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28 • PIZZA, PASTA, MAFIA

L'auto che li doveva condurre a Pusan si era appena schiantata contro un albero. Fantastico.

I tre fortunelli e il cameraman scesero da quell'ammasso di lamiere tossendo e barcollando. Ci misero un po' a riprendersi. Mentre il conducente, dallo shock, non si sarebbe più ripreso. Avrebbe ricordato quei pazzi e le loro impudicizie nei secoli dei secoli. Amen. Perché certi ricordi, come i diamanti, sono per sempre.

Una volta recuperato un minimo di lucidità, i quattro si misero in cammino, allontanandosi da quel caos di rottami e fumi. Non erano più ad alta quota, ma circondati da boschi fitti e sconfinati.

«Tutta colpa delle vostre porcherie.» Sibilò David, rivolto ai due compagni, che lo seguivano in fila indiana lungo il ciglio della strada. «E te lo dirò una sola volta, Lauro. Toccala ancora e sei finito.»

«Taci prima che ti prenda a schiaffi.» Lo minacciò l'altro. «E ringrazia che non l'abbia fatto pochi minuti fa!»

«Marlena è mia e di nessun altro.»

«Eppure l'altra notte, sotto le lenzuola, era con me.» Sorrise compiaciuto. Beccati questa Damerino dei miei stivali! Uno a zero per Lauro!

«No vi prego non ricominciate!» Sbuffò Stella, esasperata.

Ma i due non l'ascoltarono, continuando la loro infantile litigata.

Per fortuna, presto, avvistarono una macchina. Si sbracciarono per fermarla.

L'uomo inchiodò. Un'incredibile somiglianza con il precedente autista.

«Ragazzi ma è il tizio di prima che è morto e risorto, e si è comprato una nuova macchina?»

«No, è un altro.» Le rispose David. «Ma d'altronde è difficile distinguerli, sono tutti uguali.»

Il coreano abbassò il finestrino, squadrando Stella da testa a piedi e apostrofandola con un appellativo che lei trovò gradevole, Lauro un po' meno.

«La ringrazio.» Sorrise lusingata. «Sono consapevole di essere una bella topolona, ma ho già due contendenti molto agguerriti.»

L'uomo ripeté un paio di volte quell'appellativo, indicando le sue gambe. Lauro lanciava fiamme dagli occhi.

«Molto onorata di incontrare i suoi gusti, ma dico davvero. Il signorino, qui» indicò il bel fusto alla sua destra «le farebbe il posteriore a strisce.»

David, alla sua sinistra, rise divertito. «Ragazzi il tipo non è un pervertito, è solo preoccupato per il sangue sulle gambe di Stella! Quella parola lì vuol dire sangue in lingua coreana.»

Lei rise, trovando la situazione dannatamente divertente. «Oh, deve essere successo di nuovo, come in quel supermercato. Te lo ricordi Lauro?»

«A me questo qui non convince proprio per niente. Aspettiamo il prossimo.»

«Ma che sei matto?! Va a capire quando arriva, o se arriva, un prossimo!» Lo schernì il Damerino.

A quel punto, dopo aver convinto l'automobilista a farli salire, partirono.

«Promettiamo di non sporcare nulla, non si preoccupi.» Disse Stella, non appena l'auto iniziò a prendere velocità.

Il coreano farfugliò qualcosa, che però lei non capì.

«Credo che ci abbia chiesto se siamo italiani.» Intuì Lauro.

«Sì, sì. Noi essere italiani. Noi venire da Italia.» Urlò David, scandendo bene ogni sillaba e facendo una breve pausa dopo ogni parola.

«È coreano, non sordo!» Lo prese in giro il compagno.

«We provenier da Italy.» Tentò la giovane pugliese. «Me puglis, him and him» indicò i due ragazzi seduti al suo fianco «they romans.»

Il conducente miracolosamente capì.

«Ah, Italy!» Annuì, sorridente. I piccoli occhietti ridotti a due fessure. «Pizza, pasta, mafia!»

I tre scoppiarono a ridere. In quell'auto si creò un clima gioioso.

Tra scherzi e risate ben presto arrivarono a Pusan.

*****

Pusan era la principale città portuale del paese, situata sulla costa Sud. Ed era anche la seconda più popolata dopo la capitale, Seoul.

L'ampia spiaggia che i viaggiatori si ritrovarono ad attraversare, era in quel periodo dell'anno pressoché deserta, lambita da acque calme e chiare. Alle loro spalle svettavano alti palazzi e modesti rilievi montuosi.

«Finalmente arrivati.» Stella trasse un respiro profondo, inalando il buon profumo della salsedine, e godendosi, con un rilassato sorriso sul volto, il tiepido vento che le sferzava il volto.

«Finalmente.» Sospirò Lauro, camminando al suo fianco.

Con ben tre ore di ritardo i tre reduci di guerra, seguiti dal cameraman, raggiunsero in breve tempo gli altri concorrenti, il presentatore, tutta la troupe e una massiccia figura incappucciata, avvolta in un mantello nero.

Il Damerino con gli stivaletti interrati e i capelli sporchi di yogurt. Lauro a torso nudo. Stella con la sua t-shirt appallottolata attorno al ginocchio, la gamba sporca di sangue, e la propria maglietta completamente impiastricciata.

«Stella, cosa tu ha fatto?» Le chiese Jared, preoccupato. «Voi sembrare distrutti.»

«Abbiamo avuto qualche incidente di percorso. Nel vero senso della parola.» Gli rispose, mentre il Damerino si sedeva sulla sabbia e Lauro si sdraiava in disparte, piedi scalzi ammollo nell'acqua.

Nessuno dei tre si preoccupò più di tanto della misteriosa figura massonica. E invece avrebbero dovuto.

«Cinque minuti per riprendervi e sistemarvi poi si inizia!» Annunciò Fedex.

Di lì a breve, davanti alle telecamere, il presentatore annunciò i vincitori della sfida, che ovviamente erano le due coreane e Jared, che sarebbero saliti a quota centosette punti, contro i settantasette degli avversari.

Infine venne spiegata la nuova prova: una sfida a coppie che prevedeva l'attraversamento di un percorso, seguito da una sorta di quiz.

I giocatori in svantaggio furono i primi a partire. E la casualità scelse, come prima coppia, Lauro e Stella.

Dietro la linea di partenza, lui venne bendato. Lei lo prese per mano. Bastò solo quel tocco per farle partire il cuore a bordo di una Porche, lanciata a tutta velocità sulle autostrade del desiderio.

Ma cercò di mantenere la lucidità e concentrarsi sul gioco. Quando venne dato il via fece del proprio meglio per guidare il compagno lungo il tortuoso tragitto: una lunga serpe formata da una serie di secchielli colorati, posti a testa in giù sulla sabbia.

Lauro per fortuna si dimostrò un ottimo equilibrista. Ma la sfida non era finita: il percorso conduceva a una piattaforma in legno, sopra alla quale erano stati posizionati un tavolino, due cuscini bianchi e una lavagna.

Si sedettero sui cuscini. Poi, per tre volte, Stella dovette immergere il cucchiaio nella zuppa, colmarlo e portarlo tra le labbra del compagno. Fu una scena alquanto comica e allo stesso tempo imbarazzante. Infine, dopo i tre bocconi, Lauro dovette scrivere sulla lavagna il nome del piatto assaggiato (che per ogni giocatore ovviamente cambiava), e più ingredienti che poteva. Non ne azzeccò nemmeno uno.

Fu poi il turno della coppia Stella-Damerino. Questa volta fu lei ad essere bendata. Quando le loro dita si intrecciarono, Lauro provò una sorta di fastidio sul fondo dello stomaco, e un intenso prurito alle mani.

Ma per fortuna quella fase del gioco durò poco. Stella raggiunse agilmente la piattaforma, senza cadere nemmeno una volta. Quando si accomodarono sui cuscini si iniziò con i tre assaggi.

Ma il Damerino trovò tutto ciò tremendamente eccitante, e non resistendo alla tentazione le posò una mano su una coscia, accarezzandola con dolcezza e allo stesso tempo con lussuria.

«Togli quella dannata mano dalla mia gamba!» Sibilò lei, dopo aver inghiottito il secondo boccone.

«E smettila di fare la dura. Tanto lo so che lo vuoi anche tu.» Le sussurrò.

«Toglila o mi metto a urlare!»

A quel punto lui, con un movimento brusco della mano, le versò tutta la zuppa addosso. Un gavettone di lava bollente sullo stomaco.

Il grido di Stella fu assordante quanto uno scream metal a due centimetri dall'orecchio.

«Ma che sei pazzo!?» Strillò, allargando le braccia in un gesto nervoso. Era scioccata.

Lui si portò le mani sul volto, recitando come un pessimo attore. «Oh, scusami! Non l'ho fatto apposta, davvero. Ci ho inciampato!»

«Tu sei fuori di testa! Mi hai ustionata!» Si portò i lunghi capelli dietro le spalle, prendendo tra pollice e indice alcune ciocche, gocciolanti e intrise di tutti i profumi che la cucina coreana poteva offrire.

«Eppure con l'amatriciana ti era piaciuto.» Le sussurrò malizioso.

Lei deglutì, imbarazzata, sentendo il cuore accelerare. Lo mandò al diavolo, ma non troppo convinta. La sua mano sulla gamba, a dirla tutta, non le era affatto dispiaciuta. E poi c'era stato il gran finale: aveva rievocato l'amatriciana. La sola parola sulla sua lingua scivolava dannatamente sensuale, graffiante, provocatoria.

Inutile continuare a negarlo. Era ancora attratta da quell'uomo. Ma tra loro, fuori da una camera da letto, non ci sarebbe potuto essere niente, ne era sempre più certa.

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