Epilogo: Per aspera ad astra
EPILOGO
Per aspera ad astra
Fulgida stella, come tu lo sei
fermo foss'io, però non in solingo
splendore alto sospeso nella notte
con rimosse le palpebre in eterno
a sorvegliare come paziente
ed insonne Romito di natura
le mobili acque in loro puro ufficio
sacerdotale di lavacro intorno
ai lidi umani della terra, oppure
guardar la molle maschera di neve
quando appena coprì monti e pianure.
No, eppure sempre fermo, sempre senza
mutamento sul vago seno in fiore
dell'amor mio, come guanciale; sempre
sentirne il su e giù soave d'onda, sempre
desto in un dolce eccitamento
a udire sempre sempre il suo respiro
attenuato, e così viver sempre,
o se no, venir meno nella morte.
(Fulgida stella – John Keats)
La porta della camera si aprì con la stessa forza con cui si sarebbe aperta se un esercito di topolini vecchi e stanchi avesse provato a spingerla.
Creò un gioco di ombre sul pavimento bagnato dalla luce del sole che filtrava dalla finestra che si trovava poco lontano, coperta da una tenda bianca che svolazzava con delicatezza, portando con sé il profumo del bucato, di lavanda, e di qualcos'altro non facile da identificare.
Dei passettini si fecero sempre più veloci fino a quando non raggiunsero il letto. Il peso del corpo, per quanto modesto, fece tendere verso il basso il materasso, provocando dei lievi mugolii che fecero sgranare gli occhi del piccolo proprietario di quei passettini.
–Che succede? – bisbigliò una voce femminile. Era dolce e calda e rassicurante.
–Ho fatto un brutto sogno. Ho tanta paura.
–Vieni qui.
Le braccia della mamma si tesero verso il bambino, raccogliendoselo al petto e infilandolo sotto le coperte calde, tra il suo corpo e quelle del ragazzo al suo fianco. Lo abbracciò forte, poi gli baciò la testolina castana.
–Che cosa hai sognato? – gli chiese. Mantenne gli occhi chiusi, ancora più nel regno dei sogni, forse.
–C'era un mostro tutto nero con dei denti grandi grandi dalla forma paurosa.
–Ah sì? E cosa voleva da te? – gli accarezzò la fronte.
– Voleva rubarmi il pancino.
Una risatina fece tremare alcune ciocche dei capelli del bambino.
–Che ne dici se al mostro tutto nero mettessimo un paio di ali, e delle scarpette da ballerina? Potrebbe fare delle piroette e sorridere con i suoi dentoni a una folla di giornalisti che farebbe a gara per scattargli una fotografia.
Il bambino si immaginò la scena e la paura scomparve un poco alla volta. Sorrise, inspirando il profumo di buono del petto della sua mamma.
Poi il sorriso si tramutò in una risatina quando delle dita presero a fargli il solletico, e due mani forti lo trascinarono verso il basso, facendolo distendere sul letto, sotto due paia di occhi che lo guardavano divertiti. Un paio era castano, l'altro era grigio. Si incontrarono tra loro e poi con un cenno di intesa, il ragazzo e la ragazza gli si avventarono contro. Presero a fargli il solletico proprio sulla quella pancia che il mostro cattivo voleva rubargli. Poi il papà gli fece una pernacchia sul collo, facendo dimenare il bambino dall'evidente ilarità.
–E se al mostro mettessimo dei pattini? Di quelli che scivolano sul ghiaccio? – propose il piccolo. Alcune lettere pronunciate con più fatica.
Il ragazzo e la ragazza si guardarono negli occhi per qualche istante.
–E ti illudi ancora che possano piacergli i numeri? Ha preso tutto da me, mio caro.
–Oh, Leen, un giorno gli piaceranno, parola mia. Per ora mi accontento che abbia i miei stessi occhi.
I due genitori si sfidarono con gli sguardi, poi scoppiarono a ridere.
–Altri cinque minuti e poi si va a fare colazione, okay campione?
–Ma papà, io voglio stare con la mamma tutto il giorno. – il bimbo arricciò il nasino cosparso di lentiggini.
–E con me? – protestò il papà. Si era scoperto un genitore molto geloso dell'attenzione del suo bambino.
–Anche con te! Con la mamma e con te. – rispose con quella sua vocetta zuccherosa che mandava suo padre in cortocircuito.
–Ah, ecco. Mi stavo preoccupando! – il ragazzo lo prese tra le braccia e se lo portò al petto. – In ogni caso, oggi ti aspetta comunque una giornata bellissima, anche se sarai poco con mamma e papà. Ricapitoliamo: ora facciamo una colazione da campioni, poi ci laviamo i denti, ci pettiniamo, ci mettiamo un bel vestito e andiamo al parco. Facciamo una lunga passeggiata, giochiamo, e poi ti lasciamo con le nonne e con zia Phoebe così che poi vi vediate con i nonni e zio Jonathan. Che ne dici?
–Zia Phoebe. – ripeté il bambino, entusiasta all'idea di rivedere la sua zia preferita.
Poi la conversazione si chiuse con dei sorrisi. Si strinsero in un abbraccio di gruppo nel quale rimbombarono i battiti dei loro cuori, il loro amore, la loro felicità.
Dormicchiarono un altro po'. Kathleen fu la prima ad alzarsi. Gettò un'ultima occhiata su suo marito e sul piccolo Keith, tutte e due con gli occhi chiusi e l'aria serena. Si assomigliavano così tanto, pensò. Pensò anche che fosse bello potersi rispecchiare da ormai quattro anni in due paia di occhi grigi. Entrambi gentili e rassicuranti. Ma anche vivaci e intelligenti. Il loro bambino aveva decisamente preso il meglio da entrambi: era intelligente, comprensivo, sveglio, e affettuoso.
Andò in bagno, si preparò per la giornata e poi volò in cucina per preparare la colazione. Fuori dalla finestra si ergeva un sole caldo che avrebbe reso quel sabato luminoso e sereno. Fischiettò, osservando, tra una chiacchierata e l'altra con le amiche di una vita, l'anello di fidanzamento che troneggiava insieme alla fede sull'anulare della mano sinistra. Poi si concentrò su quello di plastica, con il cuoricino su cui si riflettevano lontane crepe, che le stringeva il dito medio.
Si aprì in un sorriso che le si allargò quando i suoi uomini entrarono in stanza. Keith era sulle spalle di Holden e giocava a essere un supereroe nello spazio. Suo padre lo incitava con versi buffi a credere in quel ruolo con tutta la sua energia. Poi lo fece sedere, legandogli il bavaglino attorno al collo e provvedendo ad accendere la tv sul canale dei cartoni animati che tanto piacevano al bambino. Il piccolo, infatti, si lasciò subito incantare dai suoni e dai colori che emanavano alcuni personaggi divertenti che avevano la forma di frutta.
Holden si avvicinò allora a sua moglie. Le baciò le labbra, ispirò il profumo di vaniglia che le era proprio e la aiutò a cucinare dei pancake e a preparare della spremuta. Fischiettava nel frattempo, sotto le occhiate divertite di Kathleen che fischiettava in risposta. Poi prese a fischiettare, seppur con maggiore difficoltà, anche Keith e tutto finì in risate e facce buffe.
Fecero colazione con calma, parlando del più e del meno. Spalmarono la crema al cioccolato sui pancake, sgranocchiarono dei biscotti, sorseggiarono la spremuta fresca. Holden raccontò della lezione sul sistema solare che aveva progettato peri i suoi bambini per il lunedì successivo. Avrebbe usato una lampadina, una sfera di polistirolo e uno stuzzicadenti per ricreare i due moti della Terra e l'asse solare. Potevano passare gli anni, ma in sé ci sarebbe sempre stata quella passione in grado di animarlo e di renderlo così splendente agli occhi di chi aveva la fortuna di averlo attorno. Kathleen concesse poi loro delle anticipazioni sul suo prossimo romanzo. Si sarebbe rivolto sempre ai suoi amati bambini, ma per la prima volta avrebbe provato a parlar loro dell'amore. Quello tra un cactus e un palloncino. Keith guardava i suoi genitori con evidente curiosità. Non afferrava ancora tutte le loro parole, però si sentiva felice come ogni bambino della sua età avrebbe meritato di essere. Era sereno. Tra i suoi balocchi, la sua libertà, l'amore infinito della sua mamma e del suo papà.
Un'ora dopo, pronta a volare in bagno per un ultimo tocco di rossetto, Kathleen si fermò davanti alla porta della cameretta del suo bambino. Era seduto sulle ginocchia di Holden, mentre lui gli raccontava una storia, quella di Peter e Fanny Leen.
–Ma quindi Fanny Leen vuole bene a Peter?
–Tanto bene, amore mio. Fanny Leen vuole tanto bene a Peter.
–E perché si allontana da lei?
–Perché doveva imparare a volersi lei stessa tanto bene.
–Papà?
–Sì?
–Tu vuoi tanto bene a mamma?
–Tanto, tanto, tanto. Io ne sono innamorato, Keith.
–Che significa irromonato?
Holden trattenne una risatina, così come fece Kathleen che continuò a osservarli in silenzio.
–Quando sarai più grande lo capirai. Per adesso fatti bastare che sei l'amore di papà e l'amore di mamma. – chiuse il libro, e sollevo il suo bambino tra le braccia. Lo guardò con gli occhi pieni di luce e poi se lo strinse al petto, cullandolo.
Kathleen sorrise, emozionata. Si sentiva così fortunata per ciò che la vita avesse deciso di regalarle.
Quando furono pronti per la passeggiata, Keith tornò sulle spalle del papà, mentre sua mamma si affrettò a prendere le ultime cose e a controllare che nella borsa che avrebbe dato a sua nonna per la notte non mancasse nulla. Sapeva quanto il suo bambino volesse avere tutto con sé per dormire con serenità e quanto casa di sua nonna, per quanto da sempre accogliente, avesse più tarocchi che balocchi. Presa la mano di Holden, furono fuori.
L'aria della loro Portland li avvolse, accompagnandoli fino a un parco che distava poco da quella che un tempo era stata la casa di Holden, nella quale adesso vivevano sua mamma, il suo nuovo compagno, e la giovane Phoebe, una studentessa all'ultimo di liceo, brillante e geniale.
Keith cominciò a scalpitare quando vide le sue amate altalene, così suo padre, non prima di avergli riempito il viso di baci e di avergli ricordato ancora una volta che fosse 'l'amore di papà', lo mise giù e lo guidò verso le sue amate giostrine. Mano nella mano, lui guardò il suo bambino, così simile alla sua Leen. Avevano lo stesso sguardo, curioso e avido. Avido di quei dettagli che occhi meno attenti non riuscivano ad afferrare, intrappolati nella loro cecità. Avevano lo stesso modo di piegare le labbra quando si aprivano in dei sorrisi. Lo stesso modo di toccarsi la fronte quando qualcosa li metteva in confusione.
Prima di farlo sedere su un'altalena lo prese ancora una volta in braccio. Era più forte di lui. Non poteva proprio non cedere alla tentazione di stringerlo tra le sue braccia, fare il pieno del suo profumo bambino, affondare con le labbra nella sua piccola guancia morbida e provare a infondergli tutto l'amore che gli era proprio e che da piccolo quello che doveva essere suo padre gli aveva negato.
Kathleen lo osservò. Li osservò. Sentì il suo cuore traboccare di una gioia che un giorno le avrebbe fatto esplodere il cuore nel petto. Lo sapeva. Il suo cuore si sarebbe frantumato in migliaia di stelle, di coriandoli, di scintille di un fuoco d'artificio colorato.
Il piccolo Keith riempì l'aria delle sue risate. Colorò le strade, gli angoli più nascosti, i cuori più grigi che si trovavano a passare da quelle parti. Sua madre si unì ai giochi, spingendolo fino a fargli toccare le nuvole, ridendo a sua volta e tornando così, ancora una volta, bambina.
Le nonne e la giovane Phoebe arrivarono dopo poco, piene di pacchetti che traboccavano di giocattoli che avrebbero potuto occupare intere stanze. Sotto i rimproveri di Holden e Kathleen, loro li ignorarono, dicendo che Keith era il loro unico nipotino e che viziarlo era il minimo. Lo convinsero, tuttavia, a cedere più facilmente all'idea che quel fine settimana sarebbe stato lontano dalla sua mamma e dal suo papà. Mangiarono un gelato, Holden aiutò il suo bambino a non sporcarsi, poi Phoebe si avvicinò a Kathleen per chiederle un consiglio su una storia che aveva cominciato a scrivere da qualche tempo. Si guardarono negli occhi e d'un tratto la più grande si costrinse a trattenere la commozione nel vedere la sua piccola Phoebe diventata ormai una giovane, bellissima e valorosa donna.
Il pomeriggio si concluse per tutti con la promessa di rivedersi il lunedì. Si salutarono con degli abbracci. Poi il piccolo Keith reclamò un ultimo abbraccio da parte dei suoi genitori. Si aggrappò con le braccia alle loro spalle, dando un bacio prima alla mamma e poi al papà, le luci della sua vita. Holden e Kathleen frenarono il desiderio di andare a riprendersi quel bambino che tanto faceva per loro ogni giorno. Sarebbero passate presto le ore che li separavano, pensarono, mentre lo salutavano con le mani.
Si voltarono solo un'ultima volta. Giusto il tempo di vedere nonna Cecily, per la quale il tempo sembrava non fosse mai passato, che indirizzò loro due baci volanti. Arrossirono, quasi imbarazzati di fronte alle occhiate che quella straordinaria donna, fervente sostenitrice del loro amore da quando erano ancora dei ragazzini, aveva sempre dedicato loro. Fu proprio lei a pensare, proprio in quel momento, a quanto fossero perfetti l'uno per l'altra e a quanta felicità provasse nel sapere che la sua tortorella era insieme al suo Holden. Quei due si meritavano a vicenda perché entrambi avevano tanta luce dentro.
Tornarono a casa con le mani intrecciate. Da fuori sembravano ancora due adolescenti alla loro prima cotta e difatti molti stentavano a credere che fossero sposati e avessero affrontato un viaggio alquanto turbolento prima di coronare il loro amore. Quando furono nel loro appartamento, Holden la prese tra le braccia. Ogni tanto stentava ancora a credere che fosse sposato all'amore della sua vita, ma si sbrigava subito a mettere da parte certe voci. Lui ci credeva, sul serio, all'amore che riceveva. Sapeva di meritare quella felicità. Di meritare di svegliarsi ogni giorno al fianco di quella donna straordinaria, di scrutarla mentre si struccava, mentre si lavava i denti, quando faceva dei disastri in cucina o si incantava a guardare qualcosa fuori dalla finestra. Quando le faceva degli scherzi per il puro piacere di vederla ridere, o quando la mattina la trovava con gli occhi pieni di amore puntati su di lui. Sapeva di meritare quella vita.
La baciò, dicendole parole dolci all'orecchio che avevano ancora il potere, e sperava lo avrebbero avuto per sempre, di farla arrossire. Kathleen era di una bellezza travolgente. Lo aveva investito da quando aveva soli quattordici anni. C'era qualcosa in lei che lo aveva sempre fatto sentire al posto giusto. Ogni tanto ripensava a quel periodo in cui aveva preso la decisione di lasciarla andare. Pensava alla durezza di certe sue frasi pronunciate per il puro desiderio di vederla lontana da lui perché non si sentiva ancora del tutto pronto ad accettare quell'amore che aveva pregato e conquistato con tutta la forza che gli fosse propria. Però, pensava anche a quello che era successo dopo. Al loro ritrovarsi, una favola, un miracolo, al loro matrimonio, alla gravidanza della sua Leen, al loro primo bambino.
Misero in pausa i loro baci solo per abbandonarsi ai ricordi più belli che erano ancorati a ogni foto, ogni oggetto che tappezzava la loro casa. Tutto sapeva di loro tra quelle pareti. I mobili che avevano comprato insieme, i muri che avevano dipinto tra un bacio e l'altro, i quadri, i libri in libreria, tra i quali ovviamente anche quelli di Kathleen che portavano adesso il suo vero nome, le lauree e le vittorie riportate su carta appese qua e là. I loro occhi si fissarono su tre fotografie, in particolare: quella del loro matrimonio. Kathleen in abito bianco, una gonna lunga e vaporosa, i capelli sciolti, splendente e bellissima, con un sorriso mozzafiato e gli occhi puntati su Holden, con la cravatta allentata, la faccia un po' brilla, gli occhi pieni di luce. Lei gli stringeva il collo con le braccia e lui la guardava come si guardano solo le cose più preziose.
–Ti ricordi quel giorno? – gli chiese lei.
–Se ricordi il giorno in cui ho sposato la mia Leen? No, per niente!
Lei gli diede una spinta scherzosa, che lo fece ridacchiare.
–Ricordo ogni cosa. – Holden si fece serio. – Io che ti aspettavo vicino all'altare con i palmi delle mani sudate e il cuore a mille, tu che incedevi sulla navata in tutta la tua bellezza. Io che ero sul punto di morire, tu che mi sembravi così perfetta.
–Tu che ci mettesti qualche istante di troppo per rispondere al "vuoi tu, Holden Morris, prendere in moglie la qui presente Kathleen Foster?". – fu il turno di lei di soffocare una risatina.
–Per colpa tua! Ero imbambolato a guardare te. Per me era un "sì, lo voglio!" già da quando mi immaginavo quel momento nella mia camera, a quindici anni.
–Ti immaginavi di già il nostro matrimonio? – Kathleen allargò appena gli occhi, meravigliandosi ancora di dettagli che emergevano con il tempo. Che fiorivano in mezzo alle parole di discorsi che avevano un sapore dolce e inebriante.
–Può darsi. – fu vago, abbracciandola da dietro.
–Che sognatore! – le loro mani si strinsero. – E la festa te la ricordi? Andy, che fu il mio testimone insieme a Bob, che suonò per quasi tutto il tempo, sotto i gridolini della sua Kendra.
–E il ballo tra Pam e Taylor? L'imbarazzo tra loro si tagliava con un coltello. Chas che scattava loro delle foto come una pazza.
Risero nel rivedere davanti agli occhi ogni scena. Si persero in altri ricordi, poi i loro occhi si posarono sulla foto di Kathleen al suo settimo mese di gravidanza. Holden inginocchiato a baciarle il pancione e lei a guardarlo come si guardano solo le cose più preziose. Poi si fermarono sulla foto di loro due in ospedale con il loro Keith tra le braccia. Entrambi lo guardavano come si guardano solo le cose più preziose.
–Il nostro Keith. – Holden poggiò il mento sulla spalla di lei.
–Il nostro meraviglioso Keith.
Pochi istanti dopo superarono una palla di vetro, un acchiappasogni e un vaso di girasoli. Il ritratto di un Holden nei panni di un supereroe a proteggere da una parete quel nido fatto di amore incondizionato.
Si tuffarono sul divano, litigarono su quale film vedere, ne uscì vincitore uno francese, poi lei posò la testa sul petto di lui che prese a giocare un po' con i suoi capelli e un po' con i ciondoli che le pendevano dal polso sinistro. Lei si abbandonò al suono del battito del cuore di lui, portando le sue dita alle labbra e baciandogliele con amore.
A fine serata, Kathleen colse l'attimo in cui suo marito si perse nella correzione dei compiti dei suoi bambini, l'aria corrucciata, buffa, ma sempre affascinante, per avvicinarsi alla libreria che troneggiava nel loro salotto. Ne prese la copia de Il giovane Holden, andò a pagina sedici, quella che si interrogava sulle anatre a Central Park, e ne tirò fuori una lettera che aveva riposto anni prima proprio in quel punto. Era una di quelle che Holden le aveva scritto quando erano lontani e lui aveva trovato terapeutico confessare alla carta segreti che non avrebbe mai inviato, che avrebbe tenuto nascosti se non si fossero rivisti, quel giorno, nella libreria della signora Corinne.
La prese, la portò al cuore e poi la rilesse.
Cara Kathleen,
Mia Kathleen,
Leen. Leen. Leen. Leen.
Ti scrivo questa lettera con la consapevolezza con non la leggerai mai. Non troverò infatti mai il coraggio di inviartela. Perché dovrei farlo? Per farti leggere di quanto sia idiota?
Cara, mia cara, mia amata, Kathleen (Leen non mi appartiene più), sono un idiota. Uno di quelli giganti. Ti ho lasciata andare perché... perché sono un idiota. Dovrebbero ritirarmi tutti quegli stupidi premi che ho vinto in quell'inferno che chiamano liceo. Dovrebbero stapparmi anche la lettera di ammissione a Princeton. Io sono difettato. Ho qualche difetto di fabbrica. Qualche meccanismo dentro di me non funziona ancora.
Mi sento rotto. Rotto dentro.
Devi essere per forza rotto dentro quando lasci andare la ragazza che ti ha strappato il cuore dal petto perché risenti certe voci, di colpo, all'improvviso. Non proprio all'improvviso, ecco. Ho cominciato a sentirle con intensità crescente quando ho visto che nella tua vita era capitato un ragazzo come lui. Sai di chi sto parlando, vero? È un ragazzo che ho preso ad invidiare dal primo momento in cui l'ho visto. Sono geloso di Andrew, Kathleen. L'ho detto. Sono geloso di ciò che emana. Ti ha dato un nomignolo. Anch'io l'ho fatto, dalla prima volta che ci ho provato con te. Ricordi? Cioè... ci stavo provando con te, ma senza che tu te ne accorgessi. Si può dire quindi che anch'io fossi sicuro di me. Ti avevo dato un nomignolo. Leen. Fosty. Leen. Fosty. Solo che lui, Andy, capisci, non ha mai finto sicurezza quando era con te. Lo si capisce. Io invece giocavo a fare quello che aveva tutto sotto controllo. Lui ha davvero tutto sotto controllo. I suoi tatuaggi, i suoi capelli, il suo viso perfetto, la sua spontaneità. Suona anche la batteria. Suona i Guns N'Roses e si ciba di musica bellissima. Andrew Slater è spontaneo ed è libero, Kathleen. Libero come lo sei tu quando volteggi la notte di Capodanno sotto dei fuochi d'artificio. Come meriti di esserlo.
Io non lo sono ancora, invece.
L'ho capito di colpo. Sì, okay, non proprio di colpo, l'ho appena chiarito. Ma non è comunque una giustificazione. Ti ho lasciata volare via da me. Com'è che mi hai detto? Che eri il mio palloncino. Carina come immagine, a proposito! Triste, tristissima, ma carina. Sì, siamo sempre stati il cactus e il palloncino noi due. Un'immagine tristissima anche questa. Io volevo essere per te qualcosa di più consistente, che stringi e non si lascia tramortire dal vento. Avrei potuto essere un aquilone e invece sono stato un palloncino. O forse sono stato io il cactus. Non lo so. Non so più niente. In me si scontrato più volontà.
Comunque, sono un idiota. Ma voglio che tu sappia che ci ho provato, eh. Non voglio giustificarmi, ma ci ho provato davvero. A crederci. A credere che ce l'avrei fatta ad amarmi, ad amare il nostro amore. Io amo te, Kathleen, follemente. Roba da diventarci matto, te l'ho già detto una volta. Ma forse non amo il nostro amore. Non quello che mi dai... mi hai dato con tutta te stessa, ma quello che si mescola con il mio. Ho lasciato che certe voci, certe immagini, certe parole ("Non ho mai visto degli amici così legati", tra le tante) mi entrassero dentro. Ci sono ricaduto, sai? Sono diventato il fantoccio della mia testa. Quante promesse ho rotto. Quelle fatte a me, a mia mamma, a tua nonna, a Taylor, a Malia, alla piccola Phoebe, a me. Sono deludente.
Devo avere qualche difetto di fabbrica, te l'ho detto.
Eppure, tornando indietro, rifarei tutto: ci riproverei altre mille volte con te, perché la felicità che mi hai dato è così tanta che una sola persona, me, non è riuscita a contenerla e ha preferito lasciarla andare. Ecco, sì, il tuo amore, la felicità che mi ha donato, sono stati incontenibili. Hai riempito così tanto quei profondi vuoti che avevo dentro che ne sono uscito destabilizzato.
È che io, gli effetti collaterali del riuscire ad averti tutta per me, mica li avevo considerati.
Che stupido, eh. È andata così: volevo scalare una montagna pur sentendomi fragile come un filo d'erba, ci sono riuscito, ho raggiunto la vetta e poi, una volta aver assaporato la meraviglia di essere a un passo dal Paradiso, mi sono gettato da quella montagna.
Sono stanco, Kathleen. Però sono anche innamorato. Di te.
Io lo so. Lo sarò per sempre. Tu sei la mia fulgida stella e questo mi conforta, almeno un po'.
Mi basta, mi basterà, infatti, sollevare il viso al cielo, ogni notte, per sapere che tu mi guarderai, veglierai su di me e mi guiderai.
Addio
Tuo per sempre,
Holden
Kathleen pianse. Le lasciò libere quelle lacrime felici che le scorrevano sulle guance. Poi tornò a baciare quel foglio prezioso. Lo rimise a pagina sedici di quel libro per cui sarebbe stata eternamente grata. Infine aprì il ciondolo porta foto che portava attorno al collo.
C'era una foto che li vedeva tutti e tre insieme: lei, Holden e quel piccolo bambino che aveva un nome che doveva ricordare quello di quel poeta che aveva regalato a Holden l'espressione 'fulgida stella'.
Poi richiuse il ciondolo. Si asciugò le lacrime e fu sul punto di tornare da suo marito, ma lui la precedette. Si incontrarono a metà corridoio, infatti.
–Che fai, piangi? È successo qualcosa? – Holden si mise in allarme, avvicinandosi a lei con tutte le premure che gli erano sempre state proprie.
–È successo che sei entrato nella mia vita e che ti amo così tanto, Holden.
Lui la strinse allora tra le sue braccia.
–Ma perché devi rubarmi sempre le battute, eh? Stavo proprio per venire a dirti due cose.
–Ah sì? – lei si sollevò sulle punte per guardarlo meglio in quei suoi bellissimi occhi grigi. – E quali?
–La prima è che c'è un bambino che ha la tua stessa terribile calligrafia e che quindi ho bisogno del tuo aiuto per decifrarla. E la seconda che...
–Ehi, chi è che avrebbe una terribile calligrafia? – lo riprese, facendolo fermare.
–E la seconda, – sorrise lui, riprendendo a parlare con nonchalance. – è che non c'è giorno in cui non mi domandi come sia possibile che ti ami sempre come quando avevo quattordici anni. Com'è possibile che ti ami così tanto? – le prese il viso tra le sue mani da pianista.
–Perché sono la tua fulgida stella, no? – Kathleen sorrise, con le guance rosse.
–E lo sarai per sempre, mia dolcissima Leen. Sei il mio amore. – si specchiò nei suoi occhi.
Poi si lasciarono andare a un bacio.
Ogni dolore li aveva portati dove erano adesso.
In pace con sé stessi.
In pace con il mondo.
Felici.
Per aspera ad astra.
FINE
Cara Kathleen, caro Holden,
vi scrivo questa lettera perché adesso sento che sia il miglior modo per salutarvi come meritate di essere salutati.
Vi scrivo per dirvi, prima di tutto, grazie.
Grazie per aver scelto che una giovane ragazza con il sogno di diventare una scrittrice e una maestra avesse il privilegio di raccontare la vostra storia.
Grazie per avermi dato il privilegio di scoprire le vostre anime un rigo alla volta.
Grazie per aver riempito le mie giornate, per non avermi mai fatta sentire sola, per avermi permesso di vivere il mio sogno di sentirmi davvero come una di quelle autrici che mi hanno regalato emozioni sin da quando ero una ragazzina.
Grazie Kathleen per esserti lasciata guidare da me e da quegli insegnamenti che, nel mio piccolo, ho voluto lasciarti. Grazie per aver dimostrato quanto sia bello essere meravigliosamente umani e perciò complessi. Grazie per aver aiutato il mio, nostro, Holden a scoprire quanto sia bello. Per aver accettato il suo amore e avergliene dato. Grazie per essere diventata una valorosa giovane donna.
Grazie Holden per aver scelto me per farti conoscere a un pubblico che non credevo si sarebbe fatto con il tempo più numeroso di quello che avrei mai sperato. Grazie per esserti fidato di me. Grazie per essere così tanto me stessa e così tanto te stesso. Grazie per la tua purezza disarmante, la tua gentilezza, il tuo infinito coraggio. Non dimenticarlo mai, mio bellissimo Holden, tu sei valoroso come un leone: ci vuole coraggio a essere fragili e a capire che il primo passo per vincere ogni dirupo è amarsi e lasciarsi aiutare. Grazie per essere stato semplicemente te stesso: un antieroe, un ragazzo imperfetto, un ragazzo meravigliosamente umano. Il mio supereroe preferito.
Grazie a entrambi per avermi permesso di entrare dentro di voi, per avermi fatto compagnia, per avermi fatto credere nei miei sogni.
Grazie, eternamente. Per tutto quello che non vi scrivo ma che voi sapete già.
Con la consapevolezza che il nostro non sarà mai un 'addio' perché voi sarete sempre con me, in ogni angolo del mio cuore e della mia mente, lo so, sento proprio di dovervi salutare adesso.
Allargate le vostre ali, lunghe e grandi, e volate nei cieli più belli, tra le stelle più fulgide. Superate ogni dirupo che la vita potrà mettervi davanti e siate felici.
Lo so che ci riuscirete. Sarete felicissimi, ve lo garantisco.
Ciao, amici miei, mie appendici, pezzi del mio cuore.
Eternamente a voi grata e vostra,
Roberta
╭⋟────────────────────────╮
Cari girasoli,
Grazie, prima di tutto. Grazie per tantissime cose. Grazie per aver seguito Kathleen e Holden dall'inizio alla fine. Per aver creduto in loro e quindi in me. Grazie per avermi dato fiducia quando la piega degli eventi sembrava strana, folle, improvvisa o poco coerente, magari. Grazie per aver deciso di leggere anche questo sequel e quindi di credere che non avrei rovinato i miei personaggi, continuando a scrivere di loro.
Grazie per il vostro affetto, il vostro supporto, ogni stellina, ogni commento, ogni messaggio. Ogni vostra singola e preziosa attenzione.
Un grazie speciale ad Annalisa per avermi tirato su il morale tantissime volte, per credere così tanto in me, per la sua amicizia, pura e sincera. E a Giulia: il duo Annalisa e Giulia è stata una bellissima scoperta. Grazie ad Anna per avermi aiutata con la playlist che sarà online domani e che spero vorrete ascoltare perché ci sono tante canzoni bellissime che sembrano scritte per Kat e Holden. E anche per i suoi 'scleri post capitolo' che ho adorato alla follia, e per la sua amicizia, una novità super piacevole nella mia vita. Grazie a Marta per avermi suggerito, tramite un commento, l'immagine dell'aquilone a sostituire quella del palloncino e per i suoi commenti a volte 'minacciosi' ma tanto simpatici e gentili. Grazie a Cinzia e a Emanuela per i loro commenti lunghissimi, analitici, dal sapore quasi filosofico e per la loro gentilezza infinita. Grazie a Rechel per i suoi commenti divertenti (sei la regina delle gif, ricordalo), che sempre mi hanno strappato un sorriso, e per la sua dolcezza. Grazie a Federica per confidarsi con me in tutta la bellezza dei suoi 16 anni e per la stima che ripone in me. Grazie alle varie 'Giulie' che mi hanno scritto i loro pensieri qui e su Instagram. Grazie a Sunny, amica di penna da tanti anni, che sempre mi ha supportata con i suoi commenti dolcissimi. Grazie a tutte le ragazze che mi taggano su Instagram, che consigliano le mie storie, che parlano di Holden e Kat alle proprie amiche. E... ci sarebbero tanti altri nomi da fare. Siete state e siete TUTTE importanti e speciali. Grazie a ognuna di voi!
Ci sono state volte in cui avrei voluto gettare la spugna, in cui non mi sentivo all'altezza di questo sequel, il primo della mia vita, in cui temevo che stessi facendo solo disastri, soprattutto quando mi lasciavo scoraggiare da un calo nei numeri. Ma poi, guardavo i miei personaggi negli occhi, lasciavo che mi sgridassero e mi indicassero i vostri commenti, che mi strigliassero e mi ricordassero quanto fosse importante scrivere la loro storia fino alla fine per loro, per voi che ci siete sempre state e per me stessa. Che mi ricordassero quanto i numeri sono solo numeri. Quello che conta è ben altro e io l'ho ricevuto.
Scusatemi se a volte ho fatto la 'piagnucolona' in qualche mio angolino; scusatemi se vi ho in qualche modo deluse; scusatemi se le vicende dei miei personaggi non sono andate come forse avevate immaginato.
A volte mi dico che avrei potuto costruire delle dinamiche migliori, più belle forse: Kat che ferma Holden prima che parta per la Germania, lui che torni sui suoi passi, lui che decida di non abbandonarsi ad altri dirupi. Tanto altro.
È che io mi sono limitata ad ascoltarli, capitemi. Ad accettare la lo richiesta di scrivere qualcosa di realistico e favolistico, insieme. E so che anche voi l'avete fatto. Li avete ascoltati e li avete avvolti nelle vostre di ali.
Grazie, perciò, ancora una, dieci, cento, mille volte, per aver stretto le nostre mani, le mie e di tutti i miei personaggi, e avermi aiutata a credere in questo sogno di sentirmi anche solo per qualche minuto come una di quelle scrittrici che mi hanno dato tanto, tantissimo.
Non so se un giorno vedremo i nostri personaggi in una veste nuova, più bella, fatta di carta e inchiostro, magari, però io vi prometto che ci crederò sempre in questo bellissimo sogno.
Spero che torneremo a 'beccarci' (permettetemi di usare questo termine ancora una volta) su questi schermi. Spero presto. Spero che vorrete darmi ancora una volta l'immenso piacere di sentire il vostro affetto vicino a me. Che vorrete stringere la mano anche ad altri miei personaggi, diversi da Kat e Holden.
Per qualsiasi cosa, chiacchiere, domande, curiosità, ciò che vi pare mi trovate e mi troverete sempre qui e su Instagram (rob_scrive). Non fatevi problemi a contattarmi perché a me piace tanto parlare con voi!
Eternamente grata a ognuna di noi e augurandovi tutta la luce che meritate,
vi stringo forte.
Alla prossima avventura,
Roberta
💚🌻
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