Grande Giove
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Grande Giove
Linus: Quale diresti che è la tua filosofia, Charlie Brown?
Charlie Brown: Il segreto della felicità è avere tre cose da aspettarti e nulla da temere!
Linus: C'è differenza fra una filosofia e un adesivo per paraurti!
(Peanuts – Charles M. Schulz)
Ho sempre trovato l'espressione 'fare l'amore' di una bellezza disarmante.
Chi l'ha usata per la prima volta (deve esserci per forza qualcuno che l'ha introdotta) deve aver capito che quando due corpi si fondono l'uno con l'altro e lo fanno perché si desiderano, si amano, si appartengono, si renda concreto, toccabile con mano, un sentimento che di fatto è qualcosa che si vive in maniera empirica in più modi, ma che è allo stesso tempo qualcosa di 'astratto'. Come una scia di profumo che si sente, ma non si vede.
Io e Holden abbiamo fatto l'amore. Gli abbiamo dato vita in una maniera diversa, più intensa, quasi più logorante, di quella a cui fossimo più abituati. Lo abbiamo creato. Lo abbiamo plasmato a nostro piacimento. Abbiamo preso il sentimento che ci unisce e lo abbiamo incollato ai nostri corpi. Lo abbiamo spalmato su ogni nostro frammento come si spalma il cioccolato sul pane.
Lo abbiamo fatto, sul serio. È quasi difficile da credere. Lo abbiamo fatto in un modo tutto nostro. Per alcune ore tutto ha smesso di esistere. Tutto ha preso a fare silenzio. Niente ansie, niente paure, niente imbarazzi. Le insicurezze si sono fatte piccole piccole perché le nostre mani, le nostre bocche, i nostri corpi, hanno dimostrato di saper parlare una lingua che neanche noi sapevamo di conoscere così bene, così potente da mettere a tacere ogni pensiero soffocante, in grado di trascendere ogni raziocinio e freno.
Potrei scommettere che le fronde degli alberi, fuori la finestra, stiano gocciolando in questo momento. Plin, plon. Piccole lacrime che rotolano sul dorso delle foglie per cadere con lentezza e scontrarsi così con la strada. Alcuni raggi di sole bagnano parte del pavimento vicino alla finestra. Altri accarezzano lo zigomo sinistro di Holden.
Lo fisso. Sorrido e lo fisso. Guardo i suoi occhi chiusi, le ciglia lunghissime che creano delle ombre sui suoi zigomi, il suo naso affilato, le sue labbra morbide e gentili, la sua pelle calda e soffice, i suoi capelli nerissimi che risaltano contro la federa bianca del cuscino e che gli ricadono disordinatamente sulla fronte, facendolo sembrare quasi un altro Holden. Un Holden più libero, più sfacciato, più disinibito. Il suo braccio è sui miei fianchi e mi tiene stretta a sé. Dorme tranquillo, ma la sua presa è ferrea, come se non volesse permettermi di allontanarmi da lui. Nemmeno di un centimetro.
È strano vedere i nostri corpi nudi esposti alla luce del sole. Vedere con chiarezza le linea delle sue spalle, le clavicole che sporgono, il suo pomo d'Adamo, l'accenno leggero di barba sulle sue guance magre, la leggera peluria che gli ricopre parte del petto e che scende sempre più in basso. Con l'indice prendo a sfiorare i suoi contorni: le sopracciglia setose e folte, il setto nasale dritto, gli zigomi sporgenti, il contorno della bocca. Picchietto delicatamente contro le sue lentiggini. Le conto e le memorizzo. Poi passo alle palpebre sottili e fragili e alle orecchie, in parte coperte da dei ciuffi di capelli, i lobi morbidi, le punte tonde e appena più rosse del resto. Voglio che ogni sua linea si incolli ai miei polpastrelli. Che si disegnino nel mio cervello così da poterle tracciare ovunque. Sui muri, sui quaderni, sugli scontrini, con un rossetto sugli specchi, anche con gli occhi bendati.
Se lui non avesse il sole dentro, probabilmente non avrebbe sconfitto il rischio che un corpo bello come il suo sfiorisse, dopo aver sentito riecheggiare dentro di sé la parola 'mostro' per così tanto tempo.
– Sei così bello, Holden. – dico. A lui. A me. Al sole che lo bacia.
Non so cosa provi esattamente in questo momento, mentre lo fisso. Cioè, so bene cosa stia provando. Ma è difficile da esprimere, da tirar fuori. Se penso al modo in cui mi abbia toccata mi sento prendere fuoco. Se penso a cosa abbiamo fatto, mi sento anche peggio. Di un 'peggio' bello, però. Siamo stati in grado di fare qualcosa di tremendamente potente. Ci vuole del potere magico, infatti, a creare quello che siamo riusciti a creare noi solo poche ore fa. Non lo avevamo mai fatto, ma a quanto pare non servono libretti delle istruzioni per certe cose. Abbiamo semplicemente ascoltato i nostri corpi. Ho semplicemente ascoltato il mio corpo. Non mi era mai successo così tanto di farlo, di dargli un'autonomia quasi slegata dal cervello. L'ultima volta che ero stata in grado di farlo coincise proprio un anno fa, la prima volta che ci baciammo. Che mi lasciai andare a quella sua bocca inesperta che stranamente era abile a farmi sentire speciale. Holden ha questo potere (uno dei tanti): è in grado di amarmi come lo farebbe un ragazzo più grande, con più esperienza. Deve essere un suo dato naturale: saper amare con il corpo nello stesso identico modo in cui lo fa già con lo spirito. In modo impacciato, ma anche abile. In modo lento, e per questo seducente e ammaliante. Mi ha chiamata 'strega' per un momento, ma è lui l'incantatore che mi ha stregata. Più e più volte. In più modi.
–Ti amo immensamente, Holden Morris. – mi avvicino al suo orecchio e glielo sussurro.
Non riesco a trattenermi e con le labbra gli bacio la guancia sfiorata dal sole. È calda e soffice. Un solo bacio, però. Probabilmente non mi fermerei più se continuassi.
Lui rimane fermo. O almeno lo rimane per qualcosa come dieci secondi. Poi gli angoli della sua bocca si tirano piano piano verso l'alto e il suo braccio mi tira così vicino a sé da far scontrare i nostri petti.
–Bastava anche solo il nome. – mantiene gli occhi chiusi. Poi, pian piano, li apre.
È bello veder scorgere l'ardesia delle sue iridi un poco alla volta. Un po' come il sole che pian piano trova il coraggio di fare capolino oltre la linea tracciata dall'orizzonte.
–Non è colpa mia se il tuo nome e il tuo cognome sono incredibilmente musicali insieme.
Si sistema meglio sul fianco. Lo faccio anch'io di riflesso. Prende a fissarmi dritto negli occhi. I suoi brillano e sono più vivi che mai. Mi guarda. Fa vagare le sue pupille nelle mie. Poi mi accarezza con la punta dell'indice le sopracciglia e mi tocca un punto imprecisato sulla fronte. Non sembra intenzionato a parlarmi. O almeno non con le labbra. Lo fa il suo sguardo. Mi dice, imitando il mio, che non gli sembra vero ciò che sia successo. Che non gli sembra vero che le nostre vite si siano sovrapposte in modo così sconvolgente.
Poi mi fa un piccolo sorriso, prima di far scontrare la sua bocca contro l'angolo della mia. Un leggero, piccolo, bacio.
–Tutto qui? – lo guardo negli occhi. – È questo il tuo buongiorno?
–Se continuassi, il 'buongiorno' potrebbe trasformarsi in 'buonanotte'. – sorride. Ha un sorriso diverso, questa mattina. Più malizioso.
–Perché no? Per quanto mi riguarda possiamo chiuderci in questa casa e non dare più notizie a nessuno.
Qualcosa gli attraversa lo sguardo. – Una scelta egoista, ma...
–Ehi... – provo a protestare.
–Ma tremendamente allettante. – mi interrompe, accorciando se possibile la distanza dei nostri corpi.
Sento il mio seno sfiorargli il petto, le nostre gambe intrecciarsi, le mie mani che finiscono nei suoi capelli.
–E allora facciamolo...– lo prego, quasi.
–Temo dovremo avere pazienza, mia dolce Kathleen. – dice, prima di baciarmi come si deve. Con una mano tira la coperta sopra le nostre teste, facendoci tornare al buio. In una bolla tutta nostra. –Lo facevo sempre da piccolo. La domenica mattina, prima di alzarmi dal letto, sollevavo la coperta e mi ci nascondevo dentro. – lo sento inspirare un punto imprecisato sotto il mio orecchio.
–Una piccola tana per un piccolo Holden. – dico, tenendolo fermo per la nuca.
–Il mio piccolo regno.
–Ora è il nostro.
–Può bastarti per il momento?
–Per il momento, Holden.
Ritorna a sovrastarmi con la sua figura elegante. Le sue mani si arpionano ai miei fianchi con la stessa sicurezza di questa notte. Mi bacia e mi dice che mi ama. Mi bacia e lo dice ancora. Mi bacia e lo sussurra. Diamo modo ai nostri corpi di giocare un altro po'. La sua pelle è profumata. Sa di buono e di casa. Le mie dita che scendono sulla sua schiena, il suo respiro contro la mia pelle. Si è svegliato da poco, ma il suo corpo ci ha messo pochi secondi a riattivarsi.
–Stai bene? – mi domanda. È almeno la centesima volta che lo fa.
–Mai stata meglio. – gli passo il pollice lungo il labbro inferiore.
–Sicura?
–Un po'... strana, – un po' diversa, un po' più grande, un po' più consapevole del mio corpo. – ma... mi sento in Paradiso. – confesso. – Tu?
–Credo che d'ora in poi Halloween sarà la mia festa preferita. – risponde, divertendomi.
Risolleviamo le coperte e torniamo a riempirci gli occhi della luce che filtra dalle fessure della tapparella. Gli poggio la testa sulla spalla, mentre il suo braccio mi cinge i fianchi.
–Sai che il trentuno ottobre è anche il giorno in cui nacque John Keats?
–Sul serio? – mi sollevo per guardarlo meglio.
–Sul serio. Forse ci ha benedetti lui.
–In nome della poesia e dell'amore. – sorrido.
–E della bellezza ultraterrena. – sospira.
–Credo che d'ora in poi potrei amare novembre un po' di più. – gli dico, dopo un po'.
–Non ti piace, vero?
Scuoto la testa.
–Non ne abbiamo mai parlato, ma... ricordo che l'anno scorso mi accennasti qualcosa. Cioè, eravamo in pausa... dopo il nostro primo bacio... e un giorno ti incontrai nei corridoi e... mi dicesti che non ti piaceva e... volevo farti delle domande, ma non... mi sembrò il caso. – fa più pause, come se non gli piacesse ricordare quel periodo.
La verità è che in tutti questi mesi ci siamo lasciati sommergere più dai ricordi belli.
–Io ricordo invece che mi mancavi terribilmente in quelle settimane.
Mi bacia la fronte. – Ti va di raccontarmi perché non ti piace novembre?
Prendo a tracciare con la punta dell'indice dei cerchietti sotto la sua clavicola, poi sospiro e annuisco. Gli racconto del divorzio dei miei. Di mio padre. Di come novembre mi ricordi soltanto di come lui non ci volesse nella sua vita. Di come, quel mese che sancì la libertà di mia mamma e mia dalla sua presenza spenta, sancì anche la sua di libertà. Una libertà da una famiglia che gli stava troppo stretta. Vorrei non pensarci. Vorrei far finta che non appena cominci questo mese tutto scorra nello stesso identico modo dei giorni precedenti, ma qualcosa nella mia testa scatta senza che ne abbia il controllo. Adesso, grazie a Holden, so che legato alla notte tra il trentuno ottobre e il primo novembre ci sarà sempre il ricordo del nostro amore, della nostra prima volta. Eppure, nonostante ciò, una parte di me ora sta parlando. Gli sta aprendo quel cassetto di calzini scomodi che bado bene di tenere chiuso a chiave ogni giorno.
–Non... ha mai provato a ricontattarti? – domanda, quando finisco. Con la mano prende ad accarezzarmi la schiena. Il suo palmo fa 'su e giù'.
–Solo una volta. Il mese successivo, a Natale. Telefonò per farmi gli auguri... o qualcosa di simile. In sottofondo c'era la voce di una donna che lo pregava di raggiungerlo, che si stava facendo tardi. Tardi non so nemmeno per cosa. Da allora... niente di niente. Nessun augurio al compleanno, nessun augurio per il diploma, o per... il college. Non sa nemmeno che sia una studentessa di Princeton. Che ho dimostrato al mondo intero di essere in gamba, di essere una che può conquistare il mondo con le sue sole forze. Ogni tanto ho paura che lo faccia, però
–Ne... hai paura?
–Sì. Ho paura che si ricordi di me per chissà quale strana ragione e che finga di interessarsi a me. Che di punto in bianco mi squilli il cellulare e che sullo schermo compaia un numero sconosciuto. Che risponda e che senta una voce, la sua. La mia mente la riconoscerebbe subito. E che lui cogliesse il mio momento di ingenuità per farmi le congratulazioni perché studi a Princeton. Probabilmente ho paura anche che mi chiederebbe di passargli la mamma, o che la chiami prima o dopo di me. Che le riporti alla memoria ricordi che spengano la sua felicità. – non mi ero nemmeno accorta di tenere questi pensieri chiusi dentro di me. Ora che li sto dicendo a voce alta, mi rendo pienamente conto che solo in questo momento in cui mi sento in pace con me stessa e serena, stia riuscendo a tirarli fuori.
–Potresti sempre chiudere la chiamata. Far finta di non averlo riconosciuto e chiedergli chi sia. Lasciare che trovi il coraggio di risponderti che dall'altra parte della linea ci sia lui, tuo padre, e immaginartelo mentre annaspa in cerca di quella sfrontatezza per dirti che proprio lui, probabilmente vigliaccamente ti direbbe il suo nome e non rimarcherebbe la sua posizione genitoriale, ti sta chiamando. Lo potresti mettere in difficoltà e poi riattaccare. Oppure...
–Oppure?
–Oppure potresti mantenere il cellulare incollato al tuo orecchio, guardare fisso di fronte a te, con il mento all'insù e le spalle aperte, e sbattergli in faccia la tua luce, Leen. Non c'è niente che faccia più paura alle persone buie della luce. È un po' come l'acqua santa per i demoni.
–E se non riuscissi a fare nessuna delle due cose?
–Beh... ti prenderesti il tuo tempo per infliggerti rimproveri che non meriti e poi troveresti la forza di contattarmi e di raccontarmi tutto. Io verrei e ti stringerei forte forte tra le mie braccia, proprio come adesso. – stringe la sua presa per rimarcare il concetto.
–Mi sembra una prospettiva molto bella. – gli confesso. Mi sento già meglio. Come se l'omino grigio che si affaccia dal mio cuore ogni primo giorno di questo mese si stesse facendo più piccolo.
–Lo sembra anche a me.
–E... tu? – gli chiedo. Non lo faccio mai. Non gli chiedo mai di aprire il suo cassetto 'impolverato', pieno di tenebre. Lascio sempre che sia lui a tirar fuori qualche calzino, ogni tanto.
–Io... – fa un lungo respiro. Vedo la sua pancia sollevarsi e poi tornare piatta. – sono certo che sarebbe qualcun altro a comporre il numero al posto suo. Probabilmente al centro di recupero gli avranno insegnato a non attaccarsi al collo di una bottiglia, in carcere avrà imparato a tenere a freno la sua violenza, ma... immagino che il suo cervello, così come la sua anima, siano irrecuperabili. Forse non ha imparato proprio nulla, invece, e quindi neanche si porrebbe il problema di telefonarci. So solo che se mai volesse tornare a varcare quel cerchio di sale che ho segnato attorno alla mia famiglia, potrei trasformarmi in un Holden di cui non sarei fiero. Di cui non lo sarebbe la mamma, o Phoebe. O tu. So solo che getterai il cellulare o il telefono fisso, con tanto di fili, se mai dovessi sentire di nuovo la sua voce.
Sollevo il mio viso e mi limito a baciarlo sulla guancia. Un bacio lunghissimo che spero gli faccia capire che anch'io ci sarei se lui avesse bisogno di me dopo un suo possibile ritorno. Holden è bravo con le parole, ne è un burattinaio, come ho pensato già una volta, e lascio perciò a lui il compito di usarle con maestria. Al mio contrario.
–Faremo di tutto per rendere novembre un mese così bello che lo amerai. – mi bacia la testa.
–So che sarà così. – sorrido, baciandogli il petto.
–Leen... – mi dice, dopo un po'.
–Mhm?
–Adesso come faremo?
–Intendi come raggiungeremo Portland? Dovrebbe esserci l'autobus e...
–No, intendo, come faremo a fingere di non volerci saltare addosso? O almeno... come farò io a colmare la mia fame di te? Sai, vero, che adesso sarà ancora più difficile poterti avere per me solo per pochi fuggevoli istanti? Cavoli, forse era meglio che questa notte ci fermassimo ai baci.
–Ah sì? Sicuro?
–Per niente.
Rido. – Oh beh, una volta Roxanne mi ha detto che potrebbe lasciarci la stanza libera se mai dovessi averne bisogno. – con l'indice e il medio prendo a fare piccoli passi sul suo petto.
– Interessante! E tu cosa le hai risposto?
–Beh... che non ce ne sarebbe stato bisogno perché avremmo trovato altri... luoghi per stare insieme.
–Pessima mossa, Leen. Speriamo non ci abbia creduto, perché non sarebbe affatto male intrufolarmi nel tuo dormitorio. Sfiderei ogni ira funesta solo per stare con te. – ha la voce divertita. –Magari spediamo Winona in camera con PJ, così da dare loro modo di imitarci...
–Non fare i conti senza l'oste! Devono prima innamorarsi quei due.
–Magari succederà... – intrappola le mie dita tra le sue e le avvicina alla bocca.
–O magari no!
–Che pessimista! – con una spinta si avventa su di me, baciandomi il collo e prendendo a farmi il solletico.
Me lo chiedo anch'io. Adesso come farò a non immaginare il suo viso accanto al mio ogni notte e ogni mattina? A rinunciare a contare le sue lentiggini e a non sentire il suo respiro profondo quando è immerso in un sonno senza incubi? A far finta che non abbia bisogno di sentire il suo corpo contro il mio? Come potrò riabituarmi al mio solito stile di vita?
–Vado a preparare la colazione, okay? Esco un momento per comprare un paio di cose, poi torno e cucino io, d'accordo? – mi guarda.
–Devi proprio andartene? – faccio il labbruccio, sperando di intenerirlo.
–Ho voglia di farti vedere che pasticcere provetto io sia, così da farti innamorare ancora di più di me. – mi fa un occhiolino, sollevandosi da me.
–Innamorarmi ancora di più di te?
–Impossibile, lo so! Ma voglio sfoderare tutti gli assi che nascondono le maniche delle mie meravigliose camicie.
–Vabbè! – mi arrendo. – Ma prima potremmo farci la doccia... insieme... magari. E magari ti potrei fare anche la barba. – è il mio momento di sfoderare i miei assi nella manica.
Questa notte volevo che fosse tutto buio. Avevo paura che mi vedesse... troppo. Ora, invece, mi sento completamente libera con lui.
–La... doccia? Insieme? – perde la sua sicurezza.
–Ah ha... – mi avvicino al mio viso.
–Che strega che sei, Kathleen Foster!
–Bastava anche solo il nome! – mi metto a ridere.
***
Mi concedo di riaccendere il cellulare solo quando Holden è a fare la spesa e in lavatrice ci sono le lenzuola e le coperte che abbiamo usato questa notte insieme agli asciugamani e la tovaglia.
I miei occhi si allargano un messaggio alla volta.
"PJ si è presentato alla festa di Kevin il fattone vestito da niente di meno che da Edgar Allan Poe! Abbiamo ballato un paio di lenti. Non farti illusioni: ho accettato solo perché ero libera!" – Roxy allega un autoscatto che ritrae lei e PJ vicini. Alla fine, ha accentuato il suo pallore e si è vestita realmente da Winona Ryder. O meglio, da Lydia, il personaggio interpretato dalla Ryder in Beetlejuice. In effetti non cambia molto il suo stile halloweeniano da quello che ha il resto dei giorni, ma riconosco subito il trucco che mi fa immediatamente scoppiare a ridere. Leggo la didascalia più volte, accertandomi di aver capito bene. Lei e il coinquilino di Holden hanno ballato un paio di lenti. Urca!
"Allora cosa ci racconta la nostra fuggitiva? Notte delle streghe o notte del Nirvana? P.S: Io e Tay potremmo aver litigato questa notte... Forse la nostra storia è al capolinea..." – Pam mi ha inviato questo messaggio alle cinque del mattino. Sgrano gli occhi, sentendo un crampo alla pancia. Sicuramente sta esagerando: come può pensare che la sua storia con Taylor sia al capolinea dopo solo un litigio? E poi, quando è successo esattamente? Fino a ieri sera sembrava che andasse tutto bene.
"Vabbè, sono costretto a confessarlo: ci hai preso, Fosty!" mi torna il sorriso quando guardo la foto che mi ha inviato Andy. Stringe tra le mani due bacchette di legno che ha incrociato a mo' di 'X' davanti al petto. Imogen e Daniel fanno una linguaccia alle sue spalle. Riconosco in Imogen una giovane Britney Spears in "Baby one more time" e in Daniel un vampiro, con tanto di cipria bianca e lenti a contatto rosse. Andy, invece, ha truccato il suo viso come uno scheletro. Nella foto ha gli occhi sgranati e un'espressione decisamente inquietante.
Mentre la lavatrice brontola alle mie spalle, mi affretto a rispondere a tutti.
"Perché non devo farmi illusioni? Se avessi davvero voluto che non me ne facessi non avresti dovuto scrivermi che hai ballato DUE lenti con lui, né tantomeno mi avresti mandato una vostra foto! Avresti dovuto travestirti da Pinocchio, non da Lydia." – allego un faccino che fa la linguaccia.
"Ci vediamo fra poco nella mia camera a Portland, okay? Tu e Chas tenetemi aggiornate su quando arriverete. Per il resto, cerca di mantenere la calma! Oggi recuperiamo un po' di tempo perso...!" – allego un cuoricino.
Mi domando per un momento se anche Pam e Chas non mi abbiano nascosto qualcosa in questi mesi. Se per caso anche loro abbiano edulcorato le loro realtà. O se magari non sia stata io, troppo concentrata su me stessa, più di quanto me ne accorgessi, a notare solo il bello delle loro nuove vite.
"Non avevo dubbi: io ci prendo sempre, Orso Andy! Comunque, siete tutte e tre stupendi! Adoro il trucco di Jenny!" allego il faccino con gli occhi a cuoricino.
Poi rimetto il cellulare in tasca e torno a vestire i panni di Cenerentola.
Holden arriva qualcosa come venti minuti dopo. Urla un "Sono a casa!" che mi fa sorridere. Distrattamente poggia una busta sul tavolo e si mette ai fornelli, fischiettando. È felice e sembra volare ad ogni passo. Sapere che sia io l'artefice di tanta felicità mi fa gongolare, mi fa sentire speciale. Ma mi fa anche paura. Mi dimostra, se non lo avessi già capito, che ho tra le mie mani anche il suo cuore, che io abbia potere sul suo stato d'animo, e che sia solo mia cura fare in modo che il laccio che ci tiene legati sia sempre ben saldo.
Cucina dei pancakes e delle crepes francesi, per rimanere in tema 'film', mi dice, poi versa in delle ciotole dello yogurt alla frutta in cui versa dei mirtilli. Ha comprato anche del succo d'arancia, dei cornetti freschi e dei biscotti al cioccolato. Gli domando come faremo a mangiare tutta questa roba, ma lui scaccia la mia perplessità con un gesto della mano.
Mangiamo guardandoci negli occhi. Mi racconta altri aneddoti delle sue giornate felici con sua mamma e con Phoebe. Pare che sia stata proprio Juliet a insegnargli a cucinare e a fare dolci. Il sapore delicato di ciò che ha preparato mi dà la dimostrazione che lei sia stata una brava maestra. Riesce nel suo intento: stringe tra le sue dita, in una presa ancora più forte, i pezzi del mio cuore.
Poi mi chiede di raccontargli qualcosa di me che lui non sappia già e allora gli dico che non sono brava a tagliare la buccia della frutta, delle mele soprattutto, che quando ero piccola mi piaceva morsicchiare l'angolo dei tovaglioli di stoffa che si trovavano nel cassetto della cucina, e che odio l'odore dell'arancia mentre mangio qualcosa di salato. Non appena la palla passa a lui mi dice che odia il sapore delle noci, che ha imparato ad andare in bici senza rotelle a otto anni e che sul palmo della mano sinistra ha una piccola cicatrice, bianca come la sua pelle e quindi quasi impercettibile, che ha in comune con Malia e con Taylor, in ricordo di un una specie di 'legame di sangue' che strinsero da piccoli tagliandosi con un sasso. Un'idea di Malia, aggiunge.
Quando finiamo di spazzolare tutto, o quasi, riordiniamo anche la cucina e il bagno, spolveriamo e pieghiamo le lenzuola e le coperte, rendendo questo posto più pulito di come lo avessimo trovato. Poi, diamo il saluto ufficiale a queste pareti, a questo nido che è stato testimone discreto di un momento così prezioso che custodiremo sempre nei nostri cuori. Mi sfugge un 'addio' che Holden provvede a correggere con un 'arrivederci'.
Passeggiamo mano nella mano, beandoci dell'aria fresca che regala l'autunno. In cielo è tornato il sereno: qua e là sono disseminate poche nuvole che pian piano si lasciano trascinare via dal soffio di vento che smuove anche le nostre sciarpe e i nostri capelli. Mi ritrovo a pensare che sia successo tutto di proposito: la pioggia che ha rallentato i nostri passi e che ha stravolto i nostri piani proprio come le sirene che rallentano i marinai, ha cessato proprio al mattino, come se, furbetta, volesse non perdersi la nostra prima volta.
Questa volta badiamo bene di arrivare alla fermata dell'autobus con dieci minuti di anticipo dall'orario previsto. Quando arriva, ci accaparriamo i posti davanti, così da avere il paesaggio di questa piccola area vacanziera dritto di fronte ai nostri occhi. Poggio la testa sulla sua spalla, mentre lui mi chiede se voglia ascoltare un po' di musica. Rifiuto perché voglio ascoltare la sua voce. Voglio godere di ogni minuto in sua compagnia perché so che sarà difficile riaverlo di nuovo tutto per me d'ora in avanti.
–Il piano è che ti riaccompagni a casa, saluti Jane da bravo fidanzato modello e poi voli dalla mia Phoebe, giusto? Poi ovviamente dovrai venire a salutarla anche tu e dobbiamo salutare tua nonna, a tutti i costi.
–Tutto giusto! Devo volare a casa, non far capire a mamma che non sia più sacrificabile in un rito azteco, recuperare un po' di tempo con Pam e con Chas e... a proposito, hai saputo di Pam e Taylor? – mi volto a guardarlo.
–Oh sì, Tay mi ha scritto che è parecchio giù di corda perché ha litigato con Pamela.
–Pam ha parlato addirittura di relazione al capolinea... – faccio una smorfia.
Holden sgrana gli occhi. – Tay non credo sia dello stesso avviso. È un litigio, nulla di più... giusto? – mi fissa negli occhi.
Faccio spallucce. – Credo di sì. Dipende dal tipo di litigio... – abbasso gli occhi.
–Beh, speriamo che si risolva tutto. – mi stringe la mano. – A proposito... hai parlato di sacrifici e riti aztechi, oppure ho capito male io? – corruccia la fronte, sistemandosi gli occhiali.
–Hai capito bene! Hai presente gli antichi riti delle tribù che credevano nella natura, negli spiriti e cose così?
Annuisce, con le sopracciglia ancora aggrottate.
–Beh... prediligevano un certo tipo di persone, di donne, per i loro sacrifici...
–Oh! – allarga gli occhi, come se di colpo gli si fosse accesa in testa una lampadina.
Poi si lascia andare a una risata. – Immagino che tua mamma non la prenderebbe benissimo se sapesse che tu... non sia più sacrificabile. – si morde le labbra, ora preoccupato. – Certo, non credo che neanche la mia mi lascerebbe in pace... mi immagino già la sua faccia.
–Darebbe i numeri.
–Non diciamolo a nessuna mamma, chiaro. Ma c'è una persona a cui lo dovremo dire per forza.
Ci guardiamo negli occhi, poi parliamo nello stesso momento. – Nonna Cecily!
***
La faccia che fa mia mamma non appena apre la porta di casa è qualcosa di impagabile. Rimane a bocca aperta per lunghi instanti, con gli occhi sgranati e alcuni ciuffi di capelli più ribelli che è costretta a soffiare via dalla fronte.
Quando si riprende, mi stringe in un abbraccio da orso che mi stritola le costole e ogni osso possibile e immaginabile. Poi fa lo stesso con Holden. Lo stringe con così tanta forza che manca poco che lo sollevi da terra, seppur sia molto più bassa di lui. Bob la imita dopo qualche istante, raggiungendola alle sue spalle e guardandoci con aria stralunata.
–Ma che ci fate qui? State bene? E la festa di ieri sera? C'è qualcosa che non va? Siete stati... espulsi o qualcosa del genere? Vi hanno fatto del male? E come siete arrivati? – la mamma parla a raffica, ricordando molto la me che comincia a straparlare nei momenti di ansia.
–Niente del genere, Jane. – Holden ridacchia, chiaramente divertito. Forse ha pensato anche lui che ci assomigliamo molto io e lei. – Semplicemente era chiaro che a Le... a Kathleen mancaste molto e allora ho voluto organizzare questo viaggetto. – scrolla le spalle.
–Ne parliamo meglio dentro, okay? Intanto ci fai entrare, o non sono più accetta in questa casa? – scherzo.
La mamma si affretta a tirarci dentro, e a sfilarci gli zaini dalle spalle. Bob vola in cucina, mentre il mio Wolverine fa finalmente capolinea. Scende le scale che conducono al piano di sopra con il suo solito modo di fare da diva, guardandomi dritto negli occhi. È il solito pacioccone, eppure mi sembra più magro. Forse avrà perso ancora un altro chilo. Quando mi è vicino, mi annusa con circospezione le scarpe e le caviglie quasi per accertarsi che non sia un fantasma o una sosia della sua Kat. Questione di poco e mi salta addosso. Lo stringo immediatamente al mio petto, beandomi del suo corpicino morbido e peluchoso. Lo abbraccio, volteggio e gli riempio la testolina di baci sotto i suoi soffi da gattaccio scorbutico.
Bob si affretta a portarci dei bicchieri di succo d'arancia accompagnati a dei biscottini di Halloween che immagino siano avanzati da ieri. In casa, mi accorgo dopo uno sguardo più attento, c'è qualche ragnatela finta appesa qua e là e un cestello a forma di zucca, quasi vuoto, appoggiato sul mobiletto vicino all'ingresso. Mi riporta alla memoria gli Halloween di quando ero bambina. La mamma che mi truccava il visino con impegno e che mi aggiustava il costumino che il più delle volte mi cuciva lei, insieme alla nonna. Mi prendeva per mano e mi accompagnava a fare 'dolcetto o scherzetto' alle case del quartiere, aiutandomi a portare i numerosi secchielli pieni di dolci che sgranocchiavamo davanti a un film la sera. Era tenera con me. Lo è sempre stata.
Mi ritrovo a stringere le labbra e a tirare su con il naso. È passato così poco tempo da che mi sia allontanata da questa casa e dalla mia città, eppure sembra un'eternità.
Sgranocchiamo qualche biscotto, poi ci accodiamo sul divano e lasciamo che la mamma ci sommerga di domande sotto gli occhi divertiti di Bob che passa la mano destra sulla schiena di Wolverine, completamente alla sua mercé. Ci fa una ramanzina sul fatto di aver preso un aereo e così tanti mezzi senza dirle nulla, ma non indaga troppo su quando siamo arrivati e su come potremmo aver passato la notte. Vuole restituire i soldi a Holden quando le dico che ha usato buona parte dei suoi risparmi per questo viaggio, ma lui insiste nel rifiutare, dicendole che fa tutto parte del prendersi cura di me e che ne è onorato. La mamma lo guarda incantata per almeno due minuti, poi lui si schiarisce la voce, imbarazzato, e si congeda per andare a salutare Juliet e Phoebe.
Quando anche Bob capisce che sia il caso di lasciarmi sola con la mamma, mi tolgo le scarpe, mi lascio avvolgere da una coperta di lana e poggio la testa sul suo grembo, come se avessi ancora sei anni e avessi semplicemente deciso di non andare a scuola per qualche giorno. Mentre mi passa le dita tra i capelli, le racconto tutto. Di come sia stato difficile adattarmi, di come a volte le abbia lasciato credere di essere più felice del reale, le descrivo nei dettagli Roxanne, Andy, Paige e Philippe. Le mostro alcune foto e le parlo del mio lavoro come dogsitter e del professor Morley, su cui si lascia scappare più di un sospiro.
–Tutto nella norma, quindi. – la sento ridere. – Quasi speravo di sentirti dire che agli inizi tu sia stata... com'è che ti ha definito la tua coinquilina dark? Come Artax nella Palude della Tristezza.
Sollevo il mento per guardarla meglio. – Ci speravi?
Lei mi prende le guance tra le dita e me le strizza.
–Non speravo che tu stessi male, tesoro, però speravo che ti saresti trovata a fronteggiare una nuova Kat. Una signorinella che ogni giorno diventa sempre più una giovane donna e che si scontra con i cambiamenti inevitabili della vita. Mi dispiace tu non sia stata completamente sincera con me, Kat, però... ti capisco. Capisco perché hai voluto far credere a tutti che le cose stessero andando bene e che tutto fosse sotto il tuo controllo. Lo sai che io non sono andata all'università, e che quindi ho sempre vissuto qui, a Portland, ma... tu sei il mio riflesso, tesoro. Un riflesso più bello, più intelligente e più in gamba, ma... se io avessi smantellato tutta la mia vita da un giorno all'altro, probabilmente avrei preso il primo aereo disponibile il giorno dopo. Tu, invece, sei lei da più di due mesi, hai trovato un nuovo lavoro, hai fatto chiaramente colpo su questo professore bellissimo e... a me sembra che tu sia stata così brava, invece. Capisco perché Holden ti abbia voluta portare qui, capisco ogni cosa. – mi tranquillizza.
–Però...? – continuo per lei.
–Non c'è nessun 'però'. – ribatte.
–Certo che c'è un 'però'. Discorsi del genere lo prevedono sempre. – la contraddico.
– E va bene, c'è un però. – sospira. – Il però è che voglio anche che impari a condividere con le persone che ti vogliono bene ogni emozione che provi. Essere sinceri sul proprio stato d'animo significa riconoscere anche quando qualcosa non va e quindi superarlo, un passo alla volta. Me l'hai detto anche tu un giorno: ogni montagna va scalata un pezzo di parete alla volta. Tenersi tutto dentro e pensare di poter risolvere tutto da soli non fa bene a nessuno. Capito? – mi schiaccia le guance.
–Capito. – biascico, quando mi lascia andare la faccia. – D'ora in avanti farò in modo di ricordarmelo.
–Brava la mia bimba! E poi hai Holden e quel professore così bello... di che ti lamenti? Quando sei giù, pensa a loro o a Wolverine e tutto ti passerà. – mi fa un occhiolino.
Mi metto a ridere, affondando il viso nel suo maglioncino profumato. Mi sento di nuovo al sicuro. Pronta più di quanto fossi agli inizi ad affrontare la lontananza che mi separa dalle persone con cui sono cresciuta e che amo.
– Mi sei mancata così tanto. – mi dice.
– Anche tu. Troppo.
Mi abbraccia, facendomi sentire davvero ancora una bambina piccola.
–Detto questo... – si schiarisce la voce dopo un po'. – dove avete passato la notte tu e il tuo Holden? – avvicina il suo viso al mio, al punto che i suoi occhi castani sembrano più grandi di tutto il resto. – Secondo me quella volpe voleva tenerti tutta per sé, altro che portarti da me per farti tornare le energie.
–Mamma... – mi lamento, cercando di liberarmi dalla sua presa. – Fra pochissimo verranno Pam e Chas, devo andare. Devo correre. Devo volare. – mi divincolo dal suo sguardo diabolico.
Quando mi lascia andare, mi blocca per il polso. – Ti lascio andare, ma... promettimi che sarete sempre responsabili tu e lui e che se mai sentirai di dover andare a fare qualche visita... che, anzi, dovrai sicuramente fare, e se avrai bisogno di qualche consiglio o qualcosa non dovesse andare... io... sono qui. – le si imporporano le gote.
Ha capito tutto. Forse. Credo. E ha capito, se non lo avesse ancora fatto, che Holden è davvero speciale.
Annuisco, scoccandole un bacio sulla guancia. – Sto bene, mamma e... magari gli aztechi potrebbero non trovarmi più utile... un giorno, dico, ma... sono felice. Holden mi rende felice.
È il suo momento di annuire. – Va bene... lo accetto. Più o meno. Sono costretta, lo so. – finge di asciugarsi una lacrima dall'angolo dell'occhio.
–E... tu e Bob? Com'è la vita da conviventi senza nessuna diciottenne paranoica e rompiscatole al seguito? Ieri sera avete festeggiato tu e il Dottor Sheperd? – muovo ritmicamente le sopracciglia.
Sgrana gli occhi. – Fila immediatamente in camera tua, prima che costringa Bob a fare un discorsetto al tuo fidanzato.
Scoppio a ridere, prendendo in braccio Wolverine e catapultandomi nella mia stanza due gradini alla volta. La trovo identica a prima che partissi. Lo stesso ordine che ho dato ai pupazzetti sul letto, le matite nella tazza sulla scrivania, il signor Shirley che rompe le scatole fuori dalla finestra. Mi butto sul letto e gioco con il mio gatto, sollevandolo e chiedendogli se gli sia mancata. Mi lecca la faccia e miagola, confermandomi che sì, gli sono decisamente mancata.
–Sai che ora lavoro con dei cani? Sono decisamente più simpatici di te.
Arriccia il musetto, ringhiandomi contro.
–Sto scherzando, Sir Wolverine. Ti voglio tanto bene, lo sai. Mi sei mancato. – lo accarezzo.
Riprende a farmi le fusa, facendomi sorridere.
Pam e Chas arrivano a casa mia un'ora dopo. Hanno un'aurea luminosa, Pam compresa. Chas ha i capelli più lunghi, gli occhi truccati e indossa degli stivali glicine in vernice che la fanno assomigliare a una di quelle fate di un cartone animato che guardavo sempre da piccola. Pam dall'altra parte è sempre impeccabile, con un sorriso che va da un orecchio all'altro, malgrado ciò che mi abbia scritto questa mattina. Ci abbracciamo per almeno tre minuti di fila, in silenzio, con gli occhi chiusi e i cuori che battono in sincrono. È Bob a spezzare il momento, portando altre bevande e degli snack che lascia sulla mia scrivania, poi si defila, salutandoci con la mano.
–Allora, cosa è... – comincio, ma Pam mi blocca con la mano.
Lei e Chas si tuffano sul mio letto, prendendo la coppa di patatine che ci ha portato Bob e fissandomi con i loro sguardi laser.
–'Allora' dobbiamo dirlo noi. Prima di tutto: è successo o no?
Chas mi guarda con gli occhi spalancati, portandosi alla bocca almeno quattro cornetti al formaggio.
Le lascio sul filo del rasoio per qualche secondo, facendo vagare le mie pupille contro le loro come in una partita a ping pong.
–Successo co...
–Non osare! – Pam mi punta l'indice contro.
Scoppio a ridere, poi annuisco, lasciando che dei capelli mi nascondano le guance rosse.
Entrambe cacciano degli urli di gioia così forti che giurerei che persino il signor Shirley abbia bloccato i suoi lavori per qualche secondo. Poi si avventano su di me, scompigliandomi i capelli e dandomi dei pizzichi sulle guance, come se fossero orgogliose di me, o qualcosa del genere.
–Dunque... secondo te Holden aveva previsto tutto? Oppure, tu avevi previsto tutto?
–Come è stato? Ti ha fatto male? Stai bene? – Chas mi prende per le spalle.
–Chas, non sono andati in guerra. Cosa sono queste domande! – la rimprovera Pam. – Dovresti chiederle se sia stato bravo a...
–Alt, una domanda alla volta. – le interrompo, incrociando le gambe e arrossendo – Holden non aveva previsto nulla e nemmeno io, ovviamente. Non siamo così strateghi. Volevamo tornare a Portland per ricaricare le pile in vista degli esami e della routine universitaria che si farà sempre più piena. O meglio, Holden voleva che... mi riprendessi. Ve l'ho già raccontato, no? Non avevamo previsto, però, la pioggia... e tutto il resto.
Annuiscono, facendo silenzio. Mantengono entrambe gli occhi sgranati, Chas ha gli angoli della bocca sporchi di polvere al formaggio.
So che non mi faranno altre domande, così continuo con il raccontare loro della nostra visita a Trillium Lake, del tempo felice che abbiamo trascorso insieme fino allo scoppiare della pioggia e il nostro perdere l'autobus. Del nostro arrivo nella casa di Taylor (quando lo nomino, Pam abbassa lo sguardo) e della cena con film francese al seguito.
–Okay, quindi vedere un bel francese slinguazzare una biondona in stile BB, ha scaldato l'atmosfera. – fa Chas.
–Qualcosa del genere. Cioè... non è stato il film a smuovere le acque. Abbiamo parlato di tante cose durante la cena, lui era così tenero, passiamo così poco tempo insieme all'università e io... sentivo una vocetta nuova dentro di me che mi diceva che volevo... farlo con lui, in quel momento.
Pam batte le mani, seguita da Chas.
–È stato bello, Kat? – fa Pam, con un sorriso dolcissimo.
–Come ogni ragazza dovrebbe viverlo. – sospiro. – È stato dolce, e gentile, ma anche passionale e... abbiamo ballato e mi ha detto che sono bella... e mi sento così bene. – ho le guance in fiamme.
Ridono, sfoderando altri urletti e dandomi spinte canzonatorie.
Poi passano alle domande più imbarazzanti. Ad alcune rispondo facendo larghi giri, altre sono abile ad evitarle. Non mi spingo troppo in là con le descrizioni. Mi imbarazza l'idea di descrivere nei dettagli momenti così intensi, però do loro modo di capire che il Nirvana è stato raggiunto eccome, da entrambe le parti e che... le mani di Holden siano belle come quelle delle statue rinascimentali, ma decisamente più... dinamiche.
–Sono così felice per te... per voi, Kat. – Pam mi prende le mani tra le sue. – Sapevamo tutti che era questione di poco e meritavate entrambi di vivere la vostra relazione anche su questo... versante. – mi si avvicina per darmi un bacio sulla guancia.
Ricambio il gesto, ringraziandola con gli occhi.
–Cavoli, e a me quando capiterà? – Chas si butta al mio fianco. La testa che affonda nel cuscino.
–Quando sarà il momento giusto! Tu e Tony vi vedrete prima del vostro ritorno a Yale? – appoggio la testa sulla sua pancia.
–Ovvio! Nel pomeriggio ci rivediamo. Non vedo l'ora di riabbracciare il mio orsetto caliente.
–Il tuo... cosa? – mi metto a ridere. – Cavoli, Chas, sembri un'altra.
–Ma va! Sono sempre la solita! Ho solo troppo zucchero nel sangue e due chili di troppo che ho messo sulle braccia. Tutta colpa di Tony. Non mi basta più vederlo in videochiamata, uffa! – piagnucola.
–Quindi l'orsetto caliente è ancora il vincitore del tuo cuore? Il ragazzo di architettura ci prova ancora?
–Meno! Due settimane fa Pam si è ubriacata ad una festa e gli ha detto che sono fidanzata con un ragazzo spagnolo molto geloso. Mi sono limitata ad annuire con la testa e a trascinarla poi via. Da allora, punta le sue attenzioni verso un'altra ragazza dai capelli rossi.
–Ubriacata? – mi volto verso Pam. È accoccolata ai piedi del mio letto, con Wolverine appollaiato sulle sue cosce.
–Già... ho esagerato con della birra che stavano servendo in un dormitorio poco lontano da giurisprudenza. – la luce di poco fa si spegne poco a poco.
–Ma... cosa succede? – mi riferisco a tutto.
Sospira, poi chiude gli occhi. – Succede che non riusciamo... non riesco a sopportare la distanza che mi separa da Taylor. Non mi bastano le telefonate, non mi bastano quei pochi minuti che ci concediamo il fine settimana. Non siamo come Tony e Chas. Noi... ci parliamo sempre di meno. Giorno dopo giorno mi sembra che la sua voce si faccia più lontana, che lui... diventi sempre più piccolo davanti ai miei occhi anche se nel mio cuore occupa sempre tanto spazio. Fa così tante cose, ne faccio così tante anche io... e mi sento così confusa. Sento di voler restare sola... ma anche di non riuscire a separarmi da lui. Poi ieri...
–Ieri? – le stringo la mano.
–Ho visto su Instagram alcune sue storie in cui era con un gruppo di amici, soprattutto... con una ragazza. Vedo che da settimane gli ronza attorno. Si sorridono sempre così tanto, in ogni video... in ogni foto. È come se lui non fosse più il mio Taylor, ma solo Taylor. Taylor e... basta. – la sua voce si affievolisce.
Poi restiamo in silenzio. Tutte e tre. È strana l'atmosfera che si è creata. Due prime volte che si scontrano. La mia e quella più triste di Pam. La prima volta in cui è scesa davvero a patti con la distanza fisica dal suo ragazzo e con la sua improvvisa voglia di stare sola.
–Da quando ti senti così?
–Da un po'. Il primo mese è stato okay, ma poi abbiamo iniziato a capirci sempre meno. La mia confraternita, la sua, il club di basket, le lezioni... mi sembra che sia passato un anno da quando non ci vediamo. A volte mi sembra che non gli manchi come lui manca a me. Ci vedremo fra qualche settimana, per il Ringraziamento, ma... ho paura di vederlo. Ho paura di come potrei reagire.
Chas non dice niente. Capisco subito che loro abbiano già affrontato più volte il discorso. Per un momento torno a sentirmi gelosa della loro vicinanza. Poi, però, mi riprendo. È il mio momento di confortarla.
–Pam... io sono una frana in queste cose, – comincio. – da una che si è chiusa come un riccio perché non riusciva nemmeno a presentarsi a qualcuno non ci si possono aspettare grandi consigli, ma... voi vi amate. Io lo so. Lo sai tu. Lo sa Taylor. Lo sanno tutti. E la distanza... è una carogna. Lo so perché anche se io e Holden andiamo entrambi a Princeton, lui mi sembra così lontano a volte. E quindi... non immagino come possiate stare tu e Chas, ma... l'amore vince su tutto, no? – la guardo.
–Forse nelle favole, Kat. Nella vita reale... è tutto così complicato. – Pam sembra più grande dell'ultima volta. Non nel corpo, o nel modo in cui sorride e scherza, ma... nel modo in cui il suo brio sembra essersi un po' più spento.
–Perché non ne parlate con calma? Ci sta litigare per qualche incomprensione... darebbe anche a me fastidio se qualche ragazza ronzasse attorno a Holden, ma... non potete mollare. Siamo solo agli inizi, tutto si risolve...
– E se non ci fosse nulla da risolvere? Se dovessero andare semplicemente così le cose?
– Certo che c'è qualcosa da risolvere. Voi vi amate così tanto e dovete solo trovare il modo di incontrarvi di nuovo, anche... se lontani.
Non risponde.
– Lo hai detto anche tu: voi ci siete sempre anche se noi tre non siamo più vicine fisicamente. Perché con Taylor è diverso? – insisto.
– Perché... tu sei la mia migliore amica, Kat, mentre lui... è il mio ragazzo. È diverso, noi...
– Sì, sono legami diversi, ma non puoi lasciare che la lontananza...
– Kat, tu non puoi capire, okay? Magari tu e Holden non vi sbaciucchiate tutte le ore del giorno, ma andate allo stesso college, okay?
Il tono che usa mi fa abbassare di colpo lo sguardo.
– Pam... – fa Chas.
– Ho esagerato, lo so. Scusami, Kat. – dice Pam. – Perdonami, non volevo essere così acida. So che non te la sei passata bene anche tu e che... – sospira. – sono solo un po' giù, ma mi passerà.
– Lo so, non preoccuparti. – abbozzo un sorriso.
– Non mi va più di parlarne. Ti va se riprendiamo il discorso un'altra volta? Oggi è il tuo giorno... il nostro. Dobbiamo festeggiare la nostra rimpatriata. – mi sorride.
La guardo. Da quando Pam è... così... diversa? Leggo nelle sue frasi consapevolezze che mi sono sconosciute. Come se lei avesse capito qualcosa che a me è ancora ignoto.
–Non mi stai nascondendo altro, vero? Non ti starai chiudendo in un bozzolo anche tu?
–No, Kat. Sei tu quella a cui dobbiamo sturare le orecchie perché hai dimenticato che siamo le tue migliori amiche. Ora che c'è quella fanatica di Billie Eilish ci hai rimpiazzate... – ridacchia, ma mantiene ancora gli occhi chiusi.
–Non vi ho rimpiazzate... – è la mia unica risposta.
Lei intreccia le nostre dita, riaprendo poi i suoi occhioni scuri.
–Comunque... abbiamo scoperto dove avessimo già visto il volto di una delle nuove amiche di Holden. Chas gliene parli tu?
–Chi? – mi sollevo, d'improvviso sorpresa.
–La biondona bella da paura di cui abbiamo parlato il primo giorno in radio di Holden.
–Oh sì, Violet Ingram. – rispondo.
–Ingram, giusto! Abbiamo capito di averla già vista in una foto che si trova in una bacheca del dipartimento di matematica.
Inarco un sopracciglio.
– Cioè, abbiamo trovato una foto di un uomo dal volto terribilmente simile a quello di Violet e abbiamo fatto due più due.
–E...?
– E abbiamo scoperto che suo padre è un noto professore di matematica della Yale. Abbiamo trovato il suo nome in alcuni libri di Brandon, uno dei ragazzi della mia confraternita che studia al dipartimento di matematica. Il professor Albert Ingram pare che sia un'eccellenza del settore, che presieda numerosi congressi e che sia ambito nell'ambito della ricerca. Della serie che se vincesse il Premio Nobel nessuno si meraviglierebbe. – spiega Chas.
È il mio momento di ascoltare tutto con gli occhi sgranati.
–E perché sua figlia non frequenta la Yale? – è la prima cosa che mi viene in mente.
–Immagino che non la frequenti per non essere additata come raccomandata, 'figlia di papà', e via dicendo. Sempre che ciò non succeda comunque a Princeton. Sicuramente suo padre sarà noto anche lì. Magari non tra le matricole, ma sicuramente tra i docenti e gli studenti più grandi.
–Ma dai... – dico, puntando lo sguardo sulle pellicine delle mie mani.
–Non vi parlate mai?
–Poco. – confesso. – A mensa ci sediamo spesso allo stesso tavolo, ma è difficile che ci parliamo direttamente io e lei. Parlo più con Patty Lou e con PJ, oltre che con Andy. Ogni tanto ci raggiungono anche Paige, Roxy e Philippe.
–Pff, hai visto che ci hai sostituito? – Pam mi dà una gomitata.
–Che vuoi farci, Pam. Il suo fidanzato è sulla via del Premio Nobel con un'amica come Violet, quindi necessita di una nuova compagnia. – scherza Chas.
–Verissimo, Chas. Sarà Holden a vincere il Nobel un giorno, altro che Albert sono un pomposo Ingram. Violet ho le gambe come Kate Moss Ingram sarà il mezzo per riuscirci.
–Il mezzo per riuscirci...
–Già! Beh, parliamo della festa di ieri, okay? Ho ricevuto un sacco di complimenti come Mia di La La Land.
Annuisco e sorrido, eppure qualcosa mi punge da dentro.
***
–Grande Giove! Tortorella, sei davvero tu?
–Nonna! – allungo l'ultima 'a', catapultandomi tra le sue braccia.
– Che fortuna averti trovata. Mamma mi ha detto che sei tornata giusto questa mattina da Salem!
– Verissimo, pulcino! Sono andata a una festa da paura ieri sera!
Mi stringe forte, avvolgendomi tra le sue stoffe colorate e il suo incantevole profumo. I capelli sale e pepe sempre corti e i suoi immancabili gioielli scintillanti che tintinnano. Sulla parete di fronte all'ingresso sono appese le immancabili lucine natalizie che fissa già da ottobre.
Mi accoglie nella sua casa, invitandomi a sedere sul suo divano. Sul tavolino di fronte ci sono due tazzine di caffè vuote, una brocca d'acqua e una ciotola di cioccolatini.
–Beh... e queste tazzine? Riunione con qualche amica del cuore? – accavallo le gambe e rubo una pralina alla nocciola.
–Ernest, bambina. – risponde, accomodandosi al mio fianco. – Gli ho concesso di farmi una visita. Nel mentre l'ho sfruttato per qualche complimento, per un mazzo di rose rosse e per vagliare il mio nuovo talento.
Penso subito che le due settimane 'di prova' con Ernest siano state abbondantemente superate e che, quindi forse, siano serie le cose tra loro due. Ma non dico niente. Arriverà il momento in cui ne parleremo.
–Nuovo talento? – mastico il cioccolato.
–Lettrice di fondi di caffè, Leen. I tarocchi appartengono al passato, ormai. – calca il concetto, smuovendo la mano.
–Wow! – è l'unica cosa che riesco a dirle. È sempre la solita!
–Dopo te lo farai leggere anche tu, ma prima... perché sei qui? Problemi all'università da ricconi? Guarda che se il nuovo preside è un altro corrotto, questa volta non mi fermerai dal dargli un pugno sul muso.
La nonna non sembra troppo sorpresa che abbia deciso insieme a Holden di svignarmela. Di fare una fuga dalla mia nuova vita anche se l'abbia assaporata così poco. Sembra, proprio come la mamma, che se lo aspettasse, quasi. Che è anche per lei sia normale la mia reazione.
Rido. – Il rettore non è un corrotto, nonna. O almeno che io sappia. Sono qui perché Holden ha organizzato una gita a Trillium Lake, il lago che dista poco da Portland. Mi ha vista un po' giù ultimamente e quindi voleva farmi tornare il buon umore. – riassumo.
Gli occhi della nonna si illuminano. – Il mio Holden è qui? Brutto disgraziato... non è passato nemmeno a trovarmi, ingrato di un ragazzino... – prende a scuotere la testa.
–Calma, nonna! Mi ha detto di dirti che ti raggiungerà fra poco. L'ho lasciato poco minuti fa tra le braccia di Phoebe e di Juliet che, a proposito, mi ha detto che tu e la signora Rosalia vi date il cambio come babysitter.
Sospira. – Bene, altrimenti peggio per lui! E per Phoebe, sì, ho preso il tuo posto. Ora che è una chiacchierona, andiamo d'accordo e posso viziarla come facevo con te. Ma... bando alle ciance, capirai da te che ora voglio ascoltare... tutto. – poggia il mento sulla mano.
–Tutto? – prendo a giochicchiare con la carta del mio cioccolatino.
–Perché eri giù di morale? Da quanto siete a Portland? Cosa è successo... al lago... – stringe gli occhi.
–Okay, dunque... – parto dalla cosa più facile. Le racconto della mia immobilità, del mio involucro, della mia polvere.
–Tua mamma ti ha già fatto la predica su quanto sia sbagliato ciò che hai fatto?
Annuisco.
–Holden? E le tue amiche?
Annuisco di nuovo, intimidita.
–Bene, allora non c'è bisogno che te la faccia anch'io.
– Davvero?
– Certo! Sei delusa?
– Un po'. Volevo ascoltare qualche tua perla di saggezza... – scrollo le spalle.
– Mh, se proprio insisti. Dunque, ti posso dire che sta sempre tutto qui: devi volerti più bene, tortorella. E con 'volerti più bene' intendo che devi smuovere quelle belle ali da farfalla che ti ritrovi e farlo così forte da creare un vento capace di spazzare ogni ombra, anche quelle che crea la tua testolina. Holden è il tuo fedele cavaliere. Non devi costruire una torre contro di lui, ma dovete combattere insieme su due bei cavalli, rigorosamente arabi e neri, per distruggere ogni drago. Poi magari cerca di farlo anche con qualcun altro, con qualche amica, con chi ti vuole bene. Ogni tanto va bene tenersi qualcosa per sé, ma mai bisogna lasciare che la solitudine e la tristezza ci mangino. Non ne hai voluto parlare con Holden e con nessuno perché pensavi di... contagiarli?
–Qualcosa del genere.
–Questo ti fa onore, tortorella. La Leen di qualche mese fa non si rendeva nemmeno conto di ferire Holden con le sue parole e ora invece ti preoccupi così tanto da tenerti fin troppe cose dentro. Ma, attenta a riflettere su ciò che è bene tirar fuori e ciò che invece è giusto condividere, perché altrimenti potresti sortire l'effetto opposto a quello desiderato: ferire chi ti vuole bene e creare delle fratture pericolose. Di quelle invisibili... che spuntano quando meno te ne accorgi.
–E come si fa a capirlo?
– Contando almeno fino a venti. Quando c'è qualcosa che vuoi tenerti per te, pensa: mi farà davvero bene? Farà davvero bene a Holden, oppure lo farà soffrire? E se lo farà soffrire, lo farà in modo più accettabile rispetto a come lo farebbe tenerlo fuori dai miei pensieri più bui?
– Sembra difficile...
–Il trucco è non avere paura di sbagliare, Leen.
–Quindi per non sbagliare, non devo avere paura di sbagliare? – corruccio la fronte.
–Esatto, tortorella. Sbaglia, commetti errori, rimedia, accetta gli errori di chi ama se sono perdonabili e impara.
–Non è giusto, tu sei così saggia!
–Io sono vecchia, bambina. È normale che sia più saggia di te. Ma io sono qui per questo: guidarti sulla buona strada. – mi fa un occhiolino.
–Ma tu sei giovane, nonna. Hai solo trentacinque anni, no? – ammicco.
–Quest'anno trentasei. – mi dà un pizzico.
Sorrido. – Sono un cavaliere anch'io, nonna?
–Dall'armatura più scintillante, Leen. – mi tocca la punta del naso. – Ora stai meglio? Hai fatto amicizia?
–Sto molto meglio! E sì, ho fatto amicizia e ho un nuovo lavoro. Faccio la dogsitter e ho un professore troppo affascinante.
–Benissimo, tortorella. Più tardi vorrò vedere i volti di queste tue nuove compagnie. Devo leggere un po' di persone. Ma, adesso... – un sorrisetto furbetto prende a incresparle la bocca. –... è arrivato il momento che più attendevo: il mio Holden ti ha portata direttamente a casa di tua mamma? – prende a sbattere le ciglia velocemente, civettuola.
Mi aggiusto meglio sul divano. – Beh, no, siamo andati al lago e...
– Ha piovuto, vero? Ieri sera, prima di andare alla festa in maschera di Tessa, ho visto il meteo dopo il telegiornale e dava pioggia nei paesi vicini alla nostra città.
–Giusto, ha piovuto.
–E dove avete riparato le vostre adorabili testoline tu e il mio bambino?
–Nonna...
–Parla tortorella, oppure sarò costretta a dire a tua mamma cose che voi umani non potreste immaginarvi...
–Ora ti metti a citare Blade Runner? E poi non ho mai fatto cose che voi... cioè noi umani...
–Non tergiversare. – si acciglia.
–Okay okay. Io e Holden abbiamo passato la notte alla casa al lago di Taylor, il suo migliore amico, va bene.
–E...?
–E... potremmo per la prima volta aver... potrebbe essere successo qualcosa... di più profondo di... un bacio. Sì, sai, i riti aztechi... loro non mi chiamerebbero più... così come i maya, credo e... – biascico.
– Oddio, sì! – urla, alzandosi in piedi e mettendosi a saltellare. Poi si sente qualcosa scricchiolare, si porta allora la mano al ginocchio e torna a sedersi.
– Immaginavo vi sareste divertiti molto di più e molto prima. Per esempio, il primo giorno di college per festeggiare il taglio ufficiale dal cordone ombelicale. O almeno, con un ragazzo attraente come Holden, io avrei fatto così, ma mi hai detto di aver fatto la mummia per due mesi e quindi ieri notte era il momento perfetto! È stato il destino a tessere la sua tela, tortorella. Vi siete divertiti, non è vero? – finge di non essersi slogata qualcosa. – Holden è stato bravo? Grande Giove, immagino le sue mani marmoree, le sue braccia forti, i suoi occhi argentati e... – batte i piedi per terra, apparendo più come una ragazzina al concerto del suo idolo che una nonna davanti a sua nipote.
–Nonna! – la riprendo, sentendo le orecchie fischiare.
–Non fare la finta tonta! Avete usato le giuste precauzioni, vero?
–Sì, nonna... Holden mi ha ricordato della tua promessa di non farti diventare bisnonna troppo presto.
–Com'è intelligente il mio bambino! – le si fanno gli occhi lucidi. – Allora, avanti, com'è stato?
–Devo proprio risponderti? Cavoli, sei mia nonna...
–E chissenefrega! Avanti!
Sospiro. – È stato bello, okay? Bellissimo. Superlativo. Holden... è stato dolce, amorevole, delicato e mi ha fatto sentire bellissima. Mi ha fatto sentire... più grande, più... speciale. – mi arrendo, sorridendo.
La nonna ridimensiona il suo sorriso da groupie, prendendomi le mani tra le sue.
–Sono così contenta che tu abbia avuto una prima volta da sogno, bambina, e che tu l'abbia avuta... con Holden. Lui è un così caro ragazzo e ti ama così tanto e ti rispetta e... – sembra sul punto di piangere. Sospira e si ferma. – A prescindere da dove vi condurranno le vostre strade, avrai sempre un bellissimo ricordo di un momento così importante. E i ricordi nessuno te li potrà mai portare via, ricordalo. – il suo sguardo è dolce come miele.
–Beh... immagino che ne costruiremo tanti altri di ricordi belli insieme, no? Le nostre strade sono intrecciate, no? – le sorrido.
La nonna abbassa per un momento lo sguardo, poi mi dà un colpetto sulla mano, sorride di rimando e annuisce.
–Ovviamente bambina, altrimenti io che ci sono a fare! Allora... ti ha dato dei bei baci? Ti ha fatto venire la pelle d'oca dietro la nuca e ti ha fatto arricciare tutte le dita? – torna alla carica.
–Nonna...
–Vabbè, ho capito. Chiederò direttamente a lui! Tanto lo so che ti ha fatto toccare il cielo con un dito. Il mio Holden è troppo affascinante per non essere un amante da urlo. Dunque, hai delle tracce fotografiche della nuova gente che hai conosciuto?
–Certo! – accetto subito il cambio di discorso. Preferisco di gran lunga che faccia il terzo grado a Holden, anche se già mi immagino la sua faccia imbarazzata. – Per il professor Morley dovrò prendere la foto che c'è sul sito del dipartimento, non gliene ho mai scattata una. – sfilo il cellulare dalla tasca.
La nonna allarga con le sue dita lo schermo del telefono. Lo fa goffamente, finendo per allargare una narice del naso di Morley. Mi metto a ridere, aiutandola a osservare nei dettagli il volto del mio professore.
–Urca, quanto è affascinante! È identico ad Andreas Palomo della seconda stagione di "Anche le rose più belle hanno le spine". Holden è geloso che lo guardi sempre?
–Non lo guardo sempre!
–Certo che lo guardi sempre! Come biasimarti, Leen. E fallo sapere a Holden, mi raccomando! Un po' di gelosia è il sale di ogni relazione. – strizza l'occhio. – Infatti, a Ernest ho parlato di un nuovo pretendente che si chiama Andreas. Ovviamente non esiste. Attenzione alle dosi, però. Troppa gelosia potrebbe far male. – mi sventola il dito contro.
Mi lascio andare ad altre risate, mostrandole Roxy che la nonna descrive come una "donna vampiro" pericolosa, ma dallo sguardo buono, Paige a cui dice che è bellissima come Monica Ortega, e Philippe.
–Che bei riccioli che ha. Assomiglia a un cherubino, ma anche a un'acciuga. È simpatico?
–Più di quel che sembri. Gli piacciono i ragazzi alla Henry Cavill, quell'attore di Superman per cui impazzisci anche tu.
–Oh sì, che figgy... figgo quello lì! Ha ottimi gusti il ragazzo, mi piace. Ed è l'unico ragazzo che fa parte della tua nuova compagnia?
–Oh no, c'è anche Andrew... Andy. Frequenta lettere come me ed è uno dei miei colleghi di lavoro al canile. È lui che mi ha aiutata a trovare il posto ed è lui il primo con cui mi sia sbloccata in amicizia. In più frequenta il club di disegno come me. Ha dei tatuaggi bellissimi sulle dita e suona la batteria, sai?
– Mhm. – mi guarda.
– Che significa 'mhm'?
–Che devo assolutamente vederlo! – si sistema meglio sul divano.
Le mostro allora una delle foto che ci scattarono alla nostra prima festa universitaria. La nonna stringe il telefono e se lo avvicina agli occhi. Poi si alza in piedi.
–Dove vai?
Si avvicina al mobiletto dove conserva il servizio da tè e caccia fuori da una zuccheriera vuota due custodie per occhiali. Estrae da entrambe un paio di montature che inforca subito sugli occhi, una sopra l'altra.
–Grande Giove! – sussurra.
–Beh? Addirittura due paia di occhiali?
Mette una mano sul fianco e lo osserva attentamente, con gli occhi ridotti a due fessure per non perdersi alcun dettaglio.
–Andrew... – ripete.
–È il suo nome... c'è qualche problema? Non dirmi che lo conosci... – inarco un sopracciglio.
Annuisce tra sé e sé, allargando lo schermo di tanto in tanto.
–È bello, Leen. – riprende, dopo un po'. – Ma anche... difficile da leggere.
–Difficile?
–Ha occhi cupi, di quelli che ingoiano tutto, luna e stelle. E ha addosso una strana luce... – muove la mano libera davanti a sé. – una luce tagliente, pericolosa... ma anche... buona. Avverto strane energie. Fuoco nelle vene, tristezza, ribellione. – torna a sedersi al mio fianco. Si sfila gli occhiali e mi ridà il cellulare.
–Wow... e hai visto tutto questo in una foto?
La prendo in giro, ma so che la nonna ha questi strani poteri. Quasi magici. Forse lei è davvero una strega. O magari discende da qualche strega. Da una di quelle bruciate sul rogo fino a non troppi secoli fa. Se così fosse, lo sarei anch'io. Una strega senza troppi poteri, si intende. Ho forse solo quello di tenere Holden al mio fianco. Il più importante, in effetti.
– Siete amici voi due? – ignora la mia domanda.
–Sì, te l'ho detto.
La nonna fa silenzio. La guardo. Mi guarda anche lei.
–Ti sorride in quella foto.
–Sì, beh... eravamo ad una festa. Di solito alle feste si ride, nonna.
–Certo. – mantiene su il suo sguardo indagatore.
–Che c'è? Te ne sei innamorata? Tutta quella descrizione sugli occhi, la luna, la luce... pff! Guarda che è troppo giovane persino per una trentaseienne. – mi metto a ridere.
La nonna, però, rimane seria.
–Holden ha fatto nuove amicizie? – cambia discorso.
–Sì, tantissime. Fa parte di un gruppo molto coeso. Solo due ragazzi, Colin e Will, si vedono poco. Sai, sono i classici nullafacenti che si cullano sugli allori perché sanno di avere le spalle protette dai genitori.
–Ci sono ragazze?
–Due: Patty Lou... e Violet.
– Sono belle?
Annuisco. – Patty Lou sembra un'elfa, è molto carina. Violet è... bellissima. – mi mordo le labbra.
Riprende a fare silenzio, con lo sguardo sempre fisso nel mio. Poi si alza e si avvicina alla cucina.
–Ti verso un po' di caffè. Bevilo tutto, fino all'ultima goccia.
Non mi lascia il tempo di risponderle che torna con una strana teiera tra le mani, insieme ad una tazzina e un piattino. Li posa sul tavolino. Poi versa il caffè, a cui aggiunge un cucchiaino di acqua.
–È caffè turco. Me l'ha regalato Fatos, la signora del baklava. – me lo passa.
–Posso metterci almeno lo zucchero? Io odio il caffè senza latte. Non è che hai il Nesquik?
–Bevilo, tortorella. – solleva il mento, incitandomi a trangugiare quella brodaglia nera come la notte che prende a fumarmi davanti al naso.
Sbuffo, poi mi tappo il naso e lo butto giù, un sorso alla volta. Proprio come bevo l'acqua quando mi viene il singhiozzo.
Sento il liquido caldo e amaro scorrermi nella gola, serpeggiare in ogni mio vicolo più interno e poi depositarsi nella mia pancia come catrame sugli scogli.
Non appena finisco, la nonna mi sfila la tazzina dalle mani in tutta fretta. Poi prende a fissarne il fondo. Lo scruta per secondi interminabili.
–Allora? Cosa si vede?
La nonna si rimette le due paia di occhiali e riprende a fissare la polvere di caffè depositata.
–Cos'è, hai visto il Gramo in stile Harry Potter? – rido.
–Grande Giove... – ripete ancora, questa volta preoccupata.
–Porca vacca, nonna, mi stai facendo agitare. Che c'è, vediamo? – mi avvicino e, prima che lei riesca ad allontanare la tazzina, noto una figura scura e strana. – Un momento, è... una pistola? – titubo.
–Pistola? – la nonna si affretta a versare dell'acqua nella tazzina. I grumi di polvere si disperdono, prendendo a galleggiare. – Ma va, tortorella dove vedi una pistola? Era una piuma, sì, una piuma.
–Ah, okay. E che significa? Nulla di preoccupante?
–Ma ti pare... – sorride, tranquillizzandomi. – è una piuma, perciò... significa leggerezza, morbidezza... cose belle, insomma. Ma, ora basta con queste sciocchezze, okay?
Continua a sorridermi, eppure qualcosa non mi convince.
A me sembrava proprio una pistola.
Ma dai, Kat, se ti dice che è una piuma è una piuma, no? Nonna Cecily se ne intende di queste cose! Giusto, girasoli? 😜
Innanzitutto, buonasera! Come state? Che mi raccontate di bello?
Un capitolo bello lungo e corposo, questo. Spero non vi abbia stancate... 🥲
A me è piaciuto scriverlo. Mi sono emozionata nella prima parte e mi sono divertita nell'ultima. Il risveglio post prima volta di Kat e Holden è stato un momento per me molto intenso che spero voi abbiate apprezzato, poi c'è stato il fulmineo ritorno a Portland, con parole sagge di Mamma Jane al seguito( e Wolverine, l'amore mio 🐱) e... tasto dolente: allarme rosso tra Pam e Tay 🚨 Pensate che sia solo un litigio naturale tra loro due? Ve lo aspettavate? Avete visto anche voi una Pam diversa? 👀
Infine... nonna Cecily. Porca vacca, quanto amo scrivere di questa donna! Vi mancava? A me tantissimo! Tuttavia, io l'ho vista un po' preoccupata... non so voi... 👀
Che dirvi, girasoli... vi anticipo che da adesso entreremo in una sorta di seconda parte della storia in cui personaggi che sono stati più in ombra potrebbero... emergere maggiormente... 🙃
Grazie di cuore per il modo in cui avete accolto lo scorso capitolo, sia qui, che in privato, su Instagram. Ogni vostro commento, ogni vostra emozione mi ha resa così felice. Sono stata così sollevata di apprendere che per voi sia stato tutto "giusto", che le descrizioni vi siano sembrate adatte e vi abbiano emozionate, e che insomma non vi abbia deluse. Sapete quanto creda nel rapporto che c'è tra me, la mia storia e voi 🥺❤️
Grazie ovviamente per ogni singola stellina che mi fa capire se il capitolo vi sia piaciuto e per ogni singolo commento! In generale, grazie per il vostro tempo
Il prossimo capitolo è in corso e spero perciò di non farvi attendere molto! Cosa vi aspettate che succederà d'ora in poi, tornando a Princeton? Sono, come sempre, tutta orecchie... 👀
Buona serata e un bacione,
Rob
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