34
Pov. Joshua
Potevo prendere a pugni il mondo intero. Cazzo! Risentire il suo sapore ancora una volta. La sua pelle diafana che in otto fottuti anni sapeva ancora soggiogarmi, inebriarmi di susina con quel sapore salato che lasciava sul palato. Perché Carlotta era dolce e salata, era un mix che non potevo cancellare neanche volendo. Il suo desiderio era palpabile quanto il mio. Inutile nascondersi dietro una barriera di cristallo dove potevi vedere tutto. Come quelle vetrine che ti separano dal negozio, ma tu al di fuori vedi cosa contengono all'interno.
Le avevo sputato in faccia parole dure, non avrei chiesto scusa. Era qualcosa che mi logorava, mi sentivo completamente frustrato. Fuori e dentro di me. Avrei voluto riparare al danno commesso. Ho aspettato troppi anni. Se avessi usato di più la mia testa, ciò non sarebbe successo. Era davvero troppo chiedere una seconda opportunità? Uno spiraglio di speranza vana, di poter vedere se la nostra relazione sarebbe divenuta altro?! Forse era chiedere l'immenso, ma per Carlotta l'avrei trasformato in possibilità. Ma lei questa opportunità non me la voleva dare.
Sbattei la porta con irruenza, dietro le mie spalle. Avviandomi verso l'ascensore. Quando una voce familiare al mio udito, frenò la mia corsa verso quelle porte metalliche.
"Joshua. Ho sentito litigare è successo qualcosa?" Mi girai verso Madison, con aria scocciata ma le rivolsi lo stesso un sorriso anche se stirato. Non avevo voglia di parlare.
"No, niente" mentii vedendola annuire, e guardare il cellulare, per riporlo in borsa con irruenza.
"Tu, come stai?" Le domandai, cambiando volutamente discorso. Alzò gli occhi sbigottiti verso di me, per spostarsi i capelli biondi con un gesto della mano come frustrata.
"Sempre le solite cose" affermò asettica, alzando le spalle come sconfitta.
"Si aggiusterà tutto" la rassicurai, pigiando il bottone dell'ascensore, sperando che arrivasse in fretta e mi trasportasse lontano da questo piano.
"Lo spero" mi comunicò fievole, prima di salutarmi ed avviarsi nella sua stanza.
"Lo sai che per qualsiasi cosa, ci sono Joshua" aggiunse, voltandosi a metà viso verso di me, ed annuii come ero solito fare da un po'.
Tornai in camera, sbattendo di nuovo la porta con veemenza che produsse un tonfo assordante.
Non era solo l'abbraccio con Madison. Era tutto l'insieme. Piccoli pezzi che mano mano si erano rotti, ed era difficile ricomporli. Non avevamo una colla abbastanza forte. Speravo di trovarla, ma non sempre le cose vanno secondo i nostri piani. Era destino che dovessimo riscontrarci, ma era anche destino che dovevamo stare assieme. Non lo capiva. Non lo accettava. Un mezz'uomo. Ecco cos'ero.
La mattina dopo, Yuri mi venne a comunicare che Carlotta era già partita con Samuel e Toby. Non aveva avuto neanche l'accortezza di venirmelo a dire lei di persona. Le facevo talmente provare tanto odio, da non essere in grado di dirmi le cose come stavano?! Dio. Io l'avevo posseduta. Sentivo come cazzo ansimava. Fottuto io che ci speravo. Aveva il suo Mitch. Come un tempo aveva il suo Michael. Ma nessuno mi aveva impedito di farla mia con il corpo e con il cuore, e neanche Mitch me l'avrebbe impedito. O qualsiasi altro nome del cazzo.
Mi accasciai sulla poltrona di pelle Beige del Jet. C'era anche Madison con noi, che ogni tanto tentava d'iniziare una conversazione. Cosa si era presa. Un anno sabbatico? Beh poteva tornare da sua figlia, invece di sbattermi il cazzo a me.
"Joshua ti vedo stra..." sbuffai, girandomi verso di lei nella parte opposta del Jet, mentre teneva una tazza di caffè fumante in mano.
"Non è giornata. Non voglio essere scorbutico. Ti pregherei di non parlarmi, non ora" proclamai secco ma tentando di non essere burbero con chi forse non se lo meritava. Guardai Yuri scuotere la testa, ma lo lasciai perdere. Rimettendomi a guardare il finestrino piccolo, e la distesa di nuvole, rivivendo i ricordi con Carlotta che speravo tornassero presenti e futuri molto presto.
Convinciti Joshua. L'hai lasciata scappare. Pretendevi che due paroline bastassero per fermarti e sentirti dire -ricominciamo, anche io ti amo ancora- illuso. C'illudiamo sempre nella nostra mente, facciamo prologhi e film mentali talmente avanzati, che quando torniamo circondati dalla realtà ci sentiamo presi a schiaffi in viso.
Aveva ragione la mia vocina interna. Ero un illuso. Ma avrei trovato un metodo. Forse imparare ad essere sincero con lei. Anche con le conseguenze che avrebbero comportato, dovevo.
Scendemmo dal Jet, sentendo Yuri affiancarmi ed iniziare il suo sproloquio, sul concerto da tenere il giorno dopo. Non prestavo attenzione, forse era logico che avessi la testa altrove.
Come sempre c'era una macchina ad aspettarci, ed entrammo dentro.
In quel momento la mia priorità era solo di farmi un bagno caldo, e lasciare che i pensieri annegassero nell'acqua. Sarebbero riemersi come il mio corpo, una volta tolto lo sporco, che magari portavo dentro e neanche me ne rendevo conto.
Passammo sotto al Tower Bridge, e dire che ero affascinato era dire poco. Sapevo che di notte fosse ancora più ammaliante, ma già alla luce del giorno con il sole che batteva sui finestrini della macchina, era uno spettacolo mozzafiato.
Ci fermammo davanti al un Hotel nel pieno centro caotico ma pur sempre magnifico, di Londra.
Scesi dalla macchina e richiusi po sportello con un tonfo debole per alzare gli occhi. Dire che era un hotel era davvero riduttivo. Sembrava un castello delle fiabe, una di quelle dove io ero il principe che salvava la principessa Carlotta. Solo che non dovevo salvarla da nessuno se non da me stesso.
Lo guardai, Tutto illuminato intorno, ed alcune facciate dipinte di rosso. Era in stile Vittoriano, mischiato al gotico e rococo. Le finestre erano esattamente nello stile tipico Londinese. Ovvero tre vetrate, dalla mezza forma esagonale.
Il facchino si avviò verso di noi, portando le valigie sul carrello d'orato e la porta a vetro si spalancò. Ammirai la moquette bordeaux a terra, ed i lampadari a goccia dorati, scendevano giù armoniosamente, come cristalli luccicanti.
Ci avviammo verso la reception, dal bancone legno ciliegio, dove una ragazza dai capelli biondi corti e la divisa blu notte, ci consegnò le rispettive tessere magnetiche, delle camere.
L'ascensore in vetro, si spalancò, accogliendoci dentro. Yuri e Madison chiacchieravano animatamente tra loro, mentre io restavo in disparte a pensare a lei.
"Domani dobbiamo andare ad incidere il nuovo singolo" proruppe Yuri, voltandosi verso di me, mentre si aggiustava la giacca nera.
"Lo so, devo rivedere solo qualcosa" affermai asettico, sentendo il trillo del campanellino, emettere l'eco tra le pareti, ed aprirsi.
"Ci vediamo stasera a cena" mi girai verso Yuri, annuendo e salutai Madison, guardandoli percorrere il corridoio dalle pareti ricoperte da carta da parati dorate a rombi rossi.
Strusciai la carta Metallica, sulla porta bianca, vedendo la lucina verde darmi il consenso per entrare.
Trovai già le valigie poggiate al muro bianco, e mi diressi in camera, dove c'era un letto a baldacchino ad accogliermi, con il tendaggio bianco e casto. Mi sfilai le scarpe, camminando scalzo sul parquet, fino ad arrivare in bagno e togliermi gl'indumenti che avevo addosso. Avevo bisogno di evadere. Di sapere se Carlotta fosse già arrivata e in che stanza abitasse.
Non abita più nella stanza più importante, quella del tuo cuore. Se l'è ripreso e non te lo ridarà indietro.
Mi stava iniziando ad urtare i nervi questa cazzo di vocina interiore. Come sempre aveva fottutamente ragione.
Azionai il getto del soffione, richiudendo il vetro del box doccia che a poco a poco si vestì di piccole gocce e condensa, lasciandomi inebriare di un profumo che ricordava il suo alla susina. Inutile dire che il mio pensiero era sempre rivolto a lei. Alla sua pelle diafana e nuda. Qualcosa che avrei abusato a vita. E sicuramente il mio membro era d'accordo con me. Battei una mano con un tonfo ovattato sulle piastrelle bianche lucide.
L'acqua scorreva lungo il mio corpo, ma nulla riusciva a lavare via l'amaro che sentivo in bocca e si riverberava sul palato.
Chiusi il getto, afferrando un telo posto sopra il termosifone, e me lo legai intorno ai fianchi.
Passai una pezza sopra allo specchio appannato, e mi frizionai i capelli. Guardai i miei occhi azzurri più spenti e stanchi. Erano due giorni che non dormivo come era giusto. La mia mente non era mai stanca, anche se il
mio fisico cedeva e richiedeva riposo.
Avrei dovuto pensare anche alla mia carriera. Stava andando tutto alla grande. Ma da quando era riapparsa lei come una magia dolce ma al tempo stesso straziante, tutto stava vacillando. Perdevo certezze e seminavo disastri.
Aprii la porta del bagno, ma nell'esatto momento che lo feci mi apparve lei davanti.
I capelli rilegati in una coda alta, un jeans che enfatizzava le sue curve da donna, quelle per cui impazzivo. Una camicetta da qui intravidi il reggiseno di pizzo nero, ed i suoi occhi pacifici due palle di fuoco ridotte a fessure talmente piccole che stentai a pensare che mi avesse visto.
Rimasi attonito un attimo, ed ero certo che le mie pupille si fossero dilatate per lo
Stupore e per la voglia di sbatterla su quel cazzo di letto a baldacchino.
Ma mi ricomposi, passandomi una mano sul ciuffo biondo ancora bagnato, ed increspai le labbra nel mio sorrisetto laterale. Sapevo che facendo così avrebbe sbottato.
"Che cazzo ci fai nella mia stanza?" Come volevasi dimostrare, alzò di un'ottava il
Suono della sua voce, tanto da renderlo
Strozzato. La notai deglutire ed un po' di rossore spargersi sul suo volto, notando il mio petto nudo.
Ammettilo che ti faccio ancora effetto mia piccola Carlottina spocchiosa.
"Se non hai notato, sono arrivato prima io" confermai il vero, in maniera pacata, sorpassandola con una spallata che sembrò provocarci una scossa elettrica, che si riverberava all'interno di noi. Mi adagiai sul letto in modo pesante e naturale, come se niente fosse, sentendo le molle scricchiolare ed arrendersi al mio peso.
Portai il braccio dietro la testa, guardandola di tralice mordersi il labbro e scuotere la testa come a dire -odioso del cazzo-. Lo sapevo che lo pensava.
"Cavolo, mi sembra surreale. Lo stesso modo in cui i tuoi genitori sono stati obbligati a stare in stretto contatto" rivelò seccata, tirando fuori la storia dei miei. Mia madre l'aveva raccontata così tante volte, che mi sembrava di essere lì con loro.
"Loro però poi si sono innamorati" ammisi carezzevole, guardandola in modo più intenso, tanto quanto i suoi occhi che s'incastrarono con i miei in un secondo.
Si portò i capelli all'indietro con il suo gesto innocente, che mi faceva impazzire. La vidi abbassare lo sguardo ed annuire debolmente.
"Già. Ma nel caso di noi due è diverso. Noi siamo già stati..." lasciò la frase in sospeso, e le sue parole erano dei sussurri sommessi. Coperti da valanghe di menzogne più grandi di noi.
"Hai paura a dire quella parola?" La istigai risoluto, balzando dal letto, e le molle scricchiolarono più pesantemente, quanto il mio tono. Le andai incontro, vedendola deglutire ed arretrare fino al muro al lato del balcone, dove una tenda Beige separava dalla vetrata.
"Q...quale?" Domandò balbettando, come se non lo sapesse ed invece ne era più che conscia.
Le fui talmente vicino da sentire il suo alito alla fragola, divenire pesante, e gli occhi più luminosi. La mia Londra notturna l'avrei trovata nella stanza. Bastavano i suoi occhi cristallini per illuminare un intero Hotel, un'intera città.
"Innamorati...questo siamo stati, e per quanto tu ti stia sforzando..." mi avvicinai più cauto al suo orecchio, sentendola tremare come me. Le poggiai le labbra sul lobo fresco, ed un respiro arreso uscì sommesso dalle sue labbra rosse dischiuse.
"Lo siamo ancora" le rivelai assertivo, allontanandomi il minuto dopo, e trovandola con gli occhi chiusi per far rimanere quelle emozioni dentro senza esternarle.
La notai riaprirle lentamente, e sbattere le lunghe ciglia.
"Ci vediamo dopo" proclamò come affaticata ed in combutta con se stessa mentre non mi diede il tempo di rispondere che afferrò la borsa, adagiata scomodamente sulla poltrona di pelle rossa, e richiudere la porta con un tonfo secco.
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