Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Déjà-vu

25

Déjà–vu

Ricordati: noi non invecchiamo; maturiamo!

(Peanuts – Charles M. Schulz)

Quattro anni dopo

–Forse non hai capito: se non consegniamo il manoscritto entro questo pomeriggio, Olivia ci assillerà per tutto il tempo. Mi assillerà. Sai che ne è capace. Un messaggio ogni minuto fino a quando non scoppiamo. Mi correggo di nuovo: fino a quando non sarò io a scoppiare.

–Ne sono consapevole. Ma non posso farci nulla, il romanzo non è ancora pronto. Manca qualcosa per renderlo perfetto e lo sai anche tu. Mi serviranno poche altre ore, giuro. E poi Oscar non ha finito con l'illustrazione di Miss Scarpette che gli abbiamo commissionato. Ho bisogno di vedere come il personaggio sia arrivato agli occhi di qualcuno che conosce il nostro stile. Tu non mi hai fatto vedere neanche il bozzetto che gli hai inviato.

–Quindi ora la colpa è mia?

–Certo! È sempre colpa tua! – mi diverto.

Lui fa una smorfia, poi mi si avvicina.

–Ti rendi conto che sarò io a pagarne le conseguenze? Sai che tu sei la mente malvagia e che io sono l'anello debole. – mi passa un braccio attorno alle spalle.

–Lo sa anche Olivia, per mia fortuna. – gli faccio una linguaccia. – Però, prometto che entro domani sarà tutto pronto. Il viaggio di Miss Scarpette è praticamente finito, mi manca solo... quel qualcosa che lo renda davvero unico e accattivante.

–Che rottura che sei! Vedi di sbrigarti a trovare questo qualcosa, ché qui l'affitto non si paga da solo. – mi spinge contro di sé.

–Se tu non avessi litigato con il proprietario del Blue Moon, ora avresti tanti bei soldini in tasca e non dovresti sfruttarmi. – gli picchietto il petto.

–Ehi, ma quale sfruttare! – si acciglia. – Ti ricordo che sono un autore di libri per l'infanzia esattamente come te. E che i concerti mi fruttano bene. Ho litigato con quell'imbecille perché è un imbecille, per l'appunto.

–Ma così facendo non hai portato nuovi soldi alla cassa.

–Da quando sei così venale? – corruccia la fronte.

–Da quando viviamo in un monolocale a New York.

–Pessima decisione. – si passa una mano sulla fronte.

–Non totalmente. La libreria della signora Corinne è il posto più bello del mondo e qui siamo qualcuno. Siamo Katherine Fisher e...

–Anderson Stirling. – sospira. – Lo so.

Lo guardo. – Ti ricordo che siamo qui grazie al professor Morley, quindi fai il bravo bambino e accaparrati un nuovo concerto.

–Va bene. Ora ne parlo anche con Jenny e Dan. Vediamo se Tania ci aiuta a trovare un'altra topaia dove esibirci per questo fine settimana. – alza gli occhi al cielo.

–Così ti voglio! Ora vado a lavoro, okay? – gli scocco un bacio sulla guancia.

–Va bene. – mi scompiglia i capelli.

Biagio mi abbaia in saluto e così, dopo avergli dato una grattatina dietro le orecchie, corro fuori dal nostro appartamento e mi precipito in strada, una scalinata alla volta.

Mi trovo in pochi secondi inghiottita nella frenesia della Grande Mela, tra clacson che suonano inferociti, macchine che manca poco che occupino anche i marciapiedi, signori con impermeabili e valigette che sfrecciano con cellulari tra le mani, seguendo lo stesso ritmo dettato dai tacchi a spillo di donne dai capelli profumati e tailleur perfetti che superano barboni e persone vestite in modi decisamente più sciatti. Grattacieli e palazzi specchiati mi guardano come i gatti fissano i topolini. Sono circondati da smog, chiacchiericci, profumi di caffè e di ciambelle fritte, proteste e rumori assordanti.

È una citta rumorosa, New York. È caotica, è colorata, è un mosaico di diversità. È una citta viva. Non c'è strada che non lo sia. Lavorare nei pressi di Times Square è anche peggio. Peggio perché quando arrivano le giornate 'no' in cui l'unica cosa che si desidera è il silenzio, si è costretti a scendere a patti che bisognerà aspettare di tornare a casa, sotto le coperte, con due tappi giganti nelle orecchie, per ottenerlo.

Nel tragitto saluto un po' di persone: il signor Charlie del negozio di fiori, così bello da aver ispirato alcune aggiunte, come la bicicletta con il cestino tatticamente posizionata vicina all'entrata, o i fiori verniciati sulla vetrina, al negozio di mia mamma, a Portland; le gemelle March del centro estetico a cui vado ogni qual volta i miei capelli si facciano inguardabili e Josh, il fattorino della caffetteria dove ogni mattina, prima di andare a lavoro, faccio il pieno di cappuccino e muffin al cioccolato.

Passeggio con il mio trench rosso e mi sento, come mi capita da quando sono qui, di essere in un film di cui sono la protagonista. Gli occhiali da sole sugli occhi, gli stivaletti con il tacco e la borsa a tracolla sono solo dei dettagli che mi aiutano ancora di più a 'entrare nella parte'. I capelli mi svolazzano attorno al viso, un foulard mi accarezza il collo e ho un rossetto da paura sulle labbra.

Mi incanto per un momento a guardare la locandina di uno dei prossimi spettacoli che si terranno al New Amsterdam Theatre. Verrà messo in scena uno spettacolo che parla di un principe oscuro, adottato da una fata e innamorato di una fanciulla ricca e bella. Il protagonista, un attore alquanto in voga ultimamente, mi guarda da dietro una maschera da cui si intravedono i suoi occhi azzurri, bellissimi e penetranti, e che gli lascia esposti il naso dritto e un sorriso tagliente. È avvolto da un mantello oscuro e tra le dita delle sue mani brilla qualcosa di indefinito, ma che fa molta luce. Tiro dalla borsa il mio fidato taccuino e abbozzo un'idea per una prossima storia, d'un tratto ispirata.

–Kathleen, che fai? Ti lasci incantare anche tu dagli occhi di Jason Wilde?

Sussulto per un momento. Poi mi volto alla mia destra.

–Kendra! – la saluto. – Mi è parso di capire che questo principe rapisca donne ricche e belle per conto di una fata. So di non essere il suo tipo, però se decidesse di rapirmi, io non mi opporrei. – confesso.

–Bello, eh? – sospira, mettendosi al mio fianco. – Se riuscissi a prendere due biglietti per questo spettacolo, tu ci staresti?

–Ti anticiperei la trama di Miss Scarpette e te ne regalerei una copia per tua nipote.

Caccia un piccolo strillo e saltella, felice. – Allora li troverò, è una promessa! – mi prende a braccetto. – Magari ne prendo uno anche per... Andy?

Mi volto a guardarla. Il suo sguardo si perde tra le strade, fingendo che i miei occhi non stiano sondando ogni sua reazione.

–Perché non ci andate da soli, tu e Andy? – la stuzzico.

–Cosa? – allunga le 'o'. – Non siamo mica fidanzati... pff... – sbuffa una risatina. – fidanzati. Che ridere. – si stringe al mio fianco.

–E chi ha parlato di fidanzati. Io pensavo a un'uscita tra amici!

–Ah sì?

–No! Pensavo a voi come fidanzati, in effetti. – ammetto. – Potreste esserlo, dato il modo in cui vi guardate. – rimbecco.

–Vivete insieme. – trova un pretesto.

–Perché è il mio migliore amico e il mio partner di lavoro, non fingere di non saperlo.

–Ma è anche il tuo ex.

–Dettagli! Quando vuoi divertirti con lui, basta che mi chiami e me la svigno. – mi diverto.

–Kathleen! – arrossisce visibilmente. – Non costringermi a infierire sulla tua vita sentimentale.

–Ehi! Non mettere il dito nella piaga. – le do una gomitata che la fa ridere.

–Okay, okay, basta così! – sorride. – Passando alle cose serie, oggi arriveranno le copie di un nuovo libro su cui pare Corinne faccia già i salti di gioia e nel pomeriggio ci saranno gli amichetti di Jerome, il figlio della signora Roberts. Sai che quel bambino ama ascoltarti, per cui armati di pazienza perché ci sarà un gruppo indefinito di mostriciattoli pronti a pendere dalle tue labbra.

–Età dei marmocchi?

–Otto anni, su per giù.

Annuisco, preparandomi mentalmente alla nuova avventura che mi aspetta.

Arriviamo in pochi altri secondi all'entrata della libreria. La scritta 'Kairos' è verniciata in rosso sulla vetrina da cui si intravedono i nuovi arrivi e alcuni grandi classici. Si affaccia sul marciapiede, risaltando su molti negozi. Il campanello trilla non appena apriamo la porta d'ingresso. Subito il profumo dei libri e del legno prende a solleticarmi le narici. Lo inspiro a pieni polmoni, chiudendo gli occhi per qualche secondo. Non mi abituerò mai a questa magia. Kendra mi supera, gridando un 'buongiorno' che raggiunge le orecchie della signora Corinne.

–Eccole, le mie principesse. – ci saluta. – Come andiamo oggi? – ci si fa vicina.

Corinne è il mio capo, uno dei due, nonché una donna di mezza età a cui i più danno almeno dieci anni in meno. Indossa quasi sempre jeans attillati, magliette colorate e sandali aperti anche se fuori si scende sotto lo zero. Ha i capelli neri, lunghi fino all'ombelico, e un sorriso che conquista. Fu la prima cosa che notai di lei: era un sorriso buono; di quelli che sollevano gli zigomi fino a far quasi scomparire gli occhi. Le voglio bene per tante ragioni, ma la più importante è che lei è stata la prima, ad esclusione del professor Morley, a credere in un manoscritto scritto anni prima da me e Andy. La prima a telefonarci per dirci che sarebbe stata felice di essere la prima libreria newyorkese a distribuire le copie del nostro libro, I passi della piccola Charlotte. La prima a credere che ce l'avremmo fatta a raggiungere il cuore di più bambini.

Ricordo quel periodo come se avessi ricevuto ieri quella telefonata. Fu inspiegabile. Quasi surreale. Mi ero laureata con il massimo dei voti da qualche settimana. Sulla mia testa pendeva una corona d'alloro che il giorno della cerimonia di premiazione mi aveva fatta sentire alla stregua di un poeta dell'antichità, insieme al riconoscimento da parte del mio professore preferito che avessi del potenziale per diventare qualcuno nel mare magno della letteratura. Andy e io ci eravamo lasciati da poco, anche se forse lo avevamo fatto già da molto tempo prima, ma eravamo entrambi a posto con il mondo. Stavamo tagliando il traguardo tanto agognato. Eravamo ebbri della felicità più dirompente, quella data quando ci si sente completi. Quando si fa qualcosa solo per sé stessi, e lo si fa con tutto l'impegno di cui ogni cellula è capace.

Avevamo già finito I passi della piccola Charlotte, un racconto nato in maniera giocosa tra me e lui due anni prima. Parlava di una bambina viziata alla ricerca del suo posto nel mondo. Tra un capitolo della tesi e l'altro, lo avevamo portato a termine. Poi un giorno ci trovammo immischiati in qualcosa di inaspettato: il professor Morley si trovò per caso, o forse no, ad ascoltare una nostra conversazione in merito. Da lì nacque il nostro sodalizio. Fu lui a revisionarci il testo, ad aiutarci a venderlo online e a proporlo alla signora Corinne, la sua libraia di fiducia da quando era un adolescente che passava le estati a New York. Da lì il desiderio, maturato con il tempo, di cambiare vita, di trasferirmi, di provare a testare un tipo di indipendenza diversa. Potevo essere la versione migliore di me stessa. Quella che desideravo. Avrei potuto fare dei master, conoscere degli editori, entrare nel mondo dei libri non più solo come lettrice, ma anche come scrittrice. Scrivere libri per bambini mi veniva facile. O meglio, mi veniva facile parlare ai bambini tramite personaggi buffi e divertenti. Lo avevo capito da tempo e lo aveva capito anche chi aveva imparato a conoscermi. Andy era con me. Anche lui sentiva il bisogno di prendere il volo dalla sua famiglia, e l'idea di pubblicare un suo libro, per quanto con un nome d'arte, lo avrebbe fatto sentire vicino a sua nonna, mi diceva. Eravamo uniti e lo saremmo stati ancora.

Così è stato. Così è.

–Sempre più bella. – è il mio modo di salutarla. La lusingo, facendola arrossire come un'adolescente.

–Queste lusinghe serviranno ben poco, signorina! – posa sul bancone un vassoio di biscotti. – Olivia mi ha telefonato e mi ha detto tutto. Guarda che ho bisogno di nuove storie con cui intrattenere i nostri piccoli lettori. Charlotte e Archibald non possono rimanere da soli sugli scaffali.

–Per questo sto scrivendo Miss Scarpette. – mi avvento su un biscotto al cioccolato.

–Avresti dovuto concluderlo entro oggi. – assottiglia gli occhi verdi.

Faccio spallucce. – Se Olivia vuole che le dia un romanzo incompleto, glielo posso anche dare oggi. Le storie belle hanno bisogno di tempo per fiorire. E comunque si parla di sole poche altre ore. – mi difendo.

Sospira. – Vabbè, sei tu la scrittrice qui. Comunque, se può stimolarti a essere più veloce, ci tenevo a informarti che c'è un autore esordiente che ha già venduto numerose copie in queste settimane e che ha scritto un libro che a me attira moltissimo.

–Ah sì? – mi insospettisco. – E chi sarebbe questo novello Charles Dickens? – percepisco un po' di invidia nella mia voce. Io non ho avuto un successo così immediato.

–John Foster. Mi pare si chiami così. – prende un paio di forbici dal bicchiere che affianca la cassa e comincia ad infilzare uno scatolone che lo affianca.

Kendra la guarda, curiosa. Mangia un biscotto dopo l'altro, arrotolando una ciocca dei suoi capelli rossi attorno all'indice. – Si chiama come te, Kat. – dice. – Cioè... ha il tuo stesso cognome vero.

–Già. Ci avevo pensato anch'io. È un cognome piuttosto diffuso. – incrocio le braccia sul petto. Per un momento mi passa per la mente l'idea che possa essere un mio parente alla lontana, uno di quelli mai visti. Anche se così fosse, mi importerebbe poco, realizzo.

Corinne apre il cartone con movimenti veloci. Poi ne tira fuori un libricino che sovrasta una pila di libri e prende ad accarezzarne la copertina. È liscia dato il suono che producono i suoi polpastrelli quando la sfiorano. Non legge nemmeno il titolo. Lo apre, e inspira il profumo della carta.

–È di qualità? – la canzono.

–Mi pare roba buona. – risponde. Lo sniffa ancora un po'. – Farà strada questo qui. Me lo sento.

Alzo gli occhi al cielo, e faccio un passo indietro.

–Sì, vabbè! – mi indispettisco. Pensavo di essere la sua scrittrice esordiente preferita. – Io vado a sistemare la postazione per oggi pomeriggio.

–Non vuoi sapere il titolo e di cosa parla?

–Non me ne può importare di meno. – fischietto. – Di certo non potrà essere più bravo di me! – sfodero la carta della presuntuosa.

–Scrive di cose totalmente diverse da quelle che scrivi tu. Puoi stare tranquilla, e dire alla tua pelle di tornare al suo colore normale. Sta diventando verde.

La, la, la. – metto le mani sulle orecchie e fingo di non sentirla.

–Hai ventitré anni, Kat. Non dodici. – mi rimprovera.

Kendra se la ride sotto i baffi, con gli angoli della bocca sporchi di cioccolata.

–E tu smettila di ingozzarti. I biscotti sono per i bambini. – è il suo turno di beccarsi un rimprovero.

Scuoto la testa e mi avvio verso la corsia della letteratura per l'infanzia. Prendo le copie della storia di Charlotte e di quella di Archibald, l'orsetto astronauta. È il mio turno di sniffare la carta dei miei libri. Sorrido come una scema e faccio una giravolta, sollevandoli verso il cielo. Sono i miei bambini. Le mie creature. Delle persone leggono i miei libri. Dei bambini amano i miei libri. Sono la persona più felice sulla Terra.

Li stringo con forza al mio petto, poi mi avvio all'area adibita a ludoteca. Sistemo i tappeti di gomma, le sedioline, i tavolini colorati e i giocattoli. Preparo i fogli di disegno, le matite colorate e le attività del pomeriggio. Dopo la lettura ci sarà un momento di dibattito in cerchio e uno in cui lascerò ai bambini libero sfogo alla loro creatività.

Passo la giornata a spremermi le meningi per finire la storia di Miss Scarpette. Parla di una bambina che fa la funambola in un circo. Ha il passo leggero, come leggero è ogni suo movimento. È una ragazzina invisibile lei. Trova il suo essere solo quando cammina sul filo del circo gestito dai suoi genitori. Una volta che i suoi pedi toccano terra perde l'equilibrio. Inciampa sui suoi stessi piedi, è distratta, impacciata e goffa. Il mio obiettivo è che arrivi a capire che quel 'filo' è solo un pretesto e che la sua leggerezza, quella che è dentro di lei, possa rendere anche la vita a terra meno pesante, anche grazie a quelli che sono gli amici più sinceri.

A pranzo mangio un tramezzino e faccio una video chiamata con Chas e con Pam. Cicaliamo del più e del meno. Pam mi mostra i suoi tomi di legislatura su cui sbatte ancora la testa e Chas mi catapulta nelle strade dove sta scattando delle foto per un giornale di auto che qui a New York vende bene, mentre i suoi libri di psicologia la attendono per ottenere l'abilitazione finale. Mi parlano delle loro giornate. Pam che ha intenzione di studiare un altro po' e di uscire poi con un ragazzo che ha preso a sentire da un mese e Chas che non vede l'ora di tornare da Tony.

Poi mando un saluto collettivo nel gruppo che condivido con i miei ex compagni di avventura universitaria; Roxanne lavora da qualche settimana in un museo situato a Camden, Philippe è tornato a Parigi e sta facendo un tirocinio nello studio di un architetto che ha un figlio troppo bello e che è sicuro che lo guardi sempre, come ci tiene a precisare, e Paige che lavora da qualche tempo nel bar di un centro storico a Princeton nel quale ha conosciuto la sua attuale ragazza con cui brilla nella foto che ha come immagine del suo profilo.

Mamma mi videochiama proprio in quel momento. O meglio, Jonathan mi videochiama proprio in quel momento. Sbucano i suoi riccioli scuri, la sua carnagione abbronzata e i suoi dentini da latte.

–Il mio fratellino preferito! – gli mando un bacio.

–E anche l'unico. – mi bacchetta.

Mi stupisce sempre la sua capacità di mettermi al tappeto. Ha soli sette anni ed è cresciuto in un ambiente problematico, eppure questo piccolo ometto si è adattato con facilità alla nuova vita che mia mamma e Bob gli hanno donato.

–Dettagli! – mi accorgo di come sia diventata la mia nuova parola preferita. – Come stai? Andato a scuola? Hai fatto urlare il Signor Shirley come ti avevo chiesto? Hai fatto mangiare Wolverine?

–Perché parli così tanto? Mamma e papà non parlano così tanto! – alcune lettere fischiano a causa dell'assenza di un incisivo e di un altro dentino.

–Io... ho preso questa capacità da un'altra persona, diversi anni fa. – glisso. – Allora, hai fatto il bravo?

–Ho rubato il cellulare a papà!

Proprio in quel momento la fotocamera traballa e delle mani grandi si stringono sul corpicino di Jonathan.

–Ma che combini, monellaccio?

–Bob, ha chiamato me! – entro in soccorso di quella peste.

–Kat, bambina mia. – Bob prende in mano la situazione, prendendo in braccio quel diavoletto. – Come stai?

Gli dico che sto bene e gli racconto delle ultime novità circa la mia nuova storia. Lui finge che non gli abbia raccontato le solite cose il giorno prima. Mi sorride affettuoso, dando nel frattempo delle carezze sulla testolina del suo bimbo. Poi si aggiunge al quadretto la mamma e per un momento ho bisogno di fermarmi e di assorbire l'amore che loro tre mi trasmettono. Ne abbiamo fatti di passi da giganti tutti quanti ed è una cosa così... magica e meravigliosa. Li saluto stampando un bacio sullo schermo, con la promessa che saranno i primi a ricevere una copia del mio nuovo romanzo.

–Se il tuo romanzo è brutto, te lo dirò! – Jonathan mi punta il ditino contro.

–Dovrai essere spietato. Promettimelo!

–Che significa spetiato?

Bob lo allontana, salutandomi un'ultima volta, sotto le risate di mamma.

Un chiacchiericcio alla volta le ore passano e dei passi bambini si fanno sempre più vicini. Jerome è il primo ad arrivare. Corre verso di me e stringe le sue braccia attorno ai miei fianchi. Sua madre, alle sue spalle, lo riprende bonariamente, poi aggancia il suo sguardo al mio in una tacita richiesta di scuse. Le sorrido, comunicandole con gli occhi che non ci sono problemi. Non ce ne sono davvero. È bello sentire sulla pelle l'affetto di un bambino. Loro sanno darti proprio tanto. Basta poco perché ti facciano capire se gli piaci oppure no. Passo la mano nei suoi riccioli biondi e lo stringo a mia volta. Jerome, o JJ, come lo chiamo io, è un bambino autistico. Ama collezionare orologi da polso e sistemare l'orario del mio quando nota che non sia perfettamente cronometrato. Vive in un mondo tutto suo, ma allo stesso tempo non rifiuta quello più conforme alla 'norma' in cui vivono gli altri. Ha sue regole, sue percezioni, un suo modo di comunicare. Ama la mia voce, come mi dice sempre, e adora ascoltare le avventure del mio orsetto astronauta. Dice che anche lui vorrà andare nello spazio, un giorno. Io gli rispondo sempre che so che ci riuscirà e che farò il tifo per lui.

Poi è il turno dei suoi amici. Ci raggiungono un po' alla volta, occupando chi le sedioline, chi il tappeto di gomma. Non mi spaventa vederne così tanti. Anzi. Mi dà un'energia incredibile. Mi fa sentire felice.

Quando la squadra è al completo, mi presento e chiedo i nomi di tutti, mettendo subito dopo in atto le attività che ho preparato: la creazione dei pupazzetti con le calze e l'ovatta, il mio cavallo di battaglia da quando ero un'adolescente, le attività con la plastilina e con i pastelli a cera. Lascio il momento della lettura subito dopo quello della merenda a base di biscotti e succo di frutta. Jerome mangia poco: è impaziente di far ascoltare ai suoi amici la storia di Archibald. Con le pance piene, si mettono comodi, stringendo gelosamente le loro creazioni di stoffa, poi mi guardano. Decine di occhi che spiano ogni mio movimento, da quello in cui apro il libro, a quello delle mie labbra che cominciano a leggere ogni parola che un tempo è rimasta chiusa nella mia testa, a quello delle mie mani che gesticolano, accompagnando la lettura. Li guardo di sottecchi, osservando i loro occhi che si sgranano in alcune scene, le loro bocche che si schiudono dalla sorpresa. Ascolto le loro risatine e rido con loro, contenta. Modulo la mia voce, facendola più profonda per alcuni personaggi e più cristallina per altri. Mi diverto e riesco nell'intento di farli ridere. Quando finisco non ho il tempo di aprir bocca che subito mi travolgono con le loro domande. Li faccio sedere tutti in cerchio sul tappeto di gomma, sedendomi a mia volta, a gambe incrociate. Mi fanno delle domande e nel percepire la loro curiosità su quello che ho scritto rifletto su quanto sia fortunata.

I bambini tornano a casa con dei disegni che ritraggono le scene che più hanno preferito del mio libro e con dei sacchetti di caramelle tra le mani. Sono felici e lo sono anche i loro genitori che mi ringraziano con sorrisi calorosi. La signora Roberts si prende poi un paio di minuti per ricordarmi quanto le avventure del mio Archibald abbiano aiutato il suo Jerome a sentirsi meno solo. I libri, le ricordo, hanno proprio, tra i tanti, questo potere: non far sentire mai nessuno solo.

Finisco la mia giornata con il sorriso sulle labbra. Metto tutte le cose a posto e saluto Corinne e Kendra intente ad allestire la vetrina con i nuovi arrivi.

–Vuoi vedere com'è venuta? – fa Kendra.

–Lo farò domani. – le prometto.

–Ma...– fa una smorfia.

–Ma Kat è troppo su di giri per vedere i successi altrui. – mi pungola Corinne.

Le faccio la linguaccia in risposta e mi avvio verso casa. È bello poter tornare a piedi e sentire così il vento della primavera che mi scuote i capelli. Vedere i lampioni accesi e spiare la gente, continua fonte di ispirazione. Scrutare tra i dettagli che ogni cosa che mi circonda mi offra: il battito delle ali degli insetti, le risate divertite dei bambini, gli innamorati, gli amici che litigano, che impreca e chi prega; lasciarmi immergere dal caos delle strade, dai rumori, dalle musiche dei locali e dagli odori di cibi diversi. Vivere con tutti i sensi.

Trovo Andy in cucina, con un grembiule ridicolo a fasciargli i fianchi stretti. Biagio mi salta sulle ginocchia.

–Ciao. – gli bacio una guancia.

–Fosty. – ricambia il bacio. – Oggi sto cucinando italiano: spaghetti al pomodoro. Mamma mia!

Pronuncia l'ultima frase con un pessimo italiano che sortisce l'unico effetto di farmi ridere.

–Perché ridi? Sto facendo degli spaghetti al bacio. – insiste. – Com'è andata con i marmocchi?

–Benissimo! – trillo, sfilandomi lo stivaletto destro e saltellando su quello sinistro verso la mia stanza.

–Vero che stasera finirai Miss Scarpette? – mi richiama, alzando la voce per farsi sentire.

–Promesso! – prendo il pigiama e mi chiudo in bagno.

Ne esco quindici minuti dopo, con una maschera al cetriolo sulla faccia e i capelli bagnati chiusi in un turbante. La cena è in tavola e mi dimostro sin dal primo spaghetto affamata, dato il modo in cui prendo a divorare gli altri. Andy mi fa ascoltare il nuovo pezzo su cui gli Shangs stanno lavorando. Ha un bel ritmo e parla di dipendenze. Riconosco subito il suo stile quando il suono della batteria si fa dirompente. Poi mi aiuta a lavare i piatti. Ci buttiamo sul divano poco dopo, ma mi concede di stare vicino alla tv per pochi minuti. C'è da finire un romanzo, sottolinea. Ha già scritto la sua parte e ora tocca a me portarlo a termine. Il suo essere uno stacanovista è davvero seccante.

Sbuffo, ma lo ascolto. Mi preparò una caraffa di caffè e mi preparo alla mia sessione notturna di scrittura. Mi metto davanti al pc, rileggo quello che ho scritto fino a questo momento, poi chiudo gli occhi e immagino la mia piccola Aria. I suoi piedini in delle scarpette di pelle rossa su un filo sottilissimo, le braccia distese, lo sguardo fiero, i riccioli rossi a circondarle il visino.

Aria vola. Aria è libera. Aria deve capire che può volare anche con i piedi per terra perché l'equilibrio è dentro di lei.

Prendo a scrivere di colpo. Pigio i tasti della tastiera con frenesia e lascio che anch'io sia libera.

***

La mattina dopo mi sveglio con un solco sulla guancia, la bava alla bocca, i capelli incasinati e una mail da parte di Oscar. La apro prima ancora di bere il caffè, cacciando un piccolo urlo che spaventa sia Biagio che prende ad abbaiare, che Andy che subito si catapulta in camera. Mi limito ad indicargli il computer e quindi dà un'occhiata allo schermo su cui troneggiano le foto della mia Miss Scarpette. Una bambina dalla chioma fulva in equilibrio sul mondo. L'aria fiera, il nasino all'insù, gli occhi grandi. È la mia Aria. Proprio lei. Così come l'avevo nella testa. Andy e Oscar hanno fatto un lavoro eccellente.

Scoppio a piangere. Non riesco a trattenere la mia felicità. Andy mi abbraccia, scherzando sul fatto che ora non abbia proprio più scuse per consegnare alla nostra editor il romanzo. Ci metto una sola ora per mettere il punto definitivo alle vicende di Aria.

"Fu così che Aria capì che poteva volare in qualunque luogo e tempo volesse perché dentro di lei nascondeva delle ali. Lunghe e grandi. L'avrebbero sollevata in qualsiasi momento il pavimento si fosse fatto d'improvviso traballante. E anche quando le sue ali si fossero fatte troppo stanche, ce ne sarebbero state altre, quelle delle persone che amavano il suo essere esattamente per com'era. Ali che l'avrebbero avvolta o semplicemente stretta, a seconda di cosa il suo cuore avrebbe reclamato."

Poi invio tutto a Olivia senza nemmeno rileggere le ultime frasi. Mi sento sicura del mio lavoro.

Arrivo al lavoro cinguettando e saltellando, fermandomi solo quando noto la nuova vetrina su cui svetta lo spazio vuoto su cui finirà il mio prossimo romanzo, con tanto di cartoncino con su scritto ' In arrivo il prossimo entusiasmante romanzo di Katherine Fisher.' Corinne dà per scontato che il mio nuovo romanzo sarà entusiasmante e questo rischia di farmi piangere di nuovo. Accanto c'è poi il libro del tale di cui mi hanno parlato ieri, quello che ha il mio stesso cognome. Noto la copertina per la prima volta. È arancione, con l'illustrazione di una bambina dai capelli castani circondata da numeri e semplici calcoli che sono fatti di stelle. Sorride, divertita. Il titolo è Fanny L. alla scoperta della matematica. Arriccio il naso.

Vengo accolta dalle risatine di Corinne. Ha le guance rosse e gli occhi luminosi.

–Che succede? – poggio il trench sull'attaccapanni.

Kendra ha un attacco di riderella. Si trattiene la pancia con le mani, facendomi corrucciare la fronte.

–Ehi, Terra chiama Corinne e Kendra.

–Non fare l'oca. Basta prendermi in giro. – la riprende Corinne.

–Kat, non puoi capire! Corinne ha appena parlato al telefono con John Foster e per poco non è collassata.

–Cioè? – mi appoggio al bancone.

–Due parole e ha cominciato a balbettare.

–Perché? – mi interesso.

–Basta! – Corinne gonfia le guance. – È solo che lo scrittore ha una bella voce.

–Ah, qualcuno qui si è presa una cotta! – è il mio momento di prenderla in giro.

–Dovevi vederla, Kat. Ha iniziato a comportarsi come una ragazzina. Per poco non sbatteva le ciglia e si arrotolava una ciocca di capelli attorno al dito.

Scoppio a ridere, immaginandomi la scena.

–Vabbè. – taglia corto il mio capo. – La settimana prossima John verrà da noi per presentare il suo libro. Mi è stato detto che parteciperanno diversi bambini. Potrai prenderti un giorno libero, Kat.

–Non ci penso proprio! Vuole rubarmi anche il posto? – mi acciglio.

–Ma no, sarà solo una presentazione come ne abbiamo fatte tante! Questo qui è uno bravo con la matematica e pare che a diversi bambini e a diversi genitori sia piaciuta la facilità con cui alcune regole siano spiegate.

–Ah. Guarda che bravo! – lo canzono. – Allora non potrò proprio mancare!

Corinne fa spallucce. – Aveva un modo di parlare simile al tuo. Da pezzo grosso di qualche università importante.

–Ma dai! Voglio proprio vedere quali recensioni circolino sul suo libro. La matematica è una palla. Non è facile spiegarla ai bambini. Ho conosciuto poche persone in grado di farlo.

Solo una, in realtà.

Mio malgrado, dato il fastidio che inspiegabilmente mi faccia provare questo tizio, le mie ricerche mi portano allo stesso risultato: il libro è piaciuto a tutti quelli che lo hanno letto e le recensioni sui vari siti sono entusiaste. Non ci sono foto dello scrittore, e le note bibliografiche scarseggiano. Sembra un tizio nato letteralmente dal nulla. D' improvviso il nome John Foster prende a capitarmi sotto il naso ovunque. L'aver fatto delle ricerche su di lui fa sì che mi trovi il suo libro pubblicizzato in ogni sito che mi capiti di visitare. Lo trovo poi nelle vetrine di tre negozi di giocattoli, e di almeno altre cinque librerie. Scendo così a patti che più non si voglia vedere qualcosa e più questo qualcosa lo sappia e sbuchi sotto il naso letteralmente in ogni angolo.

Nell'attesa che Olivia mandi alle stampe Miss Scarpette, da lei approvato e amato, mi concentro sul gossip che precede l'arrivo di John Foster. Kendra, per il puro spirito di prendere in giro Corinne, prende a fare giornaliere ricerche su di lui con il desiderio di arrivare ad avere più informazioni sul suo conto ma, proprio come me, non approda a nulla di consistente.

La mattina della presentazione del suo libro, l'aria è elettrica e un po' torno ad esserne invidiosa. Sento che l'atmosfera è diversa rispetto a quella che si crea quando arrivano nuovi libri. Sarà per la reazione di Corinne o per quella serie di dettagli che rendono questo romanzo in qualche modo diverso.

Una suonata al piano aleggia nell'aria e ogni angolo è tappezzato dal libro Fanny L. alla scoperta della matematica.

–Alla fine sei venuta davvero! – mi stuzzica Kendra.

–Te l'avevo detto! Perché dovevo mancare alla presentazione del libro del mio nemico?

–Nemico? L'hai presa così tanto sul personale? – scoppia a ridere.

–Certo! Ho paura che la sua Fanny possa oscurare la mia Aria.

–Ma va! La fama ti precede, ormai. Il poveretto ne ha di strada da fare, invece.

–Ora non esageriamo. Non sono la nuova J.K. Rowling. Piuttosto, Corinne dov'è?

–Non te l'ho detto? – solleva le sopracciglia, fissando lo schermo del pc che troneggia sul bancone. – Questa mattina si è vista con Foster per un caffè. Deve esserne proprio cotta! – si morde le labbra, senza trattenere un'altra risata.

–Ma quanti anni ha? L'età di Corinne? – mi avvicino.

–No, macché. L'altro giorno ho origliato una loro telefonata e oltre a constatare che abbia una voce da orgasmo, deve avere la nostra età suppergiù. Sarà più grande, forse, ma non credo di molto.

Per un momento mi blocco. Cominciano a ronzarmi nelle orecchie strani pensieri che accantono subito.

–Ah. – prendo una penna dal bicchiere e comincio a giocarci. – E per caso sei riuscita a trovare altre informazioni su Mr. Ho la voce da orgasmo?

–Vediamo un po'. – batte con frenesia i tasti del pc. – Forse ho trovato qualcosa.

–Cosa? – mi metto sull'attenti.

–In un trafiletto è scritto che gli piaccia la matematica sin da quando era piccolo e che abbia fatto diversi studi nel periodo universitario, ma non è scritto dove. Aspetta! – sgrana gli occhi. – C'è anche una foto!

–Ah sì? – fingo noncuranza adesso. – Com'è?

–È una foto alquanto sgranata, però sembra un tipetto niente male. – fa un sorrisino malizioso. – Moro, alto, sofisticato. Sembra proprio il tuo tipo, dati i tizi con cui sei uscita negli ultimi mesi.

–Ne sono stati solo due, non esagerare! E poi... figurati! Non mi fido dei tuoi gusti. Deve essere qualche figlio di papà.

Il campanello all'entrata trilla, ma non me ne curo.

–E poi, che razza di nome è John Foster? Se è il suo vero nome, poveretto! Sembra quello di un vecchio.

–Kat...

–Già me lo immagino, – mi metto a ridere. – con un dolcevita, gli occhiali alla Harry Potter e i mocassini ai piedi. Un tipo che si chiama in questo modo e che scrive di matematica me lo immagino proprio così. John Foster. Ma chi diavolo sei?

–Sono io! – dice qualcuno alle mie spalle.

Smetto di fissare la penna che dondola ancora tra le mie dita. Sollevo lo sguardo e trovo Kendra con il labbro inferiore incastrato tra i denti. Vorrebbe ridere, è chiaro.

–Mi spiace deludere le sue aspettative, ma ha fatto un ritratto di me alquanto scadente, oltre che errato.

Mi ghiaccio sul posto. La voce alle mie spalle è terribilmente familiare e quel 'sono io' mi riporta alla mente una scena adolescenziale che ricordo ancora oggi. D'improvviso torno indietro nel tempo. Vengo catapultata, risucchiata, in un momento già vissuto. Avverto addosso una sensazione che sento di aver già provato una volta.

–Devi scusarla, caro. La nostra scrittrice di punta è un tantino esuberante. Kat, scusati immediatamente con il nostro ospite! – continua Corinne. Una nota arrabbiata nella voce.

Mi volto con un movimento lento e meccanico.

Quando mi ritrovo davanti il viso di John Foster, non so neanch'io cosa mi succeda. Perdo il controllo del mio corpo e d'improvviso tutto si fa buio.

❀⊱┄┄┄┄┄┄┄┄┄┄┄⊰❀

Avete presente il meme 'Che succede?'? Quello di Morgan risalente al Sanremo 2020?

Ecco, io vi immagino così, soprattutto dopo aver letto la scritta 'quattro anni dopo.' 💀

Nello scorso angolino vi avevo anticipato che la piega che avrebbero preso gli eventi avrebbe potuto sorprendervi. Vi ho sorprese?👀 Vi aspettavate che avrei catapultato i miei personaggi in una realtà lontana quattro anni dall'ultimo capitolo? Credo che molte di voi si aspettassero tutt'altro...

Ho un po' (un BEL po') di ansia, lo confesso. Non so come possiate aver preso la mia decisione di fare un salto temporale così ampio mostrandovi la mia Kat alle prese con due lavori, quello da autrice esordiente di libri per l'infanzia e quello in libreria, in una nuova città, New York, nella quale vive con Andy, suo amico ma anche suo "ex", e scombussolata dall'arrivo di uno scrittore, che sembra nato proprio dal nulla, che ha il suo stesso cognome.

Non posso ovviamente sbilanciarmi, però ci tenevo a dire che fino alla fine ogni parentesi verrà chiusa, come credo di avervi già scritto negli scorsi capitoli, e che è stata mia premura far sì che tutto filasse e avesse il suo perché. Se ritenete, perciò, la mia scelta di aver fatto questo salto temporale discutibile, fate benissimo! Però, ecco, spero che vorrete proseguire con la lettura 👉🏻👈🏻

A tal proposito, ci restano due capitoli (lunghi e corposi) e l'epilogo finale (li ho già tutti e tre pronti). La settimana prossima, dato anche il "cliffhanger" finale , ci saranno due aggiornamenti, martedì e venerdì ✨

Grazie, come sempre, per tutto il vostro sostegno 💚

Un grande abbraccio,

Roberta

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro