37 • QUATTRO FEBBRAIO 2020
Lauro non aveva mai amato volare. L'idea di stare rinchiuso in una scatola metallica piena di gente gli provocava un certo disagio, una sorta di malessere.
Tuttavia, non appena l'aereo si stabilizzò in alta quota, ci provò. Chiuse gli occhi, cercando di riposare almeno per qualche minuto.
Ma chi voglio prendere in giro! Non ci riuscirò mai, si disse, dopo un po'.
Incolpò il caos. Incolpò la sua avversione per il volo. Incolpò il non aver pranzato.
Ma la verità era solo una. Non avrebbe chiuso occhio nemmeno se si fosse trovato nel proprio letto. Non finché nella sua testa ci sarebbe lei, la donna che aveva stravolto tutto. Colei che aveva rapito il suo cuore, per poi schiacciarlo senza alcuna pietà.
E non ci riusciva. Non riusciva proprio a dimenticarla. E si odiava per questo. Si era fatto ammaliare da una sciacquetta qualunque, che alla prima occasione l'aveva tradito. Ne avrebbe trovate a milioni, come lei.
E tutte quelle belle parole che gli aveva detto... quante bugie! Ma d'altronde che cosa poteva saperne, lei, dell'amore? Che cosa poteva saperne della sua vita, del suo essere?
Lei, che non aveva mai pianto... che cosa poteva saperne di quanto può far male?
Niente. Non sapeva un bel niente!
Non riuscendo a dormire, per sgomberare la mente e sfogare il turbine di emozioni che lo pervadeva, decise di scrivere qualcosa.
*****
Quando il gioco riprese, Fedex spiegò la terza e penultima prova della giornata, che consisteva nel trovare i cinque lucchetti che avrebbero fornito l'indizio per raggiungere la tappa successiva.
Ma prima di dare il via, l'annuncio che Stella tanto attendeva.
Per qualche secondo trattenne il fiato, mentre il presentatore estraeva il cartoncino dalla busta nera. Le mani, giunte dietro alla schiena, tremavano. Il cuore un motore in avaria, fuori controllo.
Da un lato non vedeva l'ora di scoprire quale sarebbe stato il destino di Lauro, e di conseguenza anche il suo: quell'incognita la stava consumando. Ma d'altro canto aveva paura. Aveva il terrore di non poterlo mai più rivedere e di doverlo solo dimenticare.
Tutti i dubbi si dissolsero nel momento stesso in cui Fedex lesse quelle poche righe.
In quel frangente trattenere le emozioni per Stella fu una dura sfida.
Ma in un momento tanto delicato occorreva mantenere la calma e la lucidità. Lasciarsi sopraffare dalla rabbia o dal dolore non avrebbe portato a nulla di buono.
Immediatamente capì che le serviva del tempo. Non poteva più permettersi di sbagliare, prendendo decisioni affrettate. Aveva bisogno di almeno una mezza giornata per metabolizzare quella notizia, per sfogarsi, per riflettere a mente sgombra. Per trovare una soluzione. Perché non poteva finire così. Ci doveva essere, una soluzione.
Così, comunicò al presentatore che fino al giorno successivo non avrebbe affrontato più alcuna prova.
A quel punto fu accompagnata in un ostello in un quartiere limitrofo, dove per l'intero pomeriggio, nella sua camera, si sfogò in un pianto disperato, con la faccia premuta contro il cuscino.
La sera non mangiò nulla. Aveva lo stomaco chiuso. Stava malissimo. Stava sempre peggio.
Il vuoto che percepiva al centro del petto era diventato una voragine buia e spaventosa, in cui presto sarebbe precipitata, senza nessuno a tenderle la mano per salvarla. E poi c'era la rabbia, l'odio. Si odiava. Soffriva ma continuava a ripetersi che se lo meritava.
Altre volte c'era l'apatia. La non voglia di nulla, se non di sprofondare in un sonno profondo e risvegliarsi da un'altra parte, in un'altra realtà.
Avrebbe potuto avere il mondo tra le mani. E invece si era ritrovata solo polvere.
Ma lei era fatta così. Tendeva sempre a rovinare tutto. Era la sua maledizione.
Nel buio della sua stanza continuò a lungo a girarsi e rigirarsi tra le coperte, tormentata da quei pensieri che non l'abbandonavano nemmeno per un attimo.
Erano stati sette giorni pazzeschi, di emozioni forti e inaspettate. Era stato un sogno a occhi aperti. Ma anche un sogno dannatamente reale, un qualcosa in cui aveva iniziato a credere. Prima che tutto andasse in frantumi a causa sua.
Pianse ancora, mentre vecchi ricordi riaffioravano.
Era la sera del quattro Febbraio del 2020.
Pareva una vita fa.
Ma era solo il quattro Febbraio 2020. E fuori faceva freddo, pioveva. Grosse gocce d'acqua si abbattevano con violenza contro i vetri dell'unica finestra che dava sulla sua cameretta.
Assieme a lei, in stanza c'erano Catia, Marta, Margherita, Alessandra, e sua sorella Luna. Stavano giocando a obbligo-verità, sedute in circolo attorno a una bottiglia di birra vuota, ferma su Stella, dopo l'ennesima volta che Luna l'aveva fatta roteare.
«Obbligo o verità?» Le aveva chiesto, con un sorrisetto diabolico stampato sul volto.
«Questa volta scelgo verità!»
«Uffa...» Luna aveva sospirato, delusa, roteando le pupille verso l'alto.
«Eh non mi freghi più, cara!»
«Allora... fammi pensare...» Luna aveva riflettuto per qualche istante, arrotolandosi tra le dita una ciocca di capelli.
«Ecco ce l'ho!» Aveva raddrizzato la schiena, le brillavano gli occhi. «Se un giorno per caso dovessi incontrare Ettore Lauro, che cosa gli diresti?»
Stella era arrossita da capo a piedi. Il cuore era partito a bordo di una Mustang, sfrecciando a tutta velocità. Il cervello completamente in tilt. Allarme imbarazzo! Allarme imbarazzo! «Oh, non saprei... non... non lo so.» Aveva farfugliato.
«Ammettilo che te lo...»
«No!» L'aveva interrotta la sorella, sgranando gli occhi. «Non dirlo nemmeno!»
«Ma è vero! Guardati, sei rossa come un peperone!»
Marta e Alessandra, le più piccole, avevano riso.
«Ho caldo, okay? Ho solo caldo!» E un po' per il disagio, un po' per la contagiosità della loro risata, Stella si era unita a loro, facendosi vento con una mano.
Di nuovo si era creata quell'atmosfera festosa, giocosa, ma anche un po' intima. Quel tipico clima da pigiama party tra amiche del cuore, che nella penombra di una cameretta si confessavano i primi segreti, i primi amori, fantasticando sul proprio futuro con la purezza l'innocenza di un bambino.
Ma ben presto quel momento era stato interrotto da mamma. «Ragazze venite! È arrivato!» Aveva urlato dalla sala, alzando il volume del televisore al massimo.
In quella cameretta le grida si erano levate all'unisono, mentre sei ragazzine schizzavano in piedi, accalcandosi verso l'uscita, per poi scendere giù per le scale veloci come razzi, e piazzarsi davanti al televisore, in trepidante attesa.
Di lì a poco Ettore Lauro era sceso dalla scalinata dell'Ariston, avvolto in un mantello nero impreziosito da ricami dorati.
Poi aveva iniziato a cantare, sotto lo sguardo estasiato delle sei piccole fan.
Sì, noi sì
Noi che qui
Siamo soli qui, noi sì
Soli qui
Fai di me quel che vuoi, sono qui
Faccia d'angelo
David di Michelangelo
Occhi ghiacciolo
Dannate cose che mi piacciono¹
Dopo quei versi si era spogliato, rimanendo con indosso un'attillata e luminosa tutina color carne.
Le sei amiche di nuovo avevano gridato, estasiate, al settimo cielo. Avevano iniziato a saltare, a ballare. Sorrisi a trentadue denti, adrenalina e cuore a mille.
Lui era un angelo. Un pavone vestito di sogni e immagini d'estate. Un carnevale di stelle, d'arte e di gloria. Da Barabba a maharaja. Era profumo di donna. Una femmina maleducata, in un mondo troppo educato, troppo finto, per la sua anima libera. Era un me ne frego, nudo, dove altri si vestivano di abiti non propri e si svestivano del niente. Era Lauro. Cinque lettere incise nel destino di chi in quel momento lo guardava con gli ingenui occhi di una ragazzina, che sognava solo di poter seguire le sue orme.
Un sorriso malinconico affiorò sul volto di Stella, mente ricordava quei momenti.
Lauro. Entrato nella sua vita in punta di piedi, con una canzone trasmessa alla radio, ascoltata di sfuggita. In modo distratto. Superficiale.
Uscito in un silenzio devastante come un uragano.
Ma forse non tutto era perduto.
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¹ Versi tratti dalla canzone "Me ne frego" di Achille Lauro.
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