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7

Pov. Joshua

Mi ero alzato alla buon'ora. Nonché avessi dormito molto. Yuri era piombato nella mia stanza, bussando ripetute volte con un rumore assordante che mi portò a sobbalzare ed a ricordarmi che avevo l'incontro importante. Avrei girato una sorta di reality sulla mia vita quotidiana. C'era qualcosa d'interessante?! Non lo sapevo più. Cosa poteva esserci di così interessante nella mia vita?! Non me la ponevo la domanda perché non avevo la risposta.

Mi passai una mano tra i capelli, aprendogli la dannata porta che da un momento all'altro sarebbe caduta giù da sola.
"Finalmente" esclamò quasi spazientito, entrando dentro senza neanche darmi il buongiorno. Teneva sulla mano una gruccia con dei vestiti rilegati in un cellofan.

"Buongiorno Yuri" risposi derisorio, vedendolo guardarmi con un sopracciglio innalzato.

"Fatti una doccia, e poi...indossa...questi" rispose, togliendo l'involucro trasparente che conteneva un pantalone nero sartoriale ed una camicia bianca. Ero stufo di dover sempre vestirmi come mi imponevano.

"D'accordo" proclamai solenne, prima di recarmi in bagno e farmi una doccia.

Per non destare sospetti ed essere assalito di prima mattina dai paparazzi, Yuri aveva affittato una macchina. Una Mercedes grigia metallizzata.

Impostai sul navigatore la via, e lasciai entrare Yuri dal lato del passeggero. Doveva parlare anche lui, per sapere come si sarebbe svolto e in caso definire delle pratiche per non invadere più del dovuto la mia privacy. Rimanendo sempre negli accordi che avrebbero prestabilito.

Arrivammo davanti allo studio della Tele Corporation New Star. Lo studio più famoso di tutta New York. Pullulava di gente quel posto, ed erano tutti indaffarati. Alcuni restavano seduti con dei monitor davanti, per suddividere spezzoni di film, varie parti. Non avevo mai visto come si riusciva ad assemblare varie scene, ed ora mi sembrava una scoperta strabiliante.

"Vieni" mi riprese Yuri, vedendomi assorto tra pensieri e quant'altro.

Arrivammo al piano superiore, e rimasi spiazzato, vedendo Amanda a sedere.
Alzò appena lo sguardo ed il suo tramutò in stupore, Sorpresa, e timore. Timore per cosa?!

"Yuri ti raggiungo subito." Lo informai pacato, ricevendo un cenno di assenso da parte sua, prima di varcare tutto il corridoio e sparire dietro una porta di vetro.

Mi infilai le mani in tasca, avviandomi verso Amanda che si alzò, staccandosi il microfono che portava addosso.

"Joshua?! Ciao. Come mai qui?" Mi domandò con voce traballante ed incuriosita dalla mia presenza, e mi sembrava strano che non ne sapesse nulla.

Ci abbracciammo e scambiammo due baci sulla guancia, prima di scostarci.
"Sono qui per il programma, sulla mia vita" scossi la testa ridendo. Mi sembrava surreale ed una grande stronzata.

Si aggiustò la giacca addosso, annuendo, per poi passarsi una mano sulla fronte.
"Si già...il programma" aggiunse barcollando con la testa come se se ne fosse appena ricordata.

"Beh, ci vediamo dopo" alzai la testa, avviandomi verso la porta di vetro dell'ufficio mentre annuì per tornare al suo posto.

Non potevo sapere che la ragazza che avrebbe girato il programma era lei. Era piombata come un uragano, imbranata.

Si era scusata come era solita fare, piena di imbarazzo e timidezza dipinta su quel volto che non era cambiato negli anni, anzi forse ora era più marcato, più a donna.
Aveva un vestito stretto che le enfatizzava le curve armoniose, più formosa di quando ci eravamo lasciati.
I capelli lunghi e scalati che sembravano sempre una cascata di seta. Potevo sentire ancora il suo profumo di susina, innocente e puro.

Mi sentii trafiggere quando il suo sguardo, si alzò passo passo verso di me, mentre era inginocchiata. Potevo vedere attraverso lo scollo i suoi seni dalla mia altezza. Immagini di noi due si scagliarono contro la mia mente, mandandomi in un momentaneo blackout.

Tutte le nostre parole, provocazioni, dalle più innocenti alle più azzardate. Le sue gambe lisce avvolte intorno al mio bacino, i suoi ansimi dolci ad ogni mia spinta. Il modo in cui le si dilatavano le pupille che da piccoli puntini neri, risucchiavano quel mare calmo. Quello che avresti voluto attraversare e lasciarti cullare. I suoi respiri in affanno. Le labbra rosse che emettevano suoni che mi fottevano completamente. Le sue dita così inesperte da farmi morire lentamente ed il suo sapore, quello che mi aveva fatto perdere il controllo.
Potevo ancora immaginare la turgidità dei suoi capezzoli piccoli e prelibati sulla mia lingua, li leccavo avidamente come se fosse l'ultima cosa che avrei assaggiato.

Non ricordavo solo questo di lei. Ma il nostro giardino, il nostro primo bacio ed era lì che ero perso, senza un biglietto di ritorno. Le nostre litigate, odio e amore una cosa sola, un sentimento che si chiamava Carjoshua.
La fusione dei nostri nomi. Potevo inventarmene uno più originale, che suonasse meglio. Ma nessuno suonava bene, perché l'unica cosa che suonava bene erano i nostri cuori, il resto era nullo.

Incastrammo i nostri occhi in quel frangente. Attimi che sembravano un eternità. Mi sentii avvolgere da un calore dilaniante. Risucchiava le viscere, mi riduceva in polvere.
Il suo azzurro era divenuto più seducente, aveva lo sguardo più famelico e la bocca più rossa del solito. Uno sguardo che mi fece desiderare di nuovo di riprovarla.

Si alzò stizzita appena vide il mio sorrisetto sfacciato. Le facevo ancora quell'effetto.

Dopo quattro anni ancora sentiva qualcosa. Poteva negarlo?! Non credo. Lo sapevo. Non avevo bisogno di conferme, le sue guance rosse lo dimostravano e non erano per il troppo blush. Potevo vedere le sue ginocchia più strette.

Dio Carlotta sei ancora una condanna maledetta! Pensai mentalmente. Ed era così. Un mese con questa spocchiosa intrigante mi avrebbe fatto morire ne ero certo.

"Scusala Joshua. Tieni" il suo capo Greg ci riportò nel luogo in cui eravamo, lasciando i nostri viaggi mentali in un posto remoto nella testa, che nascondeva ma non scordava.

Afferrai i fazzoletti che erano sulla sua mano,  con delle vene in rilievo.
"Grazie" accennai grato, iniziando a pulire le macchie che ormai si erano permeate sulla camicia.

"Carlotta" la chiamò risoluto mentre la vidi scattare sull'attenti come una soldatessa.

"Nel mio studio ci sono delle camicie che tengo. Porta con te Joshua e dagliene una. Devo continuare il discorso con il suo manager." Le rivelò assertivo ma gentile, vedendo Carlotta guizzare lo sguardo verso Yuri, e salutarlo.

"Spero dopo avrete tempo di dirmi come vi conoscete" c'informò curioso mentre Carlotta scoppiò in una risata sonora e amara. Conteneva astio. Fece una specie di giro su se stessa in preda ad una crisi di nervi. Cazzo già mi stavo divertendo.

"I nostri genitori. Sono amici" affermai sincero e cristallino mentre Greg annuì, invece il suo sguardo gelido mi trafisse come una lama. Un celeste con nubi e tempeste furiose.

Si avvicinò a me, con la mano pronta ad afferrare la maniglia di metallo fredda come lei. Ci sfiorammo la spalla volontariamente, girandosi appena verso il mio orecchio con uno sguardo sfacciato.
"Fanculo Joshua" alitò sul mio lobo, facendomi venire voglia di prenderla. Dio se volevo stare di nuovo dentro di lei. Non per amore, quello era svanito. Solo per il gusto di riprovarla e confermare che era sempre prelibata.

Incrociai il suo sguardo reprimendo un sorrisetto ed un gemito che sarebbe uscito in un'altra circostanza. Il suo profumo floreale mi stava intasando le narici, mi stavo rifacendo di Carlotta e non poteva di nuovo diventare una dipendenza.

"Sempre più fine" le sussurrai sfacciato ad un millimetro dalla sua bocca, mentre sgranò gli occhi ingoiando il magone come me, che avevo tenuto serrato da quando era entrata dentro. Così aprì la porta superandomi.

"Amanda" la salutai trovandola dietro la porta facendo finta di giocherellare con un elastico. Così alzò lo sguardo, colpevole, che fece finta di mascherare anche se Carlotta la guardò torva come per intimarle che dopo avrebbero fatto i conti per aver origliato.

"Seguimi" affermò ispida e risoluta, lasciandomi la visuale delle sue natiche sode e strette in quel vestito. Ad ogni passo che faceva mi beavo di quella vista. Come un pendolo che incantava.
"Joshua" mi richiamò di nuovo, più fredda e gelida, accorgendomi solo ora che aveva aperto la porta e si era allontanata da me per aprire l'armadio di legno ciliegio nell'ufficio di Greg. Dava una visuale più vasta di Time Square, dalle vetrate grandi dietro la scrivania anche essa ciliegio, e due schermi al plasma affissi sulla parete destra in finti mattoni.

"Mi hai chiamato per nome, Carlottina" decisi di ritornare con lo sguardo su di lei ed iniziare a stuzzicarla di nuovo. Dovevamo sciogliere il ghiaccio che aveva ricoperto i nostri corpi per ben quattro anni. Dovevamo imparare a riusare gli arti, a rifare tutto come se ci fossimo resettati. Un nuovo inizio.

Abbassò un attimo lo sguardo sospirando, per afferrare una camicia e toglierle la gruccia.
"Punto primo:
-non sono più carlottina" chiuse le ante dell'armadio con un tonfo veemente, iniziando ed elencare le sue regole. Aveva imparato da mia madre?! Cazzo ci avrei scommesso che le aveva inculcato nel cervello quella merda che lobotomizzata i cervelli femminili. Femmine progressiste, che mettevano in atto le ribellioni verso noi poveri uomini, creature innocenti, nati solo per soddisfare voglie femminili e farle provare il gusto del peccato.

"Punto secondo:
-non intralciare il mio lavoro. Io non ti conosco e tu non mi conosci" spiegò risoluta e aspra, lanciandomi la camicia che afferrai tra le mani.

"Punto terzo..." lo lasciò in sospeso mentre si diresse verso la porta, e le mie mani stavano iniziando a sganciare le asole dove vi erano inseriti i bottoni microscopici bianchi perlati.

Deglutì fortemente, puntando il suo azzurro verso il mio petto metà scoperto, e socchiudendo gli occhi prima di rigirarsi ed alzare con la sua galanteria che le aveva sempre appartenuto il dito medio.

Ma prima di farla uscire di scena, questa volta avrei avuto io l'ultima parola.
"Carlotta" la chiamai senza il suo nomignolo, per farla girare.

Dio più bella incazzata e furiosa. Mi avvicinai a passo lento, con la camicia sbottonata. Per un attimo avrei voluto che le sue dita ripercorressero le linee del mio corpo più definite in questi anni. Ma così non fece. Si passò la lingua sul labbro, e se lo morse in soggezione. Sapeva che effetto mi stava facendo e quello che io facevo a lei.

"Che cazzo vuoi?" Si rianimò, sentendosi avvampare dal mio corpo vicino al suo. Irradiavamo calore in quello spazio gelido e freddo. In questi anni aveva rafforzato la sua finezza e l'essere altezzosa e spocchiosa.

Mi avvicinai al suo orecchio, vedendola chiudere le palpebre come un istinto che le ricordava di noi.
"Complimenti per il vestito, e per il corpo. I miei occhi apprezzano e non solo" sorrisi vittorioso, mordendomi il labbro mentre la vidi riaprire gli occhi sbigottita, prima di tornare spazientita ed uscire, sbattendo la porta con un tonfo sordo.

Ci divertiremo Carlottina. Un mese insieme. Un mese per rovinare il tuo fidanzamento...anzi il tuo finto fidanzamento.

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