48
Pov. Carlotta
17:04 minuti precisi, spaccati, su quella lancetta che fissavo, muoversi sincronizzata e batteva i secondi, lì scandiva per aiutarmi. Non badavo neanche all'orologio a forma di Ananas affisso alla parete...no! La mia attenzione era rivolta solo su quella lancetta, ed il mio cuore faceva il suo stesso rumore. Sentivo scariche dentro di me, un groviglio che brontolava. Cadevo nella indecisione più nera.
Mi morsi il labbro incerta, fissando il mio riflesso allo specchio, mentre l'arricciacapelli si stava scaldando, attaccato alla spina, e la lucina ad intermittenza mi dava la conferma che era pronto per accogliere le mie ciocche lisce.
Finii di arricciarli, soddisfatta del risultato ed afferrando il beauty per truccarmi, ma non eccessivamente. Infondo non ci eravamo mai visti. E se non gli fossi piaciuta? Se lui non mi fosse piaciuto?! Come l'avrei riconosciuto o lui mi avrebbe riconosciuta?! Forse una sensazione a pelle.
Mi spalmai con il pennellino che tremava tra le dita, un po' di ombretto dorato.
"Sei sicura Carly? E se fosse un maniaco? Uno psicopatico? Un seriak killer? Uno stuprator..." non la lasciai finire le sue supposizioni acute, che mi voltai verso di lei, chiudendo il tappo del rossetto chiaro, e spalmandolo sulle labbra contratte, quasi a risucchiare, per rilasciarle con uno schiocco squillante.
"Amy...è un ragazzo semplicissimo. E poi l'hotel scelto è pieno di gente. Pensi davvero che nessuno ci veda?" Le domandai pacata, inarcando un sopracciglio in cui fissò il mio volto, oscillando appena la testa come a riflettere che forse avevo ragione.
"E...ok...forse..." si mangiucchiò la pellicina del labbro, annuendo e rilasciato cadere svogliatamente le braccia lungo ai fianchi che prima aveva incrociate al petto, e gli occhi rivolti verso il soffitto.
"Forse hai ragione. Come sei puntigliosa" proruppe, imitando quello che credevo fosse un mio verso da precisina. O almeno se non mi andava bene una supposizione dovevo farla andare bene.
"E tu sei troppo apprensiva" la ripresi beffarda, chiudendo la cerniera del beauty, per fiondarmi verso di lei, cingendole il collo con un braccio, dandole un abbraccio stritolante. Uno di quelli che prima mi dava lei.
Mi allacciai il cinturino delle decoltè nere, guardandole in più angolazioni, per appurare che andavano bene con il mio vestito. Finché non sentii un cigolio della porta, ed un David imbarazzato fare capolino, guardandomi come ad aspettare un mio consenso per entrare. Perciò per tutta risposta muta, annuii, vedendolo rilasciare un sospiro ed entrare.
"Non credo che tra noi ci sia mai stato un vero, rapporto...insomma..." iniziò impacciato, portando una mano ad indicarci, mentre lo guardai stralunata.
"Confidenziale?" Gli domandai cercando di alleviare il suo imbarazzo, vedendolo schioccare il pollice ed il medio, come se avessi afferrato la fatidica parola che non gli veniva.
"Esatto. Ma..." alzai una mano, sviando il suo sguardo dolce, e qualche ramanzina amichevole che mi sarebbe arrivata, o meglio su chi.
"Se sei entrato per dirmi di lui, che gli manco, e stronzate del genere...mi dispiace David. Ma per quanto ti voglio bene, anche se la voglia di ammazzarti ogni tanto prende il sopravvento, potrei farlo sul serio. Perché lo vedi questo sorriso?!" Gli simulai un sorriso stirato talmente tanto che sarebbe rimasto il volto intorpidito.
Si grattò la nuca, girovagando con gli occhi come a convincersi della bugia che stavo sparando, ma senza interrompermi. Probabile non volesse farmi sentire più ridicola, di quanto già non fossi.
"Ecco...stasera nessuno me lo toglierà. Tanto meno coso..." feci un gesto con la mano come a scacciare via il suo volto perfetto, i suoi occhi brillanti, scacciando via il suo nome, affibbiandogli "coso".
Ma a chi volevo darla a bere. Per quanto lo scacciavo il suo ricordo tornava sempre prepotente.
"Beh...allora non ti dirò che per me stai facendo una cazzata" rispose secco dopo vari minuti contemplati nel silenzio, in cui mi osservai lo spacco del vestito, cercando di sovrapporre la stoffa, come a temporeggiare.
Ed anche se non lo voleva dire lo aveva detto.
"Ci vediamo più tardi" sbottai secca, alzandomi di scatto dal letto, dove le molle scricchiolarono dolcemente ed afferrai la pochette, per uscire dalla stanza, mentre alzò la testa come un saluto.
Mi diressi verso la porta di casa, sentendo Amanda chiamarmi, e guardarmi fievole. Forse anche lei voleva convincermi, ma il mio sguardo sicuro la indusse a non dire ciò che già sapevo. A non scavare dentro una ferita aperta, spruzzandoci sopra quintali di limone.
"Se ti serve qualcosa...chiamaci, ok?" Chiese carezzevole, venendomi incontro, sistemandomi la stola di velo come una madre.
"Ti chiamerò Amy" le sussurrai dolcemente all'orecchio, dandole un abbraccio caloroso che ricambiò, strofinando il palmo dietro la schiena, dove i braccialetti tintinnarono delicatamente tra loro.
Finché non mi aprì la porta per lasciarmi passare e farmi il gesto con il pollice ed il mignolo vicino all'orecchio, per imitare la cornetta telefonica.
Quindi decisi di annuire, roteando gli occhi verso il condominio e tenni un palmo sullo corrimano in legno lucido, prima di sentire il tonfo debole della porta richiudersi, e solo i miei tacchi riecheggiare tra le mura della palazzina.
Uscii fuori dal portone in vetro, ed una leggera folata calda m'investii, portandomi a stringere maggiormente la stola sulle mie spalle, dove scivolava senza volere.
Afferrai dalla pochette il cellulare, chiamando un taxi, aspettandolo vicino ad un lampione che illuminava la strada, soffermandomi sulle vetrine ed il rumore delle macchine sfrecciare.
Ero ancora titubante. Navigavo nell'ansia, e non sapevo come comportarmi. Chi era questo Devis?! Di lui non sapevo nulla. Forse sarebbe stata una ventata d'aria fresca nel grigio delle mie giornate. Forse mi avrebbe fatto dimenticare Joshua. Impossibile dimenticare qualcosa che indossi sotto pelle, come un mantello invisibile che ti protegge dal freddo. Eppure adesso sentivo tanto freddo, anche se era agosto, e solo una leggera brezza solleticava i miei capelli che si adagiavano sul mio collo...io sentivo freddo.
Scossi la testa come a voler di nuovo, allontanare lui dalla mia mente infettata, e da lontano avvistai il taxi. Lui che non mi dava più ripensamenti.
Aprii lo sportello con un cigolio, sgusciando dentro come un lombrico impaurito.
"Salve" mi salutò cordiale un signore intorno ai cinquant'anni, con i capelli brizzolati e dei leggeri baffi eleganti ad incorniciare il volto paffuto.
"Salve. 1605 Broadway" gli diedi l'indicazione, vedendolo impostare la via dell'hotel sul navigatore che interruppe il silenzio con la sua voce robotica, che dava inizio all'itinerario, ed il rombo della macchina partire. Lasciavo le certezze incontro a delle incertezze. Ma ultimamente era così. Tutto un tornado, che non finiva mai.
Pressai di più la pochette contro il mio ventre, dove avveniva una guerra nucleare. Sentivo l'ansia mondarmi e non andava bene. Quindi decisi di poggiare la testa contro il vetro freddo, e guardar i miei occhi contornati da eye-liner ed ombretto, mentre il mio azzurro agitato, si fondeva con i colori sprizzanti di Times Square.
Il tassista m'informò dopo i minuti che non contai, se fossero stati abbondanti o meno, poiché mi sembravano troppi pochi ed il mio corpo poco pronto a tutto, che eravamo arrivati.
Sfilai riprendendomi dallo stato di trance, il portafoglio dalla borsa, e gli porsi le banconote, scendendo dal taxi con un suo sorriso gentile.
Ricambiai con poca enfasi, poiché sentivo il cuore martellare. Portai la pochette vicino al fianco, ed il braccio sembrava gessato in una postura rigida, quando salii le scalinate dell'hotel ed entrai dentro. Lontano dal casino di Times Square, dal chiacchiericcio e gli schiamazzi, che ora erano ovattati. Sentii una musica leggiadra espandersi tra le mura, di quell'hotel elegante. Non avevo capito perché tra tanti avesse scelto questo. Sicuramente non gli mancavano i soldi per alloggiare qui. Ma almeno non mi sentivo un pesce fuor d'acqua.
Mi rincalzai meglio la stola con la mano libera, e chiamai l'ascensore. Notai l'orologio affisso alla parete Beige. Segnava le 20:50. Dieci minuti alla verità. Persa nei miei pensieri non mi accorsi che le porte metalliche di spalancarono difronte a me, con uno stridulo tenue.
Esalai un profondo respiro, socchiudendo appena gli occhi e mi ripetei mentalmente di restare calma, prima di entrare e lasciarmi la Hall sparire dinanzi a me.
Arrivai al piano superiore, sentendo il campanellio fastidioso, e le porte aprirsi.
Un refolo di vento si schiantò incontro a me, facendomi vedere la stola dalla spalla destra, che mi affrettai a sistemare. Non c'era quasi nessuno sul tetto. Solo un signore anziano, ed una coppia che si faceva effusioni di amore, seduti su un divanetto in paglia. Ricordavano me e Joshua, ed ogni pensiero di essere felice, si frantumava al suolo. Mi mancava, e non potevo tradire al mio cuore che lo cercava di continuo. Come una ricetrasmittente.
Avanzai verso il muretto, mettendomi ad osservare Times Square illuminata. Il vento ora mi accarezzava quasi a volermi cullare, e rimanevo a contemplare tutto ciò. Cercavo di placare lo stato di agitazione crescente dentro di me.
Finché non sentii la vibrazione del telefono, ed il display segnalare un messaggio.
Era Devis. Mi avrebbe dato buca anche lui come Joshua quattro anni prima?! Andavo a pensare cose stupide sul passato. Ed infondo un po' ci speravo che fosse Joshua. Una stella luminosa mi diceva che era così, ma stentavo a crederci.
Aprii lentamente il messaggio, con il cuore in gola, risucchiandosi le mie parole, ed i miei occhi attenti mettere a fuoco la frase.
Finché due mani calde e virili non si appoggiarono ai miei fianchi che ebbero una scossa interna, accendendomi come un insegna di Broadway. Un respiro intenso, ed il suo labbro, sfiorare delicatamente il mio lobo, dove una fitta arrivò potente tra le mie gambe, improvvisamente molli.
Il suo alito dolce.
"Ciao straniera" la sua voce rauca e vibrante, fece capitombolare il mio cuore, in una capriola.
Ero sicura. Il messaggio mi confermava la nostra frase. La nostra stella cadente. Stesso desiderio, stesso posto, stesso cielo, ma divisi. E le stelle ci parlavano. Le sue mani le avrei riconosciute tra miliardi. La sua voce che sapeva sconvolgermi. Che sognavo la notte. Che incontravo per radio il giorno. Presente anche quando non lo volevo e lo volevo ancor di più. Mi contraddicevo, come ora. Perché volevo che fosse un ragazzo vero. Ed in cuor mio speravo e pregavo che fosse quell'odioso di cui ero follemente innamorata da sempre.
Esalai un respiro rimasto bloccato troppo tempo nel petto, il cuore martellare e potevo sentire anche il suo che batteva sulla mia schiena. Tirai su con il naso ed in un attimo aprii di nuovo gli occhi, girandomi verso di lui.
Il suo oceano mi risucchiò, portandomi ad infrangermi su quell'onda, e ribaltarmi.
Il suo ciuffo appena spettinato dal vento. Un completo di alta sartoria, ed un accenno di barba ispida ad incorniciare il suo volto maledettamente sfacciato e perfetto.
Boccheggiai in cerca di parole. Avrei voluto urlargli contro tutto il mio disprezzo. Tutto ciò che aveva fatto. Le menzogne. Ed invece nulla. Sentii gli occhi pungere come spilli nel bulbo oculare, e l'unica cosa nel vedere i suoi occhi addolcirsi e pieni di pentimento, mi diedero lo slancio. Allungai le braccia verso il suo collo, stringendolo contro di me, sentendo il suo corpo caldo, ricambiare subito con la stessa enfasi, cullandomi quasi e sussurrandomi degli "shh" che portava via il vento fresco.
"Sei uno stronzo, bugiardo, falso, menzognero, ti detesto, io ti odio con tutta me stessa" gli scaraventai con la voce balbettante, quelle parole, mentre salì con la mano ed intrecciando le dita che scivolavano tra i miei capelli, ma mi scostai appena da lui per vederlo in volto.
"Ti odio Joshua. Ti odio con tutto il cuore. Come hai potuto mentirmi? Come?" Mi ripresi in un attimo, allontanandomi da lui, e poggiai i palmi sul suo petto, lì dove il suo cuore si scontrava contro il mio palmo tremolante, ed il mio mento traballava. Sentii una lacrima calda, scivolare a picco sulla mia guancia arrossata, ed il suo sguardo abbassarsi appena, come mortificato.
"Mi dispiace Carlotta. Non ho mai voluto ferirti. Non era nei miei progetti. Era iniziato per uno scherzo, che poi è diventato sempre più gigante. Ma era l'unico modo per starti vicino" ammise cupo, cercando di alzare una mano per pulire la mia lacrima, ma lo allontanai malamente, tirando su con il naso.
"Tu mi hai mentito. Joshua mi hai mentito. Potevi dirmelo quando ci siamo rivisti" lo ripresi con disprezzo e con la voce ispida, puntandolo con la pochette, dove all'interno i pochi oggetti oscillavano.
Si passò una mano frustrato tra i capelli, vedendo Mr Wilson.
"Caspita cazz..." non finì l'imprecazione poiché mi vide avvicinarmi, ed allungarmi per prendere Mr Wilson al quale rivolsi un sorriso.
"Me l'hai riportato" commentai carezzevole, stringendo il peluche morbido, mentre annuì sommesso.
"Mi sei mancata Carlotta. Ti giuro che..." non lo lasciai terminare neanche questa volta, poiché sentivo un macigno sul petto, troppo pesante. Schiacciava e faceva male, troppo male.
Mi voltai verso di lui, con gli occhi appannati.
"È successo troppo in fretta. Sei arrivato qui a sconvolgermi. Mi hai mentito. E pensi che possa tornare tutto come prima? Joshua fai sempre così. Cosa ti costava dirmelo? Hai preferito continuare a mentire" rivelai affranta, portandomi una mano sul petto, sul punto indolenzito, mentre si avvicinava.
"Carlotta non ho potuto. Era un modo per starti accanto. Sono stato ad Hudson Valley. Mi hai mentito anche te su Mitch. Quel fottuto giorno ci sei andata" rintuzzò burbero, mentre i nostri occhi lanciavano saette, ma i nostri corpi si avvicinavano, come calamite.
"Mi accusi di questo? Certo. Tu eri troppo impegnato a sbatterti la modella" gli feci presente, vedendolo sbarrare gli occhi per poi emettere una risata amara.
"Non ho fatto un cazzo con lei. Si è vero l'ho baciata, ma niente di più. Con Madison un bacio e niente di più. Non sono stato a letto con lei, puoi non credermi era tutta una falsa la sua. Carlotta dopo di te nessun corpo mi è appartenuto e puoi non credermi...ma cazzo...cazzo è cosi. Cristo" imprecò sbraitando e diminuendo a sprazzi il tono di voce, come esasperato.
Alzai lo sguardo verso il suo, vedendolo troppo vicino a me per non rimanere scottata, troppo vicino per non sentire male, e riflettere sulle sue menzogne. Cedere o non cedere? Il mio corpo diceva di donarmi a lui, ma la mia mente si rifiutava ed il mio cuore si stava ricucendo piano, troppo a rallentatore.
"Joshua..." presi un profondo respiro, mentre si avvicinò di più, alzandomi il mento con l'indice per fissarci. I nostri colori sempre uguali eppure diversi. Emozioni sempre in combutta. Un calore dolce si divulgò dentro, irradiandomi.
"Guardami Carlotta. Sono sempre io. Devis, Joshua. Che importa. Era l'unico modo per averti nella mia quotidianità, senza averti realmente. Passavo le mie giornate a mandarti messaggi ed ogni volta tu non lo sapevi che mi regalavi un sorriso. Che mi sei mancata" guardai i suoi occhi inumidirsi quasi quanto i miei, quasi da non riconoscere più la forma dei nostri volti, divenuti schizzi. Ma ci saremmo riconosciuti in mezzo ad una folla. Perché lui era l'unica certezza nella mia vita.
"Ho bisogno...non riesco. Io..." mi cinse la vita con un braccio, sentendo il mio balbettio confuso.
"Domani parto per Montecarlo. Non mi aspettavo che tu mi perdonassi, era giusto che tu sapessi però. Era l'ultima omissione. Se vorrai..." mi accarezzò il fianco in modo delicato, soffiando quelle parole con un tono dolce, ed il suo profumo m'inebriava, mi riportava a casa.
Allontanai appena il mio viso, avvicinandomi a lui. Scivolai lo sguardo sulle sue labbra carnose come lui sulle mia. Quelle labbra che ora si inumidì in modo impacciato, prima di avvicinarle verso di me, ed appoggiarle delicatamente. Il suo labbro inferiore sfiorò il mio superiore ed una scarica potente c'investì. Un ansimo dolce sfuggì dalle nostre labbra. Rinchiusi in una bolla nostra. Dove il vento non esisteva se non dentro di noi. Dove la musica non suonava se non i nostri cuori.
Finché non mi staccai in affanno, poggiando la fronte contro la sua.
"Devo digerire la cosa. Noi...non posso Joshua. Non posso proprio" Proclamai con la bile in gola, sentendo i nostri respiri pesanti uscire, e scontrarsi su i nostri volti vicini.
"Lo sapevo" commentò fievole, ciò che già si aspettava, socchiudendo appena gli occhi per riportare il suo cristallino verso di me.
"Non ti lascerò mai andare via, mai. Potrebbero correre giorni, mesi, anni. Ma se puntiamo gli occhi nei momenti esatti..." lasciò la frase in sospeso mentre risi debolmente.
"Devo andare" affermai riprendendomi e sentendomi persa e confusa. Dicevo di perdonarlo che ero ancora in tempo. Lui era lì ed il resto non importava. Portò le mani ad aggiustarmi la stola mentre mi fissò negli occhi in cui sentivo scariche possenti.
"Posso accompagnarti?" Mi domandò quasi come una supplica, mentre scossi la testa, dissentendo.
"Voglio che tu tenga Mr Wilson ancora. Io...vorrei perdonarti ma ho bisogn..." fece scivolare l'indice sulle mie labbra, che ora bruciarono, fissandoci intensamente e dicendo più con lo sguardo che a parole.
"Io lo so cosa cerchi. E sai che non posso dartelo. Ma farò di tutto per farti ricredere. Credimi Carlotta" ammise cristallino e veritiero quelle parole, mentre seppi solo annuire.
"Ho bisogno di un Joshua intero. Non mi bastano le promesse. Ho sempre preferito i fatti, e ad oggi siamo allo stesso punto. Ho bisogno di digerire questa cosa Joshua. Mi sei piombato addosso come un meteorite, e non posso lasciare tutto così. Non posso" ripetei con il cuore che scoppiava nel petto, ed i suoi occhi bui spegnersi, mentre guardai le porte dell'ascensore accogliermi.
La sua mano afferrò Mr Wilson, alzandogli la zampa per salutarmi. Mentre distolsi lo sguardo da lui, da ciò che fino a poco fa eravamo.
Guardai le porte chiudersi lentamente ed il suo "ti amo" colpirmi al centro del cuore, mentre il metallo gelido mi tolse la visuale, e degli scoppi rimbombanti di fuochi d'artificio, si elevavano nel cielo. Ma non erano per noi.
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