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Pov. Carlotta

"Carlotta che stai facendo?" Vidii la figura di Mitch materializzarsi dalla soglia della camera, e scivolai lo sguardo sul suo volto preoccupato.

Feci un respiro, socchiudendo appena le palpebre.
"Sto aspettando che mi salga il sangue al cervello, e mi faccia annebbiare tutto ciò che ho scoperto oggi a pranzo" sbottai irritata, non per Mitch ma per quell'odioso, prepotente, villano. Mi ero per un attimo illusa di poter farcela, ma tornando verso casa e fermandomi come sempre ad ogni semaforo che appena m'incontrava diveniva rosso, battei una mano sul volante. Non ce l'avrei fatta. Era assodato che l'avrei rivisto.

No! Impossibile, impossibile. Che senso aveva chiamarla Grande Mela se poi lo incontravo tra miliardi e miliardi di persone?! Forse la sfiga mi era amica. Potevo ancora mantenere un briciolo di contegno, se ne era rimasto.

Vidi Mitch avvicinarsi a me, poiché ero ancora distesa a testa in giù nel letto. Perciò decisi di alzarmi con uno scatto repentino. Ed era evidente che avevo adottato il metodo sbagliato. Perché Joshua era ancora lì, tra quegli scatoloni che avevo messo via, e sentii la testa girare come una trottola, tanto da portarmi una mano sulla fronte che scottava.

"Cosa avresti scoperto oggi? Sentiamo" si sedette sul letto di fianco a me, sentendo il materasso affondare di più, avvicinandomi a lui per stendere le gambe sulle sua.

"Tornerà. L'ho letto sul giornale. Capisci? Lui tornerà" rivelai angosciata e con un macigno sul petto che mi faceva uscire una voce acuta. Non c'era bisogno di specificare chi fosse, sapeva tutto di me e Joshua. Ed il suo sguardo cambiò di colpo, addolcendosi.

"Carly, ascolta. Prima o poi l'avresti comunque rivisto. Che siano stati due anni o dieci. Non puoi sfuggire. Ma lui sarà preso a cantare. Non credo che lo incontrerai. Ci sarà una folla immensa, quindi non preoccuparti e stai rilassata" mi spiegò docile quelle parole, accarezzandomi le ginocchia che erano fredde come il marmo, e traballavano tra loro. La causa non era il freddo, se non quello che sentivo dentro, raggelandomi il sangue nelle vene.

Abbassai lo sguardo sulla trapunta a cuori rossi, per riportarlo su di lui, scostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"Probabile che sia come dici tu" ribattei speranzosa, corrucciando le labbra e mangiucchiandomi le pellicine di esse.

Lo guardai battere una mano sulle mia ginocchia come per intimarmi di toglierle, e si alzò.
"Un toast bruciacchiato in arrivo, per culetto d'oro" si chinò su di me, prendendomi il mento tra il pollice e l'indice. Si avvicinò lentamente e pensavo che mi volesse baciare e per un attimo restai paralizzata con lo sguardo fisso su i suoi occhi verdi divenuti più scuri, finché non alzò le labbra per sentire il suo bacio delicato sulla punta del naso. Serrai gli occhi, le riaprirli sorridendogli mentre si allontanò andando in cucina.

Potevo sfogarmi e convincermi quanto volevo, ma dentro non potevo fingere, quel subbuglio che mi attanagliava. La voglia di rivederlo e la paura al contempo di incontrarlo. Ero una contraddizione. Lo ero sempre stata.

Pov. Joshua

Atterrai a New York, ed appena scesi dall'aereo sentii una folata di vento debole, avvolgermi in pieno.
Mi ero abituato in questi anni a volare. E dire che avevo iniziato per andare a riprendermi Carlotta.
Adesso invece sembrava il mezzo più sicuro, l'unico che mi alleviava i pensieri negativi.

Yuri per tutto il tempo mi aveva parlato del testo, di come mi sarei dovuto vestire, della band che avrebbe suonato. Dovevamo fare molte prove. Mentre io guardavo il mondo fuori da quel piccolo vetro, ed una distesa bianca ad oscurarmi ciò che conteneva sotto. Eravamo sempre più vicini, ancora distanti.

"Ci vediamo dopo. Datti una rinfrescata e riposati" mi spiegò limpido Yuri prima di avviarsi nella sua camera di questo albergo a cinque stelle. Era nel cuore di Times Square.

Ormai non avevo più una vera casa. I miei venivano spesso a trovarmi nei concerti che tenevo. Erano orgogliosi ma mi ripetevano spesso che ero cambiato, e non fisicamente. Avevo perso la vena del vero Joshua. Quell'eterno bambino che amava stuzzicare, che provocava. Era rimasto nella camera 134 in Florida. Nella stanza celeste dell'appartamento a Mykonos. Nella sua piccola ma confortevole camera del college, con pareti gialle e foto di noi a riempire quel muro. Il letto singolo ma così grande per i nostri corpi e piccolo per l'emozioni che ci scorrevano dentro quando entravo nella sua dolce intimità.

I nostri baci fatti di promesse e passione erano ciò che mi rimaneva. Un ricordo stupendo. Molte notti la sognavo nuda su di me. Chissà che tratti aveva il suo viso. Se aveva mantenuto quello sguardo lucido e lussurioso che mi faceva impazzire. Chissà se sarebbe stata ancora la mia malattia e la mia cura.

Finii di farmi la doccia con quei pensieri, e riposarmi era davvero difficile. Domani avrei avuto un incontro importante per un programma. Una sorta di reality ed io ero il primo. Diciamo che mi sentivo una cavia, ma avevo accettato. L'idea sembrava allettante e sarebbe stato divertente.

Tornai in camera, frizionandomi i capelli con un asciugamano con lo stemma in rilievo d'orato dell'albergo. Le pareti anch'esse rivestite con una carta da parati con motivi d'orati sotto ad un beige. Un letto a baldacchino. Nessuno poteva chiedere di più. Ma è proprio quando hai tutto che capisci di non avere nulla. Desideriamo cose e quando le abbiamo, ci rendiamo conto che non erano quelle che volevi davvero. Siamo fatti di controsensi. Non abbiamo idee precise. Cambiamo direzione, una deviazione per cercare ciò che manca per riempire quello spazio bianco nel muro, quel buco nello scaffale colmo e quella voragine al centro dello stomaco.

Mi vestii, con un jeans scuro ed una maglia nera in pelle con le tasche con un motivo a quadri bianchi e neri.

Sentii bussare alla porta e non mi ci voleva molto per capire che fosse Yuri. Perciò azzardai con un "avanti". Difatti i miei sospetti e certezze vennero confermate, vedendolo avvolto in un completo elegante ma casual.

"Stasera andrai alla grande. Quel testo conquisterà il pubblico. Però ricordati che domani mattina avrai l'incontro con il programmatore e presentatore del reality. Perciò stasera niente scopate" puntualizzò dritto al punto e schietto come era sempre stato, mentre mi misi a ridere.

"No...prometto" affermai, portandomi scherzosamente una mano sul cuore e l'altra in alto. Come un giuramento solenne.

La limousine mi diede il tempo di farmi riammirare dal vetro oscurato solo dall'esterno, la mia amata New York. Cercavo tra i marciapiedi il suo volto. Il pensiero che avrei potuto rivederla anche per puro caso mi elettrizzava e mi faceva tremare allo stesso tempo.

I truccatori fecero il loro lavoro. Ed odiavo essere toccato sul viso, impiastricciato da roba che consideravo per donne. Ma il risultato finale era notevole. A Carlotta piacevo anche senza queste sostanze che tiravano il viso e mi facevano sembrare una star del museo delle cere.
Non era neanche quello il mio volere ma mi arrendevo.
Mi aggiustarono il ciuffo biondo all'indietro e dandogli volumi in alto.

Sentivo nel mentre gli altri cantanti che suonavano le loro canzoni. Alcune famose e le cantavo sotto voce. Mi sentivo tranquillo ma agitato. Si può avere due emozioni contrastanti nello stesso momento?! Non ne ero certo, ma era così.

"Vai Joshua. Sta a te" mi richiamò al presente Yuri, mentre mi alzai dalla sedia bianca, avviandomi verso di lui che mi diede una pacca sulla spalla e sentii la voce del presentatore annunciarmi. Schiamazzi e battiti di mani si elevarono, arrivandomi dritte all'udito. Mi sentivo carico. Erano la mia adrenalina.

Esalai un profondo respiro ad occhi chiusi per poi fare la mia entrata in scena. Sotto al palco ragazze che si sbracciavano come per cercare di arrivare da me o sentirsi più vicine, o forse solo per essere notate da me che domani non mi sarei neanche ricordato il colore dei loro capelli. Alcune in lontananza alzavano striscioni con affisso "Joshua We Love U" con tanto di cuore.

Il bagliore luminoso mi colpì in pieno la vista, oscurandomi appena ciò che mi si prospettava davanti. Avevo salutato prima i ragazzi della band che mi accompagnavano sul palco. Erano gli stessi che avevo conosciuto al locale di Yuri quando ancora non ero nessuno ma ero tutto per lei. Ero l'odioso della mia spocchiosa.

Iniziò a riecheggiare e pompare nelle casse per estendersi tra le mura della città il ritmo della mia canzone.
Mi avvicinai di più al microfono, prendendolo tra le mani.

Battei il tempo con la punta delle mie All Star nere, ed iniziai a cacciar fuori la voce. Ogni volta era un'emozione salire sul palco. Anche se vi avevo fatto l'abitudine non si finisce mai di rimanere con quelle sensazioni che ti suscita la gente. Che ti fa sentire il calore come avvolto da una coperta di gratitudine immensa.

"Credi che sia stato semplice capire cosa provo per te, credi che sia stato facile mentire a te.
Non troverei giustificazioni, le trovi in questi scatoloni. Il tempo perso non può tornare. Tu dammi il tempo di spiegare. Non sono bravo a capirti. Hai chiuso un varco non vuoi aprirmi.

Non puoi mentirmi, ma puoi ferirmi.
Sei un cielo oscurato. Lasciami parlare ti devo spiegare. 

Lo capirai, già lo sai.
Mi svuoti dentro
prendi tutto.
Mi lasci inerme
Mi sento un verme.

Credi che ti abbia voluto scheggiare, lei era una come tante. Non ho mai confuso il sesso con l'amore tu mi hai insegnato questa lezione. E forse un patto andato male ma riavvolgerei il nastro per ricominciare." Cantavo e non mi fermavo. Cantavo per lei, per ciò che provavo. Ci mettevo dentro tutto quel dolore, quell'amore. Stavo riempiendo quella canzone con tutto ciò che avevo da offrire.

Quando finii di cantare sentii solo la melodia farsi sempre più bassa e lenta per scemare e chiudersi del tutto. La gente acclamava, urlava. Dentro ero ancora con le palpitazioni. Con la bile in gola. Non vedevo i suoi occhi ma sapevo che cantavo con quelli davanti a me. Era così per le canzoni che scrivevo per lei.

Mi preoccupavo tanto quando di sicuro sarebbe andata avanti con la sua vita. Un'amore che non ero io. Perché dovevo fasciarmi la testa con il suo nome ed il suo corpo. Dovevo andare avanti.
Ringraziai tutti posando il microfono sull'asfalto e tornai dietro.

Yuri mi venne incontro, battendomi amichevolmente la mano sulla spalla. Lo leggevo negli occhi che era orgoglioso. Brillavano di emozioni, e la sua presa si fece salda.
"Joshua...strabiliante. La migliore fin ora" si congratulò sincero e cristallino. Lo avvertivo dalla voce che gli tremava.

"Grazie Yuri. Merito anche tuo" lo risollevai dandogli una parte del merito. Non per la canzone ma perché mi aveva aiutato. Se ero qui era grazie a lui. Mi aveva illuminato lasciando risplendere il mio talento.

La sera come era previsto non andai a cercare ragazze. non ne volevo. Anche se i ragazzi della band mi avevano supplicato più e più volte non mi ero arreso.
Volevo stare sul letto e provare a scrivere ancora. Mi sentivo ispirato e sapevo perché.

Domani sarebbe stato un nuovo giorno. Aprii whatsapp e mandai un messaggio di buonanotte. Era così. Lo era da tempo.

"Notte spocchiosa mia" sussurrai debole, sentendo un sorriso nascermi.

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Non uccidetemi. Lo so che non è l'incontro, che avverrà nel prossimo capitolo che ovviamente DEVO SCRIVERE 😓😓 scusate ma mi sono dovuta portare avanti con la mia trilogia. Scrivo bozze in quella perchè devo studiarla nei minimi dettagli rispetto a questa. Perciò credo che comunque lo posterò domani l'incontro.

Poiché oggi non ho tempo materiale per scriverlo. Comunque ❤❤❤❤ un bacio 😘

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