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Pov. Joshua
Tornai nella camera d'albergo. Domani sarei ritornato a New York. Mi era mancato quel posto. L'unico che riaffiorava i ricordi miei e di Carlotta. Quelli che cercavo di scacciare violentemente e invece tornavano prepotentemente. Onde possenti che mi travolgevano rischiando di annegare nell'azzurro dei suoi occhi.
Portavo sempre dietro con me quella cartellina con le mie prime canzoni scritte. Non erano buone ma per me avevano significato. Cantavo per il pubblico mentre nove anni fa cantavo solo per quella spocchiosa che avevo odiato e sempre amato. I suoi occhi non li avrei dimenticati quando accennai la mia prima canzone. Persa ed affascinata.
-mi piace questa frase. Unirei le due metà all'istante.
Aprii la valigia, scostando i vestiti che avevo imparato a piegare perfettamente, trovando nel fondale la cartellina azzurra. La presi con le mani tremanti, togliendo l'elastico bianco che la teneva ferma.
Erano tutte lì. Tutti pezzi di vita. Piccoli collage di vita vissuta e persa.
Ne trovai una, tra le tante più dolci, che rispecchiava il mio stato. L'avevo scritta quando non voleva ascoltarmi sul fatto che non avevo baciato Madison come credeva. La potevo spolverare ed utilizzare. Sarebbe stato semplice. Significava molto per me.
Sento la tua voce il resto non è niente.
Fissavo quella vita con occhi spenti, mi hai illuminato la vista, regalandomi sentimenti.
Giro questo cortometraggio sarai il mio miraggio.
Ho cercato vie di fuga, scappatoie, trovavo solo strettoie.
Incastrato in un posto che non mi sento, afferro la tua mano in questo momento.
Vorrei volare, farti ammirare.
La vita cos'è in assenza di te
Dove il bianco diventa nero
Dove un cielo non è sereno
Vorrei donare, potrei regalare
La mia vita a te,
Sei la presenza fondamentale per me
Ho aspettato tempo, dicevo che non era il momento.
Ho accantonato le vittorie, qualche bottiglia un po' di glorie.
Ho fallito miseramente in ciò in cui credevo realmente.
Vorrei volare, farti ammirare.
La vita cos'è in assenza di te
Dove il bianco diventa nero
Dove un cielo non è sereno
Vorrei donare, potrei regalare
La mia vita a te,
Sei la presenza fondamentale per me
Puoi non credermi, dico guardami
Non hai niente da perderti
Dico seguimi, puoi non credermi
Ma non puoi perdermi.
Come un'ombra io ti seguo. Invisibile agli occhi degli altri sarai il mio segreto.
Ho aperto un varco per scappare
Tra le mie rime insensate
Vorrei volare, farti ammirare.
La vita cos'è in assenza di te
Dove il bianco diventa nero
Dove un cielo non è sereno
Vorrei donare, potrei regalare
La mia vita a te,
Sei la presenza fondamentale per me.
La rilessi, più e più volte. Cantando nella mia testa il ritmo. Ticchettavo i polpastrelli sulla testata del letto in ferro battuto, seguendo il tempo.
La vita cos'era in assenza di lei? Un buco nero in cui io vi ero sprofondato dentro. Troppo orgoglioso per chiarire. Troppo coglione.
Era vero che non mi mancava niente. Uscivo ogni sera con ragazze diverse. Erano uno svago, puro divertimento. Non confondevo il sesso con l'amore, lei mi aveva insegnato questa lezione. Mi si era ritorto contro il mio cuore. Non mi pentivo di niente. Ogni secondo speso con Carlotta valeva la pena. Avrei riavvolto il nastro se fosse stato necessario per ricominciare daccapo. Volevo solo non averla persa. Non poteva aspettarmi, non poteva vivere di briciole.
Riposai il testo nella cartella, alzandomi dal letto e sentii le molle rilassarsi, come se si fossero tolte un peso di dosso. Il peso delle mie colpe.
Chiusi la valigia. Domani mattina ci sarebbe stato il volo diretto di nuovo lì. Non l'avrei dovuta rincontrare neanche per puro sbaglio. Ma lo sapevo che la nostra storia era iniziata da uno sbaglio.
Pov. Carlotta
"Ho sentito dire che farai un programma tutto tuo, su i cantanti" mi fece alzare di scatto la testa Amanda parlando senza prendere fiato, e notai la vena sul suo collo ingrossarsi fino a tornare normale.
"Si" confermai alzando le spalle con modestia, per poi afferrarle le mani da sotto il bancone e sbattere debolmente i piedi con un risolino a bassa voce per non farci sentire.
Solo ieri mi aveva dato la notizia Greg. Ancora non potevo crederci. Mitch era orgoglioso, ma mi aveva rivelato che se fossi stata troppo via mi sarebbe venuto a cercare. Non avrebbe sopportato a lungo la mia assenza, e poi ero l'unica che apprezzava i suoi toast bruciacchiati. Avevano quel sapore più...non lo so, bruciato?!?
I neuroni di sicuro mia cara Carlottina!
Proclamò beffarda la mia vocina. Ed ora anche lei mi chiamava con quel nomignolo che avevo odiato, amato ed ora detestato.
Diedi una rapida occhiata all'orologio sul polso di Amanda con il cinturino in cuoio verde, notando che era l'ora di pranzo.
Mi tolsi gli occhiali, stropicciandomi gli occhi. Dopo un po' andava tutto in panne, come il mio cervello, che quando avvertiva fame si scollegava e si sintonizzava su Masterchef.
"Oggi offro io" avvertii Amanda con un tono che non ammetteva repliche. Poiché fu entusiasta della notizia.
Ci alzammo dalle sedie, prendendo la borsa sul braccio, avviandoci verso l'ascensore. Finché non Vidii Diana, scuotere la sua folta chioma bionda ed in parte erano più extension che capelli naturali, ed un sorriso sfavillante sulle labbra rosa shocking, avvolta come un insaccato, in un tubino Beige.
"Maiala ore 13:00" tossì falsamente Amanda, bisbigliandomi quelle parole all'orecchio che mi portarono a sorridere e tirarle una gomitata amichevole. Poiché si stava dirigendo verso di noi, che aspettavamo l'arrivo dell'ascensore.
"Carlotta" mi salutò melensa per la prima volta dopo due anni che lavorava lì.
"Diana" replicai con tono ancora più falso ed un sorriso sgargiante che mi tirava le guance tanto da farmi male.
"Mi dispiace che Greg abbia dato il tuo programma...a me" rivelò con finto rammarico, puntandosi la mano contro al petto con superbia.
Sentii il campanellino dell'ascensore, risollevarmi, mentre un'Amanda borbottava qualcosa sotto voce. Parole derisorie contro Diana ne ero certa.
Entrai dentro l'ascensore dopo di Amanda, facendo spallucce in direzione di Diana.
"Figurati. Avrò un programma su i cantanti. Idea di Greg" sbattei le ciglia, cercando di tenere una tonalità soffice, ma dentro stavo gioendo e godendo in pieno. Poiché la sua espressione solare tramutò, accigliandosi quanto bastava per esultare ancora di più.
Finché non si chiusero appena le porte, vedendola girarsi e camminare stizzita su i tacchi.
"L'hai ghiacciata" proruppe Amanda, aggiustandosi la coda allo specchio affisso sulla parete Metallica.
Mi agganciai la giacca, poiché una folata di vento fresco si scagliò contro il mio collo, portandomi a rabbrividire debolmente.
Ci avviammo verso il nostro punto pranzo fedele. Era una piccola locanda, in stile rustico. Un soffitto a travi, panche e tavoli in legno mogano, con intarsi. Le pareti erano rosse ed un arco interamente di mattoni.
Entrammo dentro, vedendo il proprietario John salutarci da dietro il bancone.
"Pausa pranzo" affermò vivace. Ormai conosceva le nostre abitudini.
Annuimmo, vedendolo fissarci con gli occhi verdi vispi. Era un signore di settant'anni. Calvo e grassoccio. Ma in compenso era di una simpatia unica, e cosa più importante faceva sentire i clienti come a casa propria, con la voglia di ritornare a mangiare.
"Oggi decido io" puntualizzò beffardo, gesticolando con la mano in aria.
Guardai Amanda mordersi il labbro per trattenere una risata, per guizzare di nuovo verso di John.
"Ci fidiamo di te" lo ripresi con lo stesso tono allegro, strizzandogli l'occhio, mentre si avviò nella cucina.
Non era parecchio affollato, il che era un bene. Presi il cellulare in mano, poggiando i gomiti sulla tovaglia a quadri rossi e bianchi.
Avevo un messaggio da Devis.
Un sorriso mi nacque spontaneo sul volto. Era semplice e rilassante parlare con lui. Non avrei saputo trovare aggettivi migliore per descrivere questa sorta di Amicizia virtuale. Se così si poteva definire.
Da Devis
-Straniera come va? Io in questo periodo sono sempre incasinato.
Non sapevo che lavoro facesse. Sapevo solo che aveva la mia età. Forse era vero o forse no. Ma che senso aveva fingersi una persona diversa?! Perciò volevo credergli ma se non era lui a parlarmene non mi sbilanciavo a fare domande.
Guardai Amanda alzarsi per prendere un giornale che aveva catturato la sua attenzione. Era diventata fissata con il gossip ed a lavorare alla Tele Corporation, ancor di più. Sembrava che il gossip fosse la sua ultima riserva d'acqua in un deserto arido ed afoso.
Devis
-Straniero hola. Posso dire di stare bene. Ho ottenuto un incarico importante a lavoro. Incrocia le dita per me.
Rilessi il messaggio per controllare, inviandolo. Nel mentre John ci portò un piatto di pasta, che dall'odore e dall'aspetto sembrava invitante. Lasciava quella scia che si dissolveva nell'aria ed il profumo si espandeva tra le pareti.
"È una ricetta italiana. Si chiama...carbonara" rivelò fiero quella parola, dove s'illuminarono i suoi occhi. Benché sapevo cosa fosse. Mia nonna me la cucinava sempre. Ma comunque finsi che fosse la mia prima volta. Aveva un sorriso ed una luce speciale quell'uomo che non avrei rovinato quella contentezza.
Forse ero nata per far contenti gli altri, talmente tanto che esaurivo tutta la felicità senza lasciarmene neanche un briciolo. Mi sarebbe servita la polverina di Pollon, e forse neanche lei poteva far miracoli.
"No. Non é possibile" sobbalzai dalla sedia, presa alla sprovvista mentre giravo sulla forchetta gli spaghetti persa nei pensieri di quell'odioso.
Alzai gli occhi su quelli dorati di Amanda, che sembrava basita, e le labbra leggermente spalancate.
"Amy" la chiamai per riscuoterla da uno stato di trance momentaneo. Probabilmente aveva letto che il suo attore preferito si era innamorato di una modella.
Scosse la testa, chiudendo le labbra e sbattendo le ciglia per tornare sul pianeta terra.
Non parlò, mi porse solo il giornale, che le strappai dalla mano.
Potevo leggere tutto, la mia vista reggeva cose peggiori, ma questa che era scritta a caratteri cubitali era una disgrazia, una strage, un disastro.
-Joshua Wilson "ritorno a New York per un concerto di beneficienza. Con un pezzo inedito".
Accartocciai il giornale tra le mani che prudevano, stringendolo talmente tanto da farlo diventare una palla di fogli.
Lo stomaco si era chiuso. Una fitta al petto, arrivò senza preavviso, facendomi portare una mano sul punto che mi faceva male da quattro anni.
"Carly. Non è possibile che lo incontri. Andiamo New York è immensa" provò a risollevarmi il morale Amanda con voce carezzevole, ma non sentivo niente se non l'agitazione e la paura di rivederlo. Le gambe iniziarono a ballare sotto al tavolo, con un tremolio sconnesso.
Sarebbe tornato. Certo era vero che era grande. E poi domani ci sarebbe stato l'incontro con un cantante. Speravo solo che fosse attraente, ben dotato, simpatico, meno puttaniere di ciò che era Joshua. Ogni volta che vedevo un giornale e scoprivo che tra quelle pagine c'era una foto di lui lo buttavo nel cestino più vicino che trovavo per strada. Non mi soffermavo a leggere l'articolo. Mi bastava vedere la sua foto e quella della ragazza che le stava affianco. E non era mai la stessa. Forse le nascondeva nell'armadio in mezzo alle magliette. Questa è consumata, avanti con la prossima. Una collezione di figurine e francobolli. Ecco cosa erano per lui. Io ero una delle tante figurine e magliette. Usata troppo tempo ed inutile riutilizzarla.
Presi una forchettata di spaghetti, quasi a voler rompere il piatto dal modo iroso in cui battei la forchetta nel piatto. Mentre rialzai lo sguardo verso Amanda che sembrava dispiaciuta di avermi rivelato quella notizia bomba.
"Sai Amy. Hai ragione. New York è immensa, domani avrò un incontro importante e niente neanche Joshua Wilson, potrà togliermi questo sorriso, e l'immensa felicità che provo" dichiarai veemente come se stessi parlando ad un pubblico di gente. Sentivo gli applausi che purtroppo mi facevo solo mentalmente e mi rendevo conto del disagio. Sentii la mano di Amanda poggiarmi sulla mia ed annuire. Era confortante averla con me. Era l'unica che mi capiva più di qualsiasi altro. Anche se quando avevo bisogno di un consiglio più difficile mi rintanavo a casa dei miei genitori, ma ogni volta l'argomento Joshua sembrava il loro preferito, ed evitavo molto spesso di andare per questo ed inventarmi scuse.
Joshua non era stato uno sbaglio, era stato un gigantesco disastro. Un disastro per il mio cuore.
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