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Pov. Joshua
Avevo affittato una villetta, per non rischiare di venire investito dai fotografi o giornalisti.
L'avevo invitata con il suo ragazzo. Si era presentato, Mitch.
Il loro modo di tenersi la mano.
Il suo sguardo sbigottito ad ogni movimento ed il luccichio dolce ed armonioso in quelle iridi furiose. Era bella. Il suo corpo celato in quel vestito rosa cipria con un notevole spacco, la rendeva desiderabile come sempre. Il suo profumo mi uccideva i sensi. Ero sempre stato assuefatto da Carlotta, ed era un dato di fatto evidente, che ora non avrei evidenziato. Tutto aveva tempo. Le provocazioni che creavo erano per le sue reazioni. Nascondeva un mondo in quegli occhi mentre le labbra rivelavano ben altro. Lei sapeva che io la leggevo. Credeva di essere cambiata in quattro anni, ma un cuore che ti è appartenuto ti riconosce, e sa chi sei, perché lo sei.
La cena era trascorsa tranquilla almeno per Mitch e Juliet. Ogni tanto Carlotta prendeva del vino e le sue guance si tingevano sempre di più quasi ad assomigliare a quel bordeaux vivo, che le scendeva per la gola riverberandosi all'esterno. Sapevo che cambiava spesso posizione delle gambe. Lo vedevo dalla tovaglia color crema che si alzava appena ogni qual volta facesse dei movimenti. Non stava comoda in quel ruolo.
"Questo spezzatino era eccellente" proclamò Juliet, pulendosi le labbra delicatamente con il tovagliolo di stoffa, mentre Carlotta abbassò lo sguardo.
"Una ricetta della mamma di Carlotta" affermai fiero e cristallino, vedendola portare lo sguardo su di me accigliata.
Finimmo quasi un religioso silenzio, finché Mitch non si accostò verso l'orecchio di Carlotta. Seguivo attento i loro movimenti. Quasi ossessionato. Cazzo! sembravo uno psicopatico.
La vidi mettere il broncio e guardare con occhi speranzosi Mitch che le rivolse un sorriso dolce, alzandosi dalla sedia.
"Joshua è stato un piacere. Scusa ma ho il turno al pub. Comunque so che dovete rivedere delle cose prima di partire. Quindi...ciao" si avvicinò, tendendo la mano verso di me, che accettai, stringendogliela.
Guardai Carlotta con sguardo perso, accompagnarlo alla porta bianca quasi arresa all'arrendevolezza che Mitch l'avrebbe lasciata qui.
Un motto di soddisfazione vigeva su di me, come un'aureola visibile solo ai nostri occhi e celati a quelli di altri.
"Joshua vado anche io. Grazie dell'ospitalità. Duncan odia quando partecipo alle prove, dice che gli metto soggezione e non riesce a suonare come dovrebbe la batteria" ammise in un risolino dolce, vedendo i suoi occhi illuminarsi alla menzione del suo ragazzo. Era il batterista che ogni tanto mi accompagnava nei tour e sapevo che stasera aveva le prove, così invitai Juliet qui a cena. Era stato divertente far credere a Carlotta che fosse una delle tante ragazze da copertina, ed invece non era così. Poiché guardai dalla soglia arcata in mattoni, il volto di Carlotta perplesso per poi percepire appieno il significato e sentirsi quasi sollevata. Lo capivo dalle sue spalle rigide ed alte, lasciarsi andare completamente e ritornare normale con la postura. Come se si fosse scrollata un peso più grande di lei.
Non lo avrebbe ammesso, non lo avrei ammesso. Ciò che contenevamo ancora, conservato per noi. Un piccolo segreto fatto di bugie e disastri. Lei era il mio disastro perfetto. Quello in cui sarei ricaduto.
Vidi Juliet raccattare il cappotto beige che giaceva docile sulla testata del divano in tessuto, ed infilarselo.
"Figurati Juliet. Quando vuoi" l'accompagnai alla porta, vedendola salutare Carlotta che in tutta risposta le sorrise sentendosi in imbarazzo e probabilmente stupida per la gelosia provata che anche se non voleva darla a vedere era evidente.
Guardai Juliet camminare sul vialetto costeggiato dai fiori, e le aprii il cancello in ferro battuto, pigiando il bottone affisso sul citofono, con il simbolo di una chiave. Mentre richiusi la porta bianca con un tonfo debole.
Mi voltai trovandola ancora di spalle, appoggiata con la spalla in maniera svogliata, all'arcata in muratura. Era mia ora, tutta mia.
"Si ripete la scena. Io e te soli...soletti" la stuzzicai beffardo e voglioso di sentire la sua pelle calda e diafana sotto di me, ansimante.
Si voltò a metà, poggiando quasi il mento sulla sua spalla esile, da qui potevo intravedere la clavicola pronunciata.
"Sei uno stronzo di razza pura" affermò ispida, iniziando a camminare, per accasciarsi sul divano quasi affranta.
Forse si stava maledicendo. Sarei voluto entrare nella sua testa e girovagare tra pensieri di oggi e di ieri. La sua testa intelligente, il suo corpo seducente. Tutto di Carlotta mi prendeva. Era un pacchetto completo che mi aveva sempre fottuto.
Mi morsi il labbro, sopprimendo una risata, mentre andai sul divano di fronte a quello dove era lei.
Il vestito le si era alzato appena, e Dio! La visione era decisamente la più bella in assoluto. Quanto mi era mancato il suo corpo, il suo viso iroso e furente, la sua postura rigida, imbarazzata, il suo spostarsi i capelli con veemenza ed agitazione palpabile, il modo in cui si mordeva il labbro rilasciandolo con una delicatezza estenuante. Come se ti avesse voluto invitare a baciare quelle labbra, a prenderti subito il suo sapore e non lasciarlo disperdere.
"Siamo ad un passo avanti. Niente alzata di dito medio. Stai imparando a diventare più donna" mi feci di nuovo beffa. Adoravo vederla così.
Alzò gli occhi più scuri su di me come a volermi mangiare vivo, e da lei mi sarei fatto ridurre in brandelli se solo me lo avesse chiesto.
"Non so a che gioco stai giocando Joshua. Perché farmi credere che era una delle tue "amiche"?" Sibilò acuta, mimando delle virgolette immaginarie con il medio e l'indice, riducendo gli occhi a due fessure piccole ma non troppo da non vedere il suo azzurro lucente.
"Sei stata tu a giungere a conclusioni. Ma non ti dovrebbe interessare in fondo tu hai Mitch" rivelai la verità in tono freddo, vedendo il suo sguardo tramutare. Come se si fosse risentita. Mi aveva dato noia il bacio, ma non mi sembrava come quelli che ci scambiavamo. Era un bacio quasi fraterno, di affetto e privo di passione accecante.
Non parlò quindi decidi di continuare.
"Non è adatto a te" aggiunsi severo, mentre i suoi occhi guizzarono come calamita su i miei.
"Cosa?! Mitch è perfetto per me. Non hai notato?" Mi domandò cercando di convincersi più a se stessa che convincere me, e la sua voce che traballò appena ne era la prova.
"Ho notato una grande amicizia. Non ti guarda con occhi pieni di desiderio. Non ti guarda..." mi alzai lasciando la frase in sospeso, per fare il giro della stanza, mettendomi dietro la spalliera del suo divano, dove aveva poggiata la schiena scoperta. I suoi capelli poggiati delicatamente dietro, morbidi e setosi. La sentii irrigidirsi e sospirare quando le andai vicino al lobo che avrei preso a morsi da quanto era invitante come il suo collo lungo e soffice.
"Come ti guardo io" le sussurrai rauco, mentre chiuse le palpebre appena e schiuse le labbra rosse che si morse.
Dio Carlotta perché non riesco a fare a meno di starti accanto e provocarti. Sei la mia rinascita in tutto. Mi accendi e mi spegni, mi pieghi al tuo volere. Non sono capace a giocare, e non lo sei neanche tu! Mi stavo facendo uno sproloquio mentale da solo ed era solo la verità.
Si alzò con uno scatto repentino dal divano, come se avesse preso una scossa, girandosi verso la mia parte.
"T...ti sbagli. Stronzo prepotente. La tua stronzaggine si è rafforzata con il tempo, noto" balbettò incerta le prime parole per poi diminuire sulle ultime ma alzando il tono.
Le andai in contro, mentre tentava di retrocedere, stando attenta al tavolino.
"Dico la verità. E comunque si. Ho fatto un corso intensivo. Ma anche la tua spocchiosaggine non è a di meno" le feci notare beffardo, increspando le labbra in un sorrisetto laterale, che la portò a sbruffare.
"Senti sono rimasta qui per lavoro. Perciò facciamolo" affermò risoluta, aggiustandosi delle finte pieghe sul vestito, che piegandosi mi lasciava una visuale del suo seno più prosperoso, facendomi salire la voglia di lei, a livelli estremi.
Alzai le spalle, portando entrambe le mani nelle tasche, andandole più vicino mentre sembrava tranquillizzarsi. Sapevo che il suo cuore stava correndo insieme al mio. Galoppava per ostacoli difficili, non terminava la corsa finché non avrebbe vinto ciò che esigeva.
"Dove lo vuoi fare? Sul tavolo? Oppure possiamo andare al piano di sopra, c'è una sala allestita tipo ufficio. Una scrivania abbastanza spaziosa per soddisfare la tua voglia di lavoro" ammiccai intenso quelle parole, mentre si portò una mano sulla tempia esasperata dalla situazione.
"Va bene al piano di sopra" affermò pacata, sapendo a ciò che mi stavo riferendo prima ma senza darci peso.
"Ti piacciono le scrivanie. Lo facciamo da seduti o in piedi?" Rincarai la dose, nascondendo l'immenso desiderio di vederla ancora più rossa e provata di quanto già non fosse. Il suo rossore si stava espandendo lungo il collo scoperto fino allo spacco dei seni. Quelli dove avrei voluto poggiare di nuovo le mie mani. Erano perfetti per me.
Non si degnò di rispondere avviandosi su per le scale a chioccia in legno e il corrimano in ferro battuto nero.
"Sbrigati" sbottò tagliente e assertiva, mentre mi beai dei suoi glutei perfetti, muoversi scalino dopo scalino.
"Mi piace quando sei vogliosa e non vuoi perdere tempo" scherzai di nuovo, ma avrei voluto che fosse la verità. Si sapeva che molto spesso scherzando avremmo voluto essere sinceri. Erano passati quattro anni ma rivedendola mi sembrava che si fossero annullati. Eravamo sempre i soliti solo un po' più cresciuti, e con lo stesso desiderio ancora accecante ed infiammante. Bruciava le vene, corrodeva il sangue caldo che pulsava.
Aprì la stanza, sbattendo con un tonfo secco la cartellina con delle schede, sulla scrivania in legno mogano.
"Possibilmente una cosa veloce" si sedette stizzita, accavallando le gambe. Di nuovo quel maledetto pezzo di stoffa che di alzò arrivandole quasi a scoprirle la natica. Mi stava istigando cazzo! Ero un uomo lei era troppo attraente, bella, sensuale. Era Carlotta e tanto bastava per non farmi più rispondere delle mie azioni.
Le andai vicino, prendendo una sedia nera posizionata in fondo alla sala, mettendomi a sedere.
La sua gamba sfiorò la mia, portandoci a sospirare. Ma lo mascherammo bene, come tutta la situazione calda, fin troppo.
Mi chinai in avanti, allungando un braccio coperto dalla maglia, che le sfiorò il seno, facendola rabbrividire.
Il suo sguardo s'incollò al mio come una colla a lunga tenuta, forte e salda tanto da non riuscire a staccarci come se fossero un colore solo. Finché non presi la penna e tornai al mio posto, facendola girare di nuovo.
"Non mi piacciono le sveltine, non con te" rivelai profondo, mentre si voltò di nuovo.
"Smettila di fare così" traballò con la voce, e tremò. Emozioni impossibili d'acciuffare, sviavano come i suoi occhi fuggenti.
"Così come?" Le domandai serio. Non c'era più divertimento.
"Come se niente fosse Joshua. Sono passati quattro anni. Ho un fidanzato te hai una carriera fantastica ed io lo stesso. Smettiamola di vivere nel passato. Abbiamo chiuso quella porta e gettato via la chiave e non la ricercherò mai per nessun motivo" spiegò fievole ma dura. Anche lei era seria, era stufa. Non voleva giocare. E non capiva che per me quella porta non si era mai chiusa definitivamente. Per quanto avessi provato con tutte le forze a spingerla lei non si lasciava sopraffare e rimaneva accostata.
"Ho un pezzo inedito. Sentilo e magari lo inseriamo nel programma. I patti sono che non invaderai la mia privacy più del dovuto. Avremmo un albergo con camere separate e orari da rispettare. Parteciperai dietro le quinte ai miei tour, alle mie riunioni e ritrovi, e parte di vita quotidiana." Lasciai il discorso di prima accantonato, cambiandolo volutamente. Saremmo andati a finire in rami spigolosi ed edere velenose.
"D'accordo" si appuntò tutto, parlando con la testa rivolta in basso sul foglio dove l'inchiostro imbrattava quella pagina bianca. Una pagina come era la nostra storia. Potevo solo sperare di riscriverla, ma non senza la sua collaborazione. Ciò che non è chiuso è perché non è ancora concluso.
Sei stata il centro del mio mondo, nel cuore nel profondo.
Non hai voluto spiegazioni non ho ragioni.
Mi tieni a distanza di sicurezza ti sei costruita una fortezza.
Abbatti queste mura da gigante, mostrami una luce abbagliante, accecante.
Apri questa porta
Anche se non importa
Dove saremo
Come staremo
Ci ritroveremo
Lo spero.
Se non si è chiuso è perché non è concluso, dove finiremo, insieme lo scopriremo. Non puoi fuggire lo devi capire.
Ti ritrovo qui dentro, ho uno scheletro nel cuore, sotto al letto.
Prometto non ottengo, disastri solo impiastri.
Sono un casino, ti sono vicino.
Mi respingi come un nemico pericoloso, ma non mi arrendo ti resto addosso, adesso.
Apri questa porta
Anche se non importa
Dove saremo
Come staremo
Ci ritroveremo
Lo spero.
Se non si è chiuso è perché non è concluso, dove finiremo, insieme lo scopriremo. Non puoi fuggire lo devi capire.
Ma se mi ritroverai nel fango, allungami la mano, mettimi al riparo. Ma se mi troverai in disparte guardarti in mezzo ad altre, allungami la mano, tirami fuori da questo fango.
Apri questa porta
Adesso non importa
Dove staremo
Come staremo
Ci ritroveremo
Lo spero
Ma ciò che non è chiuso, devi capire, non è concluso. Dove finiremo, insieme lo scopriremo. Abbatti la fortezza, stringimi sono la tua unica sicurezza dentro un'incertezza.
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