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40

Pov. Joshua

Incantato da lei. Sempre dal suo immenso imbarazzo. Sembravo non riuscire a fare a meno di farla godere. Come sempre abusavo troppo di Carlotta, e come sempre non ne avevo abbastanza.

Solo io sapevo quanto mi esprimessero i suoi ansimi. Bruciavano le corde vocali della sua voce melodiosa, ed io esigevo di quella corda graffiata e melensa. Quasi disperata.

Volevo confessare davanti a tutti la ragazza che amavo. Senza badare troppo alle conseguenze. Quando hai un peso nel petto, ti devi liberare per sentirti padrone di te stesso. Era ciò che avevo fatto. Ciò che aveva reso anche il pubblico felice.
Un po' meno Yuri, che quando finì il concerto mi venne a bussare nel camerino. Dove intanto pensavo al dopo concerto, nel letto con Carlotta. Alla sua pelle diafana e nuda. Solo al pensiero mi morsi il labbro.
Sapere che mi stava aspettando in stanza, sul nostro letto. Mi mandava a puttane il cervello.

Aprii la porta infastidito da quelle nocche che battevano sul legno con tonfi ritmici.
Guardai il suo viso impassibile, con una nota irosa, sulla fronte corrugata dove linee si formarono come grinze.

"Piaciuto il concerto?" Domandai normale, sapendo bene a cosa mi riferivo. Mi girai dandogli le spalle, ed aggiustandomi il ciuffo biondo, bagnato.

"Nel contratto non c'era una piazzata pubblica. Una rivelazione così. Chi ti ha dato il consenso di farlo?" Sentii il suo della sua voce spigoloso, porgendomi quella domanda lecita. Mi fregava qualcosa del suo parere?! Non me ne fregava un cazzo.

Mi girai con un sorrisetto sfacciato, infilandomi la maglia bianca.
"Me lo sono dato da solo. Il pubblico ha apprezzato" gli feci notare l'evidente, spiegando una mano in avanti e alzando le spalle.

Osservai il suo volto, farsi più accigliato, ma rimanere sul posto, come un soldato con le braccia lungo i fianchi.
"Non puoi fare di testa tua. Potevamo organizzare qualcosa. Un'intervista dove rivelavi di chi eri innamorato. Ma come sei dolce Joshua. Scommetti manderesti a puttane anche il frutto del tuo lavoro per lei. Lo faresti?" Domandò caustico, fissando i miei occhi che si fecero glaciali in quell'istante.

Afferrai la lattina di birra vuota, che avevo poggiata sul tavolino, schiacciandola tra le mani, con talmente tanta rabbia che mi avrebbe tagliato la mano.
"Della mia vita privata...cazzo. Te l'ho ripetuto mille volte, è affare mio. Intesi? E si. Si lo vuoi sapere, mille volte si. Manderei tutto in fumo. Perché la amo. Ma forse questa parola non la conosci, dato che appena sanno il tuo carattere di merda si dileguano." Affermai iroso, pungente più che potessi, sentendo la rabbia sviscerarsi e bruciare nelle vene con il sangue caldo. Avevamo gli occhi puntati addosso come due palle di fuoco. Iniettati di sangue.

"Mi fai ridere Joshua. Ma ogni cosa ha una conseguenza. Bel concerto" tornò più pacato e asettico. Come se non lo avesse smosso per nulla la mia sfuriata. Si portò le mani in tasca, accennandomi un sorriso stirato, prima di richiudere la porta, con un tonfo pesante.

Finii di prepararmi, non dando peso alle sue parole. Più volte avevo ripetuto che doveva stare fuori dalla mia vita, occupandosi solo del lavoro. Non ero un burattino da manovrare. Avevo dei sentimenti, pilotati verso Carlotta, e non potevo più nasconderlo. La volevo nella mia quotidianità. Avrei trovato un metodo, una soluzione per non farla mai sentire sola. Per non farle mai credere che per lei non ci sarei potuto essere. Anzi. Ero convinto che la stella cadente che avevo visto due mesi prima, fosse stata la stessa che era passata sopra il tetto di casa sua. Convinto che in quel momento i nostri occhi puntavano la stessa stella, la stessa direzione. Ed il desiderio espresso coincideva. Come coincideva quello di quando eravamo bambini.
Era il desiderio di ritrovarci. Ed ora era lì. Quasi ad aver paura di essere stato a dormire per troppo tempo, come un sogno perfetto. Ed appena apri gli occhi, ti accorgi che non è così.

Lasciai Yuri, dirigersi verso la sua stanza a passo felpato. Mentre io non me ne curai. Aveva sbagliato a credermi la sua marionetta.
Il mio scopo ora era di dirle tutta la verità. Anche sullo straniero. Che per quanto lei non mi volesse, io c'ero. Costantemente. Sempre. Che anche quando sua nonna morì ci piansi, come non mai. Avrei voluto essere lì ad abbracciarla, pronto per un conforto. Ed invece ero in un mondo mio. Troppo stupido per capire ciò che contava. Forse ce ne rendiamo conto solo dopo. Sempre avidi, a pensare a noi stessi. Siamo l'egoismo in persona. Ma avevo capito i miei molteplici sbagli. Non è mai troppo tardi per chiedere scusa, e rimediare.

Superai il corridoio, sentendo la suola delle mie scarpe, strusciare sulla moquette. Estrassi la carta magnetica, dal pantalone, in trepida attesa. Se mi avesse aspettato sveglia e pronta. Se stesse dormendo. L'avrei svegliata dandole teneri baci sul ventre piatto e nell'interno coscia succulento. Quella sua morbidezza che mi faceva venire voglia di riempirla sempre. Il suo corpo sotto le coperte caldo, dove le mie mani ruvide cercavano ogni tasto di lei.

Notai la lucida verde, darmi il consenso per accedere alla camera.
Mi tolsi il giubbotto di pelle, per lanciarlo svogliatamente sulla poltrona, appurandomi che fosse tutto spento.
Mi sfilai le scarpe, attento a fare piano, e lasciandole accanto al muro.
Finché non raggiunsi la camera con un sorriso incurvato e malizioso, sentendo una voragine nel petto. Un vuoto in cui stavo sprofondando, come se sabbie mobili ad un tratto mi avessero risucchiato nel fondale, senza pietà.
Il letto rifatto come l'avevamo lasciato. Solo qualche piega a farmi intendere che sopra si fosse poggiato qualcosa.
Accesi l'interruttore della luce con veemenza, guardando a terra. La sua valigia non c'era. Aprii il bagno con un cigolio pesante, dove la porta sbatté al muro vibrante, tornando appena in avanti.
Aprii anche la vetrata scorrevole che dava sul balcone. Un filo di vento, mi centrò in pieno, sentendomi come senza aria, anche se ce n'era talmente tanta che avrei potuto farne ingordigia. Solo i lampioni abbagliavano la strada affollata eppure così spoglia, e la luna alta, mi guardava con sguardo malinconico, quanto i miei occhi spenti.

Mi portai entrambe le mani su i capelli, tirandomeli per indolenzirmi il cuoio capelluto.
Sudavano come me.
Perché cazzo non era qui? Dove cazzo era andata? Che avevo fatto? Cazzo! L'avevo lasciata al concerto sorridente.
Sfilai il cellulare dalla tasca, guardandomi ancora intorno incredulo, sopprimendo delle lacrime.
Digitai con mani irose il suo numero, portandomi il cellulare all'orecchio, talmente attaccato al lobo, che mi sarebbe andato in fiamme.

Uno squillo, ed il io cuore cessò un battito. Quegli squilli melodici e liberi, che non aprivano il via alla sua voce. Riattaccai, portando il braccio indietro, dandomi lo slancio per scagliare quella scatolina inutile ora, contro il muro. Sentii il rumore plastificato pesante, ed il telefono aprirsi in due, come il mio cuore diviso.
Girovagai per i comodini, aprendoli con foga. Cercando qualcosa. Non sapevo cosa. Ero disperato, frustrato.

Presi la carta della camera, aprendo la porta e richiudendola con un tonfo che rimbombò tra le pareti, scendendo le scale di corsa, per cercarla. Andai fuori dalla Hall, sbattendo contro la gente e le valigia, di chi andava e veniva.
Il refolo di vento mi raggelò ma mai quanto il mio cuore scarno.
Come un pazzo guizzavo gli occhi a destra e sinistra, per scorgere la metà del mio cuore frantumato.

"Merda. Merda, cazzo!" Sbraitai fuori di me con tono graffiato che lasciava segni, non curandomi della gente che mi guardava.

Vidi la porta dell'Hotel accogliermi nuovamente con gentilezza. Quella di cui ora non ne necessitavo.
Tornai su, girovagando disperato e con un risolino amaro nella voce e stampato sul volto che sembrava di cera. Sorpassai tutti i corridoi. Finché non andai a bussare da Samuel e Toby.
Alzai una mano stretta in un pugno, dove le nocche divennero bianche, bussando.
Sentii un borbottio della voce di Samuel, per poi avvertire il cigolio debole della porta aprirsi ed un Samuel in boxer ed assonnato aprire, grattandosi la nuca.
"Joshua?" Domandò con voce impastata, e gli occhi socchiusi.

"Dov'è Carlotta?" Gli domandai a bruciapelo, nel pieno stato di incazzatura e piena frustrazione.

Sbarrò gli occhi di scatto, come se si fosse ripreso dal trance, fissandomi stralunato.
"Come dov'è. Sarà in camera presumo" affermò cristallino e idiota. Cazzo un'idiota davvero.

"Secondo te se era in quella fottutissima camera, venivo da voi a chiedere dove fosse?" Rintuzzai serio e duro. Non m'importava di essere gentile e garbato. Non ora.

Lo vidi annuire, passandosi una mano tra i capelli.
"Non lo so Joshua. Vorrei aiutarti ma non lo So." Rivelò pacato e più serio, mentre spiegai una mano come due -non importa- sentendo la porta richiudersi piano.

Tornai fiacco in camera, per notare appena girai lo sguardo verso il comò all'entrata, una lettera piegata, e Mr Wilson appoggiato sopra come un fermacarte. Quel porco spino che conteneva il nostro amore, la nostra passione, la nostra tristezza. Lo presi in mano come se fosse stato un oggetto di un valore inestimabile. Tremavo come una foglia in una giornata di vento improvvisa. Dove quando il sole va via, lascia spazio a nuvoloni grigiastri in un cielo plumbeo. Lo accarezzai, per placare il mio stato d'animo afflitto. Sentivo un groviglio nello stomaco che brontolava. Faceva male al petto come lance che ti trafiggono. Finché non lo gettai contro al letto, vedendolo saltare sul materasso con un tonfo sordo, e cadere a terra, fermandosi, come il mio cuore.
Innalzai un sopracciglio con mani tremolanti, afferrando la lettera, spiegazzandola appena. Potevo ancora sentire l'odore dei nostri corpi e del suo profumo in questa maledetta camera, nonostante il vento entrato avrebbe dovuto spazzare via tutto.
Lessi con occhi attenti, ciò che c'era scritto, e con un groppo in gola.

Se hai trovato la lettera, probabilmente t'importa di me. Mi avrai cercata...deduco. Ed in realtà, sai...non ho un motivo preciso per scriverti. Quando ti ho rincontrato in quel ufficio, mi sono maledetta da sola. Così bello e così mio, eppure non eri mio. Ma potevo ancora percepire il nostro legame. Perché abbiamo un filo indissolubile che ci tiene ancorati. Rifare l'amore con te...Joshua ti amo davvero. Ma poi c'è sempre qualcosa che ostacola la nostra felicità...sempre qualcuno che mi spazza via tutte le certezze che ho. Ed io sono stanca di combattere. Vorrei non credere alle parole, ma non posso fidarmi nuovamente di te, se non ho il tempo per riacquistare fiducia.
-grazie della bella serata...baci- eri serio? Perché mentirmi? Potevi dirmi di essere stato a letto con lei.
Se vorrai saprai come trovarmi. Ho bisogno di tempo. Non so se credere a lei oppure al nostro amore. Tempo, io ti chiedo tempo ancora, sento le mie urla scivolare giù alla gola.

Carlotta

Accartocciai il foglio nella mano, quasi a formare una palla, tenendolo stretto nel pugno forte. Mi aveva riportato le frasi della canzone. Ed ora il mio pensiero era solo uno. Madison.

Aprii la porta di camera, sbattendola fortemente dietro le mie spalle, e varcai quel corridoio come un campo di battaglia. Ero una mina pronta ad esplodere.
Serrai la mano in un pugno veemente, tanto che mi si sarebbe indolenzito, e non avrei più sentito dolore, non quanto ne provavo realmente. Arrivai davanti la sua porta. Il numero in rilievo. Diedi due, tre colpi di nocche potenti. Finché non sentii la sua voce squillante, annunciare il suo arrivo.
Sentivo le tempie pulsare, e quando la porta di aprì la spintonai dentro, vedendo il suo volto perplesso e gli occhi sgranarsi, ingigantendosi.
"Joshua" proclamò come se non mi credesse davvero lì. La presi per le spalle, sbattendola contro il muro dove sussultò e spalanco le labbra per il dolore che le procurai, mentre sbattei un palmo sul muro freddo, con un tonfo spossante, al lato della sua testa.

"Che cazzo hai detto a Carlotta?" Digrignai i denti, sentendo la gola raschiarmi le pareti interne, per l'impetuosità con cui diedi sfogo alla mia domanda.
La guardai vorace, negli occhi impauriti, mentre diede una chiusura di palpebre per riaprirle.

"Non le ho detto niente. Solo la verità" annunciò sicura, sentendo la sua mano poggiarsi sulla spalla. Ma gliela scansai in malo modo, vedendola ritrarre come se avesse preso una scossa.

Mi feci più vicino, sentendo il suo fiato spezzato a frequenze.
"Dimmi che le hai detto. Sai Madison ti ho sempre trattato bene. Ma ora mi hai rotto il cazzo. Vuoi essere scopata? Solo quello potrei darti. Perché ti ripeto che come otto anni fa, c'è solo una ragazza che amo. E quella è Carlotta" tuonai ispido e più veritiero possibile, senza staccarmi dal suo contatto visivo.

La guardai abbassare lo sguardo colpevole, facendo congiungere le labbra e scoccarle in avanti, con un rumore simile ad un tappo di una bottiglia, stappata.
"Non ho scusanti che tengano. Sono tornata perché me lo ha chiesto mio zio, ma principalmente perché provo ancora qualcosa per te. Vederti felice con lei mi logora. E lo so che tu non provi nulla. Ma..." la bloccai, allontanando il mio corpo per lasciarla libera, mentre ero solo indignato.

"Vai via dalla mia vista. Fai i tuoi cazzo di bagagli e levati di torno. Con tuo zio ci parlerò io. Non abbiamo nulla da spartire. Ficcatelo in testa. Dovresti pensare a tua figlia. Il numero di Mark l'hai. Risolvitela da sola. Addio Madison" sputai fuori con il sangue che pompava nelle vene, quelle parole e con altrettanto disprezzo, afferrai la maniglia fredda della porta, richiudendolo con un tonfo vibrante.

-•Siamo schegge di diamante, senza scelta ma condanne.
Soldati allineati su un fronte, stanno fermi
Sul viso nascondono segni di cedimenti.
Troppo presi dalla loro avidità, c'è chi dice che ritornerà. In questa casa abbandonata, vedi la mira cruda, spara.

Non mi possono far male
Non mi possono fermare
Lancio la moneta testa o croce.
Scegli il mio destino, scegli la mia fine,
Resto nelle tue mani, mi affido ai tuoi piani.

Ho lottato contro il fronte, ero uno ma più forte. Mi hanno stretto la mia mano, dove ancora ti cercavo. Si, sono tornato, da vincitore ma perdente, non ti vedo e non m'importa più niente.
Ho saputo che sei andata via, da una vita e non sei più mia, ho perso la speranza ho acceso un silenziatore, ecco la mira, spara.

Non mi possono far male
Non mi possono fermare
Lancio la moneta testa o croce.
Scegli il mio destino, scegli la mia fine,
Resto nelle tue mani, mi affido ai tuoi piani.

Guarda, senti, vedi, mi blocchi,
Monta, sopra, vedi, mi tocchi.
Tu sei una tentatrice, io ti lascio segni di una cicatrice, tu sei la mia tentatrice, io ti lascio i segni...di questa cicatrice.

Non mi possono far male
Non mi possono fermare
Lancio la moneta testa o croce.
Scegli il mio destino, scegli la mia fine,
Resto nelle tue mani, mi affido ai tuoi piani. •-

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