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La farfalla innamorata

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La farfalla innamorata

Che senso ha giocare quando sappiamo che perderemo?

(Peanuts- Charles M. Schulz)

Non ero più abituata a farmi stringere di notte tra le braccia di un'amica.

Se qualcuno, mesi fa, mi avesse detto che Roxanne mi avrebbe stretta al suo petto, facendomi entrare nel suo letto, sarei scoppiata a ridere. Ma adesso è diverso. Roxanne indossa solo una maschera, quella della dura a cui annoia tutto, dietro la quale c'è il suo viso, buono e rassicurante. E a me non viene voglia di ridere.

Mi rannicchio su me stessa, trovando conforto nel suo calore, nelle carezze che sta lasciando ai miei capelli, passando le sue unghie dipinte di nero tra le mie ciocche. Lo fa con delicatezza, cullandomi con il suo respiro contro il mio collo.

–Guarda che tra innamorati piò succedere, Portland. Lo sai che non sono brava con queste cose, ma... lo sai da te che i litigi sono normali, no?

–Io e Holden non abbiamo litigato. Non solo, almeno. Lui mi ha lasciata.

Holden mi ha lasciata. Mi ha lasciata. Mi ha lasciata. Non sono ancora del tutto consapevole di quello che sia successo, ma la parola 'lasciata' prende a risuonare nella mia testa. Dentro il mio cuore. Nella pancia. Lasciata. Lasciata. Lasciata. Holden mi ha lasciata. Anche se mi tappassi le orecchie, continuerei a sentire questa frase ovunque.

–Può succedere anche questo, sai? Lo si dice tanto per, molte volte. Sai come sono i ragazzi, Kathleen. Sono dei fessacchiotti che sparano stronzate il più delle volte. Vedrai che domani tornerà da te con la coda tra le gambe.

–Holden ti sembra il tipo?

Rimane in silenzio per qualche secondo. Anche le sue carezze si fermano.

–Non lo so. Le mie osservazioni mi hanno sempre fatto pensare che sia un ragazzo per bene, con la testa sulle spalle, in gamba. Però è pur sempre un maschio e i maschi non hanno tutte le rotelle a posto.

–Holden le ha tutte al posto giusto. Holden non è un fessacchiotto. Lui non tornerà domani, né dopo domani, né mai. Holden era sicuro di quello che mi stava dicendo. Era turbato, ma anche... sicuro. – una lacrima mi finisce tra le labbra. – Avevi ragione.

–Sulla donna ragno?

Annuisco. – Ho pensato di essere io quella esagerata, ma... un filo alla volta, me l'ha fatta sotto il naso. Deve essere così perché lui non avrebbe mai pensato a certe cose da solo. Holden non ha avuto il coraggio di confessarmelo apertamente, ma... anche le farfalle innamorate finiscono nella rete di ragni così belli.

–Avrei voluto avere torto. – torna a passarmi le dita tra i capelli. – Mi spiace, Kat.

–Pensavo che... non sarebbe mai successo. Ho sempre pensato che il nostro amore fosse potente. Doveva esserlo per forza. È nato nelle avversità e di conseguenza doveva essere forte.

–O forse proprio perché è nato nelle avversità... non partivate avvantaggiati. – tituba. – Cioè... non so cosa sia successo tra voi nel passato, ma... forse era già scheggiato. Un vaso rotto resta un vaso rotto anche se lo abbellisci. Immagino sia una questione di prospettive.

Questione di prospettive. Anche Holden mi disse questa frase, un giorno.

–Quindi gli errori del passato trovano sempre il modo di tornare? – mormoro, stringendo spasmodicamente tra le dita un fazzoletto umido e rovinato.

–Credo di sì. Abbiamo solo diciotto anni. Certi discorsi sono troppo complicati per me. Io non dimentico niente, per esempio.

–Holden diceva sempre che bisogna vivere nel presente. Che stesse con me perché mi amava. Io pensavo che lui fosse... quello giusto. Lui è quello giusto, Roxanne. – perdo il controllo di altre lacrime.

–Lo pensiamo tutte almeno una volta. Magari lo era davvero, Kat. Ma magari non esiste solo una persona giusta per noi.

–Lui era... indescrivibile. Holden... è... era... – mi fermo.

Non so più se debba parlare al presente o al passato. Fa male. Chiudo gli occhi.

– Lui non ci crede più, Roxy. Lui non mi crede più. Lui... se n'è andato. È stata una fantasia per lui. Pensa che io e Andy funzioniamo meglio. Che Andy sia più adatto a me. Dice che guardo il mio amico come un tempo guardavo lui. Ma come può dire una cosa simile? Come può non credere più?

–L'ho detto che i maschi non hanno le rotelle a posto. Lo sapevo che quella lì avrebbe avuto il potere di allontanarvi. I suoi occhi... i suoi occhi... – sbuffa e smette di parlare.

–Si fida di lei, me lo ha detto la stessa Violet. Deve avergli detto chissà quante cose. Deve essere per forza così. Lui... deve essersi innamorato di lei, o qualcosa di simile. Lui... – torno a piangere. Che patetica che sono.

Shh. – mi stringe le braccia attorno al petto, stringendomi in un abbraccio. – Se ti raccontassi di una mia disavventura sentimentale, ti sentiresti meglio?

–No.

–Ovviamente. Ma ti va di ascoltarla comunque?

–A te va di raccontarmela?

–Credo di sì.

–Raccontamela, allora. – mi asciugo le guance.

So che vuole solo distrarmi. Io non voglio distrarmi. Voglio rimanere concentrata. Ma voglio anche ascoltarla.

–Okay. – si schiarisce la voce. – Partiamo dal fatto che... sono sempre stata una ragazza strana. Cioè, sono sempre stata una ragazza considerata strana. Sai, una di quelle che si vestono troppo di nero, che per molti gioca a fare l'anticonformista, che sta troppo in silenzio, che alle feste passa inosservata. Ma anche le ragazze considerate strane vogliono sentirsi... normali, ogni tanto.

–Ogni tanto. – ripeto.

–Ogni tanto. Beh, il primo anno di liceo la mia vita subì d'improvviso una scossa. – parla a bassa voce. – Una di quelle che ti fanno credere di essere normale. Dal giorno alla notte cominciai a ricevere delle attenzioni da parte di un ragazzo carino. Non il più bello della scuola, ma uno di quelli che in qualche modo sono attraenti, che sono comunque nel giro giusto. Non solo. Cominciai ad avere anche una migliore amica. Era difficile da crederci, ma lo feci. Era bello crederci. Avevo quattrodici anni ed era bello sentirmi così amata.

–Sembra una bella storia. – biascico.

–Scoprii dopo sei mesi che fu tutta una presa per i fondelli. – mi contraddice. – Avevano scommesso su di me. Su quella strana. Che sarei caduta ai piedi di lui e che avrei creduto all'amicizia di lei. Che mi sarei aperta con loro. Che mi sarei fidata di loro. Che cliché, non trovi?

–Trovo che siano stati meschini. – chiudo gli occhi. Per un attimo ricordo la storia di Adam e di Holden. Di come Adam si finse suo amico solo per avere più occasioni di deriderlo.

Holden. Holden. Holden. Holden. Holden. Holden.

–Ma la storia ha un lieto fine.

–Del tipo che lui si è scoperto innamorato di te, tu hai deciso di perdonarlo e siete finiti insieme come nei romanzi dove il bello e cattivo di turno scommette sulla lei di turno?

–Quello sarebbe stato un incubo, altro che lieto fine. È finita con entrambi in infermeria per due mesi. Lui per una gamba rotta e lei per problemi intestinali.

–Puro volere della provvida sventura o...

–Aiutai la provvida sventura. – mi ferma. – Mi costruii un paio di bamboline voodoo con le loro sembianze e ogni tanto... ci giocai con qualche spillo. – fa una risatina diabolica.

Mi strappa un sorriso.

–Mi hai raccontato questa storia per suggerirmi di fare lo stesso con la donna ragno?

–Perché no?

–Perché alla fine io e lei non abbiamo mai nemmeno affrontato la questione.

–Dovresti farlo. Affrontala, Kathleen.

–Non serve più. Holden... non tornerà comunque.

–Quella che pensavo fosse un'amica aveva il suo stesso sguardo. Di quelli che vogliono dirti una cosa, per nasconderne un'altra.

–Immagino che quello di Violet volesse dirmi che fosse riuscita a conquistare il mio ragazzo.

Sospira, poi continua ad accarezzarmi i capelli.

–Mi spiace, Roxy. Nessuno meriterebbe di essere l'oggetto di una scommessa così meschina. – riprendo.

Ci ha messo poco a raccontarmi di qualcosa che nella sua vita, nella sua testa, nel suo cuore deve aver occupato molto spazio. Lo ha fatto con leggerezza, come se avesse raccontando di uno sgambetto ricevuto all'asilo. Ma non ha subito uno sgambetto. È stata trattata come una di quelle bamboline che mi ha detto di aver costruito contro quei ragazzini frivoli e crudeli che si sono divertiti a trafiggere il suo cuore con tanti spilli, giorno dopo giorno.

–È acqua passata. Tutto passa, Portland. Anche i dolori più grandi.

***

Il mattino dopo rimango con gli occhi chiusi per un po'. Non ho dormito. Mi sono semplicemente lasciata andare al buio e ai respiri profondi di Roxanne. Alla mia testa, una gabbia piena di frecce aguzze È un labirinto. Mi basta fare un passo per essere trascinata in un vortice di ricordi. Un altro per finire in un vortice di frasi distorte, di frasi che mi rimbombano ovunque.

Lasciata. Lasciata. Lasciata. Lasciata. Lasciata. Lasciata.

Mi pizzico il polso sinistro per sincerarmi che non sia finita in un incubo. Che stia davvero succedendo. Che sia davvero successo tutto. Con le dita sfioro il vuoto, però. Non c'è più nessun braccialetto a stringerlo. All'anulare non ho più nessun anello. Sulle clavicole non pesa più nessuna catenina. I miei occhi non possono fissarsi più sulla foto che il cuoricino della collana conservava con gelosia. Il mio cuore batte a un ritmo diverso. Più lento, più malandato. Arranca cercando di capire cosa sia successo. Chiede aiuto al cervello, ma il cervello tace. Nelle orecchie c'è solo un fischio. È fastidioso e per un momento mi concentro sul battito del cuore.

Non so che fare. Mi devo alzare, prima di tutto. Non posso lasciarmi andare, sicuramente.

Lascio che Roxanne dorma un altro po'. Mi alzo e vado in bagno. Mi guardo allo specchio. Sono orribile. Non mi importa. Ci sono solo due strade che mi si presentano davanti: chiudermi di nuovo in me stessa come ho fatto mesi fa, o affrontare tutto a testa alta. Scelgo la seconda, anche se non so come si faccia ad affrontare quello che mi è capitato. Vado alle docce, non c'è nessuno. Mi spoglio e lascio scorrere l'acqua calda. Il calore appanna i vetri. Ripenso a tutte le volte in cui l'abbia sfruttato per disegnare le nostre iniziali. Con le dita, adesso, mi limito a strofinarmi gli occhi. L'acqua mi scorre sulle guance, illudendomi che non stia versando altre lacrime. Rimango a fissare le mattonelle per quelle che mi sembrano ore. Poi mi vesto, rientro in camera e prendo lo zaino mentre la mia amica comincia a svegliarsi.

–Che fai? – biascica.

–Vado a lezione. Non mi chiuderò più in nessun bozzolo, Roxanne. – lo dico con una fermezza che non credevo mi appartenesse.

–Guarda che puoi prenderti del tempo per te. Se oggi non te la senti...

–Si comincia con un giorno solo, poi con un altro e un altro ancora. Non sono più quella Kathleen.

Mi sorride, sollevando i pollici nella mia direzione. – Ci vediamo dopo, okay? Immagino che PJ avrà saputo tutto.

Abbasso lo sguardo e annuisco. – Lo immagino anch'io. Immagino che adesso cambieranno alcune cose. Non credo che riuscirò a star seduta allo stesso tavolo di lui e di... – mi fermo.

–Tranquilla. Non sarai sola, Portland. Non lo sarai mai del tutto, finché ci sarò io. – si copre la faccia con il cuscino, conscia che abbia tirato fuori la sua dolcezza.

Non può vedermi, ma le indirizzo un piccolo sorriso, riconoscente.

Poi esco dalla stanza. Cammino con lentezza. Stringo gli spallacci dello zaino, cercando disperatamente qualcosa a cui aggrapparmi. Cercando qualcosa che mi aiuti a trovare un punto fermo. Mi concentro sulla punta delle scarpe. La fisso disperatamente. Pian piano vengo sommersa dal chiacchiericcio di Princeton. Il college si risveglia un corridoio alla volta. Mi infilo le cuffiette nelle orecchie e silenzio ogni rumore. Voglio... voglio. Non so neanch'io cos'è che voglio. È la prima volta che venga lasciata da qualcuno. Holden mi ha lasciata. Lo ha fatto sul serio.

Lasciata. Lasciata. Lasciata. Lasciata. Lasciata. Lasciata.

Per un solo momento interrompo i miei passi. Mi aspetto che sbuchi fuori da qualche corridoio. Che mi prenda per mano, mi trascini dietro un muro e mi baci fino a farmi dimenticare tutto. Che mi dica che è stato solo un brutto momento. Che può succedere, come dice Roxanne, di non crederci davvero quando si dica di voler lasciare qualcuno. Che si sia trattato solo di un brutto momento. Che mi accarezzi le guance e mi dica che non voglia più litigare con me. Che mi stringa tra le sue braccia. Che mi dica che mi ami. Che io sia la sua Leen e che così sarà per sempre.

Ma non succede.

Lui non c'è.

Ci sono solo io.

Mi nascondo dietro una statua, fuori ai giardini. Stringo le ginocchia al petto e piango in silenzio, senza farmi vedere da nessuno. Voglio solo far finta di niente. Continuare la mia vita come se non fosse successo nulla. Come se fosse un giorno come un altro.

Ma non lo è. Ieri ero legata a qualcuno. Oggi sono solo Kathleen. Una Kathleen che dovrà accettare di vivere di ricordi. Che dovrà accettare di vedere la persona di cui è innamorata lontana. In modo definitivo. Che dovrà convivere con la consapevolezza che indietro non si torna. Il dolore è così forte che per un momento desidero non averlo mai conosciuto. Forse adesso avrei lo stesso il cuore spezzato per colpa di qualcuno come Adam, o Colin, ma sarebbe un altro tipo di dolore. Il dolore che mi provoca essere stata lasciata da Holden è insuperabile perché non esiste 'qualcuno come Holden'.

***

È brutto non poter evitare che quello che mi è successo non rimanga di mia esclusiva proprietà. Che non possa far finta che sia successo e basta. Che quello che è accaduto non influisca in qualche modo nella mia quotidianità. Nella mia vita. Che incida sul mio stato d'animo. Sulle mie espressioni. Sui miei gesti. Sul mio modo di parlare. Non poter quindi dire: "ehi, io e il mio grande amore ci siamo lasciati. Mi ha lasciata. Ma tutto okay, eh. Non è successo nulla. Andiamo al cinema?" perché non è affatto tutto okay.

È brutto dover dire a voce alta che sia successo. Confermare così che non sia successo in un sogno, in una realtà parallela, in una dimensione spazio–tempo a cui appartengono un'altra me e un altro Holden. Ma che sia successo nella realtà. Che sì, io e Holden non stiamo più insieme. È finita. Non siamo più Kat e Holden. Ma solo Kat. Solo Holden. Come lo eravamo prima. Con l'aggravante che non siamo come 'prima', anche se il mio cuore si ostina a pensare che se la mente collaborasse e cominciasse a convincersi che il nastro potrebbe tranquillamente riavvolgersi all'indietro e riportare quei due ragazzini su strade diverse, lui, il cuore, potrebbe riprendere e battere a un ritmo più normale.

Entrare in mensa e vedere i sorrisetti divertiti di Colin, come se avesse previsto dall'inizio che le cose tra me e Holden sarebbero finite così, trattenere la mia spasmodica voglia di tirargli un punto platealmente, farlo anche quando becco gli sguardi quasi imbarazzati e d'improvviso eludenti di Patty Lou. Non vedere Violet, né... lui. Non vederlo con gli occhi, perché con la mente, patetica, io lo vedo ovunque. Vedo il suo sorriso difettato, l'incisivo appena più sporgente, gli occhi che si facevano piccoli quando rideva, quando ero io a farlo ridere. Vedo le ciocche corvine a coprirgli la fronte. Il suo fisico da spaventapasseri che ogni tanto sento alle mie spalle ma che puntualmente, quando mi volto, non c'è. Anche le orecchie mi deludono. Sentono i suoi passi, il suono della sua risata a ogni angolo, il ticchettio del suo orologio dal cinturino sottile, il fruscio dei suoi capelli quando le dita attraversavano le ciocche, il suo respiro cadenzato, la musica delle sue labbra a contatto con le mie.

Holden è ovunque: tra le pareti, nelle pagine dei libri, fuori la finestra, tra le fronde degli alberi e le gocce di pioggia che battono contro i vetri. Il cielo piange quando io non posso farlo.

Doverlo raccontare ai miei amici che mi vedono e si preoccupano. Dover rispondere ad Andy che ha ragione, non c'è più l'anello buffo ma carino al mio anulare sinistro. Dovergli rispondere che a quel laccio che mi univa a Holden ho preso a crederci solo io. Che lui ha smesso di credere. Che no, lui, Andy, non può aiutarmi perché non è colpa sua. Che sia costretta a omettergli che il mio ex ragazzo stia usando come pretesto quello che io e lui funzioniamo perché in realtà ha capito che quel sentirsi al posto giusto con un'altra ragazza si sia trasformato in qualcosa di più. Perché se così non fosse stato a lui sarebbe bastato il mio ripetergli che lo ami. Il mio dirgli che ci sia solo amicizia tra me e lui, Andy.

Doverlo far presente a Chas, a Pam, alla mamma, a Bob. Vedere le mie amiche sgranare gli occhi, fare delle facce difficili da descrivere. Sentir dire che anche loro, coscienti di ogni mia vertigine, fossero convinte che tutto si sarebbe risolto. Che le incomprensioni tra me e Holden si sarebbero sciolte come si scioglie ogni nodo perché è normale che si infiltrino nei legami, anche quelli più belli. Vedere Pam, a un certo punto, dirmi che forse doveva andare così. Che ci è passata anche lei. Che, è vero, è stata lei a lasciare Taylor, a dirgli che non voleva più continuare una relazione a distanza, ma che può capirmi comunque perché una separazione fa sempre male e se succede, come torna a ripetermi anche Chas, forse è perché certe cose devono andare così e basta.

Non mi piace l'idea che certe cose 'devono andare così e basta'. Sa di arresa, di fallimento, di sconfitta.

Per un momento vorrei alzare la voce, impormi sul fatto che si sbaglino. Che quella tra me e Holden è solo una lontananza passeggera, che non dovevano andare così le cose. Voglio che ci credano anche loro che mi conoscono da anni. Che hanno visto me e il mio ragazzo avvicinarci, conoscerci, innamorarci. Che mi dicano di andare a riprendermelo perché lui è il mio Holden. Ma non lo fanno. Forse proprio perché mi conoscono da tanto hanno capito che nemmeno io creda a tutte queste. Che vorrei crederci, con tutta me stessa, ma che non posso essere solo io a crederci perché in certe cose bisogna crederci in due. Ma sono sola. Anche in questo. Holden ha detto di aver smesso di crederci. Di non avere più questo potere.

Mi dicono poi che mi vogliono bene. Che loro ci sono. Che non vedono l'ora di vedermi perché fra poco compirò diciannove anni.

Compirò diciannove anni, ma non ci sarà Holden a vedermi soffiare le candeline, a stringermi tra le sue braccia, a prendermi in giro sul fatto che stia invecchiando. Non ci saranno più nostre nuove foto.

La mamma è la più triste di tutti. È quello che parla meno, però, insieme a Bob. Si soffia il naso, si asciuga delle lacrime e stringe tra le sue braccia uno dei cuscini che ci sono sul mio letto, nella mia stanza a Portland. Lo stringe come se quel cuscino fossi io.

Alla nonna non dico niente. Ho bisogno di tempo per dirlo a lei. Per affrontarla. Per dirle che sia successo qualcosa che non credo si immaginasse. O forse sì.

***

Io e Violet ci troviamo occhi negli occhi un pomeriggio. Io vengo da una direzione. Lei da quella opposta. Schiude per un momento le labbra, sorpresa quanto me di avermi beccata in questo momento. Non ci parliamo da tanto io e lei. Sua mamma non è mai venuta al canile, ormai quasi tre mesi fa, fugando ogni mio dubbio.

Sono passate due settimane da quando io e Holden non siamo più insieme e a parte notare le sue assenze in mensa e gli approcci di PJ, bloccati sul nascere da Roxanne, non so più nulla di lui. Non so come stiano andando i suoi nuovi corsi, cosa ne pensi dei nuovi professori. Se gli allenamenti di basket lo stiano stancando troppo, se al lavoro vada tutto bene. Non so più niente di lui. Ho smesso di sentire anche il suo programma radiofonico. Ci ho provato una volta. Mi sono chiusa in bagno e ho acceso la radio. L'ho spenta dopo sessanta secondi, ognuno doloroso per il mio cuore. Mi sono chiesta se anche lui riesca a far finta di nulla mentre lavora. O se anche lui, come me, si distrae, fa tanti piccoli errori che camuffa dietro stupidi sorrisi. A volte mi è venuta anche voglia di andare nella pizzeria dove lavora. Di portarci anche Andy. Così, per vedere la sua reazione. Così, perché il mio cervello ha preso a non ragionare come dovrebbe. Così, per farmi male. Ma sono riuscita a controllarmi.

D'improvviso Holden è diventato un estraneo.

Un fantasma di quello che era e che non sarà più. Infesta la mia università. Infesta il mio cuore. Infesta ogni stanza del mio cervello. C'è, ma non lo vedo. Non lo vedo, ma lo sento. Lo sento, ma non posso toccarlo.

Violet abbassa per un momento lo sguardo, poi mi si avvicina. Il mio primo istinto è quello di retrocedere. Voglio darle le spalle e non vederla mai più perché... perché sento che c'entra lei in tutto quello che è successo tra me e il mio ragazzo. Ma i miei piedi rimangono fermi. Non devo scappare.

–Ciao. – mi dice, facendosi vicina.

Non rispondo. Non le sorrido. La guardo e basta.

–Possiamo... parlare? – domanda. Lo fa con voce esitante.

–Di cosa? Non siamo amiche io e te. Io e Holden non siamo più... fidanzati, quindi non c'è più il bisogno di mantenere le apparenze di un legame che tra me e te non esiste.

Torna a guardare verso il basso. – Voglio dirti delle cose.

Il mio sguardo deve metterla in soggezione perché non lo sostiene per troppo tempo.

–Ti ascolto. – dico lapidaria.

–Sediamoci a quella panchina, ti va? – me ne indica una poco lontana. È di pietra e attorno c'è il verde dei giardini della nostra università.

Non posso fare la bambina ed evitarla. Devo capire se sia solo una pazza. Devo capire cosa è successo davvero.

Annuisco in modo sbrigativo, poi mi avvio, senza aspettarla. Infilo le mani in tasca, forzo la mia mente a rimanere lucida, poi mi siedo. Lei mi raggiunge poco dopo. Si siede all'altra estremità, mantenendo una posizione rigida. Le sue ginocchia si toccano e ha le mani a palmo aperto sulle cosce.

Degli uccellini canticchiano, l'aria è fresca, degli studenti ridono in lontananza. È strano come la vita degli altri, del mondo, vada avanti anche quando la propria d'improvviso si fermi. Tutto continua a scorrere e non si può far altro che lasciarsi inghiottire da questo fluttuare incessante di voci, di occhi che parlano, di bocche che sorridono, di vite così diverse.

–Sei una brava ragazza, Kathleen. – comincia.

–Vuoi parlarmi dell'ovvietà? – rispondo, brusca.

Percepisce l'acredine nella mia voce. Si volta a guardarmi. – Ce l'hai con me?

La guardo di rimando. – Non lo so, Violet. Devo avercela con te?

Non lo so davvero. Lei è sempre stata un'immagine distorta nella mia mente.

–Non lo so. – riabbassa lo sguardo.

–Dovresti saperlo, invece. Non ho capito se tu sia buona o se tu sia cattiva. – la guardo.

–Tu cosa sei, Kathleen? Sei buona o sei cattiva? – la sua voce è incolore.

Non le rispondo.

–Non esiste solo il bianco o il nero. – dice. – Non esiste essere buoni. Essere cattivi. A volte si è più una cosa. A volte si è più un'altra. – torna a fissarmi negli occhi. – Certo, c'è chi decide di abbandonarsi completamente alla perfidia, ma non è il mio caso.

–Sei venuta a farmi una lezione?

–Sono venuta a parlarti di qualcosa che credo tu sappia già.

–Cosa? – per un momento la mia voce vacilla.

–Che a me piace Holden. Mi è piaciuto all'istante. Dal primo giorno in cui l'ho visto. Forse dovresti avercela con me anche solo per questo. Anche se... certe cose non si controllano. È successo.

È la prima volta che me lo confessi apertamente.

Le piace Holden. Le piace il mio Holden.

Lui non è più il mio Holden.

Mi umetto le labbra, sentendole d'improvviso molto secchie. – Dovrei avercela con te anche per qualcos'altro, non è così? – prendo a fissare un punto in lontananza. È il mio momento di non riuscire a sostenere il suo sguardo.

–Io non ho fatto nulla di sbagliato, Kathleen. Mi sono sempre limitata a sfruttare le occasioni che mi dava la sorte. Non ho mai costretto Holden a starmi vicino... ad ascoltarmi.

Nelle tasche le dita si chiudono in dei pugni.

–Ad ascoltare cosa? Tu che gli confermavi che io e Andrew abbiamo una bella chimica, che siamo affini, che siamo perfetti l'uno per l'altra? Che glielo bisbigliavi a ogni scena fraintendibile? Perché hai fatto questo... vero? Ti sei puntellata su tutte quelle insicurezze che deve averti confessato e le hai usate a tuo piacimento. Tu non lo conosci nemmeno. Come hai osato... - mi blocco.

Sento il suo sguardo addosso. Mi volto. I suoi occhi azzurri, freddi e sicuri, nei miei, traboccanti di insicurezza e fragilità.

–Sai, Kathleen, c'è una definizione su cui io e Holden abbiamo lavorato per tanto tempo. Riguarda l'Equilibrio di Nash. – mi destabilizza.

–Non me ne importa niente. – perdo il controllo. – Io sono una studentessa di lettere. Io odio la matematica e tutto ciò che abbia a che fare con i numeri.

–John Nash affermò che un gioco è descritto in termini di strategie che ogni giocatore segue in ogni mossa. L'equilibrio c'è quando si agisce insieme. Non è il comportamento individuale a permetterlo. – finge che non le abbia parlato.

Non rispondo.

–Quindi io posso aver anche aiutato Holden... a fare chiarezza nei suoi dubbi, quando lui decideva di tirarli fuori con me, ma lui... non mi ha mai contraddetta. Lui non si è mai opposto ai miei consigli, alle mie osservazioni, ai miei punti di vista. Io non l'ho mai costretto a pensarla come me. E sai perché?

Mantiene un'aria calma. Ha tutto sotto controllo. Sta giocando con me. Vuole farmi scacco matto. Ci è già riuscita.

–Perché lui si fida di te. – fatico ad ammettere.

–E basta?

Smetto di guardarla. Ho di nuovo voglia di piangere, ma non le darò questa soddisfazione.

–I suoi sentimenti per te, probabilmente, non erano così... sicuri, se ha deciso di lasciarti. A me lui piace tantissimo, Kathleen. Io e lui siamo... perfetti insieme. È affascinante, educato, attraente in ogni più piccola mossa. Prevede ogni mio pensiero, ragiona come me, ama i numeri come li amo io. Lui mi fa sentire giusta. E io... sono sicura che lui provi lo stesso per me. Lo vedo da come mi sorride. Da come mi guarda. Dai suoi tocchi più accidentali. Siamo così simili. Lo sai che noi ragazze abbiamo un certo senso per queste cose.

Ruoto il viso alla mia sinistra. Nascondo una lacrima dalla sua vista.

–Ti prego, guardami. – mi sfiora una mano.

Mi ritraggo di scatto al suo tocco.

–Scusami. – si allontana. – Mio padre mi ha insegnato a essere una persona onesta, perciò... sarò sincera.

–Lo sei mai stata?

–Non ti ho mai mentito. Tranne sulla questione del cane da adottare. Più o meno. Mia madre vorrebbe davvero un cane, ma ne abbiamo parlato tanto tempo fa.

Faccio silenzio.

–Tu non mi sei mai stata molto simpatica. – riprende. – Nulla di personale. È solo che ho sempre pensato che tu non potessi capire Holden come lo capissi io, anche se lo conoscevi da più tempo. Siete visibilmente diversi. Ho sempre sperato che mi si presentasse l'occasione di conquistarlo. – lo dice con una sincerità che mi ferisce più di quanto lo avrebbe fatto un tono più aggressivo.

–Ce l'hai, no? – torno a guardarla. – Sono fuori, Violet. Game over per me. Penso... anch'io che tu gli piaccia. – conficco le unghie nei palmi della mano fino a quando non mi trafiggono la carne e sento un forte dolore anche fisico.

–Quindi mi aiuterai?

–A fare cosa? – mi muovo sul posto, sentendomi sempre più persa.

–A convincerlo a tornare a lezione. Sono giorni che non si fa vedere e temo che possa fare una cattiva impressione ai professori dei nuovi corsi. Credo che lui si senta... in colpa, o qualcosa di simile.

–Si sente in colpa. – ripeto meccanica.

–Sì, perché credo che non sapesse come dirti, e come dire a sé stesso, che i suoi sentimenti siano cambiati. Che sia interessato a me.

Ripenso a ogni piccolo gesto: una mano che sfiora l'altra, un cappello che torna al sui posto, una spilletta, un invito a cena seguito da molti altri, la conoscenza di un padre importante, sorrisi sibillini, una dolcezza nei miei confronti a volte eccessiva, delle frasi dall'apparenza innocua ma taglienti come lame. Violet ha fatto suo Holden un poco alla volta.

Ho sempre pensato di essere io la farfalla tornata a battere le sue ali, ma forse è sempre stato lui una farfalla, adesso libera dall'infelicità che a quanto pare gli stavo dando.

–Tu... gli vuoi bene e sai da te quanto valga. Lui vale molto. Vero, Kathleen?

È il mio turno adesso. Adesso si sta puntellando sulle mie di fragilità. Tocca tasti dolenti. Lo so. La parte più vigile della mia mente ne è consapevole. Glielo permetto, senza avere la forza di sottrarmi alla sua influenza.

Tiro su con il naso, poi annuisco. – Vale moltissimo.

–Lo so. È per questo che lui deve tornare a studiare. Quello che posso garantirgli io e quello che può garantirgli mio padre lo aiuteranno a prendere il volo. Io posso aiutarlo a fiorire, Kathleen. Però... deve aiutarmi anche lui e se si lascia andare a degli stupidi sensi di colpa... temo non potrò fare niente nemmeno io. Tu sei l'unica che possa fargli capire che debba andare avanti. I sensi di colpa sono legati a te. Tu non sei una persona egoista, no?

–Egoista.

Ho fatto in modo di non esserlo più dopo tutte le ferite che gli avevo inflitto. Ho preso anche delle decisioni sbagliate, seguendo la pura volontà di non ferirlo.

–Sì... perché lo hai detto anche tu, poco fa. Tu odi la matematica. Lui la ama. È la sua vita. Non voglio... ferirti maggiormente ma... forse non sai che negli ultimi tempi, anche se ha preso ottimi voti a tutti i suoi esami, si distraeva continuamente. Stava rallentando a... causa di ciò che tu gli facevi provare. Pensi... di poterlo rendere ancora felice? Lui... non può e basta esserlo con te. Devi aiutarlo a capire che va bene se... siano andate così le cose tra voi. – la sua voce è tutta miele. Manca poco che mi supplichi.

–E cosa... dovrei fare? È lui che mi ha lasciata. Io che posso farci? – mi si rompe la voce.

–Convincilo che abbia fatto la scelta giusta. Dagli modo di essere felice, Kathleen. Ti prometto che con me lo sarà. Lo renderò felice.

–Lo renderai felice.

–Te lo prometto.

"Tu non mi rendi felice."

"Spero che la vita gli dia modo di raggiungere ogni vetta. Lui... lo merita più di chiunque altro."

"Sono così felice che lui abbia un cervello come quello che ha. Che sia più intelligente e in gamba di me e di... suo padre. Potrà fare grandi cose un giorno. Vero, Kat?"

–Proverò a convincerlo a tornare alla sua vita. – chiudo gli occhi.

–Sei una brava ragazza. – ripete. – Mi... dispiace, per quello che vale.

–Mi hai osservata per tutto questo tempo, vero? Anche Patty Lou... lei mi è stata vicino tante volte solo per osservarmi?

Non c'è più asprezza nella mia voce. Non ce n'è da un po'. C'è solo arresa, forse.

–Sì. – confessa. – Ti ho studiata. Ti ho guardata. Patty Lou... mi ha aiutata. Volevo capire che tipo fossi. Ho scoperto che sei una ragazza brillante, gentile e intelligente. In altre circostanze, chissà, saremmo potute diventare amiche. Farai grandi cose anche tu.

Riapro gli occhi.

Violet non c'è più.

Il rebus ha trovato la sua soluzione: scatto matto, Kathleen.

***

Attraverso il corridoio del dormitorio maschile con le gambe pesanti e il cuore che batte furiosamente nel petto. Mi fermo a pochi passi dalla porta della sua camera. Mi tremano un po' le mani, perciò le scuoto un po', scrocchiando le dita. Poi mi guardo allo schermo del cellulare. Mi sistemo i capelli e controllo che i miei occhi non mi tradiscano.

Busso con incertezza. So che Holden è qui e che è solo. PJ è con Roxanne.

–Hai dimenticato le chiavi?

Sentire la sua voce mi fa male. Mi mordo le labbra, poi mi schiarisco la voce.

–Sono... Kathleen. – dico.

Non risponde. Passano diversi istanti prima che senta dei rumori dall'altra parte.

La porta si apre di qualche centimetro. Dallo spazio che si crea, intravedo un occhio grigio, delle ciocche nere e i suoi occhiali da vista. Ci guardiamo per istanti che mi sembrano ore.

Fa così tanto male saperlo così vicino, ma anche così tremendamente lontano. I palmi delle mani che prima si toccavano, ora toccano solo dei riflessi.

–Kathleen... – dice.

La sua voce è così bella. Non potrò più dirglielo. Non potrò più ascoltarla. Non mi arriveranno più suoi messaggi. Non userà più la sua voce per rivolgermi parole d'amore. È finita.

–Ti disturbo? – mantengo la voce ferma.

Sbatte le palpebre. – No... no. PJ si è dimenticato qualcosa?

–Sarebbe venuto lui se così fosse stato.

–Giusto. – abbassa lo sguardo. – Allora...

–Allora sono qui perché tu... tu mi restituisca i regali che ti ho fatto quando... quando stavamo insieme. – mi mostro sicura. – Non serve che tu li tenga ancora, no?

Ci mette un po' a rispondere.

–Oh. – si riprende. – Giusto. Sì... mi sembra giusto. Vuoi... aspettare qui? O vuoi entrare?

–Vorrei dirti un'altra cosa, perciò vorrei entrare se non è un problema.

Si passa una mano tra i capelli. – No, certo che no. Prego, entra.

Apre del tutto la porta e si allontana. Entro nella sua stanza e richiudo la porta alle sue spalle. Mi dà le spalle, vicino a una scrivania. C'è il suo profumo nell'aria e sono costretta a sbattere le palpebre più volte per mantenere la mia aria composta. Mi concentro allora su altro. Noto come la sua parte di camera non sembri nemmeno più la sua. Il suo letto è sfatto, dei libri sono impilati con disordine sul comodino che lo affianca, dei vestiti sono appallottolati su una sedia.

Deve averlo proprio mandato fuori di testa il senso di colpa. Chissà quanto è stato difficile per lui scendere a patti che gli piacesse un'altra ragazza. I dondolii del suo cuore, la sua stranezza, l'amore per me che d'improvviso ha cominciato a farlo star male. I sorrisi a Violet. I suoi tocchi accidentali. Sono così simili. Lei potrà renderlo felice.

Lo sento armeggiare con dei fogli di carta. Ci richiude dentro qualcosa. Poi solleva un disegno. Il mio disegno. Lo guarda per interi secondi. Per un momento vorrei annullare ogni distanza, stringere le mie braccia attorno alla sua schiena, intrecciare le dita sul suo petto e inspirare il suo profumo. Ma non posso. Prendo immediatamente a smanettare con il cellulare per evitare di cedere.

–Vuoi... vuoi indietro anche le nostre fotografie?

Non gli rispondo. Allora si volta.

Ci guardiamo e per un momento sento davvero che potrei perdere i sensi.

Rivoglio indietro te. Solo te. Non mi importa di nient'altro.

–Scegli tu. – dico.

Mi si fa vicino dopo qualche minuto. Stringe una scatola tra le mani.

–Scusa, le foto... non le ho trovate. Si saranno nascoste da qualche parte.

–Non fa nulla. – mormoro.

–Qui c'è la palla di vetro, quella che mi hai regalato per... i miei diciotto anni. Poi c'è il disegno. Il cappello dovrebbe... – si avvicina al suo letto. Scosta un lembo della coperta stropicciata e tira fuori dal groviglio di lenzuola il berretto rosso. – essere qui. – me lo porge.

Lo prendo con lentezza. Per un momento lo teniamo insieme da estremità diverse. Poi allontana le sue dita. Lo ripongo allora nella scatola che prende a pesarmi tra le mani. Ci sono i miei sentimenti lì dentro.

–Ci... ci dormivi insieme?

Si passa un'altra volta una mano nei capelli. Lo osservo. Ha un velo di barba sulle guance, delle ombre scure sotto gli occhi, una tuta sgualcita addosso e i capelli fuori posto.

–Ci sarà finito per sbaglio. Ogni tanto PJ si diverte a lanciarmi cose sul letto. – snocciola. Poi resta a guardarmi.

–Non mi sembri... in forma. – non riesco a trattenermi.

Si mette le mani in tasca e scrolla le spalle. – Nulla di che. – resta vago.

Poi restiamo a fissarci. È così bello. Lo amo così tanto. Sostengo il suo sguardo il più possibile, poi quando la vulnerabilità torna a farsi sentire, mi schiarisco la voce.

–È per questo che non stai più andando a lezione?

–Le notizie corrono veloci.

Non rispondo.

Sospira. – Tornerò quando... mi andrà.

–Certo! Volevo solo dirti che... se ti fa stare meglio... avevi ragione.

Convincersi che a me piaccia un altro ragazzo, che sia più adatto a me, immaginarci vicini, deve essere stato un meccanismo di difesa della sua mente per contrastare il senso di colpa. Era geloso. Geloso di Andy. Lo era per quello che una volta ci ha legati. Ma non è bastato dirgli che era lui che amassi. Non gli è bastato. Lui ha creduto a Violet. Lui la guarda. Le sorride. La tocca accidentalmente. Lui è così simile a lei.

–Su... cosa?

–Che potrei funzionare con il mio amico. Che mi... piaccia, sì. Andrew, sì. – mi sforzo di risultare credibile. – Perciò... non stare in pensiero per me, se è questo che ti turba. So che certi sentimenti sono incontrollabili. Non fartene una colpa. Torna a frequentare le lezioni, Holden. Mostra al mondo intero le tue infinite capacità. Sai che io ho sempre creduto in te. Anche se... se... tra noi è finita, io non smetterò mai di credere in te. – la voce torna a tremarmi.

Si volta, dandomi le spalle. Non parla. Non lo fa per almeno un minuto.

– Sono contento che... tu lo abbia capito. Di te e il tuo amico. Ora sarà più facile per te.

Vedo le sue mani avvicinarsi al suo viso.

–Sarà più facile anche per te.

Fa silenzio.

–Bene... allora io me ne vado.

Non risponde.

–Posso... mantenere i contatti con Phoebe e tua mamma? – mi avvicino alla sua porta.

–Certo. – parla a bassa voce.

–Allora... lo farò. Spero che Violet ti renda felice come io non sono stata più in grado di fare. A proposito... mi spiace se con il mio essere maldestra sia tornata a farti male, a volte. Scusami, se puoi.

–Violet non...

–Non fa niente. – lo fermo.

Metto la mano sulla maniglia, ma non riesco a uscire.

–Kathleen?

–Sì?

Mi volto. Lo stesso fa anche lui.

Ci troviamo di nuovo occhi negli occhi. I suoi sono di nuovo rossi, spenti, bagnati.

Dimmi che possiamo tornare indietro. Dimmi che è stato tutto un malinteso. Dimmi che mi ami come io amo te. Dimmi di restare. Prendimi la mano. Baciami. Stringimi. Facciamo l'amore e dimentichiamo ogni cosa.

–Sii felice anche tu.

Eri tu a rendermi felice.

***

Holden torna a lezione tre giorni dopo dalla mia visita. Lo so perché me lo riferisce Roxanne. Lei, Paige e Philippe sono diventati le mie cimici. Guardano e mi riferiscono ciò che sanno che non mi ferirà troppo. Andy è quello più discreto. Non mi riferisce nulla, ma in compenso mi è vicino fisicamente. Mi distrae quando siamo a lavoro, mi fa partecipare alle prove della sua band, prende su di sé parte del mio dolore.

Ogni tanto lascio che i miei occhi fissino Holden. È più forte di me. Lo faccio quando non posso evitare di andare in mensa e non può evitarlo neanche lui. Quando mi accorgo che meno voglia vederlo e più mi capiti di scorgerlo ovunque. Quando mi accorgo che non è vero che non voglia vederlo. Voglio farlo perché non voglio che la sua immagine si faccia sfocata nella mia testa. Voglio lui nella mia mente. Voglio lui.

Un sabato sera, di rientro dal canile, lo becco insieme a Violet. Sento il bisogno di nascondermi. Come se fossi una ladra e stessi rubando qualcosa che non mi appartiene. Qualcosa che non abbia il diritto di guardare. Mi nascondo e li spio.

Li vedo camminare vicini. Si sorridono. Lei gli dice qualcosa che lo fa ridere.

Un tempo ero io che riuscivo a farlo ridere nel modo in cui sta facendo adesso. Lo guardo. Mi sembra felice. Cammina con leggerezza, accanto a una bella ragazza che può dargli tutto quello che forse non sono riuscita a dargli. Che mi sono illusa di avergli dato.

Con lei sarà felice. Con lei raggiungerà traguardi bellissimi.

Violet e Holden. Suonano bene insieme i loro nomi. Sono belli insieme.

Quando sono lontani dalla mia vista, mi avvio alla panchina. Alla nostra panchina. Il solito semaforo intermittente. Lo fisso. Poi mi viene spontaneo: ci soffio contro. Ma il rosso non diventa verde. Non ci riesco. Era lui a riuscirci. Era lui ad avere questo potere magico. Era una nostra tradizione. Era una cosa tutta nostra.

Adesso chissà se sta costruendo nuove tradizioni con lei.

Poi fisso il cielo. La stella Kathleen mi fissa. Brilla, fulgida e sola. Porta il mio nome.

Porta il segreto di un amore che è stato e che non mi appartiene più.

***

La nonna è l'unica che riesca a farmi sorridere.

La vedo stringere gli occhi davanti alla webcam, muovendo le dita delle mani come se potesse stregare lo schermo. Poi si mette a fischiare.

–Funziona il microfono? Mi senti? – urla, avvicinandosi così tanto alla fotocamera da farmi vedere solo il suo naso.

–Ti sento, non urlare! – mi strofino i timpani. – Spostati, però.

–Così?

–Si vedono solo le tue labbra.

–Una bella visione, però.

Mi metto a ridere. Poi la riprendo un altro paio di volte, fino a che non si posizione in un modo tale che la sua figura sia ben visibile.

–Allora? Che mi racconti? – si sistema gli occhiali da vista sul naso.

–Allora è finita, nonna. – abbasso lo sguardo. Vado dritta al punto.

–Cosa? L'università? È già finita?

Non riesco a risponderle. Abbozzo un sorriso, poi mi faccio seria.

–Leen, che succede?

–Non chiamarmi più così, nonna. Io non sono più Leen. Non lo sarò più per nessuno.

–Che dici? – strabuzza gli occhi. - Ti ho sempre chiamata così. Sin da quando eri piccola e non sapevi pronunciare il tuo nome.

–Ora lo so pronunciare benissimo. Non voglio che tu mi chiami così. – ripeto.

La nonna rimane a guardarmi.

-Fammi vedere la mano sinistra. – mi ordina.

La accontento. La sollevo e le mostro la mia mano.

Le sue sopracciglia si tendono verso l'alto un poco alla volta, come se i suoi occhi avessero bisogno di tempo per notare la libertà delle mie dita.

–Tra te e Holden è finita? – capisce.

Mi limito ad annuire. – Sì, da più di un mese.

–Da un mese? – sgrana gli occhi. – E me lo dici solo ora? Tua mamma non mi ha detto nulla. Bob era sospetto, invece, ora che ci penso.

–Ho chiesto loro di non dirtelo. Io... non avevo le forze per dirtelo prima. Non le ho nemmeno adesso, in realtà. Sono a pezzi, nonna. Ma non sono sola. Sono circondata dai miei amici e i nuovi corsi sono interessanti. – mi concentro sulle cose belle.

La nonna prende a fissarmi in silenzio. Non dice niente. Mi guarda e basta.

–Tu lo sapevi, vero, nonna? Che sarebbe successo.

Abbassa lo sguardo. – Come potevo saperlo? Non ho dei poteri divinatori, bambina. Però... avevo visto qualcosa quel giorno che ti lessi il caffè.

–Vedesti una pistola, vero?

Annuisce.

–Perché allora mi dicesti di aver visto una piuma?

–Perché ti conosco. Se ti avessi messa in allarme ti saresti solo preoccupata inutilmente. Lo sai che per me sono dei passatempi. Lo sai che noi abbiamo il potere...

–Di fare le nostre scelte. – la interrompo. – Holden ha fatto la sua.

–Cosa è successo? Ti va di raccontarlo a tua nonna?

–C'è poco da raccontare. Gli piace un'altra ragazza. Mi ha lasciata un po' per questo, un po' perché non crede più in noi.

–Un'altra ragazza? – solleva le sopracciglia. – Quella che ha il nome di un fiore?

Annuisco. – Lei ricambia il suo interesse. Lei... è riuscita a portarmelo via. Lui gliel'ha permesso. È avvenuto tutto... con lentezza. Lo ha aiutato a trovare un lavoro, gli ha fatto un regalo costoso, lo ha presentato alla sua famiglia. Lo ha fatto suo. Ho sbagliato anch'io, nonna. Così tante volte. Io... non lo so. – arranco con le parole. Mi sento così stanca.

–Ti ha detto che le piace questa ragazza?

–Mi ha detto che non crede più nel nostro amore.

Abbassa di nuovo lo sguardo. Per la prima volta la vedo in difficoltà. A corto di parole.

–È peggio che dirmi in faccia che gli piaccia un'altra con cui ora ha ripreso a sorridere. Vero?

Annuisce. È triste. Nonna non lo è quasi mai. Quando lo è, è più abile a nasconderlo di quanto sta facendo adesso.

–Leen... Kathleen, – si corregge. – voi avete già superato una distanza, ricordi? L'anno scorso voi... – si ferma.

–L'anno scorso non avevamo fatto tutto quello che abbiamo fatto dopo, nonna. Lui mi ha lasciata andare. Lui non mi ha creduto quando gli ho detto che non mi piacesse il mio amico.

–Il ragazzo con gli occhi bui?

Annuisco. – Holden crede che io e Andrew funzioniamo meglio. Che sia più adatto a me. Che guardi Andrew come un tempo guardavo lui. Che con lui sia più... libera.

–Ha detto questo?

–Sì. Ha aggiunto che non può sconfiggere il nulla che si è insinuato tra noi. Non ci riesce più. – punto lo sguardo alla parete.

–Lui crede di non meritarti, quindi.

–Cosa? – sollevo le sopracciglia.

–Crede che tu sia più libera con un altro ragazzo. Vuole darti la libertà perché non crede di essere più capace di renderti felice.

–Gli ho detto che non è così. Gli ho detto che sia lui l'unico che amo. Lui non mi ha creduto, nonna. Violet mi ha parlato. Lei ha detto che le piace moltissimo e che sa che lui ricambi l'interesse per lei. Che può renderlo felice. Lei può farcela, nonna. – stringo forte gli occhi. Non ho voglia di piangere di fronte a lei.

–Tu le credi?

– Sì.

–Perché? – non mi accusa. Sembra sinceramente curiosa.

–Perché lui non è un bambino, nonna. Ha fatto la sua scelta con consapevolezza. E poi...

–E poi? – ha gli occhi più tristi che le abbia mai visto.

–Lui mi ha detto che non è più felice con me.

Si copre la bocca con le mani. Sembra sul punto di piangere.

–Brutta storia, bambina.

–Brutta storia, nonna. Ma è finita. Io e lui... non siamo più nulla.

–Non dirlo. – mi rimprovera.

–Perché no? È stato Holden a dirlo.

-Vi siete lasciati perché il vostro amore è finito? Non vi amate più?

-Io lo amo. Lui... non lo so più. Lui è sempre... noi siamo sempre stati bravi con le parole, nonna. Bravissimi. Ci siamo scambiati parole bellissime, ma d'un tratto si sono fatte vuote. Ci siamo fatti tante promesse, ma abbiamo mantenuto le peggiori.

–Come potete essere il nulla se voi siete stati l'amore? Voi siete purezza e magia. Ma voi siete anche crepe e cicatrici che sono tornate a pulsare. Una volta mi hai detto che stavi perdendo il tuo equilibrio, ricordi?

–Sì. Ho iniziato a perderlo un poco alla volta. Ogni volta che Holden era strano, che mi diceva di amarmi, ma che aveva uno sguardo triste sugli occhi.

–Tu hai riposto il tuo punto di equilibrio in lui. – afferma.

–Forse. Sì... credo di averlo fatto. – torno a guardarla.

–Sbagliato.

La guardo.

–Il punto di equilibrio è in te. – si porta una mano al petto. – Deve essere in te. La libertà sta anche nel lasciare che certe cose... non dipendano dagli altri.

–Io... io ero legata a lui, nonna. Certe cose sono successe senza che le controllassi. Anche lasciare che il mio equilibrio dipendesse da lui.

–Lo capisco. – poggia la punta delle dita sullo schermo, come se volesse accarezzarmi.

Unisco le mie alle sue.

–Sai, Kathleen, io ricordo tutte le nostre chiacchierate. Le ho conservate qui. – si picchietta con l'indice la fronte. – Tu le ricordi?

–Certo, nonna. Tu sei la persona di cui mi fidi di più.

Mi sorride. Ricambio.

–Prima di partire per l'università ti ricordai che prima di essere una coppia, tu e Holden eravate persone distinte, con vostri trascorsi, e che ogni tanto Holden, più di te, si sarebbe fatto prendere dalla paura, essendo finalmente disarmato da ogni muro che si era eretto attorno.

Ritorno con la mente al giorno in cui mi disse queste parole e annuisco. – Sì, mi dicesti così, nonna.

Annuisce a sua volta, poi mi guarda negli occhi. I suoi sono sempre stati incredibilmente profondi. Brillanti, giovani, espressivi. La nonna è bella. È tempo trascorso tra balli in casa, giradischi, amori impacciati e convenzioni sbagliate. È saggezza, ironia, follia e dolcezza. È la mia adorabile nonna.

–Io conosco Holden. Tu lo conosci?

–Sì. Credo... credevo... di sì.

–Forse è lui a non conoscersi abbastanza. – socchiude gli occhi e comincia a parlare con lentezza. –Quelli che gli ha creato il suo papà... o la scuola non sono taglietti superficiali, ma ferite profondissime che si possono rimarginare, ma che hanno bisogno di tanto tempo per farlo del tutto. Basta poco per riaprirle e ritornare in certi tunnel. Sai cosa credo? Che lui non conosca ancora del tutto quello che ha dentro. Finge che non sia sufficiente. Non ha la forza di superare certi ricordi che devono essere tornati a battere nella sua testa perché qualcosa li ha riattivati. Come se si fossero solo addormentati ma non silenziati del tutto.

–E tutto quello che abbiamo vissuto?

–Pensi non sia servito? Pensi davvero che lui possa aver smesso di amarti? – inarca un sopracciglio.

–Lui... ha ascoltato un'altra ragazza. Lui forse mi ama, ma... deve amare anche lei. Gli deve piacere. Ne deve essere attratto. Lui è al posto giusto con lei. Si sente giusto. Lui e lei viaggiano nello stesso binario, nella stessa carrozza. Lui... - prendo il fiato, con il cuore di nuovo troppo veloce.

–Lui è solo un ragazzo che si dimentica troppe volte di volersi bene.

–Il mio amore... non è bastato?

La nonna mi fa un piccolo sorriso, tenero, quasi compassionevole.

–Temo che a volte non basti l'amore degli altri perché ciò non succeda, ma parte tutto da qui. – si posa la mano sulla fronte. – Dobbiamo essere noi forti abbastanza da non lasciare che anche quando si riaprano, tutto torni come era prima che le cicatrici si chiudessero. Forse Holden ha solo bisogno di trovare il suo punto di equilibrio. Ha bisogno di tempo. Il tempo per smaltire la tristezza e la felicità che aveva tra le mani. Ne hai bisogno anche tu, tortorella.

-La felicità va smaltita? Non andrebbe semplicemente vissuta?

-È difficile vivere qualcosa che qualcuno ti ha fatto credere che non meritassi sin da quando eri solo un bambino. È difficile accettare che sia qualcosa che si è in grado di dare. È come se Holden avesse raggiunto il suo climax, il suo livello più estremo di felicità, e poi avesse deciso che sarebbe stato meglio rinunciarci perché pensa che tu meriti di meglio.

–Mi stai dicendo che è stata solo un'illusione credere che il nostro passato non ci avrebbe scalfiti? Che non lo avrebbe fatto... di nuovo?

Scuote la testa. – Ti sto dicendo che siete così giovani, così innamorati e così delicati. Come petali di un fiore che è cresciuto tra la neve. Ti sto dicendo che forse non siete ancora abbastanza completi per completarvi a vicenda.

–Non sono ancora completa, nonna? Holden non è ancora completo?

–No, bambina. Non lo sei ancora. Non lo è ancora. Lui meno di te.

–E quando capirò di esserlo diventata?

–Quando sentirai di avere dentro di te il punto di equilibrio. Un anno alla volta. Un errore alla volta. Cadendo e rialzandoti. Rialzandoti e cadendo di nuovo.

–Holden è stato il mio Benjamin, nonna?

Sgrana un po' gli occhi quando le faccio questo nome. Poi li abbassa.

–Forse, bambina. Anche il mio Benjamin smise di credere in noi anche se ci amavamo tanto.

–E tu lo lasciasti andare perché sentivi che in fondo sarebbe stato meglio così. – senza che me ne accorga, una lacrima mi scorre lungo una guancia.

–E io la lasciai andare, ma... – torna a guardarmi.

–Ma?

–Ma ho sempre sperato in un colpo di scena.

–Che non c'è stato.

–Ma che forse tu avrai. – mi fa un occhiolino, rianimandosi di colpo. – Holden può anche trovare più facile convincersi che abbia smesso di credere in voi, ma io... io non smetterò di farlo. E se non ci sarà nessun colpo di scena tra voi, ce ne sarà un altro. La vita trova sempre il modo di sorprenderci, bambina. E io...

–E tu?

–Non smetterò mai di credere in te, Kathleen. Indipendentemente da ogni ragazzo, sei tu mia nipote e io crederò fino all'ultimo dei miei giorni in te.

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Ho appena finito di rileggere il capitolo e mi viene difficile scrivere qualcosa in questo momento perché mi sento prosciugata di ogni energia. Questo è stato forse il capitolo, di una mia storia, per cui abbia più pianto. Mi sembra quasi narcisista ammetterlo... del tipo: piangi per la tua storia? Vola basso, Roberta! Però... la verità è che sono così affezionata a questi due scemi che io non ce la faccio a non vedere certe scene davanti agli occhi e a non piangere per certe frasi.

Comunque, ora mi riprendo: alcune di voi si aspettavano che Violet fosse in realtà interessata a Kat. Una teoria molto originale per cui mi complimento. Mi complimento con chiunque abbia ipotizzato una svolta del genere.

Purtroppo sono stata più scontata e il caro Holden è sempre stato l'unico nel suo mirino. Si potrebbero dire tante cose in merito, ma lascio che siate voi a dirmi cosa ne pensate di un personaggio come lei. Io posso dirvi che in fondo non riesco a odiarla. Violet a modo suo non è davvero così cattiva.

Il prossimo capitolo sarà online venerdì prossimo, molto probabilmente. Però, se riesco a terminare il capitolo 25 e a cominciare il 26, vedrò di postarlo un po' prima, di nuovo di martedì magari. Voi che dite? So che sono capitoli forti e che non è piacevole aspettare.

In questi giorni risponderò a ogni vostro commento del capitolo precedente. Mi hanno emozionata molto, soprattutto quelli un po' più personali.

Vi voglio bene. Grazie di cuore per il vostro supporto 💚,

Roberta

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