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Prologo




POV. CARLOTTA

Molto spesso ci capita di soffermarci a pensare alla nostra vita. Non perchè ci sia una valida ragione, ma per il semplice fatto che ci viene spontaneo. Rivivi momenti che ti hanno portata a gioire, altri ricordi che vorresti cancellare ma non possiedi una gomma sufficiente per farlo, li tieni in un cassetto sperando che non riaffiorino mai, ci speri. Il tempo aiuta a fortificare, ma il cuore non ha ragioni che tengano.

Come me in quel momento. Mi distesi sul letto con le gambe in alto, puntellando i talloni sulla parete fredda ritinteggiata di Rosso e le caviglie accavallate. Mi aiutava a pensare, non sapevo bene a che cosa ma aiutava.

Mi scostai con la mano una ciocca di capelli Color cioccolato che mi era finita sulla guancia, all'indietro mentre gli altri erano sparsi sul materasso, formando un intreccio tutto loro come piante arrampicanti, ed il sole filtrava dolce attraverso la tenda.

Infondo stavo vivendo una vita sensazionale. Non mi mancava nulla. Un lavoro alla Tele Corporation New Star, Dove tra poco sarebbe arrivata la mia grande opportunità di dimostrare che sapevo presentare un programma interamente mio. Un appartamento che soddisfava le mie aspettative, nel cuore di Times Square. E potevo dire di divertirmi poichè avevo solo ventisei anni.

Presi il mio iPhone allungando la mano sul materasso. Gli auricolari erano già attaccati, e cliccai il tasto play sulla canzone. Era lì che tornai a quel giorno, era lì che la mia mente viaggiava, lì dove era rimasta Carlotta.

4 anni fa

Avevo da poco finito di Laurearmi alla New York Film Accademy.

Joshua era sempre in continuo viaggio. Dopo quell'estate a Mykonos, quando tornammo andò subito dall'amico di Yuri che era divenuto il suo manager abbandonando il locale.
Stava diventando più bravo di ciò che fosse, faceva tour solo per l'America ma molte ragazzine già lo adoravano ed il suo volto era su molti giornali in voga, con tanto di poster affisso sulla pagina centrale.

Ammettevo che ero gelosa delle ragazze che appendevano il suo corpo sulle pareti della stanza con sguardo sognante ma sapevo che amava me, anche se ci vedevamo poco...molto poco. Il pubblico lo reclamava ed io restavo dietro le quinte. Non potevo dire che mi dava noia, poiché era il suo sogno da sempre, ma potevo dire che mi mancava il mio Joshua. Anche solo la voglia di stringerlo nelle notti più fredde, il desiderio di dargli un bacio. Era tutto svanito. Quando avevo bisogno di lui non c'era, e se tutto andava secondo programmi ci vedevamo una volta ogni due mesi. Stava iniziando a diventare pesante, la sua assenza mi logorava e mi straziava. Inutile dire che non glielo avrei mai confessato per non stressarlo più del dovuto e per non litigare. Era già difficile sopportare la lontananza che litigare era l'ultima delle mie priorità.

Lo vedevo ogni tanto in qualche rivista, dove lo intervistavano. Ma della sua vita privata c'era sempre un no comment. Sapevo che era restio a parlare della sua vita privata, e quindi non indagavo mai e non chiedevo spiegazioni ne le pretendevo.

Quando meno me lo aspettavo piombava nella mia camera del college. Avevo una coinquilina che come tutte guardava Joshua con lo sguardo languido.
Quel giorno sarebbe dovuto venire a festeggiare la mia Laurea. Poiché il mio vero giorno non poté essere presente come speravo.

Andai a Hudson Valley. Quel posto che per noi era stato il vero inizio, il mio sopratutto. Mi ero donata a Joshua corpo ed anima, il mio cuore gli apparteneva da sempre.
Avevo parcheggiato la mia Clio lilla, e comprato alcune cose per una serata romantica.

Non partecipava quasi mai alle cene di famiglia. Anche durante capodanno e sotto Natale era assente, ed io finivo per restare con i miei e con i suoi genitori. I tempi in qui facevamo l'albero insieme attaccando le palline mentre mi faceva il solletico per farmi sbagliare , erano terminati.

Ma quella sera, sarebbe stato con me. Saremmo tornati indietro nel tempo.
Era rimasto uguale. Avevo affittato la stessa casa, ed il capanno del nostro peccato era sempre uguale, come il nostro albero.

Posai le buste della spesa sul tavolo in legno rovere per avvicinarmi fuori e controllare le nostre scritte incise.
S-O. Alzai l'indice per ricalcarle, ed un fremito invase il mio corpo. Il ricordo di noi ragazzini, ed era solo qualche anno prima. Lui che mi chiamava con i sassolini dalla finestra. Lui che mi cantava i pezzi delle sue canzoni, e non si rendeva conto di quanto fosse bravo, non ci sperava di salire sopra un vero palco. Ed ora invece risplendeva come sempre.

Sentii il fruscio calmo del vento, ed il fiume scorrere lento, vellutato.
Scossi la testa a quel ricordo, poggiando il palmo sopra il tronco, per tornare dentro.

Tra non molto sarebbe arrivato, lo avrei stretto di nuovo tra le mie braccia, ed avrei baciato le sue labbra carnose. Potevamo di nuovo fondere i nostri sentimenti.

Cucinai uno spezzatino di vitello con piselli e patate. Sapevo che gli piaceva quando lo cucinava mia madre, e la ricetta la chiesi a lei. Mi ero messa un vestitino nero aderente, con uno scollo a cuore, i tacchi, poiché imparai a camminarci meglio e se non altro restavo in equilibrio, ed infine un grembiule color rosa cipria.

Sentii il profumino assalirmi le narici e mi diedi da fare ad apparecchiare la tavola. Avevo portato una tovaglia dorata, delle candele ai frutti di bosco, accendendole sul candelabro di vetro, ed il servizio in argento che mi aveva prestato gentilmente mia madre.

Era tutto perfetto. Il film in dvd c'era anche quello. Guardai l'orologio, spegnendo il fornello. Era in ritardo di un'ora ma non me ne curai.

Mi andai a dare un ritocco al trucco. Mi contornai le labbra con un rossetto rosso vermiglio, ed i capelli rilegati in uno chignon morbido.

I secondi correvano, i minuti scalpitavano, le ore passavano, ed il mio cuore si spegneva piano.
Decisi di apprestarmi ad aggiustare anche il divano. Forse un disguido, forse un ritardo dell'aereo.

Mi misi a sedere, provando a chiamarlo. L'unica certezza che avevo era la sua segreteria e la sua voce registrata che informava che al momento non poteva parlare ed avrebbe richiamato il prima possibile. Una stupida voce metallica era tutto ciò che mi era rimasto quella sera. Di lui non avevo avuto traccia. Avevo passato cinque maledette ore ad aspettarlo.

La speranza era l'ultima a morire ma anche l'unica che ti uccideva lentamente. Mi dicevo di non perderla ma non riuscivo ad acciuffarla. Sfuggiva di mano, come mi era sfuggito lui. Forse era di sua spontanea volontà o forse no.

Cambiavo posizione sul divano. Seduta, sdraiata, con le gambe accavallate. Mi alzavo e controllavo lo spezzatino ormai divenuto un mattone, spensi con un soffio iroso e veemente le candele, in cui Vidii morire la fiamma una dopo l'altra come pezzi di un domino.

Lui non c'era. Non era lì, io ero lì. Nel nostro posto segreto.

"Così ogni volta che torneremo ci ricorderemo che questo è il nostro albero" sussurrai a bassa voce, ed una lacrima solcò la mia guancia fredda a quel ricordo.
Salii al piano di sopra con il cuore in gola, rivivendo la scena di noi due sul letto.

Toccai le lenzuola diverse ma lo stesso materasso che aveva sentito il peso dei nostri corpi, le stesse pareti che avevano udito i nostri ansimi.

Sorrisi debolmente asciugandomi una lacrima con l'indice. Ed ora non importava se il trucco era sciolto, se sembravo un panda o una pazza scappata da un manicomio.

Mi slacciai il grembiule in modo prepotente, lanciandolo a terra frustrata e delusa.

Sparecchiai la tavola, lanciando tutto in aria. Pezzi di Cocci rotti che avrei raccattato e buttato, perché non avrei potuto aggiustarli.

Il giorno dopo tornai in città. Passai la notte in quella casa. Il suo cellulare era sempre spento. Era divenuto irreperibile fuori ed anche nel mio cuore, che lo cercava disperatamente. Come ossigeno vitale. Lui mi stava negando la possibilità di respirare.

Quando sostai in una piazzetta, per prendere una bottiglia d'acqua. La salivazione si era azzerata ed avevo viaggiato con l'ansia a farmi da compagnia.

"Salve, una bottiglia d'acqua" chiesi al barista. Un signore che non doveva avere più di settant'anni. I capelli brizzolati ed i baffi del medesimo colore, con una coppola verde bottiglia in testa ed una camicia a quadri azzurra.

Nel frattempo scorsi dei giornali, ed uno in particolare come un magnete attirò la mia attenzione. Luccicava tra gli altri. L'occhio era caduto lì. Era destino, ciò che avrei voluto e ciò che non avrei dovuto vedere.

Lo estrassi dalla pila con mani tremanti. Prima di guardare, riportai lo sguardo sul signore che aspettava i soldi.

Presi il portafoglio da dentro la borsa, con le mani sudate e scivolose, cercandolo come un'ossessa.
"Mi scusi, prendo anche questo e tenga il resto" gli porsi la banconota che rigirò tra le mani rugose, accennandomi un sorriso che ricambiai anche se stiracchiato.

Uscii dal bar, vedendo una fontana in mezzo alla piazza ed intorno delle panchine di pietra.

Mi misi a sedere, aprendo la bottiglietta per rigenerarmi. Panico era ciò che volevo scacciare ed invece era dentro di me. Bussava prepotente.

Presi di nuovo il giornale tra le mani che prudevano come se avessi avuto l'orticaria.
Esaminai l'indice per andare all'intervista di Joshua Wilson la star del momento.

Scorsi le pagine, ed ogni tanto s'inceppavano, quindi m'inumidivo l'indice per scorrerle. Finché non mi si presentò davanti la sua figura in un completo bianco ed una camicia rosa, contornata da scarpe di vernice nere italiane ed una cravatta di pessimo gusto blu notte, come i suoi occhi vivaci e solari. Ciò che mi uccise era la ragazza che stringeva per il fianco, con il braccio dietro il suo fondoschiena da modella. Un vestito argento con una scollatura profonda sul davanti ad evidenziarle il seno generoso e perfetto, i capelli neri tirati indietro in maniera impeccabile mentre i miei sembravano usciti dal parrucchiere -scosse elettriche gratuite-.

Un colpo nel petto, rimbombò tra le pareti interne. Un magone che mi strozzò quasi privandomi dell'aria per respirare.

Lessi con occhi attenti e velati dalle lacrime che tra non molto sarebbero scese per allagare il mio viso e quelle pagine della rivista, mentre tentai di reprimere i singhiozzi tirando su con il naso.

-signorino Wilson...questa sera noto che è accompagnato dalla Modella Bielorussa Kathrina Rawkosky. Cosa può dirci a riguardo? Sta nascendo un'affinità?

Era una modella. La domanda del giornalista, era chiara.
Lessi la risposta sotto. Anche se non riuscivo più a distinguere nulla e le parole sembravano schizzi lunghi ed informi.

-posso dirle che si è creata un'ottima intesa. È una ragazza formidabile oltre ad essere bella ha talento.

Talento...bella. Creata un'ottima intesa. Guardai il giorno dell'evento e mi paralizzai. Un colpo netto sarebbe stato più gentile al mio cuore, avrebbe smesso di soffrire in quel frangente, sotto una stupida fontana che mi sputava acqua addosso per farmi capire quanto valevo per lui in quel momento.

Non si era presentato perché era troppo impegnato con Kathrina la mangia uomini. Aveva spento il cellulare per stare sopra un tappeto rosso con un'altra, circondato da gente per lui più interessante. Io non ero più nulla.

Ero una di passaggio, nel suo passato. Non aveva tempo per me nel presente ed io non lo avrei avuto per lui in un futuro. Una porta chiusa non si riapre più.

Presi il cellulare dalla borsa. Le dita tremavano ad ogni lettera che digitavo. Non avrebbe mai avuto una soddisfazione grande di vedermi ridotta in cenere, in un frammento delicato che se lo tocchi ti tagli. Mi aveva tagliato internamente, ma non lo doveva sapere.

Stronzo di merda. (Lo avevo rinominato in quel preciso istante)

-Ciao. Scusa ma non ce l'ho fatta a venire a Hudson Valley. È proprio di questo che volevo parlarti. In questi due mesi che non ci siamo visti...mi sono...infatuata o forse innamorata di un ragazzo. Mi dispiace dirtelo per messaggio, ma preferirei che tu non mi cercassi più. Non eravamo fatti per stare insieme dall'inizio. Spero capirai. Buona vita Joshua.

Rigettai il cellulare in borsa, senza controllare l'ortografia. Avevo la vista appannata ed offuscata dalle lacrime che erano scese macchiando lo schermo del telefono.

Mi alzai dalla panchina fredda come il mio cuore, avviandomi verso la macchina, quando una voce sconosciuta mi riprese.

"Signorina questo è suo" mi mostrò la rivista, tenendola in alto con la mano. Era un ragazzo straniero, un accento spagnolo, credevo. Gli occhi verde chiaro ed un fisico tonico.

Mi girai lentamente vedendo la rivista ed il ragazzo.
"Non più ormai" rivelai con la voce che tremava, affrettando il passo per tornare verso il mio porto sicuro, quello dove avrei versato lacrime lontano da occhi indiscreti.

Volevo solo stringerlo, dirgli che avevo bisogno del mio odioso. Credere nel suo per sempre, ma ogni cosa finisce, ogni cosa ha un inizio ed una fine. Questa era la nostra fine. Era stato uno sbaglio da sempre, ora ne avevo la conferma.

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