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Pov. Carlotta

Mi rigirai nel letto. Tra quelle calde e soffici lenzuola che odoravano di Marsiglia. No non sarei sgusciata fuori da lì per niente al mondo. Ed invece il rumore della sveglia al cellulare, con tanto di vibrazione e canzoncina petulante, compreso il tonfo assordante di quando cadde dal comodino, mi fece intendere che un'altra giornata iniziava.

INIZIAVA! Porca puzzola!

Era il giorno della riunione in ufficio. Dovevo presentare il progetto per il mio programma.

Scostai con un movimento repentino le coperte, con l'aiuto delle gambe che alzai, e scacciai le lenzuola che finirono adagiate ai piedi del letto fino a toccare il parquet rovere. Potevo dire che me la cavavo bene per non aver mai fatto ginnastica artistica o karatè. Imparavo direttamente nel letto quelle mosse strane.

La luce che emanava la finestra mi colpì in pieno il viso, parandomi con una mano davanti. Potevo fare concorrenza a Bella Swan divenuta vampira.

Andai in cucina, zampettando sulle gambe per togliermi i pantaloni del pigiama, trovando un Mitch in boxer a cucinare i suoi toast e pancake con tanto amore. La mia vista gioiva di tutto ciò.

Ridussi gli occhi a due fessure, per guardare dall'orologio affisso sulla parete arancione che diamine di ore fossero.
"Hai visto i miei occhiali Mitch?" Domandai piagnucolando e le lancette si confondeva con i numeri romani.

Si girò con il mestolo in mano, pronto a girare il pancake e così fece. Una dolce capriola, vedendo il cerchio perfetto dell'impasto adagiarsi nuovamente sulla padella.
"Intendi questi?" Più che una domanda era un'affermazione benché lui non portasse gli occhiali. Allungò il braccio verso il top in marmo per porgermeli.

"Si...dove erano?" Domandai, fissando la montatura a tartaruga marrone degli occhiali, e con l'altra mano grattarmi la nuca, che prudeva.

"Diciamo che il frigo non è esattamente un posto dove uno mette gli occhiali. Precisamente dentro al ripiano delle uova" innalzò un sopracciglio scuro, mostrando la fossetta in mezzo al mento, con un tono derisorio.

"Simpatico, davvero simpatico" lo ripresi fingendo un tono offeso, per avviarmi lesta verso il bagno.

Girai i capelli in una crocchia scomposta, fissandoli con una pinza. Mi tolsi anche la maglia del pigiama, mettendola nel cesto in vimini, ed entrai dentro il box doccia richiudendo il vetro.
Il soffione cacciò fuori l'acqua che da tiepida, divenne calda.

Un motivo gironzolava nella mia testa. La canzone di Joshua. Non capivo perché in quei momenti meno opportuni, lui riaffiorasse dentro di me. Era un'esigenza che sentiva il mio cuore. Da quando ci eravamo detti Addio, non avevo più trovato nessuno che mi facesse battere il cuore. Non avvertivo più nessuna emozione talmente forte da portarmi ad annientare il resto del mondo che con Joshua sembrava piccolo come una formica e noi eravamo dei giganti. Ci alimentavamo con i nostri sentimenti. Ne eravamo avidi.

Mi risciacquai, con occhi velati da un ricordo. Lui non si era comunque preso la briga di ricevere una spiegazione. Io d'altro canto avevo una dignità, ed eravamo entrambi orgogliosi. Tutto ciò aveva portato alla distruzione. Ci eravamo sciolti.

Uscii dalla doccia, avvolgendomi con un asciugamano, e tornai in camera. Aprii l'armadio bianco, velocemente. Ultimamente il ritardo sembrava essere divenuto il mio migliore amico. La Carlotta che se non arrivava puntuale si sentiva terribilmente in colpa era uscita. Stanca di essere sempre la prima. Stanca di arrivare e dover aspettare, chi non sarebbe arrivato, e se sarebbe arrivato, sarebbe stato in terribile ritardo, ed io avrei già fatto retromarcia per tornare via.

Mi vestii con una gonna a matita nera di pelle, ed una camicia Bianca di pizzo. Mi aggiustai allo specchio ovale, posto sopra al comò bianco, applicandomi solo un po' di lipgloss rosa. Spazzolai delicatamente i capelli, dove le setole rigide della spazzola mi cullavano come un massaggio, ed aggiustandoli dietro le orecchie.

Raccattai il cellulare che per fortuna era vivo e vegeto, ed afferrai la borsa.
"Ciao Mitch" lo salutai frettolosa, afferrando la maniglia in ottone della porta bianca. Ma la sua voce delicata con una punta divertimento mi fermò sul posto, e mi portò a rigirarmi con il volto, verso i suoi occhi verdi.

"Carine le babbucce a zanna di elefante" elargì beffardo, mentre scossi la testa ed abbassai lentamente gli occhi.

"Merda" sbottai correndo in camera per prendere un paio qualsiasi di decoltè dalla scarpiera. Portai un palmo sul muro freddo, infilandoli con l'agitazione. Ed era vero. Più uno era in ritardo e più il tempo ti remava contro. Era una combutta verso di me.

Tornai in cucina, vedendo Mitch venire verso di me, con un toast.
"Cosa faresti senza di me, culetto d'oro" si fece di nuovo beffa, con un sorriso dolce e caloroso, mentre gli riservai un'occhiataccia benché fossi divertita e spalancai la bocca per fermare il toast tra i denti. Aprii la porta, salutandolo con la mano in cui avevo le chiavi della macchina, che produssero un tintinnio metallico, scendendo le scale.

Sembrava che il rosso dei semafori, aspettasse la mia macchina per scattare. Per frenare quel minuto in più il mio tragitto che doveva portarmi allo studio. Preannunciavo aria di licenziamento, una sfuriata. Mille immagini percorrevano la mia mente. Mi grattai la fronte spazientita, per vedere quella luce verde di speranza illuminarsi. Schiacciai bruscamente il piede sull'acceleratore, producendo un rumore stridulo.

Quando finalmente si prospettò davanti alla mia vista ancora assonnata, lo studio dove lavoravo.

Parcheggiai nei sotterranei, afferrando da dietro il sedile posteriore, la cartellina verde con tutti i passaggi per spiegare la mia idea.
Era troppo tardi. Sentivo solo il rumore dei miei tacchi camminare incessanti e picchiare sul pavimento di cemento.

Entrai nella Hall, trovando le ragazze già tutte intente sul da farsi. Alcune portavano i microfoni, altre erano intente a scrivere sulle tastiere come macchinette, ed altri controllavano gli schermi dove venivano riprodotti vari pezzi di un programma per togliere qualche scena, di troppo o inutile. Una scena che al pubblico non sarebbe interessata.

Salutai tutti, continuando imperterrito il mio avanzamento, finché non vidii Amanda, alzare lo sguardo dal computer e serrare la bocca in una linea curvata all'ingiù. Aggrottò le sopracciglia per poi alzare il polso, scostandosi il maglioncino celeste, rivelando un orologio da polso. Ticchettò sopra l'indice come per dirmi -sei in ritardo- e non ci voleva uno scienziato per ricordarmelo.

Annuii senza rispondere ma puntando lo sguardo verso quella porta di vetro in fondo che mi divideva dal corridoio pieno di scrivanie bianche. Esalai un respiro che mi comprimeva il petto, bloccandomi le vie respiratorie. Chiusi un attimo le palpebre, spingendo in basso quella maniglia fredda nel mio palmo sudato, fino a spalancare la porta, che strascicò appena. Riaprii gli occhi lentamente con il timore di trovare tutti gli occhi dei presenti puntati addosso a me. Una ramanzina sul mio terribile ed inammissibile ritardo. Ed invece ciò che trovai fu solo Greg. Ovvero il mio capo.

Era a sedere sulla poltrona nera girevole, con le gambe accavallate, a sistemare una pila di schede che batté per allinearle sul tavolo bianco lucido, fino ad alzare lo sguardo su di me. Lasciò che le schede si poggiassero debolmente su di esso, e si alzò. Fece finta di aggiustarsi la giacca grigio fumo, controllando se avesse tutti i bottoni neri, inseriti nelle asole.

"Carlotta" uscii fuori il mio nome in modo risoluto ma pacato, dopo secondi interminabili di silenzio glaciale. Peggio dell'aria condizionata innalzata al massimo.

"Io...Greg, io...sono seriamente, seriamente disp..." non mi lasciò finire le mie suppliche con voce angosciata e fievole, che agitò una mano, come per dire di lasciar stare ogni forma di scusa possibile e plausibile.
Aspettavo il licenziamento. Me lo sentivo sulla pelle che mi si accapponò al solo pensiero.

Quattro anni della mia vita spesi in maniera miserabile. Idee che mi scervellavano il cervello per rimanere con il culo per terra, ed un cartellino rosso con tanto di ammonimento.

Ed invece il suo sguardo sereno mi spiazzò. Probabile che si era fumato una canna come era di sua consuetudine.
Lo guardai con occhi speranzosi, vedendolo afferrare il telecomando, ed accendere lo schermo, che rivelò l'idea del mio programma.

"Questo Carlotta" mi richiamò sull'attenti come una soldatessa, puntando il telecomando verso lo schermo dove passavano varie immagini con tanto di melodia ritmata in sottofondo.

"T...ti piace?" Balbettai incerta, riducendo gli occhi a due fessure per la paura. Greg era un uomo su una sessantina andante. Affascinante lo dovevo ammettere. Una folta chioma ricciola brizzolata, ed un fisico ancora asciutto e prestante.

"Altroché se mi piace. Le donne impazziranno. Proprio per questo il tuo lavoro l'ho ceduto a Diana" ammise cristallino quelle parole ed in quel frangente mi sentii la terra venire a mancare sotto i piedi.

Avanzai verso il tavolo che ci divideva, piantando i polpastrelli delle mani sul tavolo come un leone che aspettava di attaccare la sua preda puntata, chinando leggermente in avanti il busto.
"No Greg. Ne avevamo parlato. Ho lavorato sei mesi per questo progetto. Eravamo d'accordo che avrei presentato un programma tutto mio. Non capisco...se la cosmesi ti piace, tratto anche di moda e tendenze. Perché a Diana?" Parlai senza freni ma mantenendo un tono appropriato per cedere sulla parte finale.
Finché non scostai una sedia, accasciandomi su di essa.

"Carlotta, l'ho dato a Diana perché per lei era più consono, ma..." si bloccò per trovare le parole giuste continuando con il suo solito tono coinciso, diretto e soffice.

"Più consono, chissà perché"'mormorai forse a voce troppo alta, non sapendo regolare il tono in quell'attimo di sprazzo iroso che vagava dentro di me, facendomi sentire agitata come se non avessi quiete.

Infatti Vidii lo sguardo truce di Greg colpirmi e la testa piegata di lato come ad intimarmi che dovevo sapermi controllare. Certo...un corno. Aveva affibbiato la mia idea a quella cosa plastificata.

"Guarda qui...vai" mi ridestò dalla mia freddura, cambiando con il telecomando. Vidii una luce fioca espandersi per divenire più luminosa.

"Avrai un programma tuo come ti avevo promesso. So che sei pronta. Ma tratterai di cantanti. Li seguirai come se fosse un reality. Una sorta di documentario per vederli da vicino. Seguire le star nella loro quotidianità. Per questo ho dato la tua idea a Diana. Questa l'ho pensata un anno fa io" si fermò un attimo per spiegare di nuovo, e quindi non lo frenai. Ascoltavo affascinata e grata quelle parole. Avrei avuto un programma mio.

"Ma non eri pronta un anno fa. Ora lo sei. Ed è tuo. Tra due giorni verrà un cantante acclamato dal pubblico femminile più che altro. Non ti svelerò chi è. Sarà una sorpresa che apprezzerai." Mi strizzò l'occhio, confessando quelle parole con tono carezzevole e piene di sincerità limpida, venendo verso di me, mentre mi issai dalla sedia.

"Non so come ringraziarti per l'opportunità e la fiducia che mi dai" rivelai melensa, abbracciandolo preso alla sprovvista, ma ricambiò volentieri.

"Sei una grande ragazza, hai una bella mente, e so che non mi deluderai. Questo ne andrà ad un aumento per un programma di livelli più alti" aggiunse carezzevole, sciogliendosi dal mio abbraccio per poi farmi il gesto che potevo tornare alla mia postazione. Quindi annuii contenta, chiudendo la porta con un tonfo debole.

Finalmente avrei avuto la vera possibilità di un programma. Con delle star internazionali. Un sogno che si avverava, una svolta per la mia vita. Almeno se non dal punto di vista amoroso da quello lavorativo. Poiché gli occhi di Joshua erano ovunque guardassi. Bastava vedere i miei per trovare i suoi, li avevo lasciati addosso al suo tatuaggio dove c'era il mio cuore disegnato.

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