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Il Nulla

22

Il Nulla

Linus: Nulla dura per sempre. Tutte le belle cose devono finire.
Charlie Brown: E quando cominciano?

(Peanuts – Charles M. Schulz)

C'è un posto che a me e a Holden è sempre piaciuto.

Lo chiamiamo il "nostro posto" perché è lì che, dopo la nostra prima festa universitaria, lui tornò a sfiorare la mia fantasia, intrecciandola con la sua quando immaginò una principessa bianca in fuga dalle tenebre per ricongiungersi con il suo vero amore, dopo mille ostacoli che li avevano tenuti lontani. È lì che Holden mi propose di tornare a Trillium Lake per passare un pomeriggio lontani dalle nostre prime ansie universitarie, dalle mie prime ansie universitarie. Un pomeriggio che eravamo ignari che si sarebbe trasformato in una notte, la più bella della mia vita. È lì che ci siamo baciati tante volte, dopo una lezione, prima di cominciarne una, tra una pagina di un libro e l'altra.

È lì che mi chiede di incontrarci un pomeriggio.

Marzo è cominciato da due settimane e ha portato con sé l'inizio delle lezioni del nuovo semestre e delle nuvole grigie cariche di pioggia che sostituiscono quelle bianche, spumose, portatrici di neve. Fa ancora freddo e la primavera non accenna a risvegliarsi dal letargo.

Arrivo per prima. Sento il cuore pesante e le gambe molli. Mi appoggio a una parete, chiudendo gli occhi e riempiendo i polmoni di aria fresca. I pensieri, come fanno da un po', mi vorticano nella testa.

Io e Holden non siamo mai stati una coppia convenzionale. Sempre che esistano coppie convenzionali. Nella mia mente, siamo sempre stati... diversi. Nel modo di parlarci, di guardarci, di toccarci, nel modo di reagire a certe circostanze. Holden non è convenzionale. Lui è fuori dall'ordinario e questo mi manda fuori di testa, in senso positivo, ma da qualche tempo anche negativo. A volte sento quasi che vorrei che lui fosse più ordinario, forse. Che fosse più prevedibile e che reagisse a ogni cosa in modo più aspettato, che potessi quindi prevedere una sua mossa, capirlo e quindi risolvere quel qualcosa che non va. Capire cosa nasconda dietro certi sguardi, certi sorrisi che a volte hanno l'aspetto di maschere.

Ma la realtà è un'altra. Che anch'io forse sono poco prevedibile. Che anch'io forse ho lasciato che si creasse tra me e lui una sorta di guerra fredda. Un accumulo di scontri silenziosi, i più pericolosi. I più pericolosi perché si insinuano con lentezza, perché sono fatti di attimi rubati che lasciano il segno, di occhiate fulminee, di stranezze, di dondolii, di stelle che perdono la loro luce, di semafori che si spengono a poco a poco. Di appuntamenti che si dimenticano. Di gelosie che portano a bersi ogni parola più ingannevole. Non c'è stata una vera e propria guerra aperta tra noi due. Una di quelle fatte di continui litigi plateali, di gesti forti. C'è stato solo un vero litigio, ma sufficiente, forse, a confermare un cortocircuito già innescato. Non c'è stata chiarezza laddove entrambi percepivamo il buio. Abbiamo lasciato, in effetti, che il buio mettesse le radici nel nostro rapporto. Che serpeggiasse in ogni antro disponibile. Un buio dato dalle parole sbagliate al momento sbagliato. Da quelle nascoste. Da quelle che rimangono vigliaccamente incastrate in gola e tra le ciglia, che si accumulano formando delle barriere sempre più alte. Delle torri da cui persino la più coraggiosa delle principesse non riuscirebbe a scappare. Neppure se ricevesse un aiuto da un drago, amico e non nemico di questa favola.

Tutto questo, molte volte, porta al nulla. Dove il 'nulla' è quello stato a cui si approda quando c'è in atto l'incomprensione. Quando d'improvviso non si è più sincronizzati. Ci si volta a guardarsi con un secondo di stacco, sufficiente perché gli sguardi non si incrocino più. L'improvviso è solo il risultato di attimi che si intrecciano un poco alla volta.

Vedo arrivare Holden dopo un po'. Una montatura da sole sugli occhi, seppur non ci sia neppure un pallido raggio a trapassare le nuvole. Non c'è bisogno che gli chieda perché la indossi. Ne servirebbe una anche a me, probabilmente. Ha le mani sugli spallacci del suo zaino e incede con il suo passo elegante, facendo fare un tuffo al mio cuore.

–Ciao. – mi dice.

–Ciao. – ricambio.

Mi si fa vicino. Osservo ogni suo movimento. Si sfila lo zaino, lo appoggia al suo fianco e resta in silenzio. Poi si lascia scorrere lungo una parete e si siede per terra, portando le ginocchia al petto. Lo imito. Il pavimento è freddo, ma non mi importa. Abbasso gli occhi sulle pellicine mangiucchiate delle mie dita e stringo gli occhi, senza capire cosa succederà. Poi li riapro e guardo Holden. Ha lo sguardo fisso davanti a sé, sul cielo che si staglia oltre gli archi di volta che ci fronteggiano. Tiene le dita delle mani intrecciate sulle ginocchia. Poi lo sento prendere il respiro. Lo fa per tre volte. Le conto.

–Come stai? – rompe il silenzio.

–Domanda di riserva?

Accenna un sorriso.

–Tu come stai?

–Domanda di riserva?

Accenno un sorriso.

–Sembra che questo posto lo conosciamo solo tu e io. Non c'è mai nessuno. – dico la prima cosa che mi passa per la mente.

–Come la canzone dei Keane. Somewhere only we know.

–Già. Proprio quella. – mi perdo nei ricordi.

Prendiamo tempo. È strano non sapere che fare. Scendere a patti che questo momento di confronto, come sento che questo sarà, sia arrivato. Che sia giusto che sia arrivato. Che doveva arrivare. Che volevo che arrivasse ma che ho contribuito a evitare per paura. Perché sono ancora tanto insicura. Perché lo amo troppo.

Tamburella le dita contro le sue ginocchia e mantiene lo sguardo fisso davanti a sé. Rimane fermo, senza dire niente. Poi si gira nella mia direzione e mi accarezza una guancia. Lo fa prima con una mano, poi aggiunge anche l'altra. Le sue dita sono stranamente fredde. Si infrangono contro i miei lineamenti. Mi sfiora il mento, gli zigomi, le sopracciglia, le labbra che schiudo per sentire la sua pelle a contatto con il mio respiro. Sembra che sia il suo turno di incollare ogni mia parte alle sue dita. Vorrei che non si fermasse mai.

Ma lo fa. Si ferma. Allontana le sue mani e subito sento freddo. Non quello dato dalla sua pelle sulla mia, più calda, ma quello dato dal distacco. Rimane però a guardarmi. Mi fissa da dietro i suoi occhiali. Faccio lo stesso. Lo fisso. Rimaniamo con gli sguardi puntati l'uno sull'altra, accarezzati da un vento freddo, ma piacevole, che mi smuove i capelli e che graffia le sue guance, appena più rosse sugli zigomi.

–Parliamo. Ti va? – dice.

–Mi va. – rispondo.

Annuisce. Ma non parla. Si prende altri istanti. Istanti che sembrano ore.

–Sai, Kathleen, in questi giorni ho provato a cercare delle teorie matematiche che potessero aiutarmi a trovare una metafora per rendere tutto più facile.

Prende a parlare di colpo. Comincia a piovere quando lo fa. Mi fa sussultare per un solo momento. Mi stavo abituando al silenzio.

–Non è facile ciò di cui parleremo?

Scuote la testa.

–Hai trovato... questa metafora?

La scuote di nuovo. – No. Temo ti avrebbe annoiata, anche se l'avessi trovata.

–Ti prego, non... tu non... mi annoi, te l'ho già detto.

Annuisce lentamente.

–Cosa... doveva rappresentare questa metafora matematica?

–La distanza.

Il cuore comincia a battermi ovunque. Lo sento nei polpastrelli, in gola, contro le tempie.

–Ah. Allora... dovremo andare dritti al punto, mi sa.

–Lo credo anch'io. Niente matematica. Niente metafore.

–Okay.

–Okay. – ripete.

Passa altro tempo.

–È difficile da spiegare, ma credo che qualcosa tra me e te non... non... funzioni più. – mormora.

–Non funzioniamo più? – gli domando.

–Credo di no.

–Credi di no. – ripeto.

–Sento che tu sei lontana da me, Kathleen. Io ti sento lontana da me. Anche quando ti stringo tra le mie braccia, io ti sento lontanissima. – parla con calma. Non lascia trasparire lo stato della sua anima mentre lascia che la sua bocca pronunci ogni parola.

Prendo a giochicchiare nervosamente con la pellicina del pollice. Lui mi sente lontana.

–È una sensazione che sento anch'io. Non riesco a dare un nome alla tua stranezza. Temo che d'improvviso si sia presa troppo spazio, unendosi forse anche alla mia. Mi sembra d'improvviso che mi manchi qualcosa. Non riesco a leggere tra le tue righe.

Io, così brava con i libri, ho sempre faticato a leggere Holden. Ci sono stati dei picchi. Verso l'alto quando ero certa di riuscirci. Verso il basso quando anche sforzandomi non approdavo a nulla. Anche amandolo, con il cuore e con il corpo. Anche respirando la sua stessa aria.

–Quindi è chiaro che qualcosa non va.

Vorrei negare. Dirgli che non è vero. Ma mentirei. Non va tutto nel verso in cui credo che dovrebbe andare. Di conseguenza, qualcosa non va.

–Qualcosa non va. – ripeto ancora. Mi sento fragile e ho paura.

Succedono altri silenzi. Altre pause che si frappongono tra noi, aumentando questa distanza che ha allentato il nostro laccio. Si è insidiata con lentezza. In modo subdolo. Quelli che erano prima tocchi palmo contro palmo si sono fatti d'improvviso tocchi su superfici d'aria. Illusori. Tocchi il nulla.

–Sai cosa ho sempre pensato?

–Cosa? – gli vado incontro. Non riesco a prevedere la sua prossima mossa.

–Ho sempre pensato che raggiungerti fosse una cosa, ma che amarti fosse un'altra. Ecco, amarti è sempre stato facile. Raggiungerti un po' meno. Ma ci sono riuscito. È stato surreale, quasi onirico. È stato bello.

–Perché parli al passato? Tu mi hai raggiunto. Noi... siamo qui.

–A un certo punto, però, anche amarti è diventato più difficile. – continua, come se non lo avessi fermato. – Amarti ha cominciato a farmi male.

Chiudo gli occhi.

–Per questo il tuo cuore ha cominciato a dondolare? Per questo ti sentivi... ti senti strano? Il tuo amore per me è traboccante e doloroso?

–Sì, credo proprio di sì.

–Ho fatto... qualcosa di sbagliato? Anzi, sicuramente ho fatto tanti sbagli. Lo sai che sono alquanto maldestra con le parole, con... tutto. Ma...

Ma ti amo tantissimo.

–È successo e basta. Ho sbagliato anch'io, tante volte. Ci sono state... tante cose. È successo e basta.

–Perché?

–Non lo so. – si ferma ancora. – So solo che ogni tanto non riesco a controllare la mia testa. Ancora non ci riesco come dovrei. Come vorrei.

–Che intendi?

–Mi tornano in mente le parole e gli sguardi di quelle persone che non riuscivano neanche a immaginare che io fossi il tuo ragazzo, Kathleen. Ricordi, vero? – parla con calma. – Quelli che mi chiedevano se fossi tuo fratello, tuo cugino, o che... strabuzzavano gli occhi al sapere che fossi io il tuo ragazzo e non qualcuno di più... di più adatto a te. Le ho accantonate, le ho soffocate in quel cassetto della mia mente dove nascondo le parole che più mi hanno segnato nella vita. Ci sei stata tu. Il tuo amore, la tua bellezza, il tuo essere a farle nascondere. Però poi, a intermittenza, ho iniziato a vedere nella mia mente sempre più spesso immagini che si sono fatte invadenti.

Si ferma per qualche secondo. Lascio che continui. Deglutisco, quasi senza accorgermi che le mie dita si muovono frenetiche, strappando altre pellicine.

–Ho preso a vedere qualcun altro al tuo fianco. Qualcuno di più libero di me.

Riapro gli occhi. Mi volto a guardarlo.

–Qualcuno di più libero... di più adatto a me. – ripeto di nuovo. La mia bocca non riesce a fare altro, a quanto pare. – Che significa?

–Qualcuno che ti faccia volteggiare con gli occhi chiusi e le braccia aperte, il sorriso sulle labbra e i capelli al vento. I fuochi d'artificio sopra di te. Qualcuno che ti guardi mentre canta una canzone bellissima e che ti faccia sentire priva di... trappole. – riduce la sua voce a un sussurro.

Strabuzzo gli occhi, disorientata.

–Che significa? – ripeto ancora.

–Forse c'è una ragione se agli occhi della gente non siamo sempre sembrati uniti da qualcosa di più. – svia la mia domanda, infliggendomi un altro colpo. Sembra che ora il disco sia cambiato. Ha tirato fuori dalla manica una carta che non porta a niente di buono. Che non ha senso di esistere.

Deglutisco a vuoto. Lo faccio per almeno quattro volte. Poi prendo un bel respiro.

–La gente? Che te ne importa di come ci vedono gli altri? Gli altri chi, poi?

–La gente. – ripete.

–La gente. – dico. – La gente. Chi è la gente?

–Kathleen... tu sei ancora felice con me? – svia ancora il discorso. Sta prendendo delle scorciatoie che lo portino dove vuole arrivare.

Sbatto le palpebre velocemente.

–Che domanda è?

–Una domanda. Io ti rendo ancora felice, Kathleen?

Mi mordo le labbra. – Holden, io ti amo. Tantissimo. Sono innamorata di te.

–Non mi hai risposto.

–Sì, mi rendi ancora felice, Holden. Abbiamo i nostri alti e bassi, come tutti, e la felicità assoluta non esiste, me lo hai detto proprio tu una volta. Non mi piace questa domanda. Non mi piace ciò che stai dicendo.

–Andrew ti rende felice, Kathleen?

–Smettila. – mi acciglio.

–Ti sei mai accorta che tu e... lui... funzionate?

Parla come se non mi ascoltasse più. Come se non volesse ascoltare la mia evidente contrarietà alle sciocchezze che sta dicendo. Come se non volesse vedere la sofferenza che mi sta provocando con queste parole. Ha preparato ogni frase e vuole dirmela, costi quel che costi. Anche se a costare è l'integrità del mio cuore.

–Cosa? – lo fisso per capire se sia serio. – Stai dicendo un mucchio di assurdità. Te ne rendi conto?

–Non lo sto facendo.

–No? Parli della gente, rievochi parole lontane, parli del mio amico. Da quando ti interessa il parere degli altri su me e te?

Prende a guardarmi anche lui. Da dietro le lenti dei suoi occhiali.

–Forse da sempre.

–Ci credi davvero? Credi davvero che io funzioni meglio con un altro ragazzo? Che il parere di alcune persone sia così valido da farti sentire meno adatto a me di quanto lo sia il mio amico nonostante quello che abbiamo vissuto?

Chiude gli occhi.

–Perché? – sento i nervi crollare. La rabbia mischiarsi alla tristezza. – Noi ci amiamo. Io ti amo. Tu mi ami. Punto. È questo quello di cui dovremmo parlare e non di queste... queste assurdità che non hanno alcun senso! O il punto è un altro?

Rimane in silenzio.

–Ti piace un'altra persona? Ti piace Violet, non è così? Siete solo amici, compagni di studio... ma hai scoperto che ti piace, vero? – butto fuori ogni paura. – Sei tornato a dar retta a certi pensieri perché hai iniziato a vedermi davvero come una sorella o una stupida amica, non è così? – mi trema la voce.

–Non è così. – dice.

–Oh, certo che è così. Se tu fossi innamorato ancora di me, certe sciocchezze non le avresti neanche pensate.

Odio il fatto di essere così vulnerabile. Forse lo sono ancora di più di quanto lo sia lui. In fondo lui ha trovato il suo scudo personale con cui difendersi, mentre io sono disarmata. Io non ho occhiali da sole, ordine, numeri, controllo costante, razionalità. Io sono pasticci, emotività, irascibilità, parole che si cancellano con mille scarabocchi, ma che poi trovano il modo di sfuggire ancora dalla penna. Io sono impulsiva, sbaglio, parlo senza connettere sempre il cervello. Lui parla tanto, ma bene. Le sa usare le parole. Le manipola. Le muove in modo da tale che occupino sempre un giusto spazio.

–È proprio perché ti amo che so che non funzioniamo più tu e io. – si sfila gli occhiali con una mossa fulminea. Come se non riuscisse più a portare il peso della sua maschera contro la vulnerabilità. I suoi occhi sono rossi e umidi. Niente più scudo.

–Parli di noi come se fossimo delle macchine. I nostri ingranaggi non funzionano più! Non funzioniamo più... – sbuffo una risatina isterica. – Siamo arrivati al "l'amore non basta", vero? La La Land, giusto? Siamo diventati i Mia e Sebastian di turno, Holden?

–Non lo so cosa siamo diventati. So solo che una volta mi dicesti che il tuo amico ci definì il diavolo e l'acqua santa. Sai cosa mi fece venire alla mente questa frase? – pianta i suoi occhi nei miei.

Non rispondo. Sento gli occhi riempirsi di lacrime.

–Quando mi dicesti che noi siamo come un cactus e un palloncino. Sono tutti e quattro agli antipodi. Non porta a niente di buono il loro farsi vicini.

Non capisco perché stia portando a galla queste frasi. Perché si voglia fare così tanto male. Perché voglia farne a me.

–Era solo una stupida battuta quella del mio amico. – arranco.

Fa silenzio.

Chiudo di nuovo gli occhi. – Sei sleale, Holden. Tiri fuori il passato... un passato di cui ti ho chiesto scusa mille volte, quando sei sempre stato il primo a dire di voler vivere nel presente. Sei... incoerente. Un burattinaio di parole vuote.

Smette di guardarmi. Chiude di nuovo gli occhi.

–Perché non parli di quelle persone che ci hanno sempre supportato? Se tanto ti importa della gente, devi anche ricordare quelle persone che ci hanno scattato delle foto quando siamo andati al lago, di mia nonna, di tutti quelli che ci hanno conosciuti e che ci vogliono bene. Ma non lo fai. Nomini gli episodi più brutti. Ti nascondi dietro gli episodi più brutti. Perché? Ti sei preparato quasi un copione, non è vero?

Non dovevano andare così le cose. Dovevamo parlare di altro. Trovare il modo di spezzare il buio, di annichilire ogni dubbio, ogni ansia, ogni paura fondata su percezioni sbagliate. Che dovevano essere sbagliate. Dovevamo tirar fuori il nostro amore. E invece... il vuoto.

–Sei cambiato, Holden. L'Holden che conosco io non avrebbe mai detto certe cose.

Non lo avrebbe fatto. Avrebbe detto che certe frasi le ha chiuse in un cassetto di cui ha buttato la chiave. Mi avrebbe detto che quello che abbiamo vissuto sia così forte da distruggere certe immagini deleterie.

–Forse hai ragione. Non sono più l'Holden che conosci. Me l'hai già detto una volta e forse hai ragione.

Odio non riuscire a interpretare il suo tono di voce. Sentirlo così incolore e piatto. Come se stesse trattenendo ogni sfumatura che potrebbe aiutarmi a capirlo. D'improvviso vorrei solo prenderlo a schiaffi. Vorrei smuoverlo e fargli così tirar fuori la verità. Perché questa non lo è. Lui non può pensare davvero queste cose.

–Nomini sempre Andrew. Sei geloso di lui? Ti dà fastidio che passiamo del tempo insieme? Ti dà fastidio il nostro legame?

–Sei libera quando sei con lui. Anche lui è libero quando è con te. Quando siete vicini siete leggerezza e libertà.

Chissà quante volte deve essersi ripetuto queste parole. Sembra che le abbia imparate a memoria.

–Non ti ho chiesto questo! Sei geloso del mio amico?

Tace ancora.

–Perché non parli? Perché non riesci a parlarmi, Holden?

È tutto così frustrane. Soffocante. Mi manca quasi l'aria. Arranco tra i miei pensieri. Non so cosa stia succedendo. È di colpo tutto così veloce.

–Non ci riesco, Kathleen. Non riesco a tirar fuori quello che ho dentro. – la sua voce è rotta. Incrinata. Bagnata da un pianto che non gli sporca le guance.

–Holden... – la mia voce di colpo si fa implorante. – Io non sono innamorata di lui. La persona che amo è qui, di fronte a me. Sei tu. Lui è solo un amico. C'è solo amicizia tra me e lui. – vorrei ripeterglielo mille volte, ma la mia voce si ferma.

–Voi due funzionate, Kathleen. – ripete, come se fosse diventato davvero una macchina.

Non mi crede. Non basta che gli dica che ami solo lui. Non è sufficiente. Non lo è più.

–Smettila.

–Tu non ti accorgi del modo in cui lo guardi. – insiste.

–E come lo guardo?

–Come un tempo guardavi me.

Allargo gli occhi.

Sento le forze venirmi meno, un poco alla volta. Non può averlo detto davvero. Non può pensare che io, che lo ami da impazzire, non lo guardi più nello stesso modo.

–Perché... adesso come ti guardo? – perdo il controllo anche della mia voce.

Torna a guardarmi. – Qualcosa è cambiato.

–Sì, il tuo modo di guardarmi. Il tuo cuore, anche. Sei così codardo che non riesci ad ammettere che ti piaccia un'altra ragazza. – lo spintono, senza riuscire a controllarmi.

–Non mi piace un'altra ragazza.

–È lei che ti ha messo in testa che ho chimica con Andrew, che lui sia adatto a me, che lui e io funzioniamo meglio di quanto funzioniamo io e te?

Fa silenzio. Non lo conferma, ma non lo nega neanche.

–Ora capisco. – avanzo. – Sono stata proprio una stupida, eh! È riuscita a intrappolarti alla fine. Ho fatto l'errore di credere a Colin, una volta. Forse neanche si sbagliava, in fondo. E poi... tu ti sei bevuto chissà che stupidaggini. Deve essere per forza così. Certi sguardi, le sue attenzioni improvvise nei miei confronti, certe frasi... dovevo capirlo che eravamo finiti nel suo mirino.

–Lei è una mia amica.

Non aggiunge nient'altro.

–Un'amica a cui forse hai cominciato a credere più di me. Cosa ti ha detto? – conficco le unghie nei palmi delle mani.

–Non c'è bisogno che nessuno mi dica niente. Io vi vedo, Kathleen. Vedo qualcosa di cui tu non ti sei ancora accorta.

–Sei un codardo. Sei sleale. Sei incoerente. Sei un burattinaio di parole vuote. Non sei più il mio Holden. – torno a riversargli contro ogni consapevolezza.

–Non lo sono più. È vero.

Stringo la mascella. Voglio urlare. Voglio urlare. Voglio urlare. Mi alzo in piedi e respiro. Respiro fino a quando non sento il controllo tornare.

–Sai, Holden, c'è un romanzo che mesi fa abbiamo affrontato con il professor Morley e in cui c'è una scena a cui Roxanne una volta mi ha paragonato. Forse lo conosci anche tu. Si chiama La storia infinita. A un certo punto, il protagonista si trova a dover salvare il regno della Fantasia da un'entità pericolosa: il Nulla. Sai cos'è il Nulla?

Non risponde. La macchina si è fermata.

–Il Nulla è quella forza distruttrice che l'umanità ha creato. Che crea ogni momento in cui smette di credere. Nei sogni, nei desideri, nella fantasia. Quando smette di credere in tutto ciò che non sia materiale, finendo così per diventare un'umanità arida. Io... temo che tu abbia smesso di credere, Holden. In me e nel nostro amore.

–Io credo in te, tantissimo.

–Ma? Avanti... finisci la frase.

–Forse la nostra storia è stata solo una bella fantasia. – torna a non far percepire più nulla dalla sua voce.

È la prima volta, forse, che stia manipolando le parole contro di me. Con l'obiettivo di ferirmi.

Sento perdere l'equilibrio. Un'altra volta. Mi trema la terra sotto i piedi. Mi sembra di essere stata trascinata in un vortice da cui non c'è fuoriuscita.

–Lo pensi sul serio? Tutto quello che abbiamo vissuto è solo... una fantasia? Tutto quello che abbiamo condiviso, che ci siamo detti... è stata una fantasia?

–Può darsi.

–Allora è vero. Non credi più.

–E tu? Tu ci credi?

–Sì. – alzo la voce. – Io credo nel laccio che ci tiene legati, Holden.

–Tu credi che mi piaccia un'altra persona.

–Tu credi lo stesso.

–Perché vedo cose di cui tu non ti accorgi nemmeno.

–Potrei dirti lo stesso.

Torniamo a fare silenzio, a corto di altri colpi, esausti da una battaglia che non aveva il diritto di farsi strada tra i nostri cuori e le nostre menti.

–Come si distrugge questo Nulla?

–Nel libro è sufficiente che il protagonista dia il nome all'Imperatrice Bambina e che esprima dei desideri. Che torni ad alimentare il Regno di Fantàsia con i suoi sogni. Credere è il vero potere.

–Non ho questo potere, Kathleen.

–Un tempo ce l'avevi. Hai creduto in noi molto prima che lo facessi io. Cosa è cambiato? – sento una lacrima scorrermi lungo una guancia. – Cosa diavolo è cambiato? – alzo la voce.

–Tutto. È cambiato tutto, Kathleen. – la alza anche lui.

–Io non sono Kathleen. Io sono Leen. – mi tremano le labbra.

Abbassa lo sguardo.

–Dato che ricordi ogni cosa, ti ricorderai anche di quando al lago tu mi promettesti che se mai ti avessi spezzato il cuore, tu avresti dovuto dirmelo. Beh... non immaginavo che saresti stato tu a spezzare il mio. A farlo con consapevolezza. Cos'è? Una vendetta in ritardo? Ti stai vendicando per il passato? – mi fermo a pochi passi da lui.

Tira su con il naso. Mantiene gli occhi chiusi.

–Te lo chiedo un'ultima volta: ce l'hai il potere per distruggere questo Nulla, Holden?

Voglio che mi dica che sta scherzando. Che è tutta una messa in scena per mettere a dura prova la mia sfera emotiva, per qualche esperimento, per uno scherzo, per qualche stupida cosa.

–Non ce l'ho. – dice. – Non sono davvero un supereroe, Kathleen. Non ho più alcun potere.

–Sono patetica, allora. – lo guardo. – Il Nulla ha vinto e noi... non siamo...

–Non siamo.

Dice il contrario di quello che mi aspetterei da lui. Sembra farlo apposta. Vuole che inizi a odiarlo, forse.

I miei occhi, velati di altre lacrime, cadono sul mio anello giocattolo. Poi sui ciondoli che dondolano attorno al mio polso. La collana portafoto d'improvviso mi brucia attorno al collo. In un gesto incontrollato sfilo tutto. Li raccolgo sul palmo della mano e li getto al suo fianco.

Fanno rumore quando si scontrano con il pavimento. L'anello rischia di rompersi. Di nuovo.

Torna a guardarmi. – Che stai facendo?

–Siamo diventati nulla, no? Non funzioniamo più, no? Mi piace un altro ragazzo, no? – gli rigetto ogni accusa. – Allora che me ne faccio più di questa roba. È diventata niente di più che... immondizia. – non riesco a trattenermi.

–Non li voglio. Sono tuoi. – trema anche a lui la voce adesso.

–No, Holden. Non sono i miei. Sono della Kathleen che era innamorata di un altro Holden, non di questa sua ombra che si è lasciata condizionare da chissà chi. Non sei più il mio Holden, no? Sei l'Holden di Violet, forse. Non quello che conosco io.

–Non li rivoglio, ti ho detto. – si alza anche lui in piedi. Butta gli occhiali per terra.

–A me non interessa. Riprenditi anche la tua stupida stella, già che ci sei. Riprenditi il tuo stupido semaforo. Riprenditi i tuoi stupidi baci. Riprenditi ogni 'ti amo' che mi ha detto l'Holden che conosco anch'io. Quello che sa leggere nei miei occhi... per davvero. Quello che ha superato la mia superficialità e mi ha aiutata a diventare una persona migliore.

Delle lacrime prendono a scorrergli sulle guance. Odio il fatto che stia piangendo anche lui.

–Cosa succede adesso? Cosa è rimasto di noi due?

Non risponde.

–Mi hai lasciata, non è così?

Mi sta lasciando sul ciglio dei nostri sentimenti. Del mio sentimento. Ha aperto le dita della mano e ha deciso che debba volare via da lui. Lontana. Lui era il cactus. Io il palloncino. È sempre stata così. Poi il cactus è riuscito ad avvicinarsi al palloncino. Ma d'un tratto ha deciso di lasciarlo andare, dopo averlo ferito con le sue spine.

Non risponde.

–Mi stai lasciando andare? Non sarò più il tuo palloncino, Holden?

–Sì. – si asciuga in fretta le lacrime.

–Sì, cosa?

–Ci stiamo lasciando.

–No, Holden. Sei tu che lo stai facendo. Tu mi stai lasciando. Io sto solo fingendo di accettarlo.

Gli do le spalle.

–Tocca a te rispondere a questa domanda: io non ti rendo più felice, Holden? È questo il motivo per cui stai rinnegando il tuo amore per me?

–Non sto rinnegando il mio amore per te. Non l'ho mai fatto. Io...

–Ti rendo felice, Holden?

–Non mi rendi più felice. – è la sua risposta. Lapidaria. Irremovibile.

–E allora non si può fare più niente.

Corro via.

Lascio che anche il mio corpo prenda le distanze dal suo.

Le nostre anime lo hanno già fatto.

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Ma quanto mi starete odiando in questo momento? HO PAURA.

Prima di tutto... ce li ho anch'io gli occhi velati di lacrime, e non solo Kat e Holden. Se pensate che quando certe scene vengano scritte noi autori gongoliamo come se fossimo delle divinità creatrici che hanno il potere di rovinare ogni cosa... vi sbagliate. Mia mamma mi è testimone: ho pianto lacrime vere in questo periodo. Tant'è che mi ha detto, dopo aver saputo che tra i miei personaggi ci sarebbe stata questa svolta, che voi non avreste più letto la storia. Io le ho detto che: "le mie lettrici sono coraggiose"... lo siete, vero? Non è che mi mollate a pochi passi dalla fine? Non fate scherzi che il mio cuore ha bisogno del vostro sostegno.

Secondo me si sono create delle fazioni in questo punto della storia: chi credeva che questo momento sarebbe arrivato, ma che magari se lo aspettava diverso. Che si aspettava che ci sarebbero stati altri 'gesti' da parte di Violet, Colin, Andy o altri che sarebbero stati la 'goccia che fa traboccare il vaso'. Chi invece si immaginava che sarebbe successo esattamente com'è successo. Chi non se lo immaginava minimamente e ora è in uno stato di shock.

Kat e Holden si sono lasciati.

A me fa male. Tantissimo. Ve l'ho detto. Non avete idea di quanto sia stato difficile per me scrivere questo capitolo. Forse il più 'brutto' che abbia mai scritto. Però... però doveva succedere. Sapete quanto ci tenga che i miei personaggi siano 'realistici', umani, pieni di difetti, e di sfumature. Io credo che quello che sia successo sia in linea con i miei personaggi, con i loro passati, con quello che hanno vissuto e con chi li circonda... ma... questa è la mia opinione da 'scribacchina' che conosce questi testoni da un po'. So che per voi magari ho fatto una cacchiata gigantesca e magari c'avete anche ragione. Ma... io sentivo di dover scrivere quello che avete letto e che leggerete.

La storia NON È FINITA. Ci tengo a precisarlo perché anche se non rimangono tanti capitoli alla sua fine, questo non è l'epilogo.

Questo significa che ci potrebbero essere svolte inaspettate? Sì. Credo che non vi aspettiate del tutto la piega che stanno per prendere le vicende. Le carte si ribalteranno in più modi.

Ma... mi silenzio qua. Sentitevi libere di arrabbiarvi con me (con tatto, che ho un cuore anche io) e di dirmi cosa vi aspettate che succederà adesso...

Ci aggiorniamo venerdì.

Grazie per tutto 💚,

Rob

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