Bacchetta magica
9
Bacchetta magica
"Sei sempre così scorbutica che hai disimparato a sorridere!"
"Chi non sa più sorridere?"
"Tu! Vediamo come sorridi! Scommetto che non ci riesci! Ecco! Vedi? Un sorriso va in su, non in giù! Non sai più sorridere! Vedi?"
"Che umiliazione!"
(Peanuts – Charles M. Schulz)
Siamo solo ad ottobre, eppure percepisco già i gelidi artigli dell'inverno sovrastare l'aurea aranciata dell'autunno, ricordando nella mia mente lunghe e spigolose dita di una zingara su una sfera di cristallo. Non riescono ancora a graffiare gli angoli della città, ma la loro presenza si avverte mattina dopo mattina, sempre un po' di più.
Fuori dalla finestra il sole, pallido e scolorito, si siede placidamente su uno stuolo di nuvole, cosciente che il freddo stia rubando la sua forza ogni secondo che passa. Le foglie sono ormai spoglie delle vesti estive, preferendo quelle più raggrinzite tinte di giallo, rosso, e arancione. Alcune si lasciano vincere dalla stanchezza, cadendo sull'asfalto e finendo così per scricchiolare sotto le suole consumate di studenti e professori, o sotto le zampette morbide degli scoiattoli che si intravedono nei giardini di Princeton.
Indosso un maglioncino colorato, dei pantaloni di velluto, delle calze doppie e degli scarponcini stringati che sostituiscono le mie fidate Converse. Il profumo della pioggia è nell'aria. Poi, mentre mi passo il mascara, mi guardo allo specchio e sollevo gli angoli della bocca. Sorrido più volte, cercando di capire se oggi i miei sorrisi possano essere più sinceri, più sentiti. Poi mi faccio anche una linguaccia. Sgrano gli occhi e contraggo la mia bocca in una boccaccia.
Ricapitolando, in poche ore sono riuscita a:
a) ricevere una proposta di lavoro che ho acciuffato al volo.
b) trovare un compagno con cui sedermi in almeno uno dei tre corsi che sto seguendo (mi ha già dato un nomignolo, oltretutto!)
c) andare oltre il semplice sillabare con Roxanne.
Il pesciolino che è in me sente che l'oceano è oggi più vicino di ieri e più lontano di quanto lo sarà domani.
Quando gli zigomi mi fanno male, mi metto a ridere da sola.
Decisamente un buon segno.
A colazione mi concedo una fetta biscottata in più. La spalmo con della marmellata di fragole e la accompagno con un bicchiere di cioccolata calda. Il cibo della mensa non è un granché, ma è decisamente migliore di quello della Lincoln. Holden si felicita, per la millesima volta, per il mio nuovo posto di lavoro e mi avvolge di parole a cui imprime un sapore gentile, come solo lui sa fare. Quando finiamo entrambi di mangiare, gli riempio il viso di baci e mi avvio a lezione.
La volontà di far danzare le mie lancette più velocemente si fa sentire più forte questa mattina. È corroborata dalla consapevolezza che oggi, e spero anche nei giorni a seguire, non mi siederò più da sola durante parte delle mie lezioni. Sembra una sciocchezza. Lo è, forse. Però per me è decisamente un grande passo in avanti. È questo il motivo per il quale sento delle piccole ali spuntare ai lati delle mie scarpe, facendomi macinare ogni corridoio, ogni rampa di scala, più velocemente del solito.
Quando entro in aula, mi attende il solito chiacchiericcio. Gruppi di ragazzi che sghignazzo di fronte ai loro laptop, alcuni che sottolineano le pagine di un libro, due ragazze che si mettono lo smalto sulle unghie, come se fossimo a ricreazione, in un bagno scolastico o in classe, durante una lezione di un professore mezzo addormentato, e non all'università, ad uno dei corsi più belli della facoltà di lettere.
Mi blocco quando noto Andrew. È chinato sul nostro solito banco, con una penna blu tra le mani. È seduto al centro della panca, non alla sua estremità destra. Sembra concentrato. Non ha le cuffie, ma ho la percezione che sia comunque nel suo mondo, lontano da ogni rumore.
-Oggi addirittura in anticipo. Allora è vero che la paura di entrare di nuovo otto minuti dopo Morley ti tormenta. – è il mio modo di salutarlo.
Ci mette un po' a smettere di scarabocchiare, confermandomi che sia il suo turno di capacitarsi di essere nella realtà. Solleva il capo verso di me. I soliti ciuffi disordinati a sfiorargli le ciglia scure.
-Non dico mica bugie. – risponde.
Regala un'occhiata veloce alla mia figura, lasciando che la sua bocca si tenda in un piccolo sorriso.
-Buongiorno, comunque. – poggio goffamente lo zaino per terra, sedendomi al suo fianco.
Si scosta di poco, per farmi più spazio.
-Buongiorno, Fosty. Come va? – domanda.
Credo che mi ci vorrà del tempo per abituarmi a questo nomignolo. Tuttavia, il suo suono mi diverte.
-Tutto okay. Tu? – tiro fuori il quaderno e l'astuccio.
-Non c'è male. Non vedo l'ora che Morley ritiri i compiti sul topos della figura femminile nel romanzo storico. Ho rischiato un esaurimento, ma sono soddisfatto. Sono passato dalla Esmeralda di Hugo, alla Hester di Hawthorne.
-Oh, La Lettera Scarlatta, figo! Come hai condotto il tutto, se posso chiedere?
-Ho cercato il filo rosso che le unisse.
-La chiesa? – intervengo.
-Esatto! Esmeralda è finita nel mirino di quel viscido di Frollo, servo apparente di una chiesa pensata secondo le sue regole. Un diavolo fatto e finito. Hester si beccherà il titolo di adultera perché avrà una figlia con un pastore, anni dopo la morte, anche qui apparente, di quel folle del marito. L'ipocrisia della gente, della chiesa stessa, il coraggio di due donne ribelli e forti. – rimane con gli occhi incollati sul suo foglio.
È un dato di fatto che mi piaccia la letteratura. Il suo potere di sondare la società e la realtà, di pungere il cuore e il cervello del lettore in modi sempre diversi, di fare credere una cosa e subito dopo un'altra. Poter entrare in delle pagine, toccare personaggi dallo scheletro di carta e dal sangue di inchiostro, sentirsi capiti da loro, entrarci in empatia e aver voglia di abbracciarli, di baciarli, di asciugare le loro lacrime o al contrario provare rabbia nei loro confronti, provare il forte desiderio di schiaffeggiarli, di fare loro male. Essere consapevoli che nella loro finzione sono più veri di tante persone di carne e sangue.
Percepisco subito che sia così anche per lui. Dovrebbe essere scontato, dato che siamo in un corso di lettere, eppure il modo in cui sembra accendersi nello scagliarsi contro l'ipocrisia della gente e della chiesa, usando per farlo delle donne di carta, mi fa sussultare per un momento.
I compagni del mio corso, quelli più audaci, sempre pronti a fare degli interventi, mi hanno dimostrato lezione dopo lezione che qui ci sia davvero tanta competizione e che ognuno disponga di un bagaglio di conoscenze al di sopra della media, di un'oratoria da far invidia, di essere abili nel creare delle relazioni tra i vari concetti. Tuttavia, tutti fino ad oggi, mi hanno sempre dato l'idea di essere più delle macchinette con un computer al posto della testa. Di avere al posto del cuore un libro stampato pieno zeppo di frasi complicate che attraversano qualche organo qua e là prima di essere sputate fuori senza troppa emozione.
L'unica e ultima conversazione a tema letteratura che abbia avuto con qualcuno che non fosse un insegnante, è stata con Holden, durante il nostro lavoro su Orgoglio e Pregiudizio. Non averne avuta una da così tanto tempo fa sì che adesso mi sembri tremendamente bello tornare a parlare di personaggi di fantasia uscite magicamente da penne di illustri scrittori o scrittrici. È un po' come quando si torna a mangiare una fetta di torta dopo mesi e mesi di dieta. Può essere la torta più scadente del mondo, ma ti sembrerà incredibilmente speciale. Se poi la torta è davvero buona, si tocca il Paradiso.
Andrew, perciò, riesce immediatamente a conquistarsi la mia ammirazione. È inevitabile.
-Tu? – mi chiede.
-Io mi sono concentrata sulla figura di Bathsheba Everdene con parallelismi con Catherine Earnshow.
-Via dalla Pazza Folla, vero?
-Vero.
-Molto interessante. Ho sempre provato pena per il personaggio di Gabriel. Bathsheba è un personaggio tremendamente odioso. – sento la sua penna raschiare più forte sulla carta.
Lascio che i miei occhi scivolino sul suo disegno. Sta rappresentando un altro angelo. Ha gli occhi chiusi e le mani chiuse a coppa, davanti a sé.
-Sei severo con lei! – noto.
-Certo che lo sono. – si volta a guardarmi, il pollice che fa scattare ripetutamente il bottoncino della penna. – Fa tanto la preziosa, ma poi cede ad un idiota come Troy. Per non parlare di come tratti Gabriel, pur sapendo quanto lui la ami. In più, manda una lettera di San Valentino a quel poveraccio di William Boldwood malgrado non sia interessata.
-Beh, sì, però è stato anche divertente. – mi scappa un sorriso.
-Come no! Siete sadiche voi donne, sempre pensato.
-Possiamo esserlo...- confesso. – Anche Catherine, a modo suo, lo è!
-Terribilmente sadica. Ma è anche masochista. Ama Heathcliff. Lui è sé stessa più di quanto lei non lo sia. È lei a dirlo. Ma non le basta... - stringe gli occhi, contrariato dall'atteggiamento della protagonista.
Andrew è chiaramente un ragazzo colto e curioso. Potrei scommettere che quando legga divori ogni rigo ed entri di prepotenza dentro i personaggi per scavarne a fondo, per scucirne la pelle e osservarne l'anima.
-Come ci siamo trovati a inveire contro due eroine letterarie? – domando.
-Abbiamo avuto una classica conversazione da secchioni di lettere, suppongo. – posa la penna, fa scrocchiare le dita delle mani e mi guarda con un sorriso sulle labbra.
-Temo che le due ragazze che si stanno dipingendo le unghie di un bel blu pervinca non sarebbero interessate. – indico con il pollice lo spazio alle mie spalle.
Si volta a guardarle. Poi torna a posare i suoi occhi scuri su di me.
-Beh, ma hai visto che bel blu? Neanch'io sarei interessato a parlare di sciocchezze come l'ipocrisia della chiesta davanti ad un colore del genere. – mi fa un sorrisino.
Ridacchio.
Schiude labbra per aggiungere qualcos'altro, ma il professor Morley non gliene dà il tempo.
-Salve a tutti! – chiude la porta e si avvicina a passo veloce verso la cattedra.
Oggi ha optato per un paio di pantaloni gessati color asfalto. Sono in sintonia con la giacca che presenta un fazzoletto rosso nel taschino superiore, quest'ultimo in contrasto con una camicia di un pallido azzurro, dallo scollo alla coreana. Un trench nero è posato sul suo avanbraccio sinistro; lo zainetto è sulle spalle. È, come sempre, distinto, elegante e decisamente avvenente.
Delle ragazze dietro di me mormorano parole irripetibili. Il nocciolo della questione, però, è che vorrebbero farsi rivoltare da lui come calzini. Bonjour finesse.
Deve sentirle anche Andy, perché lo vedo coprirsi la bocca con la mano per nascondere una risatina.
Mi mordo le labbra per non scoppiare a ridere a mia volta.
-Da oggi, ho un nuovo porta fortuna. – Morley si siede, come di consuetudine, sulla cattedra. – Mia nipote ha avuto la dolcezza di privarsi di questo gioiello per farmene dono. – fa scorrere la zip del suo zaino, tira fuori l'astuccio e da esso una penna.
Il suo corpo è un tubicino trasparente al cui interno si intravedono dei brillantini galleggiare in un liquido rosa. Sull'estremità superiore è fissata una piccola bambolina, sotto la quale vi è un piccolo tastino nero. Morley lo fa scattare verso l'alto, facendola così illuminare di colpo.
-Non trovate che sia magnifica? – si esalta, facendola oscillare davanti a sé come se fosse una bacchetta magica. – Ho deciso che la userò per scrivere i vostri voti. In più, ogni volta che qualcuno farà un intervento brillante, farò illuminare questa fatina. Vi piace l'idea o siete troppo grandi per lasciarvi incantare da frivolezze simili?
È unanime la nostra risata.
-Bene. – si schiarisce la voce. – Spero che il lavoro che vi ho assegnato sul romanzo storico vi sia piaciuto e vi abbia dato un'idea di come certe figure, certi elementi, possano essere sviluppati in modo differente o parallelo da autori diversi. Al termine della lezione me li consegnerete, sono curiosissimo. – ci indirizza un occhiolino. - Detto ciò, andiamo avanti. Oggi affrontiamo un filone della letteratura che prevede al suo interno più generi. A mio dire, uno dei più difficili. Qualche temerario che prova ad indovinare?
Qualcuno delle ultime file deve alzare la mano, perché il professore lo invita con un gesto delle dita a dire la sua. – Ricordate di dire sempre il vostro nome prima di parlare. – aggiunge.
-Paul Carter. Io credo che uno dei filoni letterari più difficili possa essere quello horror. È facile scrivere di case infestate o di bambole impossessate, ma il vero talento sta nel far provare al lettore terrore e angoscia anche descrivendo scene di vita quotidiana che non hanno elementi soprannaturali al suo interno.
-Ottima osservazione, signor Carter. Tuttavia, per quanto ci siano evidenti difficoltà nella scrittura di romanzi del terrore, così come, badate bene, ce ne sono per ogni genere, non è questo quello a cui stavo pensando.
Altri provano a dire la loro, ma l'esito è sempre negativo.
Ad un certo punto mi ritrovo con gli occhi di tutti puntati addosso. Mi domando cosa succeda, se per caso non mi stia trasformando in una creatura mostruosa, o se non mi sia spuntato un nuovo brufolo spaventoso da qualche parte, quando mi accorgo di aver sollevato la mano.
La fisso, sbattendo più volte le palpebre.
Okay... che succede? È davvero la mia mano o una proiezione distorta della mia mente? Se è la mia... come ho potuto peccare di così tanto coraggio?
-Sono tutto orecchie, signorina...? - Morley mi fa un sorriso di incoraggiamento.
Okay, è davvero la mia mano. Che mi prende?
-Kathleen... Foster. – biascico. Deglutisco, avvertendo la mia voce d'improvviso rauca.
-Prego, Kathleen. La ascoltiamo. – accavalla le gambe e si mette in posizione d'ascolto.
-Sì. – prendo in mano la situazione. Non ho alternative. È il mio primo intervento come studentessa universitaria. Posso farcela. Credo. – Io... io... io... - mi blocco. Il disco si è inceppato, aiuto! Non sono più abituata a parlare di fronte a una platea, ad espormi di fronte a un professore. Inspiro. Espiro. Tic. Tac. Forza, Kathleen.
Qualcuno mi fa il verso, mettendosi a ridere.
Morley corruccia la fronte, poi mi incita con la mano ad andare avanti.
Deglutisco ancora. – Io... io penso che uno dei filoni letterari più complessi possa essere quello... per ragazzi. Quello dell'infanzia. Al suo interno possiamo trovare generi diversi come quello del romanzo di formazione, pedagogico, fantasy o di avventura. Per non parlare delle fiabe e delle favole. – le parole mi scivolano di bocca, velocemente.
Sento gli occhi di Andrew fissi su di me, così come quelli del professore. Qualcuno, tra cui le tizie dagli ormoni ballerini dietro di me, ridono come se avessi detto una barzelletta. Morley non si lascia distrarre.
-Perché? Motivi la sua risposta, mi faccia degli esempi. Le va?
Annuisco, intimidita. – Perché sembra facile rivolgersi ad un pubblico di bambini o di ragazzi. Si pensa, per l'appunto, che siano solo dei bimbetti dalla testa vuota, a cui è vietato spiegare certe cose. Che sia sufficiente inserire dei personaggi di fantasia o dagli aspetti buffi per catturare la loro attenzione.
-E invece? – sostiene il mio sguardo.
-E invece i romanzi per ragazzi possono fare della vera e propria filosofia. Parlare di morte, di oscurità, di solitudine, persino di follia. Penso a La storia infinita. Atreyu, per avere delle risposte, per approdare alle verità, deve attraversare le zone più paludose della sua anima, dove tristezza e malinconia fanno da padroni. – mi viene in mente Roxy. – Oppure ad Alice nel Paese delle Meraviglie dove Alice finisce in una sorta di mondo onirico, in un mondo al contrario dove ci sono tanti personaggi che non sono altro che gli alter ego di persone vere, a lei vicine. Il Bianconiglio, per esempio, con il suo essere sempre di fretta, può rappresentare quegli adulti schiavi dell'orologio, che pretendono dai propri figli prestazioni più simili a quelle richieste alle macchine, che vivono la vita sopravvivendo e non vivendo. Spiega benissimo come tante persone vivano come se fossero degli ingranaggi di una grande macchina. Non c'è tempo per fermarsi, per cedere ad alcuna forma di piacere. Siamo in una grande catena di montaggio. Oppure a... - straparlo. Mi sento un fiume in piena. Le parole mi scorrono come se fossero rimaste bloccate dentro la mia testa per troppo tempo. La diga si è distrutta. L' acqua irrompe con mostruosità. La pelle delle mie guance va a fuoco e il cuore galoppa più veloce.
Morley solleva la mano, interrompendomi.
Ecco. Lo sapevo che la figuraccia era dietro l'angolo.
Mi guarda in silenzio per istanti che mi sembrano un'eternità, poi punta lo sguardo verso la sua penna. Combatte contro il suo tastino, trovandolo d'improvviso troppo rigido; quando la fatina si illumina, me la punta contro.
-Dov'è stata nascosta per tutto questo tempo, signorina Foster? – mi sorride.
Il modo in cui lo fa mi ricorda a tratti quello di Miss Parker. Per un momento i loro volti si sovrappongono.
Poi succede qualcosa di strano. La luce della fatina cattura ogni mia attenzione, mi ipnotizza come se fosse un pendolo nelle mani di qualche fattucchiera. Tutto si fa ovattato e fuori fuoco. Ci siamo solo io e il faccino della bambolina, paffuto e sorridente. Una curva leggera solleva le piccole guance di plastica, rosse come ciliegie. Il modo in cui il professore la fa oscillare, fa sì che sembri davvero una bacchetta magica. Mi strega, in effetti. Mi porta a chiedermi perché stia stata sempre in disparte, zitta. Prendo atto che fino a questo momento ho trascurato un aspetto importante. Mi sono spaventata, sin dal primo giorno, di essere a Princeton. Mi sono detta sin da subito che nemmeno io sapevo cosa ci facessi qui, perché mi avessero scelta. Avevo attribuito il mio essere diventata una studentessa di un college così rinomato quasi ad un colpo di fortuna. Ma, diavolo, non è vero. Io sono qui perché me lo merito. Perché ho delle capacità che sono state giudicate fuori dall'ordinario. Non sono qui perché ho una famiglia ricca alle spalle o perché stia simpatica a qualche pezzo grosso. Io sono qui perché sono capace. Mia madre ha sempre fatto dei sacrifici per me. Bob mi ha aiutato. Holden lo ha fatto. Io ho studiato, tanto. Ho superato i miei problemi anche con delle materie che non mi sono mai piaciute. Delle persone, come Miss Parker, hanno sempre creduto nel mio cervello. Sono partita con delle speranze che io stessa ho distrutto. Non ho dato loro la possibilità di esaudirsi. Nella mia immobilità ho lasciato che persino l'energia che ho sempre sentito scorrermi nelle vene, al pari di una linfa vitale, ogni volta che parlavo di libri si dissipasse. Che la fiamma del sapere diventasse sempre più piccola, fino a tramutarsi in cenere, spenta e fredda.
Mi accorgo di aver stretto le mani in dei pugni quando le unghie mi pizzicano i palmi. Distendo le dita e lascio che le mie labbra cedano ad un altro sorriso, uno di quelli che increspano la bocca quando si è soddisfatti di sé.
È assurdo il potere che abbiano le piccole cose. Un po' come una farfalla che si posa su un castello di carte, costruito con fatica per far stare tutto in equilibrio, che ha il potere di distruggerlo semplicemente posandovi su. Basta qualcosa di infinitamente piccolo, ma infinitamente potente, per portarti a fondo o per farti risorgere. Nel mio caso una bambolina sorridente, al pari di una farfalla, ha scosso il mio equilibrio. Un equilibrio fragile come quelle carte che sono sovrapposte in un modo troppo inconsistente. C'è bisogno che cadano; che si trovi un altro incastro, questa volta più forte.
In questo momento mi sento padrona del mio essere, come non succedeva da un po'. Forse domani sarà sparito l'effetto magico, ma adesso mi sento finalmente a mio agio in queste pareti spoglie e fredde. Su queste panche disposte gerarchicamente.
In questo marasma di consapevolezze rinate, mi accorgo che Morley si è alzato dalla cattedra quando il ticchettio del gesso sulla lavagna mi solletica i timpani.
Poi, sentendomi uno sguardo addosso, mi volto, beccando gli occhi di Andy fissi su di me. È serio. Prima che possa fargli qualche domanda, stringe le labbra e torna a guardare altrove.
-I racconti per bambini. – il professore scandisce ogni parola. - Andiamo, ragazzi, vi avevo portato anche un indizio. – fa oscillare di nuovo la sua penna. – Miei cari, voi non avete la più pallida idea di quanto sia facile cadere nel banale quando ci si rivolge a dei bambini o a degli adolescenti. E quanto sia facile fare l'errore di credere che loro certe cose non possano capirle. – mostra il suo disappunto scuotendo la testa. – I bambini hanno un loro modo di pensare. Una loro testa. Ma... diverso non significa meno importante, ricordatevelo sempre.
Crea un dibattito in pochi minuti. Ci invita a suggerirgli idee e parole chiave che si possano ricondurre all'argomento. Poi passa a parlarci di alcuni degli autori più esponenti dei vari generi, concentrandosi sulla figura di Beatrix Potter. Racconta del suo talento come illustratrice e naturalista nell'Inghilterra vittoriana, un'Inghilterra troppo chiusa per accettare gli studi scientifici di una donna, per quanto corretti. Quando arriva a parlare dei suoi racconti, famosi per avere come protagonisti degli animali, tra cui il noto Peter Rabbit, la fiammella dentro di me si attizza maggiormente. Mi ricordo dei miei giochi con Phoebe. Dei racconti che inventavo durante lo spettacolo dei burattini. Di Miss Goldeneggs e di Gaspard, il topolino spadaccino.
-Prossima consegna: scrivete in gruppo, o in coppia, un racconto che destinereste a un pubblico infantile o adolescenziale. Minimo dieci pagine, massimo trenta. Ovviamente voglio che affrontiate un tema... filosofico, come direbbe la signorina Foster. – Morley scocca un occhiolino nella mia direzione, facendomi arrossire di colpo. – Nulla di sciocco e superficiale. Vediamo se i signori e le signorine che hanno trovato divertente accostare la parola 'difficoltà' alla letteratura per ragazzi troveranno divertente in altrettanto modo inventare un racconto del genere di sana pianta. Non osate cercare su internet degli aiutini, o propinarmi una copia di Harry Potter. Vi do ben due mesi di tempo per terminare il tutto, dato che nel frattempo affronteremo i diversi generi che questo filone chiude in sé. Ciò significa che avrete comunque altri lavori da consegnarmi ogni settimana.
Un brusio di disappunto si solleva nell'aula.
-Su, su, sapevo che la notizia vi avrebbe rallegrati, ma così tanto entusiasmo rischia di farmi male. – ci prende in giro, mettendosi a ridere.
Sorride allegro mentre rimette le sue cose a posto, dimostrando una spensieratezza che mi fa saltare un battito del cuore.
-Lo facciamo insieme il lavoro?
Andrew mi distrae dalle mie osservazioni. Ha già riempito il suo zaino, ma rimane seduto al mio fianco, il pollice a sollevargli il mento e l'indice posato su una tempia. Davanti a sé ha il suo compito.
-Aspetta che lo chiedo al mio collega invisibile. – mi diverto. Poi mi volto alla mia sinistra, fingendo di parlare con qualcuno. – Mi ha detto che è troppo impegnato, quindi se ti va... - torno a guardarlo.
-Certo che mi va. Non posso perdere l'occasione di lavorare con una ragazza che crede che il Bianconiglio sia l'immagine di un uomo stacanovista che si limita alla sopravvivenza.
Ridacchio, affrettandomi a mettere tutto a posto.
Una volta vicina alla cattedra, Morley dà un'occhiata veloce al mio compito.
-Oh, vedo che ha citato Cime Tempestose e Via dalla Pazza Folla. Spero che abbia sottolineato il tema della gelosia. Catherine è decisamente più focosa di Bathsheba, a mio dire troppo... insapore.
-L'ho fatto. – sollevo gli angoli della mia bocca.
-Ottimo!
Annuisco e faccio per andarmene.
-Signorina Foster? – mi ferma.
-Sì? – torno a guardarlo, sorpresa.
-Non abbia mai il timore di esprimere la sua opinione. Siamo in un corso di scrittura creativa, ergo amo la creatività, l'inventiva, l'originalità. Non abbia paura di essere rimproverata o derisa da menti più... rigide della sua. Faccia sentire la sua voce più spesso, okay? – mi fa un altro occhiolino, poi torna alle sue scartoffie.
Rimango a soppesare le sue parole per qualche istante. Sento che seguirò il suo consiglio. Mi farò sentire più spesso. Toglierò il freno a tutte quelle parole che ho dall'inizio scelto di tenere intrappolate nella mia mente.
Quando io e Andrew siamo fuori dall'aula, penso che le nostre strade si divideranno, ma continua ad affiancarmi.
-Non pensavo seguissi anche tu il corso di letteratura contemporanea. – do voce ai miei pensieri.
-Perché mi siedo sempre in fondo all'aula! Non mi sta piacendo particolarmente come corso, quindi preferisco nascondermi. Noto, però, che tu ti sieda sempre davanti, alle panche libere.
-E come fai a saperlo?
Prende a guardare davanti a sé. – Semplicemente mi è capitato di notarti. Tutto qui.
Oh.
-Dato che la prof arriva sempre in ritardo, posso offrirti un bicchiere di latte e cacao? – continua. – Sarei interessato a indagare le tue riflessioni sul Bianconiglio. Non sarò sciocco come il tuo collega invisibile.
Rimango qualche secondo in silenzio. Vuole continuare a chiacchierare con me. La mia compagnia non deve dispiacergli. Me ne felicito internamente.
-Ti divertono proprio tanto i miei gusti in fatto di bevande!
-Mi diverte come a te diverte che Bathsheba abbia mandato un biglietto di San Valentino a quel poveraccio. – mi lancia un sorrisetto.
Sorrido di rimando.
-Allora, accetti?
-Accetto! A patto però che tu mi dica cosa ne pensi della letteratura per ragazzi.
-Accetto.
***
Io e Andrew abbiamo modo di portare avanti la conversazione anche nei giorni a venire. La sua visione della letteratura per l'infanzia non si discosta molto dalla mia. Utilizza la stessa energia che ha usato per parlarmi di Esmeralda e di Esther, citandomi autori come Sepulveda e Jostein Gaarder, lo stesso autore dell'ultimo libro che ho letto a Phoebe.
-In questo romanzo Anne Lise e Han Petter si chiedono perché persino in una città ricca come New York ci sia la povertà e perché Oliver...
-Che è la metafora di Dio... – mi interrompe.
-Che è la metafora di Dio, - gli do ragione. - ... non faccia nulla contro la povertà e lui risponde che...
-Che Oliver non può decidere tutto ciò che accade nella favola, perché tocca agli uomini fare le loro scelte. – mi interrompe di nuovo.
Annuisco. – Già. È magnifico. Con una facilità disarmante manda un messaggio potente.
-Lo è. – mi sorride. – Fa capire che gli uomini sono dotati di libero arbitrio e che dare la colpa a Dio, o al Fato o a qualsiasi altra cosa che abbia del sovrannaturale, non ha alcun senso. Se succedono cose brutte, gli uomini non possono lavarsene le mani, fingendo di non avere responsabilità.
-È la stessa riflessione a cui sia giunta anch'io e che abbia spiegato a Phoebe, la bimba di cui sono stata babysitter.
Oltre che la sorella del mio Holden. Ma non penso a lui interessi saperlo.
-Ti piacciono tanto i bambini, eh! – la sua non è una domanda, più una constatazione.
-Puoi dirlo forte. Ho sempre creduto nei bambini e nei loro poteri magici.
-Poteri magici? – si volta nella mia direzione, non riuscendo a trattenere una risatina.
-Già. I bambini sanno essere magici. Soprattutto quando sono piccoli. Hanno il potere di oltrepassare il velo che anno dopo anno ci offusca la vista.
-Di quale velo parli? – si mostra incuriosito.
-Di quello dietro il quale si celano fate che per sopravvivere hanno bisogno di qualcuno che dica loro: "Io credo in te!", dove gli angeli si mostrano senza aver paura di essere giudicati, e dove prendere un tè con degli amici invisibili è la cosa più divertente al mondo.
-E pensi sia così tanto terribile non riuscire più ad oltrepassarlo da una certa età in poi?
Faccio spallucce. – Credo che in parte lo sia, ma che sia ancora più terribile credere che sia da stupidi volerlo squarciare quando si è più grandi.
-Volare troppo con la fantasia può anche far male...
-Vero! Ma può far male anche non farlo nemmeno un po'.
Si limita a sollevare un solo angolo della bocca, forse arreso all'idea che non mi stancherò di credere in ciò che gli abbia detto. Lui non deve crederci molto in queste cose. Forse per lui sono solo una sciocca ingenua. Non gliene faccio una colpa. E non ne faccio una nemmeno a me. Alla fine, sono così come sono e se vuole diventare mio amico deve accettarmi anche con la mia ingenuità
-È pronto il mio turno di lavoro? – gli ricordo, dopo un po'.
-Sarà pronto per domani. Scusami per l'attesa, ma l'aver trovato una nuova dogsitter così in fretta ci ha colti di sorpresa, come ti ho già detto. Ti anticipo che io, Daniel e Imogen cerchiamo di cambiarlo ogni settimana, così che tutti noi abbiamo almeno un fine settimana libero al mese. Hai qualche richiesta?
-Solo una. Il sabato e la domenica mi sarebbe possibile lavorare sempre e solo di mattina? Vorrei avere i pomeriggi e le serate liberi. So che è una richiesta un po' pretenziosa, perciò gli altri giorni posso lavorare fino a tardi.
Mi guarda. – Beh, è una richiesta decisamente pretenziosa.
Sollevo le sopracciglia. – Oh, sì, certo... immagino tutti abbiano voglia di fare altro... sì, allora non fa nulla. – farfuglio, sorridendo imbarazzata.
Io e Holden troveremo comunque il modo di passare del tempo insieme.
Andrew scoppia a ridere. – Ti sto solo prendendo in giro, Fosty. Tranquilla. Ci organizziamo! Daniel e Imogen odiano lavorare domenica mattina, per cui... - si ferma.
-Bene. – faccio una risatina.
-Gliene parlerò oggi stesso, - riprende. - così potrai iniziare a lavorare già dalla prossima settimana.
-D'accordo. Grazie! – gli sorrido. – A proposito, sei libero domani? – le parole mi escono di bocca prima che possa starci troppo a pensare.
Andrew allarga per un momento gli occhi, come se non si aspettasse questa domanda. – Solo di sera. Perché?
-Ci sarebbe una festa. È in un dormitorio fuori dal campus. Se ti va... ti passo l'indirizzo e ci incontriamo là.
-Oh. – fa un piccolo colpo di tosse. – Non impazzisco per le feste. Non posso disegnare e la musica che mettono in queste circostante non mi piace quasi mai, però... okay, verrò.
Sorrido.
Potrò presentare a Holden un altro amico, e non solo Winona. Gli dimostrerò così che stia davvero andando tutto bene.
Pian piano inizio a crederci anch'io.
***
-Kathleen, mi è caduto un orecchino nel tubo del lavandino! - urla Roxy - Ho aperto l'acqua sperando di farlo tornare su, ma è sceso ancora più in basso e si sta tipo allagando tutto. – la sua voce si fa più isterica parola dopo parola.
Il lucidalabbra mi scivola dalle mani, finendo per lasciarmi una striatura color ciliegia che supera l'angolo della bocca, regalandomi così un sorriso alla Jocker.
-Cosa?! – strillo a mia volta.
Mi affretto a raggiungere il nostro piccolo bagno, trovandola in ginocchio di fronte al lavandino. Gli occhi super truccati di nero mi guardano con terrore, implorandomi di aiutarla.
-Mi hai preso per un idraulico? – ricambio l'occhiata. – Porca vacca, come hai potuto fare un disastro simile?
-È solo la quinta volta che mi succede... - tenta di giustificarsi.
-Cosa?! – alzo di nuovo la voce.
-Sì... a casa mi è successo... altre volte. – affonda i denti nel labbro inferiore, distogliendo lo sguardo.
-Sicura che la lettera di ammissione a Princeton non fosse destinata a una tua omonima? No, perché queste cavolate non sono da persone molto... - titubo. - intuitive.
-Stavi per dire intelligenti, vero? – chiede.
-No...
-Sì.
-Sì, okay. Stavo per dire intelligente. – confesso.
-Che cattiva! – mi fa una smorfia.
-Mai più di te che mi hai paragonato alla scena in cui un cavallo si lascia morire in una palude.
-Touché.
Abbassa gli occhi, mostrandosi colpevole.
Sbuffo. – Vabbè, ho capito. Avviso il mio ragazzo che lo raggiungiamo più tardi alla festa, okay? Intanto prova a cercare su internet se possiamo fare qualsiasi cosa senza scomodare altre persone.
Annuisce, catapultandosi con i suoi anfibi altissimi verso il suo computer.
Holden mi risponde in pochi istanti, chiedendomi se possa essere di aiuto. Me lo immagino con una delle sue camicie ordinate e super stirate. La sola idea di vederlo smontare un lavandino per quanto a tratti eccitante, mi fa anche ridacchiare. Gli scrivo che è tutto sotto controllo e di iniziare ad avviarsi verso il dormitorio.
Trenta minuti e cinque video su YouTube dopo, riusciamo a recuperare il suo orecchino e a permettere all'acqua di tornare a scorrere con facilità.
-Grazie, mi hai salvato la vita! – Roxanne giunge le mani davanti al suo viso e abbassa la testa, ricordandomi un personaggio giapponese di un qualche film o cartone animato.
-E tu mi hai tolto cinque anni! – le do una piccola spinta scherzosa. – D'ora in poi ti avvicinerai al lavandino senza nemmeno un anello. Per colpa tua arriveremo tardi alla festa.
-Pff! – si mette a ridere. – Non ci sono orari alle feste universitarie.
Scuoto la testa e finalmente finisco di prepararmi. Tiro su la zip dei miei stivali, e passo le mani nei capelli per ravvivarli un po'. La collanina che mi ha regalato Holden è messa in evidenza dallo scollo a barchetta della mia maglietta rossa.
-Sono pronta. – dice la mia coinquilina dopo pochi istanti.
Mi volto a guardarla. Si inforca un paio di occhiali da sole, dalle lenti rotonde e nere, davanti allo specchio; i lunghi guanti che le coprono l'avanbraccio e i soli dorsi delle mani a catturare la mia attenzione. Un vestitino decisamente aderente per i suoi standard le fascia il corpo, rivelandomi per la prima volta le sue forme. Un lato B che le invidio e gambe leggermente storte. Una cintura a cui è fissata con dei moschettoni una catena le segna il punto vita stretto, mentre una serie di collanine nere le circondano il collo lungo. Si è legata anche i capelli, mostrando il viso magro e piccolo e l'orecchino pulito, uno di quelli che coprono tutto il padiglione auricolare.
-E questi occhiali alla Ozzy Osbourne? – inarco un sopracciglio.
-Conosci Ozzy Osbourne? – solleva le sopracciglia.
-Cara la mia oca giuliva, mia madre è una patita di Alice Cooper e una delle mie più care amiche ha avuto una fase da punkettona dark... certo che lo conosco. – le faccio un occhiolino.
Arriccia le labbra. – Wow! Mi sa che allora possiamo rivedere il punto in cui tu diventi la mia oca giuliva.
-Mi spiace, hai perso la tua occasione.
Fa spallucce, divertita.
-Pronta? – mi chiede poi, scoccandomi un'occhiata.
-Non lo so. – ammetto. – Cosa devo aspettarmi? A parte i nullafacenti depravati, si intende. – le faccio il verso.
-Beh... aspettati di incontrare persone che vogliono divertirsi, a costo anche di allentare un po' troppo i freni inibitori.
-Okay, come nelle feste liceali, allora.
-Qualcosa del genere. Ma... più in grande. Al liceo ci sono quei ragazzi che si lasciano andare perché quasi costretti. Sanno che è figo sballarsi in un certo modo. All'università invece ci sono quelli che lo fanno per evadere da una realtà che spesso non hanno scelto nemmeno loro.
-Ho afferrato. – le rispondo.
-Che ragazza intelligente. – calca sull'ultima parola.
Mi metto a ridere, prendendo borsa e giubbotto.
***
Il dormitorio nel quale si tiene la festa dista davvero poco dal mio college.
Si presenta come una struttura alquanto anonima, mattoni color ruggine, gran parte delle finestre illuminate, un cortile spoglio a fronteggiarlo.
Una volta dentro, ci accolgono una serie di cassette nelle quali immagino i residenti ripongano le loro chiavi. Non c'è una reception o qualcosa di simile. Roxy mi conduce verso delle scale. Saliamo due rampe prima che lei bussi contro una porta in legno chiaro, lo stesso di cui sono fatte le altre che la affiancano. Dei borbottii e il suono di una musica si intensificano non appena la porta ci viene aperta da un ragazzo dalla camicia a quadri, mezza sbottonata. Ci scocca un'occhiata superficiale prima di lasciarci entrare e di ritornare nella mischia. Credo che l'unico requisito per partecipare a questa festa sia l'età. Non ci ha chiesto nemmeno il nome, se avessimo degli inviti o cose del genere. Si è limitato a sincerarsi che fossimo troppo giovani per far parte della sbirraglia. Per un momento mi immagino Bob preoccuparsi per me. Dirmi di fare attenzione ai bicchieri di aranciata corretta con dell'alcol. L'ombra di un sorriso si fa strada sulle mie labbra.
La mia coinquilina si stringe nel suo giubbotto, salutando con la testa un paio di persone.
Io mi limito a darmi un'occhiata attorno. La stanza che ci ospita è decisamente più grande della nostra. Pareti bianche, il pavimento coperto da della moquette bordeaux. C'è un'area relax che fa da salottino e su cui si affaccia una cucina piccola che dispone persino di un bancone, già pieno di bottiglie. Si intravede un corridoio che immagino conduca al bagno e alla stanza da letto. Su una delle pareti una coppia si sta sbaciucchiando, imitando due tizi che si mangiano la faccia su una poltroncina turchese. Altri parlano animatamente, fumano e sghignazzano.
La musica che pompa da due casse accatastate agli angoli della stanza fa sottofondo, non è troppo alta e non stimola la danza. Un ragazzo con un boa di struzzo attorno al collo mi distrae, chiedendomi se creda nella reincarnazione perché lui sente di essere stato Budda nella sua vita precedente. Boccheggio per qualche secondo, poi Roxy mi trascina via, prendendomi per il gomito.
-Quello è Kevin il santone. O il fattone, come lo chiamano in tanti. Terzo anno di filosofia. – mi bisbiglia all'orecchio.
Annuisco lentamente, mentre una ragazza con un reggiseno legato attorno alla fronte prende a ballare da sola.
-Lei è Priscilla Dixon. Facoltà di medicina. Per i più, Priscilla Semprecontenta. Puoi indovinare il perché.
-Non scherzavi quando dicevi che sono i pettegolezzi a venire da te. – osservo.
- Che ti dicevo! È la fama che precede questi tizi. – fa spallucce.
Scoppio a ridere.
-Non mi molli per andare a fumare, vero? – le chiedo, i miei occhi che vanno alla ricerca di Holden.
-Tranquilla, non mi piace fumare a inizio serata. Voglio prima conoscere il tuo ragazzo e poi andare alla ricerca di Susan e di un'altra ragazza del mio corso. A proposito, il tuo lui dov'è?
Fatico a trovarlo. Il mio sguardo striscia tra troppe persone. Poi finalmente lo intravedo.
È seduto su un divanetto blu, con un bicchiere tra le mani e lo sguardo puntato verso una ragazza. Annuisce nella sua direzione, mostrandosi concentrato.
Credo che la definizione di "sentire le farfalle nello stomaco" sia stata pensata per sensazioni simili a quella che prende ad insinuarsi dentro di me. Come se tante piccole ali, fragili, sottili, piccole e velocissime, stessero sbattendo alla rinfusa, divertendosi a scontrarsi nelle pareti della mia pancia, a mordicchiarla con insolenza qua e là. I miei occhi finiscono sulle lunghe dita con cui stringe un bicchiere, sulle sue gambe fasciate da un paio di jeans scuri, sugli occhi chiari lasciati liberi dagli occhiali. Una camicia nera, dal colletto ben stirato e delle maniche abbottonate fino alla fine, crea contrasto con la pelle d'avorio delle guance, del collo e di quella frazione di pelle lasciata scoperta da alcuni bottoni lasciati liberi. Vorrei andare lì e baciarlo fino a togliergli il respiro.
Deve sentirsi osservato, perché spezza il contatto visivo con la sua interlocutrice e posa il suo sguardo grigio su di me. Gli sorrido, sollevando una mano. Mi sorride a sua volta, facendo balzare verso l'alto le sue sopracciglia come se fosse sorpreso oppure felice che finalmente sia arrivata.
-Dal tuo sorriso da ebete possa dedurre che sia lo spilungone il tuo ragazzo? In effetti, lo ricordo nelle foto che hai vicino al tuo letto.
-Ah ha, proprio quel bellissimo spilungone. – le rispondo, senza distogliere lo sguardo da lui.
-Vi ci vedo insieme – è la sua risposta. Nel suo linguaggio stringato dovrebbe significare che siamo una bella coppia.
Inizio a camminare nella sua direzione, mentre lui dice qualcosa alla ragazza con cui stava parlando prima di vedermi.
Prima di raggiungerlo, faccio lo slalom tra alcuni ragazzi che stanno giocando a Birra Pong su un tavolo che fiancheggia una delle pareti.
-Eccoti, finalmente! Tutto a posto con il lavandino? – Holden mi prende subito le mani tra le sue, sorridendomi. Scolla i suoi occhi da me solo per soffermarsi un momento su Roxanne, alle mie spalle.
Nel frattempo, sento tre paia di occhi pesarmi addosso.
-Tutto a posto! I dettagli te li spiego in un altro momento, ma sono riuscita a recuperare l'orecchino di Roxanne.
-Già. Ha delle mani di fata la tua ragazza. – interviene lei, tendendogli la mano inguantata.
Con la coda dell'occhio vedo la ragazza che stava parlando con Holden sollevare il capo e scrutarmi meglio. Lo fa anche una tizia che la affianca.
Holden si affretta a ricambiare la stretta della mia coinquilina, non riuscendo a trattenere un lieve tremolio alle labbra che sono certa di notare solo io. Starà sicuramente pensando che le mie descrizioni su di lei siano state decisamente accurate.
-Lo so. – le fa un piccolo sorriso. – Io sono Holden, comunque.
-Holden, il matematico. La tua ragazza fissa spesso una foto in cui ci sei anche tu. Io sono Roxanne.
Sento le mie guance arrossire, mentre lui torna ad intrecciare le nostre dita.
-Allora non sono l'unico coinquilino a sorbirsi scene sdolcinate del proprio compagno di stanza! Tu devi essere l'incantevole Kathleen. - un ragazzo dalla carnagione scura e i capelli ricci fa un balzo in avanti, affiancando Holden. Mi tende la mano che prontamente stringo.
-Incantevole non lo so, ma sì, sono Kathleen.
-Ti ho fatto una domanda retorica, in quanto ti avevo già visto nelle foto che Holden sbaciucchia ogni sera. Non vedevo l'ora di conoscerti!
-La smetti? – Holden gli dà una gomitata.
-Lo faceva anche a liceo. – mi pavoneggio, prendendolo in giro.
Holden mi lancia uno sguardo di finto disappunto.
-Certe abitudini non si perdono. – il ragazzo mi fa un occhiolino. – Ma, - fa un colpo di tosse. – bando alle ciance. Il mio nome è Philip Josh, ma Dio non voglia voi sentiate mai il bisogno di chiamarmi in questo modo rivoltante. PJ andrà benissimo.
È il mio momento di trattenere delle risate e di sentire così un lieve tremolio all'altezza delle labbra. PJ è esattamente come me l'ero immaginato. L'aria da furbetto, un sorriso simpatico, sopracciglia disordinate e capelli che appaiono lanosi e soffici. Indossa un pantalone con le bretelle e una camicia per cui immagino Holden farebbe carte false.
-Piacere, PJ. Holden non fa altro che parlarmi di te. Dalle sue descrizioni, sei il coinquilino perfetto.
PJ si mette una mano sul petto, con fare teatrale. Poi guarda Holden con cipiglio sorpreso. – Wow, Holden, mi fai sciogliere così.
Holden mi guarda. – Leen, perché gliel' hai detto? Questo qui si monta la testa facilmente. – gli dà una spallata scherzosa. – Caro il mio PJ, lo faccio solo perché mi spiace sapere che la gente parli male di te. Meriti che qualcuno spezzi una lancia in tuo favore.
Sorrido, osservando il modo amichevole con cui gli abbia risposto.
PJ inarca le sopracciglia, chiaramente non convinto delle parole del suo coinquilino. Poi si rivolge verso Roxanne lanciandole un'occhiata che definirei di apprezzamento. Lei non se ne accorge, o finge di non farlo, impegnata com'è a sorseggiare una bottiglia di birra che immagino abbia rubato al tavolo di Birra Pong. Quando arriva a posare i suoi occhi neri su di me, mi sorride in modo amichevole. Come se mi conoscesse da una vita. Gli sorrido, ringraziandolo con gli occhi per l'amicizia chiaramente genuina che ha stretto con il mio ragazzo.
Due colpetti di tosse ci fanno puntare gli occhi verso le due ragazze che affiancavano Holden.
-E noi? Non ci presentate? – la più bassa delle due, con corti capelli più bianchi che biondi, ci indirizza un sorriso a pieni denti. – Sono Patty Lou, la più brava del corso di geometria algebrica.
Ha un viso pulito e fanciullesco, illuminato da una camicetta bianca su cui svetta una collanina dal ciondolo a forma di stella.
-Ti piacerebbe. – aggiunge l'altra ragazza. – Sono Violet Ingram, lieta di fare la tua conoscenza. Anzi, la vostra. – stringe la mano a me e Roxanne.
Violet.
La stessa ragazza che ha aiutato Holden a trovare il lavoro alla radio. Mi accorgo di come sia stata l'unica a presentarsi con anche il suo cognome. La sua è una famiglia facoltosa, secondo i pettegolezzi di PJ.
Si presenta come una ragazza dall'aspetto bon ton. Ha la mia stessa altezza e occhiali dalla montatura spessa a coprirle gli occhi azzurri. Un cerchietto di velluto nero spicca nella cascata di capelli lisci e biondi che le circonda il viso costellato di lentiggini, spruzzate soprattutto sulla zona del naso alla francese. Se non fosse per l'evidente seno prosperoso ben fasciato da un dolcevita rosa confetto, direi che ha il fisico da ballerina di danza classica: spalle da uccellino, gambe e braccia esili.
Sorrido nella direzione di Patty Lou, poi torno a rivolgere le mie attenzioni a Violet.
-Il piacere è tutto mio. – le dico, entusiasta. – Grazie di cuore per aver aiutato Holden a trovare un posto di lavoro in radio. Con la sua voce e le sue conoscenze cinematografiche spaccherà. – le dico.
Lei allontana la mano dalla mia, senza perdere il sorriso. – Figurati. Ho fatto il minimo per un ragazzo così brillante. – si volta nella sua direzione.
Holden abbassa lo sguardo, quasi imbarazzato da tante lusinghe.
-Che ruffiana, mamma mia! Lo sanno tutti che fai la zuccherosa con Holden solo perché vuoi scopiazzare da lui. – la canzona PJ.
Violet gli lancia un'occhiataccia, prima di dargli una spinta.
Lui si mette a ridere, contagiando anche me.
-E, dimenticavo, grazie anche a te PJ. So che hai messo una buona parola per Holden, per il lavoro in pizzeria. – aggiungo, quando torna serio.
Scrolla le spalle, minimizzando il tutto. – Se lo merita questo cervellone! – gli dà una pacca sulla spalla. – Comunque, direi che la compagnia è quasi al completo. Manca solo Will che se la sta spassando con la sua ragazza in qualche postaccio in centro, e quel fancazzista di Colin, che temo sia a sbronzarsi con qualche signorina di lettere.
-Gesù, ma perché allora non mi ha portato con sé? Voglio assolutamente parlare con qualcuno di lettere. – si lamenta Patty Lou.
-Io sono una studentessa di lettere. – intervengo prontamente.
Patty Lou ha una metamorfosi. Mentre gli occhi nocciola si sgranano piano piano, la bocca li imita, socchiudendosi fino a formare una 'o' quasi perfetta.
Poi caccia un piccolo urlo, iniziando a saltellare.
-Holden, vecchio rincitrullito, ma perché non mi hai mai detto di avere una ragazza che studia a lettere? Anzi, non ci hai detto proprio che hai una ragazza, brutto smidollato.
Holden fa spallucce. – Quanti complimenti, vacci piano! E poi, non pensavo vi potesse interessare la mia vita sentimentale.
-Ma sentilo, povero ingenuo! Certo che ci interessa. – Patty Lou gli posa un gomito sulla spalla, con fare confidenziale. – Vero, Violet?
-Oh beh, confesso che a me interessa meno. – risponde la sua amica.
Patty Lou fa una smorfia, delusa di non aver ricevuto sostegno.
Con la coda dell'occhio vedo Roxy guardare le due ragazze con una faccia da "Ecco qui due oche giulive!". Continua ad ignorare gli sguardi di PJ sulla sua figura.
-Ragazze, non prendetevela, ma Holden spiffera i suoi fatti privati solo a me. – PJ rincara la dose.
Immagino che PJ sappia di me semplicemente perché condivide la stanza con Holden. Tra la palla di vetro e le nostre fotografie sarà stato inevitabile fare due più due. Holden sa essere molto ermetico su tutto ciò che riguardi la sua vita privata, lo so bene.
-Ma... perché ti interessa parlare con qualcuno di lettere? – domando.
-Oh già! – si riprende Patty Lou. – Segui il corso di Morley, vero?
-Ah ha. – annuisco. – Ti interessa il mio professore?
-Ma va! – muove la mano davanti a sé. – Che me ne faccio di Morley quando in aula con te c'è un figo identico a Harry Styles?
-Che? – allargo gli occhi. – Un sosia di Harry Styles nel mio corso?
-Puoi scommetterci. – trilla. – Occhioni verdi, capelli ricci, fossette... - intreccia le mani davanti al petto, facendo uno sguardo sognante. – Me lo fai conoscere? Ti prego! – giunge le mani.
-E c'è bisogno di andare a lettere? Basta leggere una qualsiasi fanfiction per imbatterti in qualche sosia di Styles. Ti ci puoi innamorare e fare tutte le porcherie che ti passano per la testa. – biascica Roxanne con fare annoiato. Le tipe come Patty Lou devono essere per lei come delle creature strane da carpire il più possibile.
PJ e Holden si mettono a ridere.
Patty Lou le lancia un'occhiata distratta prima di tornare a farmi vedere come le brillino gli occhi.
-Mi spiace, ma temo di non aver fatto proprio caso a questo figo dagli occhi verdi. – spengo il suo entusiasmo.
Figurarsi se faccia a caso a queste cose quando fino ad oggi abbia parlato con una sola persona.
Fa immediatamente una smorfia di disappunto. Poi si rianima di colpo. – Vabbè, ma puoi conoscerlo, no? Che ne dici se mi passassi il tuo orario così da piazzarmi fuori dalla tua aula quando entrate o uscite?
Ci metto un po' a risponderle. Vuole rendermi una sua complice. Mi riporta alla mente il liceo e i suoi momenti più frivoli e spensierati.
– Meglio se venga tu e ci faccia amicizia da te. Non credo sia una buona idea che lo conosca io. Non vorrei si innamorasse di me come nelle migliori fanfiction e ti rubassi il posto. – la prendo in giro. – Ti passerò volentieri il calendario delle lezioni di Morley.
Si copre la bocca con la mano e ricomincia a saltellare.
-Lasciala perdere, è fuori di testa. – PJ fa dei movimenti circolari con l'indice, vicino alla sua tempia destra.
Soffoco una risatina.
Poi mi squilla il cellulare. Il nome di Andrew prende a illuminare lo schermo. Gli rispondo subito. Mi chiede se sia nel posto giusto perché un tizio con il boa di struzzo gli ha chiesto se lui creda nella reincarnazione. Mi metto a ridere, sotto gli sguardi di tutti.
-Sei decisamente nel posto giusto!
-Lo credo anch'io. – dice una voce alle mie spalle.
Mi volto, mettendo giù la chiamata.
-Andy! – lo saluto.
-Fosty! – ricambia, abbozzando un sorriso.
Gli occhi di tutti si focalizzano su di lui.
Andrew si avvicina lentamente a me e al gruppo. Guarda tutti alquanto velocemente, poi torna a concentrarsi su di me, quasi imbarazzato da tutti questi sguardi.
-Vi presento Andrew Slater, un mio collega universitario e di lavoro. – mi affretto a presentarlo.
-Gesù, fatemi capire, ma tutti i fighi vanno a lettere? – fa Patty Lou, sgranando gli occhi.
PJ e Violet scoppiano a ridere. Gli occhi di Holden, invece, rimangono concentrati sul mio compagno di corso. Non sorridono, al contrario della bocca che ha gli angoli tirati verso l'alto.
-Sarei io il gran figo? – Andy si mette a ridere.
-Puoi dirlo forte, carino! Sei proprio uno schianto. – gli dice Patty Lou. – Se va male con Harry, ti va se usciamo insieme?
Andy fa per rispondere, quando un ragazzo si intromette nel quadretto. Ha capelli rossi pettinati con un ciuffo esagerato e una barba folta a coprirgli le guance. Cinge le spalle di Holden e PJ con scatto felino, puntando poi lo sguardo verso me e Roxy.
-Oh là là! – fischietta.
-Cosa c'è da fischiettare? – gli risponde Roxy, lanciandogli uno sguardo truce da sopra le lenti da sole, ora abbassate fino al setto nasale.
Lui solleva le mani in segno di resa, poi si concentra su di me. Mi fa un sorrisino. Holden fa per aprir bocca ma le sue parole muoiono sulle labbra quando quello che presumo essere Colin si allontana con la stessa velocità con cui è insorto.
-Colin il fancazzista. – lo presenta PJ. – Tranquille, fra poco sarà di ritorno.
Faccio un sorrisino, tornando a guardare Holden. Il suo sguardo è posato su Andy che ha preso a stringere la mano a tutti. Quando arriva il loro momento di presentarsi mi sento per un momento in imbarazzo.
È una scena strana quella che mi si presenta davanti. Quasi pittoresca.
Holden con il suo aspetto posato, evanescente quasi. Più alto, ma allo stesso tempo più etereo. Andrew con i suoi colori più scuri, i suoi lineamenti più forti, la statura più bassa, ma il portamento più imponente. Delle dita tatuate che stringono delle dita da pianista, candide come la neve. Un orologio dal cinturino sottile, ben stretto su un polso ossuto, da una parte; dei braccialetti annodati senza troppo impegno su un polso più abbronzato, più robusto, dall'altra. Occhi chiarissimi che affondano in delle iridi fosche.
-Kathleen mi ha già presentato, ma mi chiamo Andrew Slater. Andy per la maggior parte.
-La maggior parte? C'è chi non ti chiama così? – mi è spontaneo chiedergli.
-I miei genitori. E poi c'è mio nonno che mi chiama... Junior. Ma... che rimanga tra noi. È troppo imbarazzante – mi risponde.
-Junior! – sgrano gli occhi. – Oddio! Sicuro che non possa chiamarti anch'io così? – lo prendo in giro.
-Non ci provare, oppure chiamerò anche te con un nomignolo imbarazzante. Non mi costa nulla trovartene uno. – mi lancia uno sguardo divertito.
Holden si schiarisce la voce, interrompendoci e affrettandosi a stringere la mano che il mio nuovo amico gli tende. – Holden, piacere mio. Grazie per aver aiutato la mia ragazza a trovare un lavoro! Kathleen mi ha descritto il canile come un posto molto accogliente. Vi affezionerete subito a lei. È intelligente, dolce e con delle capacità relazionali da far invidia. – elenca.
Capacità relazionali da far invidia. Finge di non ricordare come lo trattai i primi tempi. Oppure si illude che sia meglio di quel che sia. Fatto sta che sono contenta di non avergli confessato che ultimamente faccio proprio cilecca su questo versante.
Andy ci mette un po' a rispondere, limitandosi a guardare Holden negli occhi. – Il piacere è tutto mio e dei miei colleghi. – riprende. - Siamo una bella squadra.
La loro stretta si scioglie, poi PJ chiede a Holden se voglia dargli una mano a prendere qualcosa da bere. Lui annuisce, lanciandomi poi un occhiolino prima di dileguarsi con il suo amico.
Ci sediamo così sul divanetto. Andy si siede al mio fianco, mentre Roxy mi saluta per andare alla ricerca delle sue amiche. Violet e Patty Lou si mettono a parlare tra loro, lasciando lo spazio alla mia destra libero, riservandolo per Holden.
-Posso immaginare che il tuo anello buffo, ma carino, sia un regalo del tuo ragazzo? – mi domanda Andy. Si sfila il suo giubbotto, rimanendo con una semplice t-shirt a maniche lunghe. Una chitarra elettrica spicca su uno sfondo blu scuro. Ha dei jeans scuri strappati sulle ginocchia e i soliti anfibi, annodati in modo sbrigativo.
Osservo il mio anulare sinistro. – Oh sì, è un regalo di Holden. È buffo, ma bellissimo. Non me ne separerei per nulla al mondo. – rispondo, percorrendo con l'indice il contorno del mio cuoricino di plastica.
-È originale. – mantiene lo sguardo fisso di fronte a sé.
-Holden?
-No, no. L'anello. – risponde velocemente.
-Oh, lo è anche Holden. – sorrido.
-Quale facoltà frequentano lui e i suoi amici?
-Matematica! Tutti, tranne la ragazza con i capelli verdi. Lei è la mia coinquilina e studia a storia.
-Matematica. Wow. – le sue sopracciglia si tendono verso l'alto.
-Cosa? – mi incuriosisco.
-Lui numeri; tu lettere. Siete come il diavolo e l'acqua santa, dato che a te nemmeno piace la matematica. - ride.
Rido a mia volta. – Nessuno ci aveva mai definito così, ma sì... hai ragione! Non so, tuttavia, chi sia cosa. Credo che dei due lui possa essere il diavolo solo perché formule, algoritmi, funzioni e tutte queste mostruosità sono un gioco da ragazzi.
-In effetti. Però tu credi che gli angeli abbiano paura di essere giudicati, quindi forse sei tu quella diabolica.
-Memorizzi tutto, eh?
-Solo ciò che mi incuriosisce. – fa un mezzo sorriso.
Scappa un sorriso anche a me.
-Sembrano simpatici, comunque. – riprende. – Mi aspettavo gli studenti di matematica come persone più... rigide. Un pregiudizio, lo so.
-Tranquillo, sono imbattibile in fatto di pregiudizi. Sembrano simpatici anche a me. È stata la prima volta che li abbia conosciuti. – gli confesso.
-Come mai? – corruccia la fronte.
Faccio spallucce. – Semplicemente non c'è stata l'occasione.
Ometto di dirgli che le mie capacità relazionali sono alquanto difettose ultimamente e che per Holden sia una grande e bellissima novità quella di avere così tanti amici.
-Beh, in effetti siamo qui da ancora poco tempo, seppur a noi due sembra che sia passata una vita. Comunque, fra tre, due, uno... faranno partire qualche musica spaccatimpani.
Come per magia, le sue parole si concretizzano e una canzone esplosiva squarcia le casse per rimbombare tra le pareti.
-Come facevi a saperlo? – mi tappo per un momento le orecchie, alzando la voce.
-Oh beh, ho poteri extrasensoriali, Fosty. – muove le mani davanti a sé, come se stesse facendo una magia.
-Allora tu e il mio ragazzo potreste essere amici. Anche Holden ha questo genere di poteri. Lui sa esattamente il momento in cui soffiare contro il semaforo quando è rosso.
-Cosa? – fa una risatina.
-Lascia stare. – minimizzo con un gesto della mano.
Secondi dopo il ragazzo con i capelli rossi di poco fa, fa la sua irruzione. I suoi movimenti sono di nuovo felini. Prende posto al mio fianco, nello spazio riservato a Holden, rivolgendomi un altro sorriso e tendendomi la mano. Cinge con l'altro braccio le spalle di Violet che si limita a lanciargli un'occhiataccia.
-Sono Colin Farewell. – accavalla le gambe. Ha un po' di fiatone e le guance rosse.
-Kathleen Foster. – mi presento in modo sbrigativo.
Si capisce che è alquanto alticcio. Ha gli occhi umidi e i primi bottoni della camicia allentati. Guardandolo per un secondo mi dà subito l'idea di essere uno di quei tipi che di giorno sono Dottor Jeckyll e di notte sono Mr. Hyde.
-Cosa studi? – i suoi occhi scendono per un momento sulla mia scollatura.
Di istinto incrocio le braccia sul petto. – Sono una studentessa di lettere.
-Figo. – sorride in modo fin troppo entusiasta.
-Già.
-Anche il tuo ragazzo? – con il capo indica Andy.
Corruccio la fronte. – No, lui non è...
-Sei proprio fortunato, fratello. – mi interrompe, guardando verso di lui.
Andy smette di guardare una partita a birra pong, e si volta nella sua direzione, le sopracciglia sparate verso l'alto.
-Puoi ripetere? Scusa, la musica è troppo alta!
-Dicevo. – Colin fa una risatina. – Sei un ragazzo fortunato. La tua ragazza è carina. – con il capo indica lui e poi me. Parla come se non ci fossi. Come se fossi un mero accessorio da lusingare.
Prima che possa intervenire, noto PJ e poi Holden. Sono di ritorno. Stringono dei bicchieri di carta rossa tra le mani. Il mio ragazzo mi sorride in modo caloroso, facendo poi vagare i suoi occhi su Colin.
-Sì, siete proprio una bella coppia! – il rosso alza la voce per sovrastare la musica. – Molto carini tutti e due. Avete anche gli stessi colori.
Il mio sguardo è rimasto fisso su Holden. Lo vedo sgranare per un momento gli occhi. Il sorriso che si spegne poco a poco. Poi abbassa lo sguardo.
-Hai preso un granchio, Colin. Io sono la ragazza di Holden Morris. – gli rispondo, sentendomi d'improvviso nervosa. Non mi ha nemmeno lasciato parlare. Ha dato per scontato che fossi la ragazza di Andrew solo perché gli sembriamo carini.
-Già, vecchio ciucco! – PJ dà uno scappellotto al suo amico. – Kathleen è la ragazza di Holden. Che vai farneticando? E spostati da lì, non è il tuo posto. Una tizia di farmacia ti stava cercando.
-La tua ragazza? – Colin si rivolge a Holden. – Wow... chi l'avrebbe mai detto! Bel colpo, Holden. – strascica alcune lettere, alzandosi in piedi. – Ora vado dalla mia farmacista! Abbiamo una bella alchimia io e lei. – ride in modo esagerato.
Ci mancava solo che gli chiedesse se fossi sua sorella. Deve essere un vezzo dei palloni gonfiati, d'altronde.
-Lo so, Colin. – Holden torna a sorridere, ma sempre e solo con le labbra. – Un bel colpo, davvero. – mi getta un'occhiata. Poi riabbassa gli occhi.
Un bel colpo. Sembra gli stia dicendo che è stato fortunato. Che ha avuto fortuna a trovare una ragazza come me. O forse una ragazza, in generale. Sento il sangue affluire fino alle mie guance. Se la fortuna fosse solo mia? Se fossi io l'unica ad aver fatto un bel colpo?
Apro bocca, ma Colin deve avere così tanto alcol nelle vene, e chissà che altro, da scattare via come una molla impazzita.
Sembra che oggi sia stato abbastanza fortunato da non subire la mia ira.
-Dovete scusarlo! Quando alza il gomito dice certe sciocchezze. – PJ prova a smorzare la tensione, scoccandomi un'occhiata.
Holden non gli risponde. Si limita a sedersi al mio fianco, passandomi un bicchiere. Gli altri vengono serviti direttamente dal suo amico. Ne offrono uno anche ad Andrew.
-Ti ho preso della cola. Va bene? Niente alcol in incognito, tranquilla.
-Va benissimo. – mi azzardo a sfiorargli le labbra con le mie per un secondo.
Mi sorride.
-Holden, ti spiace se riprendiamo da dove eravamo rimasti? – Violet spezza il nostro momento.
-Oh sì, certo.
-Ti spiace, Kathleen? – Violet prende a guardarmi con fare dispiaciuto. – Ho assolutamente bisogno di chiedergli un aiuto per dei problemi che ci ha assegnato quella pazza della Ramirez per lunedì. Holden ovviamente li ha già risolti. È tutta una passeggiata per lui! – gli fa un piccolo sorriso. Per un momento mi sembra che gli tocchi il dorso della mano, ma è tutto così veloce che sono certa di essermelo immaginato.
PJ, alle sue spalle, alza gli occhi al cielo. Poi mi guarda, scuotendo la testa. Sembra volermi dire: "È proprio un caso perso questa ragazza!". Ridacchio nella sua direzione.
-Come no! Ti ricordo che la settimana scorsa non ho saputo rispondere a una sua domanda. – le risponde Holden.
-È successo solo perché la domanda era a trabocchetto. – gli fa un sorrisetto.
-E io dovevo essere abbastanza in gamba da capirlo.
Pian piano si perdono nella loro conversazione matematica. Per un momento mi sento quasi di troppo, ma caccio questo pensiero alla velocità della luce.
Patty Lou e PJ ci si fanno vicini dopo poco, intavolando una conversazione che riesce a coinvolgere subito me e Andy.
Poi, mentre mi volto verso di lui, sento delle dita stringersi attorno al mio dorso. Mi giro nella direzione di Holden.
Sta ancora parlando con Violet, ma stringe la mia mano.
***
Roxy si rifà viva dopo un'oretta. Non si sa come, il boa di Kevin il fattone è finito attorno al suo collo, mentre una sigaretta le pende dalle labbra.
-Ti sfido a una partita a Birra Pong. Se perdi bevo tutto io, tranquilla. – anticipa il motivo principale della mia opposizione.
-E se vinco? – le chiedo.
-Mi presti uno di quei tuoi fantastici prodotti di bellezza tailandesi.
-No, non hai capito. Questo sarebbe un premio nel caso vincessi tu, ma se vinco io?
Fa spallucce. – Ti regalo questo boa di struzzo.
-Così mi faccio Kevin il fattone nemico. – borbotto.
Roxanne scoppia a ridere come non le avevo mai visto fare. È chiaramente sotto l'effetto dell'alcol.
-Kevin, chi? – mi domanda Andy.
-Il tizio che ti ha chiesto della reincarnazione.
-Ahh! – gli angoli della sua bocca si sollevano.
-Possiamo unirci? – chiede Holden.
-Oh, cer...
Non finisco la frase che Patty Lou e Violet lo prendono per le braccia.
-Ma che succede? – domanda lui.
-Quei tontoloni di fisica ci hanno sfidato a un gioco con i numeri. Ci sono in palio dei soldi. – risponde PJ, muovendo ritmicamente le sopracciglia.
-Vai pure! – dico a Holden.
-Non vuoi venire? – fa lui. Lo sguardo incerto.
-Se venissi vi farei diventare poveri. – abbozzo un sorriso. – Preferisco vincere il boa di struzzo.
Annuisce, guardando velocemente nella direzione di Andrew.
Poi si lascia trascinare via dai suoi amici, voltandosi verso di me un'ultima volta.
Andy mi dice continuamente che preferirebbe disegnare piuttosto che essere ad un tavolo di ubriaconi, ma ci troviamo alla fine dell'ultima gara a darci il cinque, con ben due vittorie che portiamo dignitosamente a casa.
A fine serata, lui trova il suo coinquilino. Un tizio basso e mingherlino di cui sa a malapena il nome in quanto passa più tempo a bighellonare che nella loro camera, mi dice.
-È stato un piacere, incantevole Kathleen. – è il saluto di PJ.
-Tutti questi 'incantevole' non mi piacciano. – Holden gli dà una spallata.
-Holden, il geloso! Uoh, un altro motivo per prenderti in giro. – gli risponde il suo coinquilino.
-Il piacere è stato tutto mio! – sorrido.
-Magari ogni tanto ci becchiamo in mensa, okay? E anche a delle feste. Io ho vari agganci. – fa un gesto con la mano che mi fa ridere.
-Per non parlare di quante volte ci vedremo per Harry. – interviene Patty Lou.
Violet si limita a sorridere.
-Certo. Molto volentieri. – rispondo.
Ci congediamo così. Ognuno prende la sua strada. Andrew mi ringrazia per la serata, allontanandosi poi con il suo coinquilino, Roxy barcolla con Susan verso una caffetteria che pare apra all'alba, e gli amici di Holden si incamminano canticchiando come dei vecchi lupi di mare.
Io e Holden prendiamo così a passeggiare da soli, mano nella mano. Il suono dei nostri passi che nel silenzio della notte risuona in modo più amplificato.
-È stata davvero una bella serata. – inizia lui.
Mi volto nella sua direzione. – Lo credo anch'io! Mi sono divertita molto.
-Roxanne è identica a come me l'ero immaginata! Sembra uno spasso!
-Beh, ora non esageriamo. È una musona che russa, ama bere, fumare e ascoltare Billie Eilish prima di andare a letto. Però... è decisamente originale, osserva più di quanto dia a vedere e in fondo credo proprio sia una tenerona.
-Credo che per PJ sia anche carina!
-Allora te ne sei accorto anche tu! – sgrano gli occhi. – Dio, sarebbero una coppia super strana. Un po' come se Mercoledì Addams si mettesse con... con...
-Con Mr. Bingley. – suggerisce.
-Ecco, sì. Con Mr. Bingley! – rido.
-Magari funzionerebbero! D'altronde non sarebbero l'unica coppia strana. – prende a disegnare dei cerchietti sul mio dorso.
-Decisamente no! Anche Andy ci ha definito il diavolo e l'acqua santa.
-Davvero? – il suo pollice si ferma.
-Sì, in senso simpatico ovviamente! Sai... perché io studio a lettere e tu a matematica.
-Ah. Sì, è un'espressione pertinente, allora. Chi è il diavolo dei due?
-Decisamente tu! Solo un diavolo può capire così bene la matematica.
-Mi sta bene. I diavoli pare siano attraenti. – un sorriso sghembo gli piega la bocca.
Sorrido anch'io, posando per un momento la testa sulla sua spalla.
Poi facciamo silenzio. Vorrei fargli delle domande su Colin, ma temo che così facendo possa fargli tornare alla mente quella frase a sproposito che gli ha rivolto. Non voglio turbare la sua serenità.
-Fosty, eh? – fa una risatina.
-Oh, sì. – ridacchio. – Andy ha deciso di darmi un nomignolo. Lo ha fatto perché a lui piace essere chiamato per il diminutivo e, dato che inizialmente mi chiamava per cognome, sai...
-Non devi giustificarti. – mi interrompe. – è un nomignolo... carino. Immagino tu abbia fatto delle storie, però, prima di dargli il consenso di chiamarti così. – sorride.
-A dire il vero ho ceduto abbastanza in fretta. – abbasso lo sguardo, sentendomi d'un tratto colpevole. Tra noi due non sono andate esattamente così le cose.
-Capisco.
Con la coda dell'occhio, lo vedo tornare serio.
Vorrei aggiungere qualcosa, ma ogni parola mi sembra stupida.
-Lui... - fa una piccola pausa. – sembra simpatico, comunque. Poi, beh, è... carino.
Inarco un sopracciglio. – Devo preoccuparmi?
-Cosa? – mi guarda. Poi coglie la mia frecciatina e scoppia a ridere. – Ma no, dicevo... è carino, sì. Non che mi interessi o cose simili... cioè... - inizia a gesticolare.
-Ti stavo solo prendendo in giro. – lo tranquillizzo. – Comunque, non ci ho fatto caso. – confesso. - Mi importa solo che sia simpatico e che possiamo diventare amici.
Annuisce lentamente. – Credo siate sulla buona strada. Lavorerete anche insieme.
-Vale lo stesso per te e Violet. – mi sfugge. - E gli altri, si intende. – aggiungo velocemente.
-Hai ragione.
Quando credo che il silenzio stia tornando a farci visita, la stretta della sua mano si fa più forte. I suoi passi si fanno invece più veloci, fino a che non comincia a correre, costringendomi a fare lo stesso.
-Che fai? Perché stiamo correndo? – ci metto poco ad avere il fiatone.
Non risponde.
Non capisco.
Corriamo. I nostri passi frenetici che disturbano il silenzio. Giriamo per dei corridoi. Gli edifici del college che ci guardano con diffidenza. Le pareti di pietra che si ergono minacciose come mura di un vecchio castello gotico, le finestre spente, le statue disseminate nei giardini che sembrano puntarci il dito contro.
-Ehi! – richiamo le sue attenzioni, la pelle del viso che pian piano si surriscalda. – Non è la strada dei dormitori.
Il vento prende a frustarmi le guance, imitando i rami degli alberi che sembrano infliggere la stessa pena anche al cielo.
Poi si ferma all' improvviso. Mi scontro di colpo contro il suo braccio, facendomi male al petto. Prendiamo a riprendere aria, entrambi con il respiro accelerato.
-Ma che ti è preso? – lo guardo.
Non dice nulla. Si mette alle mie spalle, abbracciandomi da dietro. Poi si avvicina alle mie orecchie, sfiorandole con le labbra, e provocandomi così alcuni brividi.
-Li senti anche tu, Leen? – bisbiglia. Il suo respiro è caldo contro la mia pelle.
-Cosa? – sussurro a mia volta, guardandomi attorno. – Non mi dire che con il nostro baccano ci ha beccato qualcuno...
-I cavalieri della notte, Leen. Ascolta. – mi stringe le braccia attorno alle spalle, spostando la mia attenzione verso gli alberi.
Sento il soffio del vento, le foglie che scrocchiano, un gufo in lontananza.
-Non senti i loro passi? Stanno venendo a prendere la principessa. È scappata dalle segrete da cui era stata imprigionata per aver disobbedito all'ordine del re di sposare quell'uomo terribile.
-Di chi parli? – corruccio la fronte.
-Il fischio. Ascoltalo. Sono le trombe del valletto. A corte c'è fermento.
Sorrido, d'un tratto interessata a stare al suo gioco. – E cosa succede? La principessa ce la fa? Dov'è adesso?
- Dal fruscio delle sue vesti direi che sta venendo nella nostra direzione. Eccola! – mi prende la mano destra tra la sua, sollevandomi l'indice e puntandolo di fronte a me. La sua testa che si appoggia sul mio capo.
-Oh, intendi quella fanciulla dalla chioma bruna che si è appena voltata per controllare di non essere inseguita? Ho appena visto i veli della sua gonna ruotare con lei. – improvviso.
-Già, proprio lei! Ce la farà, lo sento. Aldilà della foresta la aspetta il suo grande amore. Li vedo, sai? Lui la sta aspettando. Non vede l'ora di prenderle la mano, correre con lei, attento a non schiacciare alcun ramo, per poi...
-Per poi? – domando, in attesa.
-Per poi farsi così lontani da non essere più rintracciabili... - mi prende gentilmente per le spalle. -Troveranno una radura lontana. Lontana da ogni ombra che ha provato ad insidiarsi nel loro destino. Saranno finalmente liberi di amarsi in modo perpetuo. Niente più attimi rubati.
Mi fa retrocede fino ad una delle colonne che sorreggono gli archi a volta di questo lungo corridoio.
Si abbassa fino ad arrivare a poca distanza del mio viso. Non mi bacia. Si limita ad infilarmi delle ciocche di capelli dietro le orecchie. Il suo corpo che pian piano aderisce al mio, i nostri respiri che si intrecciano.
-Perché mi hai raccontato questa favola? – sento il cuore nella gola, nei polpastrelli delle dita, sul polso.
-Perché mi manca entrare nel tuo mondo. Quello fatto di mondi inventati, di racconti, e di libri antichi. In questi giorni non hai fatto altro che parlarmi del lavoro che ti ha assegnato il tuo professore e... è stato bello tornare a vedere una luce che da un po' non scorgevo in te. Mi hai fatto provare nostalgia per quei pomeriggi in cui parlavamo di personaggi fittizi.
Una luce.
-Tu sei già nel mio mondo, Holden. – lo guardo negli occhi.
Con il pollice mi accarezza il labbro inferiore, facendomi scappare un sospiro.
-Voglio una pausa da questi attimi rubati, Leen. Non... mi bastano. Ho bisogno di fare il pieno. - fa vagare le sue pupille nelle mie.
-Che vuoi dire?
-Stavo pensando che... magari... potremmo tornare a Portland, per Halloween. – parla velocemente. - Giusto un paio di giorni, così da non avere troppi problemi con il lavoro o con gli esami. Pensavo anche che potremmo prima fare un salto a Trillium Lake. Passiamo un po' di tempo da soli e poi, di pomeriggio, prendiamo il treno per tornare dalle nostre famiglie.
-Tornare a Portland? – allargo gli occhi.
-Sì! – sorride. – Ti va?
Il cuore prendere a bussare più forte contro le mie costole.
-Certo che mi va!
Sembra di colpo più sereno. Come se la paura che potessi rifiutare una proposta così allettante fosse scomparsa.
-Credo che... abbiamo bisogno di passare del tempo... da soli. – continua. – Qui dentro mi sembra di... di... poter godere della tua presenza per momenti troppo fugaci.
-Sembra lo stesso anche a me. – mi porto la sua mano alle labbra, baciandone le dita.
È il suo turno di sospirare.
Le farfalle nella mia pancia prendono a sfrecciare a tutta velocità.
Eccoci finalmente con un nuovo capitolo! Sono felicissima!🍾
Come state, cari girasoli?💚
Lo so, questo capitolo è tipo un'Odissea, decisamente lunghissimo. Ma... spero a voi non dispiaccia troppo. Mi dispiaceva tagliarlo perché volevo che si concludesse nel modo in cui si è concluso.
Spero che vi sia piaciuto. A me è piaciuto tantissimo scriverlo. Sapete quanto sia insicura, però... sono proprio soddisfatta di questo capitolo.
Finalmente Kathleen inizia a vedere la luce in fondo al suo tunnel di fragilità. Credo davvero che a volte bastino piccole cose per dare quel vigore che spesso viene meno. Che ne pensate?
Non mi dilungo molto in quanto il capitolo è già lungo, ma volevo solo avvisare le ragazze che non mi seguono su Instagram che, dato che "Come (non) innamorarsi di Holden Morris" ha raggiunto la bellezza delle 100K letture, ho pensato di farvi un regalino per ringraziarvi. Tramite dei sondaggi, alcune di voi mi hanno chiesto di scrivere un capitolo extra, dal punto di vista di Holden. Per il momento, il capitolo dal suo punto di vista che sta vincendo è "La La Land". Voi che ne dite?
Se avete altre proposte, scrivetemele qui ➡️
Io mi segnerò tutto e quella che avrà più voti, sarà la vincente.
Grazie di cuore per ogni commento, ogni stellina e per il vostro supporto. Mi rende felice sentirvi a me così vicine. Spero tanto che il modo in cui stia conducendo questo sequel non vi stia deludendo... ❤️
Buon tutto e alla prossima,
Rob
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro