Entanglement
Un'intera montagna di ricordi non uguaglierà mai una piccola speranza.
(Peanuts – Charles M. Schulz)
Una voce femminile reclama la mia attenzione. Sento il mio nome ripetersi più volte, in modo sempre più preoccupato. Poi qualcosa di forte mi giunge alle narici, e pian piano le mie palpebre si aprono, un filo di luce alla volta.
–Kat, cucciola! – Kendra mi stringe tra le braccia, allontanando da sé una boccetta di chissà cosa. – Che è successo?
–Kendra. – le dico, tirandomi a sedere con calma.
–Stai bene? Quante sono queste? Come ti chiami?
–Mi hai già detto tu come mi chiami. E quelle sono quattro dita.
Strabuzza gli occhi.
–Ti sto solo prendendo in giro. Sono tre! – ridacchio.
–Eri più di là che di qua e ti permetti anche di fare certi scherzi. Scema! – mi dà un buffetto. – Come stai? All'improvviso hai reagito come se avessi visto un fantasma.
La mia mente impiega qualche secondo per riattivarsi. – Oh sì, Kendra. Non puoi capire. Non so cosa mi sia preso. Devo aver avuto un colpo di sonno. Ho avuto un incubo. Ho sognato di rivedere un ragazzo del mio passato. – sciorino.
Inarca un sopracciglio. – Hai sognato anche che il ragazzo in questione ti abbia preso tra le braccia prima che capitolassi a terra, che ti abbia portato di corsa in questa stanza, dopo averci chiesto dove potessimo adagiarti, – ha usato proprio questo termine. – e che ora sia volato in una caffetteria per prenderti qualcosa di dolce?
–Tutto tranne la parte sull'adagiarmi e quella della caffetteria. – biascico. – Come fai a saperlo?
–Hai perso di brutto i sensi, eh! – fa un mezzo sorriso.
Non aggiunge altro. Vuole che ci arrivi da sola. Collego allora poco a poco le sinapsi, cominciando così a sentire la preoccupazione attraversarmi ogni angolo. La pelle d'oca si fa strada sulle mie braccia, sento dei brividi lungo la nuca e le dita delle mani d'un tratto prendono a tremarmi.
– Non è stato un sogno, vero?
–Se il ragazzo del tuo passato si chiama John Foster... direi di no. – si siede al mio fianco. – Dai, racconta. Il destino chi ha voluto che ritrovassi?
Torno a distendermi, piantando le braccia lungo i fianchi in una posa che dall'esterno deve farmi sembrare una morta. Un po' mi ci sento, una morta. O meglio, sento che di colpo è tornata a farmi visita una parte di me che credevo fosse morta, lontana da me, da anni.
Sento un vociare da dietro la porta che chiude lo stanzino dove mi trovo. Attorno al sofà dove sono sdraiata ci sono scaffali pieni di fogli, fatture, elenchi telefonici, cataloghi e libri di varia natura. L'aria sa di chiuso e di carta. Kendra mi guarda, curiosa. Non le parlo, però. Cerco di convincermi che sia davvero un sogno quello che sto vivendo. Stringo forte gli occhi, conficcando le unghie nei palmi delle mani. Se fosse tutto vero, mi convinco anche di questo, potrei comunque anche essermi sbagliata sul volto di John Foster. L'ho visto per pochi secondi e alcune voci si assomigliano tra loro. Devo essermi fatta anche condizionare dalle informazioni che ho raccolto su di lui. La matematica, la bella voce, l'università importante. Sono tutte coincidenze. Per forza. Deve essere così.
Ma se non lo fossero?
Qualcuno bussa e io sento ogni arto irrigidirsi con maggior intensità. L'idea di dover affrontare una realtà alla quale non so né pronta, né preparata, mi spaventa. Kendra mi dà una gomitata, poi la sento sollevarsi e avvicinarsi alla porta.
–Come sta? Si è ripresa? – è la voce di Corinne. – John ha preso un sacco di cose dolci, tra cui mille bustine di zucchero.
Mi giro su un fianco, tappandomi le orecchie. Non voglio sentire più nulla. Ho paura che John, e chiunque si nasconda dietro questo nome, possa parlare e possa concretizzarsi il mio incubo.
Delle mani spostano le mie e la voce del mio capo prende a insinuarsi nelle mie orecchie. – Ehi, streghetta, tirati su! Come stai? Bevi un po' di acqua e zucchero e mangia una brioche, forza! Avrai avuto un calo di zuccheri. Scommetto che non hai fatto colazione questa mattina.
–C'è ancora? – domando, comportandomi da adulta e mettendomi a sedere.
–Chi? – mi passa un bicchiere di plastica.
Lo prendo e ne bevo il contenuto, pur consapevole che non sia stato un calo di zuccheri, né un colpo di sonno, a farmi perdere i sensi.
–Lo scrittore. – biascico, mordendo un pezzo di dolce che mi porge Kendra.
–Sì, è vicino al bancone. Sai che oggi c'è la presentazione del suo libro. Lo hai parecchio offeso prima di svenire, a proposito. Prima di andartene farai bene a chiedergli scusa.
Non rispondo. Kendra intanto si ferma sull'uscio della stanza, a braccia incrociate. Fingo di non guardarla e finisco la mia colazione. Non l'ho fatta stamattina, è vero. Ma solo perché sono presa da Miss Scarpette.
Mi tiro in piedi dopo pochi altri minuti. Corinne ci supera per andare dal suo nuovo protetto; Kendra mi aggiusta i capelli e mi pizzica le guance per darmi un po' di colore, mi dice. Chissà che idee deve essersi fatta nella testa. Io la lascio fare, troppo confusa e debole per riprenderla.
Esco dallo stanzino con passo meccanico, piuttosto ingessata nei movimenti. Cammino a testa bassa, sperando di poter uscire dalla porta d'ingresso senza dover rivedere più quel fantasma che la mia mente ha registrato come tale. Kendra, però, mi prende a braccetto, intenzionata a non farmi raggiungere l'obiettivo.
Camminiamo e per un momento desidero che dal bancone all'entrata ci separino molti più metri, ma devo arrendermi presto all'idea che questa libreria sia piccola.
–John posso prendere un dolcetto? – chiede la mia collega.
–Oh, ma certo. Prego, sì, sono tutti vostri. – risponde quella voce.
Mi divincolo dalla stretta di Kendra e provo ad andarmene a tutta velocità, ma qualcosa mi blocca.
–Stai... bene?
Rimango con gli occhi puntati verso la punta delle mie scarpe.
–Kat... tutto bene? – ripete Corinne, facendosi vicina e cingendomi le spalle con un braccio.
–Sì, tutto bene. – farfuglio. – Ora vado.
Mi libero ancora una volta da una stretta che ora non voglio ed esco di fretta dalla libreria, inspirando a pieni polmoni l'aria di fuori. Mi appoggio a una parete poco lontana, e chiudo gli occhi. Inspiro ed espiro sentendomi come un pesce che per qualche secondo ha perso il contatto con l'acqua. Mi concentro sui suoni della strada, mettendomi una mano sul petto. Non mi sento affatto bene. Sento di non avere il controllo del mio corpo. Tante scene mi ritornano di colpo indietro come boomerang lanciati a tutta velocità, in modo improvviso. Mi fanno male.
Poi qualcuno si schiarisce la voce al mio fianco. Sollevo lo sguardo e il cuore rischia davvero di saltarmi in gola.
–Scusa, hai dimenticato il soprabito e la borsa. Ho chiesto se potessi essere io a portarteli.
Li prendo, poi annuisco. – Grazie. E grazie anche per prima. Ora devo andare.
Mi stacco dalla parete e provo a scappare di nuovo. Gli do le spalle. Non riesco a fare altro, a quanto pare. Voglio scappare. Voglio allontanarmi da questo sogno fin troppo lucido.
–Kathleen. – mi richiama quella voce.
Mi fermo. Ogni voce ha un suo modo di pronunciare uno stesso nome. La sua, quando pronunciava il mio per intero, lo faceva inserendo, forse senza ormai più accorgersene, una pausa, piccola, quasi impercettibile, tra il 'Kath' e il 'leen'.
–Non avevo idea che tu... tu fossi qui.
–Già. Nemmeno io.
–Non sapevo che tu fossi a New York. Che lavorassi in questa libreria, che scrivessi libri... che vivessi qui. – continua. Parla a macchinetta. Sembra confuso.
–Nemmeno io. – ripeto. – Non ho tue notizie da un po'. Non avevo idea che fossi tu... John Foster. Bizzarro pseudonimo, comunque. – mi scappa.
Non risponde. Così, è più forte di me, mi giro. È a pochi passi da me. Gli occhi grigi liberi da ogni montatura da vista, i capelli neri un po' più lunghi di quel che ricordassi, una camicia e un pantalone che gli danno un 'aria intellettuale. Sembra un professore importante, più che uno scrittore di libri per bambini. Deve aver raggiunto la sua ambizione professionale.
–Bizzarro, concordo. – solleva un angolo della bocca. Poi si mette le mani in tasca. – Stai bene?
Chissà se intende se stia bene adesso, dopo essere letteralmente svenuta, o se la sua sia una domanda in generale. Sto bene dopo averlo rivisto? Sto bene nella mia nuova vita? Sto bene dopo la laurea, il college, il trasferimento? Sto bene?
–Sto bene. – mento, rispondendo agli ipotetici primi due significati dietro il suo 'stai bene?'.
Annuisce. Poi fa silenzio. Lo faccio anch'io.
Faccio un passo indietro. Voglio scappare. Devo scappare. Cos'altro potrei fare? Cioè, sono tante le cose che potrei fare. Ho ventitré anni, sono un'adulta, dovrei fare finta di nulla. Ho rivisto il mio primo amore nella mia attuale città, okay. Robetta da poco, in fondo. Ho ventitré anni, adesso. Dovrei chiedergli come sta, dirgli una frase fatta del tipo: "Da quanto tempo! Ti trovo bene", sorridergli, dargli magari anche una pacca sulla spalla, ma... la sola idea di fare tutto questo mi fa accapponare la pelle.
– Complimenti per i tuoi romanzi. – riprende subito. – Ai miei bambini piacciono molto. Non sapevo fossi tu Katherine Fisher. Non sapevo tante cose. Te l'ho appena detto, sì. Cioè, sì, ovvio che non le sapessi, cioè forse non è così ovvio, considerando vari fattori, ma... – si ferma, passandosi una mano nei capelli.
Il cuore torna a battermi veloce. Forse non ha mai smesso, da quando l'ho rivisto, di bussare contro il mio petto con così tanta forza. John Foster. New York. La mia libreria. Fanny L. alla scoperta della matematica. Holden Morris. I suoi bambini.
–Oh... congratulazioni, allora! – non so neanch'io da dove tiri fuori queste parole.
Corruccia la fronte per qualche istante. – Oh sì, sono bravissimi i miei bambini. Ne sono molto fiero! Vengono spesso qui, quindi deve essere per questo che li conosci. So che lavori in questa libreria. Me lo ha detto Corinne. – mi sembra che parli come nulla fosse. Come se non fosse tutto assurdo... anormale.
Annuisco in maniera sbrigativa. Nella nostra libreria vengono di rado bambini molto piccoli e lui non può avere bambini di una certa età. Devono essere dei gemelli. Dei gemelli molto piccoli. Ma non mi importa. Non possono essere i suoi. O forse sì. Non sono affari miei. Ma forse qualcosa nella mia mente non è d'accordo, perché sento di nuovo le gambe farsi troppo deboli. Faccio per appoggiami al muro alle mie spalle, ma lui mi precede.
Holden mi trattiene di nuovo tra le sue braccia, sgranando gli occhi. Mi appoggio di istinto alla sua spalla, ricambiando l'occhiata. È strano il suo tocco su di me. Sono passati anni. Com'è il suo tocco su di me? Non lo capisco.
–Kathleen. – ripete.
–Holden. – lo chiamo per la prima volta.
–Allora te lo ricordi il mio nome. – solleva un angolo delle labbra.
–Mi ricordo tutto.
Torna serio, poi la sua stretta si allenta. Mi aiuta a rimettermi in piedi. Io abbandono la sua spalla.
–Sarà meglio che rientri dentro, okay? Resta seduta per un po'. Io... me ne vado. Passerò nel pomeriggio per la presentazione del mio libro.
Sembra aver capito che sia lui la causa della mia fragilità fisica. Mi sta dicendo che di pomeriggio ci sarà e che quindi io potrò anche non esserci. Non dobbiamo più incontrarci. Non mi fa bene averlo rincontrato. Non servono altre frasi di cortesia. Non serve fingere che sia stato bello o naturale esserci rivisti.
Mi limito ad annuire, poi rientriamo.
***
Kendra e Corinne mi guardano con sospetto. Hanno le braccia incrociate sul petto e i loro occhi mi scrutano come se fossi una preda e loro delle aquile. Io le fisso a mia volta, intenzionata a non scucirmi troppo su quello che immagino stia frullando nelle loro teste. Nella mia di testa non sta frullando proprio niente, invece. Mi illudo ancora di essere in un sogno. Che questa non sia la mia realtà. È impossibile infatti che nella mia realtà sia tornato proprio lui, proprio l'ultima persona al mondo che non credevo avrei rivisto mai più. Dovevano andare così le cose. Addio. Addio per sempre. Era stato sufficiente rivederlo il mio ultimo anno di università. Vederlo tornare da solo, vederlo laurearsi a pieni voti, vederlo felice e splendente e brillante e bellissimo. Doveva essere sufficiente così. Sono a New York adesso. Niente Portland. Niente Princeton. Lui cosa ci fa qui? Perché usa il mio vero cognome come pseudonimo dietro il quale ha scritto un best seller? Perché è tornato? Perché è proprio qui e non in un'altra città? In un'altra libreria?
–Allora, cosa c'è tra te e John? Da quanto lo conosci? – Corinne lascia esplodere la sua curiosità.
–Non c'è niente tra me e... John. È solo... un vecchio conoscente.
–Perché allora appena vi siete visti lui è sembrato colpito dagli occhi di Medusa e tu sei svenuta? E perché ti ha preso in braccio come un principe azzurro, comprando decine di dolci anche se tu sei solo una? E perché ti ha raggiunta fuori? – Kendra mi mette sotto tiro, giocando a fare la bambina che chiede mille 'perché'.
Sbuffo, consapevole che non ne uscirò viva.
–È il mio... ex ragazzo. Prima di Andy. – confesso, allora. – Ma... alt! Sono affari miei.
–Cosa?! – sbottano entrambe.
–Vi ho detto che sono affari miei! – le blocco.
Corinne non demorde. – Posso almeno sapere se debba annullare tutto e cacciarlo con la forza? Se ti abbia spezzato il cuore o sia stato un bastardo con te?
Scuoto la testa. – Non annullare niente. È una storia complicata la nostra, ma no... lui... non è niente di tutto questo. Lascia che presenti il suo libro. Non ci sono problemi.
–Sei svenuta, Kat.
–È una storia complicata, te l'ho detto. Fidati di me, lascia che presenti il suo libro.
Non sembra molto convinta, ma annuisce.
–Tu... rimarrai alla sua presentazione? – riprende Kendra.
–Non credo sia una buona idea. Non mi importa più se la sua Fanny sarà più famosa della mia Aria. – rimango con lo sguardo fisso su un punto della parete.
Non è affatto una buona idea. Perché dovrei restare alla presentazione di un libro scritto dal mio ex ragazzo? Di quello che ho scoperto essere il mio ex ragazzo solo poche ore fa? Di quello che doveva restare chiuso nel cassetto dei ricordi della 'vecchia' Kat? Dovrei essere proprio una pazza per volerlo guardare ancora negli occhi, per voler ascoltare la sua voce, per volergli stare di nuovo in qualche modo accanto dopo quelli che sono i nostri trascorsi. Eppure sono rimasta qui tutto il tempo. Il mio cervello, ora che aveva il via libera per far muovere le mie gambe, si è chiuso in un torpore che mi ha fatto rimanere ferma per tutto questo tempo. Ma non può vincere lui. C'è anche il cuore e lui ha sofferto fin troppo perché il cervello vinca e lasci che io rimanga incastrata qui, nel mio posto di lavoro. In un posto che oggi dovrò cedere a qualcun altro.
Mi alzo in piedi. Devo andarmene. Potrebbe venire qui a momenti.
–Oh, andiamo, non puoi lasciarci così: chi ha lasciato chi? – Corinne non riesce proprio a trattenersi.
–Lui ha lasciato lei, si capisce. Fa troppo il cavalier servente. – risponde per me Kendra.
Lancio un'occhiataccia a entrambe, poi sospiro. –Holden era... è così. Lui è sempre stato molto gentile. Non gioca a fare il cavalier servente. – non riesco a trattenermi.
Potranno passare altri anni, potrò non rivederlo davvero, questa volta, mai più, ma una parte di me continuerà sempre a prendere le sue difese, nonostante quello che sia successo tra noi.
–Holden? – continua Corinne.
–Caspita! È il suo vero nome, vero? E ha scelto il tuo cognome come pseudonimo? – Kendra sgrana gli occhi
–Oddio, che colpo! – commenta ancora il mio capo.
–Basta così! – taglio corto.
Prendo al volo il mio trench e la borsa e faccio per andarmene, quando in libreria entrano JJ e la signora Roberts. Ci troviamo occhi negli occhi. Blocco i miei passi, sentendomi come una bambina colta con le mani nella marmellata.
–Kat, non pensavo che oggi ci saresti stata anche tu. – la signora Roberts allarga un po' gli occhi, sorpresa. È in tiro. I capelli chiari sono freschi di parrucchiere e il suo trucco è più impeccabile del solito.
JJ si limita a venirmi incontro e ad abbracciarmi.
–Oh, sì. Oggi ci sarà un altro autore nell'aria ludoteca, però ecco... ero curiosa. – ometto di dirle che ora questa curiosità ha ceduto il passo ad altre sensazioni più sgradevoli. – Ma stavo giusto per andarmene. Ci saranno tante persone, immagino, e non sta bene che occupi il posto a qualche bambino.
–Ma no, scherzi? Devi restare per forza! Lo sai chi è l'autore? Non ci potrai credere. – la signora Roberts si apre in una risata.
Mi trattengo ancora una volta. Potrei credere a tutto, invece. Anche che mi dica che è il suo ex.
–John Foster. – mi limito a ripetere il suo nome d'arte.
–È il mio maestro di matematica, Kat. – risponde JJ. – Il suo nome è un altro. Questo lo usa per non farsi scoprire dai cattivi... come i supereroi. – abbassa la voce. – Ce lo ha detto lui!
Per un momento sento di nuovo la terra tremarmi sotto i piedi. Oggi mi sento proprio come la mia Aria, in effetti. Con le gambe molli, goffa e impacciata. Come la vecchia Kat, forse.
–Il tuo maestro? Fa il maestro di scuola? – domando, stringendo JJ con più intensità.
–Sì, cara. Il signor Morris insegna nella classe di mio figlio. Da un po' si è dato alla scrittura. Sono in pochi a sapere quale sia il suo vero nome. Che rimanga tra noi, a proposito, che il suo vero cognome sia Morris.
–Holden Morris. Che nome incantevole! – interviene Corinne.
–Capisco. – abbozzo un sorriso. – Bene... allora...
–Allora accomodati con noi, va bene? – la signora Roberts mi prende a braccetto, bloccando ogni mio tentativo di fuga. – Sai che a Jerome la tua compagnia piace molto.
Vorrei impuntarmi e dire che ho proprio bisogno di prendere le distanze da quello che sta succedendo, ma nessuno dei presenti potrebbe mai capire cosa mi sta passando per la testa. Mi guardano tutti in attesa, e così, inerme di fronte a questa constatazione e agli occhi caldi e dolci di JJ, non posso fare altro che accettare e prendere posto a quella che sarà la presentazione del libro del mio primo amore.
***
È la prima volta che stia dall'altra parte: seduta come una bambina che sta per assistere alla lettura del suo libro preferito. Di solito io sono quella che scrive e che legge, che si occupa delle attività ludiche e che fa di tutto per far sorridere dei bambini con la voce o con dei gesti.
In libreria si respira un'aria di festa. Ci sono tanti bambini seduti ai posti davanti e diversi adulti che sono in piedi, in giro per le corsie, chi con la copia del libro di Holden tra le mani, chi accanto alle sedioline dove sono seduti i propri figli. Lascio che i miei occhi vaghino alla ricerca di volti famigliari. Di Taylor, di Malia, di PJ... di Violet. Ma non riconosco nessuno. C'è una musica allegra che aleggia nell'aria e Corinne è più elegante del solito, con una collana di pietre colorate attorno al collo e il rossetto sulle labbra. Kendra mi lancia delle occhiatine curiose, che provvedo a ignorare.
Poi il chiacchiericcio si interrompe quando qualcuno incede. Le gambe lunghe a fargli macinare velocemente ogni spazio. Una folata di profumo, inconfondibile, a precedere ogni suo movimento.
Qualche bambino si mette a ridere quando lui saluta tutti, sventolando il suo libro come se fosse un trofeo. È vestito in modo casual: un pantalone color sabbia, una camicia bianca – gliene vedo indossare una di questo colore per la prima volta. Ricordo ancora quando ai tempi gli confessai che mi ricordasse Adam, la mia prima cotta adolescenziale. – e delle scarpe sportive. Il suo stile è sempre lo stesso, però qualcosa è diverso. Come i capi gli fascino il corpo, la sua postura, i suoi movimenti. Gli occhi di Holden vagano sul suo pubblico e quando si incrociano con i miei, perde per un momento il sorriso. Le sue sopracciglia si tendono verso l'alto, dandogli un'aria sorpresa. So che si sta chiedendo cosa ci faccia io qui. Perché non abbia colto il messaggio dietro le sue parole di questa mattina. Poi guarda JJ che mi stringe la mano con forza. Deve star pensando a tante cose, molte delle quali identiche a quelle che stanno fluendo nella mia mente. Poi stringe le labbra e torna a guardare verso altre parti.
Si toglie il giubbotto di jeans, si siede sulla sedia che Corinne ha fatto sistemare per lui, accavalla le gambe con eleganza e torna a salutare tutti, a partire dai suoi bambini. I suoi bambini. I suoi alunni. Qualcosa scatta dentro di me quando assaporo questa consapevolezza. Tante cose sono scattate da questa mattina. Delle serrature che avevo chiuso e di cui credevo essere l'unica a possedere le chiavi.
Mostra il suo libro, Fanny L. alla ricerca della matematica. Ha gli occhi lucidi come devo averli anch'io ogni volta che parli delle mie creature di carta e inchiostro. Fa delle domande ai suoi bambini. Poi comincia a presentare i contenuti di cui ha scritto: regole matematiche spiegate in modo tale che siano alla portata di tutti, incastrate in un percorso vissuto dalla sua protagonista.
Mi accorgo, a un'occhiata attenta, come le donne presenti pendano dalle sue labbra. Lo guardano tutte con ammirazione evidente, e anche qualcos'altro, osservando ogni suo movimento con attenzione. Mi domando, anche se so che non dovrei, se tra queste si nasconda la sua fidanzata, o una donna diventata importante per lui. Di Violet non c'è traccia. JJ mi stringe più forte la mano in alcuni momenti, scacciando ogni interrogativo stupido. Lo osservo con la coda dell'occhio. È preso da quello che sta ascoltando. Per un momento mi torna l'invidia nel pensare che Fanny possa prendere il posto di Archibald nel suo cuore, soprattutto in virtù del fatto che a Jerome i numeri piacciano molto, però poi tutto mi passa. Lui ha tutto il diritto di trovare piacere in tutti i libri che desidera e io non sono più una ragazzina.
John Foster – pensare a lui con questo nome mi viene facile. – parla con quella magia che gli è sempre stata propria. Lui e le parole sono sempre state un tutt'uno, nel bene e nel male. Sembra che gli vortichino sulla testa come lo fanno i numeri fatti di stelle sopra la Fanny della sua copertina. Allarga gli occhi e spiega con quell' acume e quella malleabilità che rendono la matematica, anche ai miei occhi, un po' meno brutta. Più facile. Più giocosa. Più bella. Ci è sempre riuscito, d'altronde, quando ero una diciassettenne che prendeva pessimi voti in matematica.
Qualcuno gli fa delle domande e lui risponde sempre con grande interesse. Da alcune espressioni che fa a volte dà l'idea che non si aspetti tutto questo interesse verso ciò che abbia scritto. Solleva le sopracciglia quando sono gli adulti a mostrarsi appassionati. Quando, invece, sono dei bambini a chiedergli qualcosa con il tenero gesto della mano che si tende verso l'alto, la sua posizione cambia. Assume una posa più naturale, da insegnante che è abituato a rispondere alla fame di sapere dei più piccoli.
Mio malgrado lo ascolto quasi con avidità. Mi avvicino a ogni sua parola. Osservo i suoi gesti, la sua bocca, le sue dita. È lui. Holden Morris. Ma allo stesso tempo sembra una persona completamente diversa. Ha scritto un libro per bambini. Ha dei bambini tutti suoi che sono suoi alunni. Parla a una platea con sicurezza. Per un momento vorrei che cominciasse a parlare anche di altro, di cosa abbia fatto durante gli anni in Germania, per esempio. Di come la sua vita sia cambiata, per farne un altro. Del perché al suo ritorno a Princeton fosse solo e noi non ci fossimo parlati come forse una parte di me avrebbe voluto. Ma poi mi rimprovero. Perché devo tornare a lasciarmi tormentare da certi pensieri? Da certe domande? Io e lui siamo solo... non siamo più io e lui, prima di tutto. Siamo persone diverse che hanno avuto vite diverse che ora si sono incontrate di nuovo per caso. Da domani, fra poche ore, meglio, tornerà tutto com'era prima, con la differenza che un cassetto della mia mente si farà più pieno e ancora più chiuso.
–Vorrei farle i miei complimenti. – interviene la signora Roberts a un certo punto, facendomi tornare alla realtà. – Quello che io e il mio Jerome abbiamo apprezzato maggiormente è stato il modo in cui abbia usato delle leggi, delle teorie, dei concetti matematici o fisici per spiegare la vita di Fanny. Lei ha creato una storia nella storia. Quella della bambina, e quella dei numeri che tanto l'hanno aiutata a tirarsi in salvo da una situazione buia. Sa qual è la parte che a me e al mio bambino è piaciuta di più?
Holden si apre lentamente in un sorriso che gli illumina il viso. Lo guardo e mi sembra ancora una volta così diverso, ma anche così... lui. – Quale?
–Quella in cui ha spiegato come l'allontanamento tra Fanny e Peter sia paragonabile all' Entanglement. O almeno, di come Fanny lo abbia sempre percepito così. Le va di spiegarlo con la sua bella voce? – non si trattiene.
Alcune signore annuiscono a sostegno di questa idea, sotto gli sguardi di alcuni papà evidentemente infastiditi.
– Ma certo. – Holden si fa d'un tratto serio. Rimane in silenzio per un po', muovendosi sulla sedia come se d'improvviso fosse scomoda.
Poi si schiarisce la voce.
– Nel momento in cui il Professor S. spiega a Fanny L. il fenomeno dell'Entanglement, lei è lontana da Peter, una persona che le ha fatto tanto bene. A cui lei era molto legata. È stata lei a lasciarlo andare, per una serie di ragioni, ma... la sofferenza che prova non è minore rispetto a quella che avrebbe provato se fosse stato lui a lasciare andare lei. Fanny L. è molto triste e allora... – si ferma ancora. Guarda un punto in lontananza.
Io guardo lui, sentendo il battito del cuore tornare a farsi più svelto. I suoi ingranaggi d'improvviso cambiano direzione, seguendone una di cui non ho controllo.
–E allora il professore le spiega questo concetto secondo il quale quando due particelle all'inizio interagenti sono distanti, il cambiamento che subisce lo stato quantistico della prima istantaneamente ha un effetto misurabile sullo stato quantistico della seconda, determinando così la cosiddetta "azione fantasma a distanza". Le due particelle anche se sono lontane... sono intrecciate tra di loro. Quello che subisce una... subisce anche l'altra. Sono legate, nonostante tutto. – gesticola, mimando la distanza e l'intreccio. – A Fanny piace pensare che sia lo stesso per lei e Peter. Loro come particelle inizialmente interagenti e poi distanti, sono legati, nonostante tutto. La distanza tra di loro ha fatto sì che quello che provasse lui, in qualche modo fosse percepito anche da lei. E viceversa. Sono sempre stati intrecciati.
Azione fantasma a distanza.
I suoi occhi ritornano nei miei. Vorrei abbassarli, ma non ci riesco. Lascio che rimangano agganciati tra di loro. Vorrei anche andarmene. Scappare, nascondermi in casa e sperare che questa sia davvero solo un sogno lucido e che questa sia stata l'ultima volta che l'abbia visto. Che non si aggiungano altre immagini che lo ritraggano nella mia mente, che non lo faccia questa stramba e pericolosissima teoria dell'intreccio, perché lui è il mio passato e tale deve rimanere. Ma non lo faccio. Di nuovo, rimango ferma.
Smette di guardarmi solo quando la mamma di JJ lo ringrazia e da lì prendono a volteggiare altre domande a cui lui risponde con un ritrovato atteggiamento gioviale e leggero.
Quando l'incontro finisce, alcuni bambini si scattano una foto con lui, stringendo tra le mani una copia di un libro che so già che adesso leggerò, curiosa e spaventata.
Kendra mi si fa vicina. – Cavoli... quando ha spiegato quella cosa dell'intreccio ho sentito le farfalle nello stomaco.
–Sì? – fingo noncuranza, allontanandomi.
–Che fai, te ne vai? Non ti fai una foto con il prof?
–Non sono una bambina, non ho letto il suo libro e fa il maestro, non il prof.
Anche se lui voleva diventarlo, un professore. Voleva diventare un professore universitario. Nella mia mente non trattengo la domanda su cosa lo abbia portato a cambiare idea. È diventato sempre un insegnante, ma lavora con dei bambini e affronta la matematica a un livello diverso, semplice per la sua attitudine.
–Maestro, professore... siamo lì! Puoi fare una foto a me con lui?
–Chiedilo a qualcun altro. Devo andarmene ora. Andy mi aspetta.
–Kat! Dove vai?
Qualcuno si aggrappa ai miei fianchi, fermandomi. Sembra che oggi debba andare così.
–JJ, tesoro mio! A casa. – gli accarezzo i ricciolini biondi. – Ti sei divertito?
–Il maestro è il mio preferito. Mi fa sempre aggiustare il suo orologio. Vieni a farti aggiustare il tuo? – mi prende per mano.
–No, Jerome, devo andare. – provo a fermarlo.
–Vieni, JJ, andiamo io e te. Questa qui è antipatica. – fa Kendra.
Ma Jerome si è impuntato su di me e nulla potrà fargli cambiare idea, come capisco dal suo sguardo. Così mi arrendo e lo seguo, sotto le occhiate divertite della mia collega.
Ci mettiamo allora in fila. Ci sono varie persone che vogliono farsi autografare una copia del libro. Osservo, senza riuscire a trattenermi, come nessuna ragazza gli resti accanto, o sia in una posizione di attesa. Tutti fanno una foto e si allontanano, scambiando al massimo qualche complimento e curiosità. Quando arriva il nostro turno, Holden solleva le sopracciglia. Deve essere diventato un suo vezzo. Poi guarda verso Jerome.
–Ehi, campione! Non ho già firmato la tua copia in classe?
–Devo aggiustare l'orologio anche a Kat, maestro. Lei è una mia amica e tu sei il mio maestro preferito.
–Il mio orologio va benissimo. Per il resto ha ragione, siamo amici. – abbasso lo sguardo. – Allora io...
–Sicura che il tuo orologio funzioni? Jerome, controllaglielo per favore!
Il bambino si avventa sul mio polso, senza curarsi che possa farmi male. Ci sono abituata e lo lascio fare, lanciando un'occhiataccia a John che di rimando trattiene un sorriso, prendendo a firmare altre copie. Scuoto la testa e mi impongo di mantenere la calma. Dovrebbe spingermi ad andarmene, come ha fatto questa mattina, e non trattenermi. Forse trova la situazione divertente. Forse la nuova versione di sé, questo Holden di ventitré anni, ha sviluppato un senso dell'umorismo più pungente di quello che una volta gli era proprio.
Poi ci si mette anche Kendra che civetta con lui come se fossero vecchi amici.
–Kat, ci fai una foto?
–Se proprio devo. – forzo un sorriso.
Jerome si avvicina a Holden e lo abbraccia. – Voglio stare anch'io in foto.
Holden si inginocchia alla sua altezza. Lo guarda negli occhi. Poi gli scocca un bacio sulla guancia.
–Una foto. Poi fili a casa, ché domani ti interrogo insieme alla maestra Susy. – gli punta il dito contro.
Jerome sembra entusiasta all'idea perché si mette a ridere.
Kendra allora si fa vicino a Holden e tutti e tre si mettono in posa. Lui guarda me, però, e non l'obiettivo.
–Dovresti guardare più a destra. – lo riprendo.
Lui annuisce, poi sorride come nulla fosse. Allora scatto e poi mi affretto a restituire il cellulare alla mia amica.
–E tu, Kat? Una foto anche con te. – fa Jerome.
Per fortuna interviene sua mamma a salvarmi da una situazione che sarebbe stata fin troppo scomoda per me. Gli chiede di fare il bravo e di andare subito da lei. Io gli sorrido, promettendogli che se andrà subito dalla sua mamma, domani gli leggerò da capo le avventure di Archibald.
E allora rimaniamo solo io e Kendra vicino a Holden. Lui mi guarda, non più sorridente. Sembra che voglia dirmi qualcosa, ma resta in silenzio. Lo guardo a mia volta. Vorrei dirgli anch'io delle cose, ma allo stesso tempo non voglio. Cosa dovrei dirgli, in fondo? Su quali basi dovrei parlargli? Le nostre sono basi troppo traballanti.
–Credo che... sia arrivato Andy. – dice poi Kendra, guardando verso l'entrata.
Al suono di questo nome, Holden smette di guardarmi e si avvicina alla sua postazione, raccogliendo alcuni libri tra le mani.
Annuisco, poi pronuncio un generico 'buonasera', senza avere il coraggio di dire al mio primo amore ancora una volta 'addio'. Lui deve pensarla come me, perché si limita a ricambiare il saluto, senza aggiungere nient'altro.
***
Non appena sono fuori, Andy mi cinge le spalle, mettendosi a tracolla la mia borsa, anche se è leggera.
–Un libro per bambini? Ti dai alla concorrenza? – indaga, osservando la copia che stringo tra le mani.
Poi me la prende dalle dita senza che possa fermarlo.
–Fanny L. alla scoperta della matematica. – recita. – Da quanto ti piace questa roba? – si volta a guardarmi.
Mi stringo al suo braccio, alla ricerca del suo calore. – Da quando ho conosciuto John Foster.
Camminiamo con calma, sotto i lampioni accesi e la gente che inonda le strade. Dall'alto dobbiamo sembrare tutti dei puntini colorati. Delle formiche. Oppure dei palloncini colorati quando sono lontani nel cielo nei giorni di festa, quando ci sono le parate o delle manifestazioni particolarmente allegre.
–E chi è? Mai sentito! A proposito, ti va un panino da quel fast food dove siamo stati l'altra sera? Io e i ragazzi abbiamo firmato un contratto in un locale esclusivo. Niente topaia per gli Shangs. Dobbiamo festeggiare. – si mostra allegro.
–Mi va! Oggi ho perso i sensi due volte. – mio malgrado spengo il suo entusiasmo. – Devo recuperare le energie. – vado dritta al punto.
–Cosa? – si ferma. Sgrana gli occhi. – Stai bene? Che è successo? – mi sbatacchia un po', tenendomi per le braccia.
–Sto bene, non preoccuparti! – gli sorrido. – È solo che ho visto John Foster.
–E chi diavolo è? – corruccia la fronte.
–È Holden, Andy. – lo guardo negli occhi.
Lo sto dicendo a qualcuno che lo ha conosciuto. Non lo sa nessun'altro. Non ho avvertito nessun'altro di questa cosa. Nemmeno Pam o Chas, o Roxy, o la mamma, o Bob, o la nonna. Solo Andy. L'ho detto solo a lui e adesso non posso tornare indietro.
Le sue sopracciglia si fanno sempre più vicine. – Cosa?!
–Ho rivisto Holden, Andy. – insisto. Lo guardo, seria.
–Holden? Quel Holden?
Annuisco. – Holden Morris.
–A dir poco surreale. – mi prende per mano e riprende a farci camminare. – Com'è possibile?
Stringo le mie dita alle sue, cercando conforto. Andy è una parte essenziale della mia vita. Lui è diventato con il tempo un porto sicuro dove rifugiare le mie paure e far riposare il mio cuore. Siamo uniti da qualcosa di forte, malgrado il modo in cui sia evoluto il nostro rapporto. Con lui è sempre stato tutto così... facile. Anche lasciarci. D'improvviso è successo, come se fossimo una di quelle coppie sposate che d'improvviso si trova a chiedere il divorzio con una naturalezza disarmante. È sempre stato strano quello che ci ha tenuti insieme, eppure l'esserci amati come abbiamo fatto ha fatto sì che nessuno dei due abbia sentito il suo cuore rompersi in modo troppo doloroso quando abbiamo deciso di conservare solo l'amicizia nel nostro rapporto. A volte mi sono trovata a pensare che lui abbia solo saputo mascherare meglio il suo malessere, ma non ho mai trovato il coraggio di chiederglielo.
–Non lo so nemmeno io. So solo che l'ho rivisto questa mattina e ho perso i sensi. È stato tutto così improvviso e inaspettato. Un fantasma è tornato a farsi strada nella mia vita. Anzi, no, ha fatto solo una breve apparizione.
Andy mi guarda, ma rimane in silenzio. Non so se voglia aspettare il momento giusto per inondarmi di domande o se abbia capito che non ne voglia parlare. O meglio, che non voglia parlarne, ma che in qualche modo forse debba farlo. Almeno con lui, che è il mio migliore amico, quello che nasconde in sé i miei segreti più profondi, o quasi. Io non aggiungo più nulla e così ci limitiamo a passeggiare con il solo suono della frenesia cittadina. Il locale dove mi porta è in una zona residenziale. Ci sono meno luci e meno rumori rispetto alla zona urbana. Prendiamo posto vicino alla finestra che dà sul marciapiede, poi ci tuffiamo nei menù che ci porta direttamente la proprietaria, la signora Angelique. La vinco io su un'insalata di pollo, ma Andy la vince quando mi convince a ordinare anche una coppa di gelato.
Aspettiamo i nostri ordini chiacchierando della sua giornata. Mi racconta del locale dove la loro manager è riuscita a organizzare loro una serata, descrivendomelo come un posto 'in' dove hanno suonato anche band che hanno poi preso il volo. Andy, meno di Daniel e Jenny, non ha mai avuto interesse a trarre un vantaggio economico dalla musica, però con il tempo si è lasciato convincere che la vita a volte offra la fortuna di far coincidere quella che è una passione con un lavoro che permetta di arrivare a fine mese con la pancia piena. È sempre stato bravo a scrivere canzoni e a suonare la batteria, e standogli accanto sono stata la testimone diretta della sua crescita artistica. Uno scrittore per bambini di giorno e un rockettaro di notte. Andy è anche questo e non posso fare a meno di sentirmi così fiera di lui quando mi è accanto.
Nel frattempo arrivano le nostre cene. Il suo panino ha un aspetto goloso e invitante.
–Kendra mi ha detto che le farebbe piacere se venissi anche tu a vedere uno spettacolo che stanno mandando al New Amsterdam Theatre. – la butto lì, portando alla bocca una patatina che gli rubo.
–Cosa? – sgrana gli occhi scuri.
–Sì, mi ha detto che le farebbe molto piacere. – insisto. Non sto mentendo, alla fine.
–Ah. E perché non me l'ha detto lei? – evita il mio sguardo.
–Perché sei un orso, no? – gli tocco il ciondolino a forma di orsetto che porta ancora attorno al suo polso. – La guardi ogni volta che vieni in libreria, le dici due cavolate e poi te ne vai. Con me fosti... più intraprendente.
–E che devo dirle? Non mi sembra che a lei possa... interessare. – nasconde il viso dietro un bicchiere di cola.
–Se non vi parlate, è ovvio che tu non possa capire se abbiate punti in comune! Vieni allo spettacolo, comincia a fare qualche riferimento a Shakespeare e poi... si vedrà. – do un morso a una croccante foglia di insalata.
Fa spallucce. – Guarda che sto bene anche senza una vita sentimentale.
–Ma certo. Orso Andy non può smentirsi, non avevo dubbi! Però, ammetti che Kendra è molto carina con i suoi boccoli rossi e con il suo sorriso da paura.
Borbotta qualcosa, poi annuisce. – È molto carina. Sembra una ragazza degli anni '50 con i suoi vestitini e le sue scarpette. – solleva con lentezza gli angoli della sua bocca, piegandola in un sorrisetto ebete. – Ha una strana camminata e ama i dolci. Ride come fanno i bambini lei. Secondo me...
–Ti ascolto. – lo prendo in giro.
Smette di parlare, tornando serio.
Sorrido, inviando di nascosto un messaggio a Kendra: "Provvedi quanto prima a trovare i biglietti dello spettacolo con Jason Wilde. Potrei averti rimediato un appuntamento con Andy."
–Ma... – si schiarisce la voce. – Parliamo di te. Tu e il fantasma?
Smetto di sorridere, sentendo lo stomaco chiudersi d'un tratto. Sapevo che stava aspettando solo il momento giusto.
–Cosa? – tergiverso.
–Cosa è successo tra voi? Vi siete parlati?
–No. Non proprio. – mollo la forchetta nel piatto. – D'improvviso me lo sono trovata davanti. Da giorni in libreria si parlava di questo nuovo scrittore con il mio stesso cognome, ma di certo non immaginavo che fosse... lui. È stato uno shock! Saperlo qui a New York, vederlo nella libreria dove lavoro, sapere che abbia scritto un libro per bambini e che sia diventato un maestro.
–Un maestro?! – sgrana gli occhi ancora una volta, lasciando andare anche il suo panino. – Ma non voleva fare strada nel mondo universitario?
–È quello che voleva, infatti. Ma, a quanto pare, ha cambiato i suoi piani!
Andy stringe le labbra, un angolo appena sollevato che gli dà un'espressione confusa.
–Lui come ha reagito?
–A quanto mi ha detto Kendra si è pietrificato sul posto non appena mi ha visto. Dopo che ho ripreso i sensi, ci siamo scambiati alcune parole e poi... alla presentazione del suo libro... lui... – cerco le parole adatte. – sembrava molto più sciolto e a suo agio di come mi sentissi io.
–Stento ancora a credere che vi sia successa una cosa del genere. Non pensi che lui... sapesse di te, del tuo nome d'arte, del fatto che lavori da Corinne?
–No! – scuoto la testa. – No, lui... sembrava sincero. Si è mostrato alquanto sciolto, ma... era sorpreso. Era realmente sorpreso. Avrebbe trovato il modo di saperlo, tramite PJ e Roxy, ma... so che non è successo.
Annuisce, un'aria pensierosa a contrargli i lineamenti.
–Non lo vedevi da tanto. – le sue pupille vagano nelle mie.
–Già. – mi volto verso la finestra. – L'ultima volta è stata... l'ultimo anno di college. Ricordi? Ce lo trovammo davanti all'improvviso. Lo vedemmo quando tornò e quando... si laureò. – mi tornano alla mente alcune scene. – Due volte... e qualcuna sporadica in mensa. Era senza... Violet, Ma sai che non siamo mai tornati a parlarci. Sui social non è mai stato attivo e sul suo numero di cellulare ha sempre mantenuto una vecchia foto anonima. – fisso un lampione. – Non che comunque mi sia più interessata a lui, lo sai.
–Lo so. – ci mette un po' a rispondere.
Poi facciamo silenzio. Si sente solo una canzone dal ritmo movimentato che fa da sottofondo ai pasti dei clienti.
–Fosty.
–Mhm? – mugugno.
Sento il suo sguardo addosso e così torno ad affondare i miei occhi nei suoi. Poggia i gomiti sul tavolo e mi fissa.
–Hai sentito solo... shock quando lo hai rivisto? Non hai provato... nient'altro?
–Cos'altro avrei dovuto provare?
Lo vedo prendere il respiro, lasciare così che passino altri secondi. – Ti conosco meglio di quanto conosca me stesso, lo sai, Kathleen?
–Lo so. – rispondo al suo sguardo.
Annuisce. D'improvviso tra di noi si crea un gioco di sguardi. Lui che vuole dirmi qualcosa che non afferro. Che non voglio afferrare. Mi sembra di tornare di nuovo indietro nel tempo, a una scena già vissuta tra di noi. Sto tornando troppe volte indietro nel tempo. Non mi piace.
–Allora... – comincia con lentezza.
–Allora? – gli vado incontro.
–Allora non mi riprenderai se affermo che è vero, di persona lo hai visto poche altre volte dopo la sua partenza per l'Erasmus, ma... che lui... non se n'è mai andato dalla tua testa, e che quindi in un certo modo non ti sei mai separata da lui. Non del tutto.
Le sue parole riecheggiano tra noi per qualche istante, traditrici e ferenti. Percepisco nella sua voce le stesse sfumature che la colorarono quando ci lasciammo. Qualcosa di dolce, di triste, di... strano.
–Ma che stai dicendo?
–La verità!
–Questa non è la verità! – smetto di guardarlo. – Sono passati anni. Anni, Andy! Io e te siamo stati insieme, ci siamo laureati, ci siamo trasferiti a New York. Lui è solo un ricordo. Sarà sempre una parte di me, è vero, è inevitabile, ma ho preso le distanze da lui... da tanto tempo.
Una coppia si fa strada nel fast food. Hanno un bimbo piccolo seduto sulle spalle di quello che deve essere il papà. Ridono.
–Fosty... perché non lo ammetti?
Non gli rispondo.
–Da quando viviamo qui, hai accettato di uscire con quanti ragazzi? – domanda. Cambia strategia.
–Lo sai già.
–Rispondimi.
–Due. Ho accettato l'invito di due ragazzi. – biascico.
–Ecco. Descrivimeli.
–Non lo farò. – mi impunto.
–Lo faccio io, allora. Entrambi erano molto alti, con i capelli scuri e gli occhiali da vista.
Abbasso lo sguardo.
–Quei due idioti avevano qualcosa che ricordava Holden.
–Non è vero! – alzo la voce – Erano solo coincidenze che avessero gli occhiali e che fossero alti.
Solleva un sopracciglio. – Stai sfidando il mio intelletto, Kathleen.
Chiudo gli occhi per qualche secondo. Ha ragione. Da quando vivo a New York e lavoro ho avuto più occasioni di uscire e di conoscere nuove persone. Ogni qual volta, però, dei ragazzi abbiano provato ad approcciarmi, ho sempre focalizzato le mie attenzioni più su ragazzi che mi ricordassero di... lui.
– Sì, okay. Ho accettato di uscire con quei due ragazzi perché... per quello che hai detto tu. – mi arrendo. – Ma chi se ne importa, Andy? Questo non significa che sia felice all'idea di averlo rivisto nel mio posto di lavoro, nella mia nuova città, tutto d'un tratto. Dovremmo parlare di questo, no? Che c'entra che il mio ideale di ragazzo assomigli... a lui?
Andy mi prende per mano, e mi guarda come se d'un tratto fossi diventata una bambina ai suoi occhi. – Cosa hai provato, Kathleen?
–Te l'ho già detto, ho perso i sensi. Rivederlo così all'improvviso è stato come rivedere una vecchia Kat. – confesso. – Poi mi sono trovata costretta ad ascoltare la presentazione del suo libro e mi sono sentita anche così curiosa. Avrei voluto fargli tante domande, soprattutto dopo aver constato che lui sia diventato un maestro di scuola e che abbia scritto una storia che mi attira più di quel che dovrebbe.
–Una storia che porta come firma un nome d'arte che ha creato scegliendo il tuo vero cognome. – mi stringe le dita.
–Già. – mi mordo il labbro inferiore. – Non aveva il diritto di farlo. Di usare il mio vero cognome. Di presentare il suo libro nella mia libreria. Di parlare di intrecci e azioni fantasma a distanza.
–Azioni fantasma a distanza? – corruccia la fronte. – Che significa?
Scrollo le spalle. –Non è importante.
Torna a fissarmi e a fare silenzio.
–Non dici più nulla? – cerco il suo sguardo.
–Ho paura di te. – fa un sorrisetto. – Se ti dicessi ciò che sto pensando potresti creare un personaggio a mia immagine e farlo soffrire nel prossimo libro, ti conosco.
–Addirittura? – sorrido a mia volta.
Annuisce.
–Dai... dillo. Dimmi cosa ti frulla nella testa! – lo incito con un gesto della mano. – Non creerò nessun personaggio a tua immagine e non lo farò soffrire.
–Promesso?
–Promesso.
–Non ti sembra... strano? – riprende allora parola.
–Che abbia rivisto Holden?
–Già.
–Molto strano. Te l'ho detto.
–Beh... – si schiarisce la voce. – Lo sai che sono piuttosto... cinico in certe cose, però... io ti ho incontrata, Kathleen. Tu così simile a me e a mia nonna. Ti ho amata e ho ricevuto il tuo amore, seppur diverso da quello che provassi io per te, l'ho sempre saputo, e allora...
–Non è vero. Io...
–A te non è mai partita nella testa La Bohème quando eri con me, Fosty, diciamocelo. – lo dice con tranquillità. Lo fa con naturalezza.
–La Bohème di Philippe... – mormoro, allargando gli occhi. Erano anni che non sentivo il nome di questa canzone. Eppure ricordo subito a cosa faccia riferimento.
–Proprio quella. Ora fammi continuare. Dicevo che io non posso non credere che a volte certi incontri non capitino per caso. Io non ti ho incontrata per caso, per esempio. Lo so.
Socchiude gli occhi scuri. – Forse c'è un perché se tu sia tornata a parlargli dopo anni, proprio nella città dove ti sei trasferita, nella libreria dove lavori. Quante possibilità c'erano, d'altronde, che questo succedesse?
–Non c'erano. – abbasso la voce. – Non c'erano possibilità che tutto questo succedesse.
Sorride. Poi torna serio. Sugli occhi prende a gravargli uno sguardo d'un tratto mortificato. – La verità è che ho sempre lasciato stare, Fosty.
–Cosa? – corruccio la fronte.
–Quando tu e lui vi lasciaste, anni fa. In qualche modo mi sono sempre sentito responsabile di quella rottura, pur sapendo a livello razionale che non ne fossi colpevole, come mi rassicuravi sempre anche tu. Mi appigliavo alle tue rassicurazioni, mettendo a tacere quella vocetta che mi diceva che fosse tutto così... strano.
Rimango a guardarlo in silenzio. È strana la piega che ha preso la nostra chiacchierata. È strano essere qui, in una sera di primavera a New York, di fronte a un'insalata che non sa di niente, a parlare di un ragazzo che ero certa sarebbe rimasto incastrato in un addio lontano. A parlarne con il mio migliore amico con cui ho avuto una relazione.
–Che fosse strano che due che si guardavano come facevate voi due si fossero d'improvviso lasciati. Che chissà quale buio fosse stato in grado di sconfiggere la vostra luce. Ai tempi ci sono state volte in cui avrei voluto parlargli, soprattutto quando sentivo i suoi sguardi su di me. Holden mi guardava, Kathleen. Lo faceva spesso. Ma non leggevo mai rabbia nei suoi occhi. Piuttosto... rassegnazione, che è peggio della rabbia.
–Rassegnazione? Rassegnato all'idea che gli piacesse un'altra e che non sapesse come dirmelo, sì. Lui provava dei sensi di colpa. Lui mi ha lasciata per lei! Io non lo rendevo più felice. Ne abbiamo già parlato. – alzo ancora la voce. Perché stanno tornando a galla queste frasi? Queste consapevolezze passate ma che, mi accorgo, mi bruciano ancora?
–Lui non la guardava come guardava te, Kathleen. – abbassa lo sguardo. – Mi era facile accettare che avessi ragione tu quando mi dicevi che lui avesse scelto lei, ma nel profondo... l'ho sempre saputo. Io lo vedevo il vostro laccio, sai? Anche dopo, quando non eravate più una coppia... io lo vedevo. Holden era un ragazzo arreso e io... ne ero in qualche modo dispiaciuto, ma anche contento. Era la mia occasione, avevo quasi diciannove anni e mi piacevi da matti. Ero combattuto, ma ero anche intelligente e non ero di certo il suo benefattore, per quanto mi fosse simpatico. E non me ne pento perché tu mi hai dato tanto stando al mio fianco, però... – lascia cadere il discorso.
–Perché mi stai dicendo adesso queste cose? – ricambio la stretta sulle sue dita. – Se oggi non l'avessi rivisto, tu ti saresti portato dentro questi... pesi?
–Perché mi hai detto di aver rivisto il tuo primo amore che ha scritto un libro sotto uno pseudonimo in cui c'è il tuo cognome. – accartoccia la fronte. – Perché è successo qualcosa in cui solo mia nonna avrebbe creduto. Una favola, quasi. Io... forse te l'avrei detto, un giorno. O forse no.
–Non è una favola questa, Andy. – spiego, addolcendo il mio tono, come se d'un tratto fosse diventato lui uno dei bambini a cui leggo i miei libri. – Non lo rivedrò più. È successo oggi, ma... da domani non lo rivedrò più. – la mia suona quasi come una promessa. Una promessa che voglio fare a me stessa.
–Ho i miei dubbi. – d'improvviso torna a sorridere, smorzando una tensione che si è tessuta tra di noi, parola dopo parola. – Io... sono riuscito a starti accanto, Fosty, ma... è sempre stato strano quello che ci ha tenuti legati, non credi? Come se in ogni nostro gesto ci fosse stato perennemente un 'ma' appeso a mo' di spada di Damocle sulle nostre teste. Ti amavo, ma. Mi amavi, ma.
–Stai riducendo la nostro storia d'amore a dei 'ma' sospesi sulle nostre teste? Dopo tutto quello che abbiamo vissuto insieme? Noi due siamo stati insieme più di quanto lo siamo stati io e Holden. – sembra che d'improvviso si sia fatto largo tra noi un discorso che ha semplicemente aspettato il momento giusto per venire allo scoperto.
– Non è importante quanto, ma come. – accenna un sorriso. – Io ti ho amata, Fosty. Ti amo ancora, sai? Ma in modo... diverso. Ti amo così tanto che adesso sono spaventato dal ritorno di Holden nella tua vita, ma ne sono anche tremendamente felice perché so che lui è sempre stato te più di quanto tu sia stata te stessa. Più di quanto tu sia stata me più di me stesso.
–Andy...
–E sono anche tremendamente felice di poter uscire con Kendra. – lascia andare le mie dita.
Torna poi a mangiare il suo panino. Di colpo. Gli dà un morso, poi scoppia a ridere. Lo guardo con gli occhi d'un tratto lucidi, sconvolta, ma anche... tranquilla. Ride così forte, che contagia anche a me.
Poi le risate si smorzano.
–Non dovremmo ridere, Andy. Non è mica facile la situazione che si è creata.
–Mia nonna avrebbe detto che le favole più complicate sono anche le più belle.
–E temo ti avrebbe detto anche che sei un matto. Perché ci siamo messi a parlare di queste cose quando avremmo dovuto farlo mentre eravamo insieme? Perché non ce le siamo dette prima di lasciarci? Perché Holden ha parlato nel suo libro di un intreccio e mi ha lasciata andare, Andy? Perchè sono passati anni e non è successo nulla prima?
Senza che me ne accorga una lacrima mi solca una guancia. Ho vissuto questi anni costruendomi delle convinzioni. È andata così: mi sono innamorata perdutamente di un ragazzo che avevo trattato nel peggior modo in cui avrei potuto trattarlo, ho lasciato che conquistasse il mio cuore, lui ha lasciato che conquistassi il suo. Ci siamo amati. Tanto. Poi ci siamo fatti travolgere da dondolii e vertigini. Mi ha lasciata. Se n'è andato. È diventato un fantasma. Io allora mi sono voluta bene e sono andata avanti. Ho studiato, ho lasciato che il mio cuore si avvicinasse a quello di un ragazzo bellissimo e simile a me. Che vivessi finalmente un amore... facile, senza litigi, senza colpi di testa, senza semafori o stelle pericolose. Mi sono laureata con il massimo dei voti. Ho scritto dei libri, ho conosciuto dei bambini. Ho lasciato che diventassi io il capitano della mia anima, come mi avrebbe suggerito il poeta William Henley, e poi... la farfalla è tornata. Non quella dalla metamorfosi al contrario, ma quella innamorata. Quella che si posa su un castello di carte allineate con cura e minuziosità, e le fa cadere senza scrupoli.
–Perché questo è il bello dell'essere vivi, Fosty. – mi sorride, asciugandomi un'atra lacrima.
–Non hai risposto alle mie domande.
–L'ho fatto, invece. Princeton ci ha riconosciuto il titolo di persone dotte in lettere, Fosty, quindi non sta a me spiegarti come ogni cosa che faccia ballare il nostro cuore nel petto, rendendoci vivi, valga la pena di essere accolta, esattamente così come viene. Quando viene.
Ride. – Hai perso i sensi quando lo hai rivisto. Poco ma sicuro che se avessi rivisto me mi avresti offerto un boccale di birra, altroché. – si morde le labbra. – Porca vacca!
Il modo in cui pronuncia quella che è una mia imprecazione abituale mi fa sorridere.
Poi i miei occhi cadono sulle due dita da cantastorie.
Raccontano delle storie le sue dita. Le falene, il lupo, il serpente.
Sono sempre state diverse da quelle di Holden.
***
Torno a lavoro con il cuore che mi balla nel petto, proprio come ha detto Andy. Non mi sfilo gli occhiali da sole quando entro. Tutto quello che mi circonda viene filtrato dalle mie lenti scure. Sulla spalla porto il peso di un libro che non ho trovato ancora il coraggio di leggere.
Corinne e Kendra mi salutano come loro solito, fingendo noncuranza. Noto in realtà come mi lancino delle occhiate ogni qual volta che sia nel loro mirino. Ma non parlano. Probabilmente avranno spulciato i miei social, e quelli di Holden, alla ricerca di quel gossip che non sono disposta a vendere e che sono certa non abbia appagato i loro appetiti.
Cammino nelle varie corsie con lentezza, quasi con il timore che lui possa sbucare da un momento all'altro, che possa ritrovarmelo davanti agli occhi con la nonchalance con cui lo ha fatto ieri. Poi fisso la porta d'entrata, aspettando chissà cosa. Voglio che non si faccia più vedere, ma allo stesso tempo voglio che torni.
–Voi due siete una di quelle coppie con "questioni in sospeso", vero, Kat? L'ho capito da quella cosa dell'intreccio.
D'improvviso Kendra mi si fa vicina. Lo fa di soppiatto, spaventandomi.
–Che significa essere una coppia con questioni in sospeso?
–Non hai mai visto una di quelle serie in cui dei tizi, una volta morti, rimangono sulla Terra come fantasmi perché hanno delle questioni da risolvere? Non possono attraversare la luce, altrimenti. Come Ghost, il film con Patrick Swayze.
–Ti amo, Leen.
–Idem.
– Mi sa che ho sbagliato a farti vedere Ghost l'altra sera. Non sei mica Patrick Swayze che puoi limitarti a dire "idem". Non penserai perciò di cavartela così.
–Ti amo, Holden Morris. Va meglio adesso?
–Anche solo Holden andava benissimo.
Un ricordo si intrufola nei miei pensieri. Lo allontano, come ho allontanato quello sciame di immagini e parole tornate a riempirmi il cervello, il cuore, le orecchie. Ronzano come insetti fastidiosi.
–Noi siamo vivi e vegeti, Kendra.
–Che c'entra! Sei laureata a Princeton e poi non capisci cose così facili?
–Guarda che dico ad Andy che non si fa niente dell'appuntamento. – la minaccio.
–A proposito, ma cosa hai combinato? – sgrana gli occhi. – Ieri sera mi ha scritto. Sembrava ubriaco. Ho reperito anche i biglietti per lo spettacolo, a proposito. Sarà il mese prossimo. Mi devi dare l'anticipazione di Miss Scarpette che mi avevi promesso.
–Ho solo velocizzato le vostre lancette, Kendra, proprio come un giorno Andy aiutò a velocizzare le mie. Io gli voglio tanto bene, sai?
–Sexy com'è, so che avresti dovuto già sposartelo, Kat, ma... forse il maestro è ancora nel tuo cuore.
–Non sai tante cose! Sono passati anni, Kendra. – me lo ripeto ancora una volta.
–Che significa? I miei bisnonni si sono trovati dopo gli anni della guerra. Ho delle lettere che lo dimostrano.
–Lui non è andato in guerra.
–Non capisci mai tu, eh. – mi cinge le spalle. – Avanti, raccontami della vostra questione in sospeso. Prometto che non ne parlerò a Corinne. Voglio solo esserti amica, Kat, lo sai. – mi sorride.
Ha ragione Andy. Lei sembra proprio uscita fuori da un decennio lontano. I capelli lunghi, pettinati con una riga laterale e acconciati in dei boccoli perfetti, le fossette sulle guance e un sorriso dolcissimo. Me la immagino in bianco e nero, con uno dei suoi vestini con la gonna che svolazza a ogni movimento. Saltella sotto un palco sopra cui Andy suona la sua batteria, guardandola con felicità. Sono così diversi loro due, eppure hanno lo stesso luccichio negli occhi.
Mi lascio convincere. Mi sfilo gli occhiali e le racconto tutto. Parlo, parlo, parlo. Parlo come non lo facevo da troppo tempo.
***
Con Holden si è aperto un vaso di Pandora. Un vaso che non sembra intenzionato a chiudere. Torno a immaginare il suo viso, rileggo la storia di Fanny L. almeno una volta al giorno, mi aspetto che torni in libreria, ma non lo fa. Io ne sono felice. Ma non del tutto.
Passano i giorni e io maledico il mio cuore perché sembra d'un tratto aver ripreso a battere in un modo che avevo dimenticato gli fosse proprio. Sono passati anni, ma deve sentire anche lui di avere una questione in sospeso.
Holden torna poi un pomeriggio. Il peggiore in cui potesse tornare. Sono conciata in modo ridicolo, con un vestitino da fatina, delle ali di plastica alquanto scadenti legate sulla schiena, dei brillantini nei capelli e delle ballerine ai piedi che mi fanno sentire un nano da giardino.
Sento la voce di Corinne accoglierlo con un "John, che bello rivederti!" che mi mette in allarme. La mia prima reazione è quella di nascondermi. Ma poi mi accorgo che fra poco dovrò aiutare una bambina a festeggiare il suo compleanno a tema 'Peter Pan'. Mi ricordo poi che non sono più una ragazzina. Faccio un bel respiro e mi sistemo nella mia postazione, nascondendo il suo libro, di modo che non si accorga che la mia copia sia già sgualcita per tutte le volte in cui abbia provato a leggere tra le righe che ha scritto.
Lo sento parlare con Kendra. Sta cercando dei libri che parlino della nascita dell'Universo per un progetto che vuole cominciare con i suoi bambini. Sussulto quando viene fatto il nome di Archibald. Il mio Archibald. Poi sento dei passi farsi vicini. Prendo il libro di Peter Pan e nascondo il mio viso dietro le sue pagine.
–Dove hai comprato quelle ali? Credo che potrebbero servirmi per quando parlerò ai miei bambini dei lepidotteri. Mi hanno dato una quarta in cui insegno scienze. Preferisco la matematica, ma vabbè.
Abbasso con lentezza il romanzo. Mi sorride, stringendo tra le mani la copia del mio libro.
–Ciao. – sorride.
–Ciao. – biascico.
–Peter Pan?
Annuisco. – Oggi una bambina festeggia il suo compleanno e ha scelto di passarlo qui. Le ho preparato una festa a tema. – spiego.
Abbasso subito lo sguardo. Da quando Andy mi ha rivolto quelle parole e ho letto di Fanny L. e Peter mi sento scossa. Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo. Holden ha riportato indietro le mie lancette. Non è giusto. Forse dovrei chiedere a JJ di sistemarmele. Ma temo non funzionerebbe comunque.
–Capisco. Stai molto bene, comunque. Hai sempre avuto un aspetto... magico.
–Magico? – sollevo un sopracciglio.
–Sì. – fa un colpo di tosse. – Un viso dolce come quello di una di quelle fate buone che sono descritte nelle fiabe. – è il suo momento di abbassare lo sguardo.
–Ah. – era da tanto che non sentivo rivolgermi frasi così... spontanee. – Spero che il libro di Archibald ti sia utile. – riprendo per stemperare l'imbarazzo improvviso. – Comincia con alcune domande circa la nascita dell'Universo. Ho provato a renderlo filosofico, proprio come mi insegnò una volta il professor Morley. Non so... se ricordi di lui.
–Ricordo tutto. – è il suo momento di dirlo.
Annuisco, poi torniamo a fare silenzio. Kendra ci guarda da lontano e per un momento mi sembra che mi inviti con le mani a fare qualcosa. Ma io non so cosa fare. Non è cambiato nulla tra me e lui. Il fatto che abbia scritto di una bambina che assomiglia incredibilmente a me e a lui, che Andy pensi che ci fosse dell'altro dietro gli sguardi dell'Holden di diciotto anni che decise di lasciarmi e che Kendra mi abbia parlato di una questione in sospeso di cui mostriamo degli evidenti segni non sono fattori troppo importanti. O forse sì. Ma comunque non so che fare. Lui è pur sempre un fantasma tornato dopo troppo tempo.
Poi mi sorride. Gli angoli della sua bocca si tendono appena all'insù. Sembra quasi incantato, come se stesse sorridendo a me, ma a una me che non è qui, di fronte ai suoi occhi. Una me che non sono io. Forse sta sorridendo alla me di qualche suo ricordo. Per un momento torno triste. Vorrei che sorridesse alla me di adesso anche se so che è già tutto fin troppo strano. Non voglio vederlo. Voglio farlo. Voglio che torni a chiudersi in un cassetto della mia mente dove ha scelto lui di nascondersi, diventando un ricordo. Voglio che resti. Voglio che se ne vada. Voglio che mi parli. Voglio che resti in silenzio.
Dei bambini fanno trillare il campanello all'entrata. Lui perde il sorriso e si volta verso la porta d'ingresso.
–Okay, sarà meglio che vada adesso. Ho da progettare un bel po' di lezioni. – si passa una mano nei capelli. – Buon lavoro!
–Grazie. Buon lavoro anche a te!
Annuisce un'ultima volta, poi si allontana.
***
Il giorno della presentazione di Miss Scarpette, mi sento emozionata come la prima volta. Come quando il professor Morley portò tra le sue braccia, come se fosse un bambino, I passi della piccola Charlotte mettendomelo tra le mani e sorridendomi con i suoi occhi azzurri e il suo sorriso splendente. Stringevo tra le dita qualcosa che fino a quel momento era rimasto incastrato nella mia testa. Qualcun altro avrebbe potuto farlo. Avrei potuto inspirare il profumo dei miei personaggi, toccarli, accarezzarli con le dita.
Lo posso fare anche adesso. Il visino di Aria è puntato verso il cielo. Il suo corpo è in equilibrio sul mondo e il suo sguardo è fiero e orgoglioso. Proprio come lo è il mio quando la guardo. Le sorrido e le parlo con gli occhi. Le dico grazie per essere entrata nella mia vita e per avermi permesso di scrivere la sua storia. Le faccio anche le congratulazioni perché ce l'ha fatta a trovare la libertà. Brava, Aria, e grazie, per sempre.
È un lusso quello che mi concedono i miei personaggi. Mi danno il privilegio di poter scrivere le loro storie e averne consapevolezza fa sì che mi goda la scrittura con tutta me stessa.
Andy è in tiro come me. Mi guarda emozionato, mentre Daniel e Jenny ci scattano delle foto e ci fanno delle boccacce canzonatorie.
Alcuni genitori mi salutano, insieme ad alcuni bambini che mi fanno 'ciao, ciao', con le guance rosse e i dentini da latte ben in evidenza. Bob, la mamma e Jonathan sono in videochiamata sul mio cellulare, ora tra le mani di Corinne.
Io e il mio amico ci sediamo e nel mentre qualcuno arriva con aria trafelata. Una borsa a tracolla saltella sulla spalla e dei ritrovati occhiali da vista sono appena storti sul naso. Holden saluta JJ che gli ha lasciato un posto al suo fianco. Perdo il sorriso e per un momento l'ansia da prestazione cede il posto a un altro tipo di ansia. Holden è qui. Di nuovo. È venuto a vedermi.
Andy mi dà una gomitata. Loro due si stanno rivedendo dopo tanto tempo. Non abbiamo parlato più di Holden in queste settimane. Non gli ho detto nemmeno del giorno di 'Peter Pan'. Lui non ha detto più nulla in merito. Eppure, qualcosa mi dice che abbia fatto più di quello che mi dirà mai.
Kendra fa le veci di Corinne e presenta il nostro libro, lasciandoci poi la parola. Il mio amico parla per prima, poi mi passa la palla. Presentiamo Aria in tutta la sua leggerezza. Leggiamo dei versi e per un momento mi commuovo. È dolorosamente bello entrare in simbiosi con i propri personaggi, ne prendo ancora una volta atto.
Arriva il momento in cui spazio è dato ai lettori e dei bambini mi fanno delle domande. Riconosco Lottie, Stephen e Ruby. Poi svetta su molte teste una mano affusolata.
–Avrei una domanda per la signorina Fisher.
Gli occhi dei presenti volano nella direzione di Holden. I miei fanno lo stesso. Il cuore mi batte più veloce. Mi cristallizzo sul posto.
–Prego. – mormoro.
–C'è un passo in cui parla di libertà. Una volta, una ragazza coraggiosa che ha fatto parte della mia vita, parlò della libertà come quella condizione che trascende l'assenza di catene o prigioni. Aveva solo quattordici anni, ai tempi. Ecco, la sua Aria, ancora una bambina, approda alla stessa consapevolezza di quella mia... amica. Ho amato particolarmente il passo in cui ci parla delle sue ali e di quelle delle persone che le vogliono bene e che sono pronte a sorreggerla con le loro in caso di bisogno. Aria, in un certo senso, approda a capire che quell'equilibrio che le permette di volare come una funambola nel circo dei suoi genitori fa parte di sé e che questo la rende... libera. In qualche modo lei si dà una seconda possibilità, non crede?
Ci metto un po' a rispondere. Fatico a metabolizzare che tutto questo stia davvero succedendo: lui che è tornato, lui che è qui a farmi una domanda sul mio libro.
–Possiamo dire che arrivare a certe consapevolezze significhi darsi una seconda possibilità, sì.
–Lei crede quindi che ognuno di noi possa darsi una seconda possibilità? – continua.
Rimango in silenzio per altri secondi, assorbendo con lentezza ogni sua parola. So che è una domanda a trabocchetto. Mi sta tendendo una trappola in cui so di star per cadere. Vorrei rispondergli in modo contrario a quello che sto pensando. Per ripicca. Per rabbia. Per fastidio.
–Credo che... – la mia voce è strana. La schiarisco, prendendomi altri secondi. – Che sia doveroso darsi una seconda possibilità, e anche una terza, una quarta e una quinta. Aria, così piccola, perderà altre volte l'equilibrio, lo posso assicurare, però... ha capito che è qualcosa che può maneggiare e che così come a volte potrà perderlo, così lo potrà ritrovare, fino a quando le sarà del tutto proprio. – faccio la persona matura e accantono quel 'no, non ci si può dare nessuna nuova possibilità' che una vocetta bisbiglia qua e là.
–Quindi si arriva a un punto fermo? Un punto in cui si crede davvero in sé stessi? In cui delle consapevolezze di cui nel passato si ha avuto solo un assaggio, da cui poi si è scappati di nuovo, diventino finalmente proprie?
Nell'aria aleggia la curiosità dei presenti. C'è chi guarda me. C'è chi guarda Holden. I bambini hanno facce confuse. Mamma e Bob hanno le lacrime agli occhi, impreparati al ritorno di una persona di cui non avevo più parlato loro. Io guardo lui. Lui guarda me.
–Sì. – affermo, sicura. – Si arriva a un punto fermo. Le consapevolezze di cui nel passato si ha avuto solo un assaggio, diventano il sostentamento principale. Si fagocitano e prendono a far parte di ogni nostra più piccola parte.
Holden mi guarda negli occhi, annuisce, poi sorride. Sembra soddisfatto. Non della mia risposta, ma della sua domanda. Ha ottenuto quello che voleva.
Il pomeriggio continua con altre domande, con i sorrisi dei bambini, con foto e autografi. Io e Andy ci comportiamo come sempre, ma so di aver vissuto con un cuore diverso questo momento. L'ho vissuto sentendo un paio di occhi grigi addosso, con il peso di dover usare le parole giuste per non spegnere quella fiammella che senza che la controlli vedo all'improvviso.
–Kat, sicura di non voler venire? Lo sai che ho preso anche un biglietto per te! – Kendra mi stringe le mani. – Non puoi lasciarmi solo con Andy! – assottiglia la voce, sgranando gli occhi.
–Certo che posso! Cogli l'attimo, e ruba il cuore al tuo principe oscuro, Kendra. Io mi godrò la serata in compagnia della mia Aria. Sono troppo stanca, persino per Jason Wilde.
–Ma...
–Ma devi andare perché quell'orso ti sta aspettando e potrebbe decidere all'ultimo momento che la sua tana sia meglio di un teatro fighissimo. – la spingo.
Annuisce, scoccandomi un bacio sulla guancia e ticchettando sui suoi tacchi verso il mio amico. Lui mi lancia un occhiolino prima di svignarsela.
Poi mi volto, mi do un'occhiata attorno e mi accorgo che sono in pochi a essere rimasti in libreria. All'improvviso, mi sento come quando alle elementari, dopo una festa di compleanno, guardavo tutti i bambini andarsene uno dopo l'altro, mentre io restavo da sola, sul divanetto, un leccalecca tra le mani e la speranza che mamma sarebbe venuta presto a prendermi. Adesso, però, ho ventitré anni e non ci sarà nessuno che verrà a prendermi.
Per un momento mi torna la voglia di piangere. Lui se n'è andato. È tornato ad affacciarsi nella mia vita da un solo mese, lasciando che la sua presenza serpeggiasse con lentezza in tutti i spiragli disponibili. Un solo mese, ma ha già ripreso a stringere tra le sue dita questo stupido cuore che mi batte nel petto. Non è giusto. Non lo è per niente.
–Sei stata grande, come sempre! Miss Scarpette sarà un successone! – Corinne mi raggiunge, e mi dà un bacio sulla guancia. – Stai aspettando qualcuno?
–No, Corinne. Torno a casa. Ho bisogno di riposare.
Mi guarda con tenerezza, a tratti forse anche compassione.
La stringo poi tra le braccia, mando un messaggio alla mamma, ed esco fuori. Il sole tramonta ancora troppo presto per i miei gusti. Il cielo è più scuro del solito e delle nuvole violacee si impongono, minacciando soprattutto gli stupidi come me che non hanno l'ombrello. Osservo lo sfrecciare delle macchine, le luci, la fiumana di gente che si appresta a vedere gli occhi blu di Jason Wilde a pochi metri da dove sono.
Una folata di aria fresca mi fa finire poi i capelli sul viso. Una ciocca mi si appiccica al lucidalabbra e il fastidio prende il sopravvento dell'improvvisa malinconia che sento addosso.
Qualcuno deve trovare la scena divertente, perché si mette a ridere. Mi armo del mio miglior sguardo minaccioso, ma sono costretta ad accantonarlo presto quando un sorriso difettato si fa strada davanti ai miei occhi.
–Holden.
–John Foster, meglio.
È sotto una tettoia poco lontana. Lo guardo. Lui fa altrettanto.
–Ti va di andare a Central Park? – domanda all'improvviso.
–Cosa? – corruccio la fronte.
–Ti va di andare a Central Park? Sono qui da sei mesi e non ci sono ancora andato. Ho una voglia matta di andarci.
–Holden, ma che...
–Ti va? – mi tende la sua mano.
–No. – mi oppongo. – Perché dovrebbe andarmi? Noi due, noi... no...
–Mi accompagni, Kathleen? – insiste.
Mi si fa vicino. Sorride con dolcezza. Ignora la mia contrarietà. Mi tende ancora la sua mano.
La guardo e senza che possa chiedermi perché ora il cervello non si chiuda di nuovo in un torpore che mi blocchi gli arti, la mia stringe la sua.
D'improvviso, mi ritrovo a correre mano nella mano con un fantasma.
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Eccoci qui con il penultimo capitolo! Uah, che ansia!💀
Mi sento molto emozionata per questi ultimi aggiornamenti. Quelli che state leggendo da qualche settimana sono capitoli estremamente importanti per me. Come la mia Kat, anch'io ho il privilegio di riuscire ad entrare in simbiosi con i miei personaggi. In questo caso, con loro due. Con Holden e Kathleen, mie appendici, pezzi del mio cuore 💚
Sono emozionata per tante ragioni, ma senz'altro la principale è che siamo davvero arrivati alla fine. Il prossimo capitolo, online venerdì, sarà l'ultimo prima dell'epilogo e vi anticipo che saranno entrambi molto carichi... 👀
Prima dell'epilogo, in ogni caso, per prendermi ancora dei momenti con i miei figli di carta e inchiostro e in memoria del modus operandi della prima storia, mi piacerebbe pubblicare due speciali dal punto di vista di Holden. Il primo sarà il capitolo 'ghostly kisses' che mi è stato richiesto da più lettrici e che ho quasi terminato... 🔥
Il secondo, invece, è ancora da scrivere. Qui entrate in gioco voi. Quale capitolo di quelli letti in questo sequel vi piacerebbe leggere dal punto di vista di Holden? Scrivetemelo qui ➡️
Provvederò a verificare quale sarà quello più richiesto e a scriverlo.
Che altro dire... molte di voi (tutte) avevano capito che John Foster fosse Holden, ma... il resto? Vi aspettavate che lui fosse diventato un maestro di scuola? Che tra Andy e Kat ci fossero questi 'non detti'? Che il libro di Holden parlasse in qualche modo di lui e Kat?
A proposito, vi è piaciuta la metafora dell'Entanglement? Io la trovo bellissima e mi sento fortunata ad averla trovata perché solo Holden poteva appigliarsi a un concetto di fisica quantistica per spiegare la distanza e l'intreccio... 💘🔀
Mi fermo qui, ché ho già parlato fin troppo. Ci becchiamo (si usa ancora questo termine?) venerdì!
Grazie di cuore per tutto,
Roberta
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