasta, ma è aumentata. Non sono più una liceale con un carico di speranze troppo pesanti. Sono una studentessa universitaria, una studentessa di Princeton. Sì, non è questo il momento in cui finirò di ripeterlo. Il bagaglio di speranze c'è sempre, è ancora più pesante, ma sono speranze in qualche modo diverse.

Io e Holden siamo due puntini in una fiumana di ragazzi e ragazze che con zaini colorati sulle spalle si dirigono verso i loro corsi. Si sentono risate, schiamazzi, borbottii. Qualcuno si spinge, qualcun altro parla fitto fitto. Altri, che pur se sono soli, parlano a voce alta, stringendo tomi spaventosamente giganti tra le mani. Poi passano dei tizi in divisa e gruppi di ragazze così belle che per un momento mi trema la terra sotto i piedi. Sembrano tutti così grandi, così sicuri di sé, come se sapessero al cento per cento che questo è il posto giusto per loro.

Ho bisogno di fare un respiro gigante per mantenere il controllo. Tutto prende a girarmi attorno, come se fossi finita dentro un vortice gigante di volti, parole, echi e rumori distorti.

Realizzo in pochi istanti che essere una matricola universitaria potrebbe fare davvero schifo. Ecco tutto. Non sei più uno studente liceale, ma allo stesso tempo non sei ancora uno studente universitario a tutti gli effetti. Sei più un pesciolino che tenta di tuffarsi dal mare all'oceano, ma che nel frattempo è costretto ad annaspare, cercando di capire quale sia la strategia migliore per ritrovare l'ossigeno e omologarsi ad altri pesci.

–Stai bene? – fa Holden, stringendomi la mano.

–Credo... di sì. È solo che è tutto così...

–Infinito? – mi precede.

Annuisco. – Enorme.

–Lo so! Qui c'è troppo casino. Vediamo com'è la situazione dall'altra entrata?

–Mi sembra una buona idea.

Sistemandomi lo zaino sulle spalle e sorreggendo il mio trolley, lo seguo a passo veloce.

Quando arriviamo davanti ad una delle entrate ci accorgiamo di come effettivamente qui non ci sia anima viva, o quasi. Pochi studenti passeggiano accanto all'edificio che ci fronteggia. Faccio un bel respiro, riempiendo i polmoni di un bel po' di aria fresca.

–Vi consiglio caldamente di non entrare da questa parte.

Per un momento sussulto. Io e Holden ci voltiamo nella direzione della voce maschile che ci ha appena rivolto la parola. Un ragazzo dalla pelle scura, una montatura rossa sugli occhi neri e una chioma di capelli ricci dominata a fatica con del gel, ci guarda sorridente, mostrando fieramente un cartellino che risplende sulla sua felpa arancione su cui svetta in grande la scritta "Princeton". O è un fantasma, – cosa che non escluderei dato lo stato emotivo alquanto alterato in cui verso. – oppure è un consulente scolastico.

–Matricole, giuste? – ci domanda.

–Sì. – biascico.

–L'ho capito subito. Di solito organizziamo dei gruppi per voi matricole, ma dovete esservi persi, vero?

–No, è solo che... non ci siamo inseriti in nessun gruppo. – rispondo. – Ci siamo solo sentiti un po' confusi di fronte all'immensità del posto. – ammetto.

Annuisce, facendo un'espressione comprensiva e rassicurante.

–Non c'è problema, ragazzi! – ha un tono di voce squillante. – Permettetemi di presentarmi. Sono Montgomery Brown, e se vi va sono disposto ad essere il vostro Virgilio. Per la cronaca, è la guida di Dante nella Divina Commedia. Più precisamente nell'inferno e nel purgatorio. Se farete il corso della professoressa Marchetti vi converrà saperle certe cose. – ci fa un occhiolino.

Ecco. Sono in un limbo, allora. Il college è una sorta di purgatorio. Si trova tra il liceo, che è chiaramente l'inferno, e il Paradiso, che devo ancora riuscire a identificare.

–Va bene. – rispondo titubante.

Holden rimane a guardarlo in silenzio, con l'ombra di un sorriso sulle labbra.

–Il vostro nome?

–Kathleen Foster.

–Holden Morris.

Gli stringiamo la mano.

–Benissimo! – si tocca con la punta dell'indice l'angolo di una delle due lenti. – Cominciamo subito: questo è Nassau Hall, con annessa la FitzRandolph Gate. – allarga il braccio per indicarci la struttura in ferro che ci fronteggia e che si trova esattamente alle sue spalle. – La leggenda racconta che chiunque passi di qui non riuscirà a laurearsi nei quattro anni previsti. Come vedete, nessun studente ci passa attraverso.

Ottimo. Ci stavamo portando iella da soli.

Montgomery ridacchia nel vedere la mia faccia. Poi, con un gesto della mano, ci invita a seguirlo. Ci fa raggiungere Nassau Hall da un'altra entrata, chiarendoci che questo sia un posto alquanto centrale per l'università e che questo sia l'accesso principale per l'interno dell'edificio, dove vi sono le aule, parte dei dormitori, le mense e gli uffici.

La facciata principale di Nassau Hall è dominata da numerose finestre, molte delle quali circondata da dell'erba rampicante che nell'insieme ricorda un tappeto verde. Due grandi leoni di pietra fiancheggiano una piccola scalinata che conduce alla porta principale. A fare da sfondo c'è una torre dell'orologio. Le sue lancette scoccano le nove, come ci fa anche presente il suono meccanico e profondo di alcune campane in lontananza.

Ci fa entrare in pochi istanti, mostrandoci per prima la zona mensa, al momento vuota. L'arredamento è antico, dominato da alti lampadari e da grandi camini che costeggiano le pareti in pietra bianca. Una serie di lunghi tavoli in legno scuro è disposta a file parallele.

Continua con il mostrarci la palestra, più moderna delle altre stanze, e gli spazi adibiti al tempo libero in cui numerosi tavolini sono già occupati da gruppi di studenti e in cui è l'intrecciarsi delle voci a fare da padrone. Praticamente è come la scuola, ma tutto moltiplicato al cubo. Conclude il tour mostrandoci le diverse zone all'aperto; così tante che ho la certezza che Princeton sia una piccola città nella cittadina che le presta il nome.

Passo il tempo con il naso all'insù e la bocca spalancata.

–E qui si conclude il nostro tour. – fa, dopo almeno un paio di ore. – Adesso passate dalla segreteria che trovate dove vi ho mostrato. La signora Peabody vi farà firmare qualche scartoffia e vi darà le chiavi delle vostre camere. Per qualsiasi cosa, mi trovate al piano terra, nell'auletta arancione dove ci sono anche altri consulenti. Tutto chiaro?

–Chiarissimo! – gli rispondo.

–Splendido! Mi ricordate i vostri dipartimenti?

–Matematica. – fa Holden.

–Lettere. – aggiungo.

–Di Lettere conosco il professor Morley. Si occupa del corso di scrittura creativa. Di matematica, invece, è famosa la professoressa Ramirez; insegna algebra. Per ulteriori info vi invito a rivolgervi ai rappresentanti degli studenti dei vostri relativi corsi. Vi saluto, adesso.

Solleva la mano e poi si allontana a passo veloce.

–Dio... non credevo che fosse così ascoltare una persona chiacchierona. – dice Holden.

Mi volto a guardarlo. È stato molto taciturno durante questo "tour".

–Così come? – trattengo una risatina.

–Così... – prende a gesticolare. – pesante. Ma l'hai visto? Ha parlato alla velocità della luce di un mucchio di cose! Come fa a ricordare tutta quella roba? Ti supplico, Leen, dimmi che non sono così. Io sono più simpatico, divertente e meno pesante, vero? – giunge le mani, come se mi stesse pregando.

Scoppio a ridere. – Sei Holden Morris, ovvio che tu non sia come Montgomery Brown.

–Dai, hai capito che intendo. Quel tizio ha parlato di un mucchio di roba con fare troppo petulante!

–Holden, – mi giro nella sua direzione, prendendogli le mani. – tu non sei lui, okay? Parli tanto, è vero, ma dici cose super intelligenti e interessanti, va bene? Quel poveraccio ha il dovere di parlare di cose noiose, ma utili, senza perdere troppo tempo.

Arriccia le labbra, pensieroso. – Okay, sì, lo capisco. Basta che io non sia così!

–Non lo sei. – confermo. – E non lo sarai mai. Hai una voce bellissima, te l'ho già detto. Tu potresti anche recitare un intero libro e non risulteresti mai petulante. Lui... beh, ha una voce alquanto anonima.

Sorride, abbassando lo sguardo.

–Bene. Allora possiamo andare dalla signora Peabody. Peabody. Peabody. – prende a ripetere. – Che nome buffo. – ridacchia.

Gli do una gomitata, non riuscendo a trattenere una risatina.

Ci rechiamo in segreteria pochi minuti dopo. Ci sono numerose matricole a fare la fila e siamo costretti ad aspettare per quindici minuti buoni prima di compilare dei documenti e di prendere le chiavi. Sulla mia è riportato il codice alfanumerico: "A28", che da quel che ho capito è al primo piano del dormitorio che si trova nell'ala est.

–Allora dobbiamo davvero separarci. – comincia, quando siamo all'esterno dell'edificio.

I nostri dipartimenti sono alquanto distanti, e così lo sono anche i nostri dormitori. Per incontrarci dovremo necessariamente attraversare un viale che si trova all'aperto.

–Mi sa proprio di sì. Però ci vediamo in pausa pranzo, okay? Sono pronta a valutare se il polpettone della mensa del college è migliore di quello della Lincoln.

–Sarà difficile che questo superi la bontà di quello della signora Jeffrey, non credi? Gnam, gnam, com'era buono. – si lecca le labbra.

–Smettila. – mi metto a ridere. – Fra dieci minuti voglio sapere nome, cognome, e dipartimento del tipo con cui condividerai la camera.

–Ai vostri ordini, milady! – si porta una mano alla fronte, in un tentativo di fare un saluto militare. – Dicasi lo stesso per voi.

–Sarà fatto, Mr. Morris. – faccio un lieve inchino.

Mi sorride, poi comincia a fare qualche passo all'indietro.

–Non camminare all'indietro. – lo ammonisco. – Tra Taylor e Pam è cominciato tutto così.

–Paura che qualche bambola si innamori di me a prima vista? – muove ritmicamente le sopracciglia.

–Ho una fifa blu. Ora vattene.

–Ti amo anch'io. – mi manda un bacio volante.

Gliene invio uno a mia volta e poi inizio ad allontanarmi.

–Leen. – mi ferma.

–Sì? – mi volto di nuovo nella sua direzione.

–Mi sa che devo iniziare anch'io ad avere paura. Tua nonna mi ha detto che ci proveranno tanti idioti con te. – mantiene un'aria divertita, ma c'è anche qualcosa di serio nel suo sguardo.

–Peggio per loro, allora. Io ho già un idiota che amo. – gli faccio un occhiolino.

–Che idiota fortunato. – gongola.

Scuoto la testa, divertita, e riprendo a camminare.

***

Dopo aver chiesto a ben sei persone cosa dovessi fare, come, quando e perché, arrivo nel corridoio del mio piano. O almeno credo.

Mi do un'ultima occhiata attorno e dopo aver controllato per la centesima volta che sulle diverse porte sia segnata la lettera A, che sia quindi al piano giusto, infilo la chiave nella toppa e giro a destra, come mi è stato detto. Quando la serratura scatta, tiro un sospiro di sollievo.

Tuttavia, ci metto un po' ad aprire la porta, sentendola incredibilmente pesante, come se qualcosa la bloccasse.

–Un attimo. – dice una voce.

Sento uno strano rumoreggiare, poi la porta si apre con uno scatto fulmineo che rischia di staccarmi la mano.

Ops! Avevo dimenticato uno scatolone.

La prima cosa che salta ai miei occhi sono delle ciocche verdi che emergono in una chioma folta e scura che circonda un viso spigoloso e dalla carnagione spenta, a tratti grigiastra. Due occhi grandi e verdognoli mi guardano curiosi da sotto un paio di sopracciglia spesse, su cui svetta su una fronte ampia e alta una frangetta corta.

–Non c'è problema. – mi affretto a rispondere.

Quella che presuppongo essere la mia nuova compagna di stanza, mi lascia entrare subito, spostandosi di lato e richiudendo la porta alle mie spalle.

Lascio il manico del mio trolley e mi do subito un'occhiata attorno.

L'ambiente che mi accoglie si presenta pulito, scialbo e alquanto minimalista. Pareti bianche, luce aranciata, mobilio di legno chiaro. Una scrivania spoglia fiancheggia una delle pareti e fronteggia un materasso nudo. L'aria profuma di fresco; è pregna di un odore che mi ricorda il pino e il limone.

–Spero che quel letto ti vada bene. Mi sono scelta questo perché è vicino alla finestra. A casa sono abituata a dormire sotto la finestra. – spiega la ragazza.

Okay, quindi non mi sta chiedendo se per me vada bene. Spera che sia così perché ha già deciso lei, per entrambe. Non sembra difatti troppo interessata a lasciare andare quello che ha deciso essere ufficialmente il suo letto. Ci è seduta sopra a gambe incrociate, e lo ha già rivestito con un lenzuolo e una coperta viola. Sulla parete dietro di lei ci sono dei poster di alcune band dai visi truccati. Sul comodino che le è vicino ci sono dei braccialetti, una candela profumata, una cornice, e un pacchetto di sigarette.

Non ci sono scatoloni e sono abbastanza certa che abbia già riempito più della metà dell'unico armadio presente.

Poi passo a guardarla meglio. Ha uno di quei sguardi "a pesce", mezzi addormentati per intenderci, che trasmettono poco. Il viso è alquanto anonimo, ma ha un che di interessante. Mi accorgo poi di come il suo stile mi ricordi quello di Billie Eilish e di Winona Ryder in Beetlejuice.

–Oh, okay. Va bene questo letto. – rispondo, quando mi accorgo che sta ancora aspettando una mia risposta. Poi poso il mio borsone sul materasso.

Degli scatoloni che riconosco subito essere i miei, lo affiancano.

–Io sono Kathleen, comunque. – continuo.

–Roxanne. Ma Roxy andrà benissimo. – si mette in piedi, tendendomi la mano.

Gliela stringo. La sua presa è molliccia. – Figo, ti chiami come la canzone dei The Police.

Un sorriso prende a piegarle le labbra sottili. – I miei. Fan sfegatati di Sting da prima che nascessi.

Sorrido anche io. – A te, però, piace Billie Eilish. Può essere? – do un'ulteriore occhiata alla sua felpa gigante e alle sue ciocche verdi.

–Può essere. – abbozza un altro sorriso, prima di sciogliere la presa delle nostre mani. – Di che dipartimento sei? – torna a stravaccarsi sul suo letto.

–Lettere. Tu? – mi sfilo lo zaino, lasciandolo sulla sedia della scrivania.

–Storia.

–Sembra interessante.

Annuisce, rimanendo in silenzio per qualche secondo.

–Da dove vieni? – chiede poi.

–Da Portland. Tu?

–Chicago.

È il mio momento di annuire.

–C'è qualche regola che vuoi che segua? – aggiunge.

–Regola? – sollevo un sopracciglio.

–Sì. Tipo non ascoltare la musica ad un certo orario, studiare a bassa voce, lasciare la stanza libera se vuoi spassartela con qualche ragazzo. Cose così. – mi guarda, in attesa.

–Oh. Beh... – ci penso un po'. – credo che valgano le solite regole. – improvviso. – Cioè... non ascoltare magari un concerto dei Metallica in piena notte o... non alzare troppo i toni della voce nei momenti di studio. Cose così. – ripeto. – Magari, se ti è possibile, sarebbe carino se fumassi fuori. Non gradisco molto l'odore del fumo.

Mi appunto mentalmente che una buona regola per me potrebbe essere quella di non parlare da sola. Ci manca solo che la mia compagna di stanza mi prenda per pazza e mi isoli.

–D'accordo. – annuisce.– E per i ragazzi?

–Ne ho già uno che frequenta il dipartimento di matematica. – sorrido, orgogliosa. – Non c'è bisogno di lasciarmi la stanza libera. Troveremo altri modi per... spassarcela. – riprendo un suo termine, sentendomi arrossire.

Non so nemmeno se ce la spasseremo davvero. Quando, dove, e come soprattutto.

Si mette a ridere, sembrando d'improvviso più sciolta.

–Bene. Lo stesso dicasi per me. Cuffiette nelle orecchie da un certo orario in poi e nessun ragazzo. Per lo studio, di solito vado in biblioteca. Ecco perché la scrivania è vuota. È tutta tua, se ti va.

–Ottimo, grazie.

–Prego. Spero di avere un rapporto sereno con te. Ti anticipo che sono una persona alquanto taciturna e riservata. Mi piace leggere e farmi i fatti miei.

Della serie: non rompermi troppo! Ho capito.

–Oh...– schiudo le labbra, non sapendo come risponderle.

–Cioè, non fraintendere. – si mette a ridere, notando la mia faccia. Oggi deve essere la giornata. – Mi piacerebbe stringere amicizia con te, ma allo stesso tempo mi piace avere i miei spazi. Okay?

Annuisco. – Certo. Va benissimo per me. Non sono una persona appiccicosa, parola mia.

Sorride a pieni denti.

Ha un bel sorriso, di quelli che danno luce alla faccia.

***

Mai come in questo momento ringrazio me stessa di essermi sparata l'intero programma di Marie Kondo prima di venire qui.

Certo, al "conserva solo i capi che ti danno gioia" ero praticamente entrata in crisi, considerando che sia la sciarpa con i pon pon che il cappellino di lana con le fragoline me ne davano tanta, ma alla fine ho portato lo stretto necessario e così adesso riesco a far entrare tutti i miei vestiti nella metà libera dell'armadio. Grazie, Marie!

Finisco di svuotare tutti gli scatoloni in qualche ora. Sistemo alcuni dei romanzi che mi sono portata sulla scrivania; le foto di Chas e Pam, della nonna, e di mamma, Bob e Wolverine sul comodino accanto al mio letto; la biancheria e i miei accessori nei vari cassetti. Poi mi faccio il letto, optando per il lenzuolo azzurro con le nuvole bianche. Me lo ha regalato mamma quando avevo tredici anni.

Nel frattempo, Roxy mi ha dimostrato cosa intendesse per voler avere degli spazi tutti suoi quando per tutto il tempo in cui ho sistemato la mia roba, si è messa le cuffiette nelle orecchie e ha preso a leggere un fumetto.

Non ho ancora inquadrato che tipo sia, ma tutto sommato mi sembra okay. Perlomeno non mi dà l'idea di essere una ragazza alla PriPri. Mi dà l'impressione piuttosto di essere una persona silenziosa, poco intenzionata a farsi grasse chiacchierate con me.

Da un lato credo non mi dispiaccia neanche. Anche se siamo lontane, ho le mie migliori amiche per fare pettegolezzi e chiacchierate infinite. Ed è proprio la voglia di chiacchiere a spingermi a cogliere l'attimo in cui Roxy si allontana per andare a fumare una sigaretta e farsi un giro presso i rappresentanti del suo dipartimento a fare una videochiamata proprio con loro e con la mia famiglia. La mamma e Bob, soprattutto la mamma a dirla tutta, mi sommergono di domande, a partire da: "Hai mangiato qualcosa?", neanche le stessi dando di colpo l'impressione di essere deperita in poche ore. Descrivo loro l'ambiente, provando ad essere il più dettagliata possibile, e concentrandomi soprattutto su tutto ciò che mi sia piaciuto di più di questo primo giorno. Mi sforzo nel sembrare entusiasta. Più di quanto lo sia davvero.

Mi sento più spenta di quanto mi aspettassi. È tutto ancora così confuso, incerto, ignoto. La paura di dimenticare qualcosa, di perdermi in questo labirinto, di non fare amicizia con nessuno. È tutta una serie di cose che, tuttavia, non voglio che vedano. Abbiamo pianto tutti abbastanza.

–Roxy. Che nome stupido! – fa Pam, dopo i primi dieci minuti di chiamata.– E poi, Billie Eilish, sul serio?! Ha trovato la sua personalità in un pacco di patatine?

–La smetti di fare la gelosa? – Chas le dà una gomitata.

Mi scappa una risatina. Sono passate solo poche ore e già mi mancano.

Entrambe hanno i visi coperti da una maschera al cetriolo che mi riporta subito alla memoria i nostri pigiama party.

–È più simpatica di entrambe. – le prendo in giro.

Pam fa una faccia scandalizzata. –Vai da Roxy, allora! Vediamo se è brava come me a preparare la maschera al cetriolo o alla bava di lumaca. A proposito, ricorda di mettere il barattolino che ti ho preparato in un luogo fresco e asciutto. Ogni venerdì, alle otto, ci faremo belle nello stesso momento.

–Intanto vi state facendo una maschera senza di me! – punto l'indice contro lo schermo.

–Bellezza, mi sono svegliata con una faccia super gonfia e con delle occhiaie da paura. – spalanca gli occhi per enfatizzare il concetto.

–Quelle sono le notti bravi con Taylor. – la prende in giro Chas.

Pam arrossisce, spintonandola.

Rimaniamo a parlare fino a sera, quando la mamma di Pam fa un salto davanti alla webcam per salutarmi e ricordare a sua figlia e a Chas che la cena è pronta.

Quando chiudiamo la chiamata, Holden mi manda un messaggio, insistendo per portarmi in una tavola calda fuori dall'università. Mi dice che vuole godersi qualche giorno da turista prima di immergersi nella vita da studente. Accetto senza starci troppo a pensare.

Mentre mangiamo dei pancakes innaffiati da dello sciroppo d'acero, inizia a parlarmi delle sue prime impressioni. Mi racconta che il suo compagno di stanza si chiama Philip Josh, per gli amici solo PJ, e che è tutto il contrario di Taylor. È basso, con la carnagione caffellatte e una folta chioma di ricci che danno l'apparenza di essere morbidi, ci tiene a precisare. Philip studia al suo stesso dipartimento e gli ha dato già alcune dritte su quali siano i professori e le professoresse migliori, e quali quelli e quelle più velenose. Pare che quella di algebra, citata dal consulente scolastico, sia una docente alquanto pretenziosa. Al momento, però, rimangono solo voci di corridoio. Holden specifica che vuole farsi un'idea personale prima di giudicare.

Potrei stare ore e ore ad ascoltarlo. La parola lo anima, lo rende vivo. Lo vedo da come gesticola come se le con le dita volesse acchiappare ogni sillaba e lettera. Fa proprio questo, in effetti: le acchiappa, le muove a suo piacimento come se fossero sospese a dei fili, al pari di un burattinaio e delle sue marionette. Lo noto dal modo in cui le sue sopracciglia scure si sollevano verso l'alto o si aggrottano finendo quasi per unirsi; da come la fronte ogni tanto si corrucci e dalla maniera in cui i suoi occhi si stringono o si allargano quando qualcosa lo incuriosisca o vada oltre la sua comprensione.

Interrompo il suo fiume di parole solo quando gli pulisco un angolo della bocca sporco di sciroppo d'acero. Lui sorride, scoccandomi un bacio sul dorso delle dita, prima di continuare a parlare e di farmi delle domande.

Gli descrivo Roxy come una ragazza dall'aspetto spento, e lui mi dice che se la immagina come un possibile personaggio di un film di Tim Burton. In effetti la carnagione grigiastra e le occhiaie sotto gli occhi potrebbe essere apprezzate da uno dei nostri registri preferiti. Ed è proprio questo il motivo che ci spinge a darle come soprannome quello di Winona. Di comune accordo decidiamo che in questa nuova avventura prenderemo ad usare dei nomignoli, di modo da spettegolare di chi ci pare, in incognito.

Rido nel vedere come la complicità tra di noi aumenti ogni giorno di più.

–Comunque, prima dell'inizio delle lezioni devo cercare un lavoro. La borsa di studio non copre tutte le spese e di certo non posso chiedere a mia madre di mandarmi dei soldi, anche se sicuramente lo farà lo stesso. Neanche i risparmi che ho messo da parte potranno durare in eterno.– mugugna.

Annuisco. – Vale lo stesso per me! Magari possiamo provare a fare domanda proprio in qualche tavola calda o in qualche pub. Ci serve un lavoro da incastrare bene tra i vari orari. Sarà più difficile gestire il tempo rispetto allo scorso anno.

–Vero. – si morde l'interno della guancia, pensieroso. – Domani magari andiamo a richiedere il prospetto orario di tutte le lezioni, così ci diamo subito da fare.

–Mi sembra una buona idea.

Mi sorride, poi mi dice che tra i suoi propositi c'è anche quello di fare richiesta al club di basket. Gli piace giocare e vuole sfruttare la sua altezza per fare qualcosa che lo diverta. Princeton d'altronde è rinomata per i suoi svariati club sportivi e per le numerose vittorie che le diverse squadre hanno ricevuto nei campionati della Ivy League. Io, d'altra parte, gli prometto che mi darò da fare per trovare qualche attività che mi piaccia.

Rimaniamo a chiacchierare fino a quando la sala si svuota e i camerieri ci invitano con sguardi alquanto eloquenti ad imitare gli altri clienti.

Insisto per pagare il conto; poi ci concediamo una passeggiata nei dintorni del college. La cittadina di Princeton si presenta come un posto alquanto tranquillo e silenzioso, diverso da Portland. Per strada ci sono pochi passanti e poche sono le macchine che a quest'ora attraversano le strade. In giro si vedono perlopiù ragazzi, quasi sicuramente studenti come noi.

Troviamo ben tre panchine libere. Scegliamo quella centrale. Dà sulla strada, così strisce pedonali e semafori sono il nostro paesaggio.

–Questa notte piangerò. – mi lascio sfuggire.

Si volta a guardarmi.

–Perché non farlo adesso? La mia spalla è una fedele amica delle lacrime.

Sorrido. Non mi ha neanche chiesto quale sia il motivo per il quale sia certa che questa notte frignerò come una bambina. Per la centesima volta, in effetti. Per un momento mi sento egoista. Per un singolo, piccolo istante, ho desiderato con tutto il cuore di essere con Pam e con Chas. Mi sono detta che se avessi affrontato il college con loro, a quest'ora non sarei stata con questo magone assurdo.

Mentre Holden allunga un braccio per spingere delicatamente la mia testa verso la sua spalla, penso che in realtà a quest'ora sarei stata probabilmente molto peggio se lui non mi fosse stato vicino fisicamente.

–Vuoi vedere una cosa divertente? – mi domanda.

–Cosa? – chiedo.

–Guarda quel semaforo. – con l'indice me ne indica uno che ci è proprio di fronte. – Quando te lo dico io, soffiaci contro.

Cosa? – corruccio la fronte.

–Fidati. – si mette a ridere.

Aspetta qualche altro secondo, poi si mette a contare fino a tre con le dita. Solleva il pollice, l'indice e il medio, poi mi dice di soffiare. Mi precede, lo imito e neanche un secondo dopo il semaforo diventa verde.

–Magia! – trilla.

–Ma cosa... è successo esattamente? – mi ritrovo d'improvviso eccitata.

Si mette a ridere. – È una cosa che mi diverto a fare sempre quando sono da solo in macchina. Ad un certo punto, quando sono al semaforo ed è rosso, ci soffio contro e diventa verde. Ti confesso che ho rubato questo trucchetto ad un film con Whoopi Goldberg.

–Come fai a sapere qual è il minuto esatto in cui soffiare?

Scrolla le spalle. – Lo sento. Quando è il momento giusto, lo capisco.

Ecco. Da adesso anche i semafori mi faranno pensare ad Holden.

Sorrido, accoccolandomi meglio contro la sua spalla.

–Scusami. – gli dico.

–Per cosa? – piega il capo così che si tocchi con il mio.

–Perché sono troppo negativa e perché per un momento ho pensato che avrei preferito stare con le mie amiche. Non in questo preciso istante. Parlo in generale. – gli confesso dopo un po'.

Rimango con gli occhi fissi sulla strada. In questo momento ho timore a scontrarmi con il suo sguardo.

–Scusami anche tu, allora. Ho pensato anch'io che avrei voluto che Taylor fosse qui con me. Poi però mi sono sentito un egoista perché mi sono detto che lui vivrà l'esperienza del college da solo. Io almeno ho te e già per questo sono molto fortunato.

– È solo che ho paura. – dico. – Se questo non fosse il posto giusto per me? Se non riuscissi a farmi degli amici? Se non riuscissi ad adattarmi?

–È da stamattina che mi chiedo se arriverà anche qui il momento in cui qualcuno mi prenderà in giro, strattonandomi per lo zaino o gettandomi qualche cartaccia addosso. Oggi, per esempio, mi sono girato tre volte per guardarmi alle spalle. Mi è sembrato che qualcuno ridesse di me. Non era così. – si ferma. - Poi mi chiedo se riuscirò in qualche modo a distinguermi da studenti che potrebbero essere mille volte più bravi di me. Se me la caverò senza Taylor. Senza essere più l'ombra di qualcuno. Se questo sia il posto giusto per me. Penso anche a Phoebe e alla mamma. Alla paura che mia sorella torni a chiudersi in sé stessa ora che non ci vedrà più così spesso.

Parliamo a ruta libera, buttando fuori quasi un flusso di coscienza. Così facendo mi accorgo di come i pensieri di Holden siano più cupi dei miei. Hanno un sapore più amaro, più doloroso. Le sue preoccupazioni sono di certo più profonde delle mie.

–Phoebe e tua mamma staranno benissimo, ne sono certa. Mia nonna andrà a trovare entrambe ogni giorno e Phoebe ha ormai diversi amici. – lo rassicuro. – Per il resto, sono finiti i tempi del liceo. Non permetterò mai più a nessuno di farti del male, lo sai? E sono sicura che non lo farai più nemmeno tu.

–Lo so. – mi stringe la mano. – E tu sai che farò di tutto perché nessuno dei due si senta mai fuori posto in quel dannato college? Ce la faremo, Leen. Ci faremo degli amici, studieremo materie che ci faranno uscire fuori di testa per quanto saranno difficili ma che ameremo alla follia, avremo le nostre soddisfazioni e avremo sempre l'uno l'altra.

Mi sento subito meglio.

–Iniziamo a smettere di chiederci "e se"?

–È difficile.

–Ma non impossibile.

–Non impossibile. – ripeto.

–Questa sera concediamoci il peggiore dei malumori. Ma da domani si ritorna all' "Hic e nunc." Ci stai?

–Ci sto.

–Nel frattempo, ti va di giocare ancora al gioco del semaforo?

–Mi va. – gli sorrido. – E a te va se questa diventasse una nostra tradizione? Ogni sera verremo a sederci su questa panchina e soffieremo contro quel semaforo. – sollevo lo sguardo su di lui.

I suoi occhi si illuminano. – Una nostra tradizione. – ripete. –A patto però che questa sia solo la prima di tante altre.

Poi mi ci cinge le spalle con un braccio, tenendomi semplicemente vicina a sé.

Siamo già a venerdì , cari girasoli. Incredibile! Questa settimana mi è davvero volata!

Come state? Che mi raccontate? Spero che questi primi giorni del 2021 siano trascorsi bene. 💗

Capitolo un po' più breve, forse, degli altri, ma finalmente siamo entrati a Princeton.

Per le descrizioni ho fatto diverse ricerche e "visitato" il posto tramite un programma che permetteva di fare un tour virtuale nei vari spazi. Sicuramente non sono stata precisissima, ma spero di aver reso l'idea di che ambiente sia.👀

Poi abbiamo avuto un assaggio anche di Roxy. Un personaggio che ci è apparso grigio e taciturno. E di PJ, che abbiamo solo sentito nominare.

Non è mancata, poi, quella malinconia che avevamo percepito già dallo scorso capitolo. Kat, soprattutto, appare meno pimpante del solito. Che ne dite? È naturale?

La mia scena preferita? Quella del semaforo. Vi confesso che io stessa sono solita soffiare contro i semafori rossi per farli diventare verdi, e che è davvero un "trucchetto" che ho visto in un film di Whoopi Goldberg.🙃

La/e vostra/e?

Prima di salutarvi volevo anticiparvi che purtroppo non ho scritto molto ultimamente.☹️ Un po' per le feste, e un po' per l'università. Di conseguenza ho pronti solo il prossimo capitolo e parte di quello successivo. Vedremo se riuscirò a fare progressi in questi giorni! 🤞🏻 Nel caso, vi ringrazio in anticipo per la pazienza! 💗

Grazie anche, come sempre, per ogni stellina e ogni commento. Perdonatemi se a volte non rispondo a tutte o se non lo faccio subito. Sappiate che vi leggo tutte e che tutte mi fate sempre sorridere.💕

Vi abbraccio,

Rob

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro