10
Pov. Carlotta
Joshua mi aveva riaccompagnato a casa. Il silenzio in macchina mi causava un senso d'inquietudine. Niente più battutine a sfondo sessuale, dopo il mio ammonimento. Eravamo tornati congelati. Due cubi che non volevano sciogliersi per ritrovarsi.
Era troppa carica erotica, ogni parola ogni gesto, sguardo che mi riservava. Ed io non potevo lasciarmi abbattere così, come un'onda che sa che si sta infrangendo su quello scoglio. Ma le onde tornano più possenti ed invece io mi sarei solo fatta male in superficie ed in profondità. Lo sapevo.
Tornai a casa esausta, ed il letto era la consolazione migliore, dove lasciar affievolire i miei pensieri e tornare in un mondo diverso, quello dei miei sogni dove lui era il principe ed il cavaliere oscuro.
Il sole sprigionava forte, fuori dalla vetrata e quei raggi si infiltravano senza permesso dentro la mia camera, facendo sembrare le pareti rosse più luminose e vivaci, ed il mio corpo più caldo. Era apparenza era sempre apparenza.
Mi crogiolai ancora, tra l'intorpidimento dovuto ad una sonnolenza ed un sogno che non volevo lasciar andare. Finché non sentii dei rintocchi ritmici di nocche sulla porta.
Doveva essere Margaret. Portava sempre i suoi cornetti. Era la mia fornaia di fiducia.
Mi issai dal letto, dandomi un'aggiustata con le dita tra le ciocche stoppose di capelli, che sembravano nodi duri.
M'infilai le ciabatte. Avevo una sorta di passione per le ciabatte strane. Come queste che avevano le unghie rosa piene di brillantini, tanto da assomigliare alla moglie di Big Foot.
"Arrivo" tentai di alzare il tono di voce stridulo ed impastato, accompagnato con uno sbadiglio da far tremare le mura della palazzina, evacuando l'interno.
Arrancai fino alla porta priva di vitalità e con la velocità di un bradipo, fino a girare il pomello freddo, e voltarmi di spalle per raccattare la borsa che giaceva scomoda sul divano in pelle.
Iniziai a frugare all'interno in camoscio marrone, non dando peso.
"Ciao Margaret. Entra pure" la invitai ad entrare senza neanche girarmi, trovando il portafoglio in cuoio nero.
Lo aprii sfilando una banconota, quando mi girai rimanendo imbambolata sul posto.
Stava girovagando con lo sguardo rivolto in alto, attento ad ogni minimo particolare, la casa. Finché non riabbassò la testa normalmente, voltandosi verso di me con un sorrisetto sfacciato.
"Vuoi pagarmi per essere venuto?" Buttò un'occhiata alla banconota appassita tra le mie dita che tremavano, cercando di riprendere le facoltà cognitive.
"Che cazzo ci fai qui? Chi ti ha dato il permesso di entrare?" Domandai a raffica ed irruente,gettando il portafoglio nella borsa.
"Margaret" si fece beffa di me, vedendo la mia postura stizzita, ed in piena combutta per la sua presenza.
"Cosa ci fai qui?" Gli domandai più pacata, avviandomi verso il tavolo dove vi era poggiato il cartone del succo al pompelmo.
Fece un passo in avanti mesto, rintanandosi nelle spalle alzate.
"Te l'avevo detto che dovevo andare dai miei. La macchina serviva a Yuri e perciò mi..." non lo lasciai finire poiché vide la mia espressione tramutarsi in perplessità, e il mio scuotere con veemenza la testa facendo un risolino da psicopatica.
"No...no guarda non se ne parla. Puoi andare in pullman, in taxi. Caspita che idea geniale che ho avuto. Quindi grazie per i non cornetti. E tante belle cose" mi avvicinai a lui, poggiando le mani sulle sue spalle più ampie. Tentando di spingerlo fino alla soglia. Poiché forse spingevo me stessa all'indietro perché lui era sempre sul solito posto.
Poggiò le mani su i miei polsi, abbandonando la mia impresa di cacciarlo.
"Ti prego" ricalcò dolcemente, mentre mi morsi il labbro.
"Fai silenzio. Mitch sta dormendo" lo ammonii, lasciando ogni certezza. Lo avrei accompagnato. Forse perché volevo spendere del tempo con lui. Forse perché ero masochista. Forse perché volevo tornare indietro con i ricordi a noi due in macchina da soli, a cantare canzoni a squarciagola ed i nostri visi luminosi con sorrisi ammiccanti e mani che si cercavano in ogni millimetro del corpo.
"Avete fatto le ore piccole?" Chiese beffardo, ma irrigidendo la mascella. Gli dava noia ed io ero pianamente fiera di ciò.
Mi avvicinai seducente, poggiando un palmo sul suo petto coperto da una maglietta di cotone grigia ed aderente, ed un formicolio mi percosse il palmo, tipo pizzicotti lievi, annuendo.
Mi morsi delicatamente il labbro per andargli più vicino, vedendolo portare una mano sul mio fianco. Quella mano che prima mi percorreva con amore e passione disintegrante. Capace di sgretolarmi come sabbia.
"Ci puoi giurare" gli sussurrai all'orecchio, sentendolo sospirare, mentre avrei voluto anche io esalare un sospiro ma lo soppressi, sforzandomi quasi di farlo.
Finché la sua mano calda, abbandonò il mio fianco.
Poiché mi guardò stranito.
"Lui chi è?" Domandò come se non capisse, vedendomi frastornata.
"Lui ch..." mi girai vedendo un ragazzo nudo completamente. I capelli biondi che gli ricadevano davanti all'occhio sinistro lasciando vedere il verde solo del destro, che si passava una mano dietro la nuca come se nulla fosse.
"Oh merd...in. Merdin, il mio coinquilino" andai vicino al ragazzo, prendendo il pantalone della tuta di Mitch che stava a penzoloni sulla sedia.
"Merdin?" Innalzò un sopracciglio perplesso, passandosi la lingua sul labbro.
"Si, si chiama Merdin. Come va?" Mi voltai verso il ragazzo senza nome, ma con uno strano appena affibbiato da me. Certo potevo trovarne uno più originale.
Fortunatamente aveva avuto l'accortezza d'infilarsi il pantalone della tuta che gli arrivava fino a metà polpaccio data l'altezza.
Mi guardò elargendo un sorriso perfetto e bianco.
"Dónde está el baño?" Domandò allungando il collo ed ispezionando la casa.
"Un coinquilino che non conosce dov'è il bagno" mormorò ad alta voce Joshua, più a se stesso che a me.
"Si, è arrivato da due giorni" lo redarguii con un'occhiataccia torva e scocciata.
Gli diedi le indicazioni con l'indice al ragazzo, vedendolo sorridermi di nuovo, facendomi rilasciare un sospiro rimasto celato per troppo tempo.
"Aspettami giù. Vado a prepararmi" lo congedai fredda, vedendolo percorrere il mio corpo in maniera lussuriosa con i suoi occhi capaci di farmi fremere ed erano sempre più scuri.
"Questa sottoveste mette in evidenza i tuoi capezzoli" affermò intenso, prima di voltarsi e chiudere la porta con un tonfo debole, facendomi sobbalzare e tremare.
Mi sciacquai il viso accaldato e rosso, mettendomi una maglia ed un jeans, per rilevare i capelli in una coda alta.
Afferrai la borsa lasciata sul divano e scrissi un biglietto a Mitch su dove sarei andata, e che la prossima volta poteva chiedere ai suoi amici di scopate di mettersi i boxer, quanto meno.
Scesi gli scalini con il cuore in gola ed in agitazione, ciondolando le chiavi della macchina sul dito. Come a non pensare al vero problema in cui mi stavo imbattendo. Ovvero io da sola con lui. Completamente soli in una macchina.
Esalai un sospiro che pesava come un masso sul petto, aprendo il portone in vetro e trovarlo girato di spalle con le mani conficcate in tasca.
"Andiamo" affermai rigida e febbricitante per la sua presenza ed il suo sorriso increspato lateralmente. Quel sorriso che mi faceva morire e rinascere ogni volta.
"Monta" lo incitai di nuovo fredda mentre rise di cuore.
"Preferisco che monti te, mi piace quando prendi il comando e comunque guido io. Non mi fido" proruppe beffardo e derisorio, poiché non sapeva neanche il mio modo di guidare. Scoccai la lingua sotto il palato che produsse un rumore sordo, lanciandogli le chiavi della macchina con il loro tintinnio ferreo.
Mi accomodai sul lato del passeggero serrando le gambe e buttando la borsa dietro i sedili posteriori con svogliatezza. Finché non chiuse la portiera con un tonfo secco, iniziando ad ingranare la marcia per partire.
Il viaggio non sarebbe durato molto per fortuna, ma ogni tanto sentivo i suoi occhi su di me, tanto da perforarmi il tessuto dei vestiti e spogliarmi. Ero agitata in pieno conflitto. Cercavo di stare calma e ci riuscivo in maniera pessima. Quindi mi abbandonai al suo volere e con la testa contro il poggiatesta in tessuto nero con dei rombi bianchi disegnati.
"Ti ricordi quando eravamo soli in macchina io e te?" Domandò ad un tratto, mantenendo il contatto visivo con la strada ma guardandomi con la coda dell'occhio.
"Si" affermai semplicemente, poggiando il gomito sul finestrino ed una mano serrata a pugno per sorreggermi la guancia, iniziando ad ammirare New York da fuori. Ormai la conoscevo a memoria ma era una distrazione.
Ricordavo di noi due a ritorno da Hudson valley. Le sue promesse mantenute e poi infrante. Ricordavo il ritorno da Mykonos. Forse il più bello.
8 anni prima.
Il volo in aereo era stato tranquillo, ogni tanto vedevo Joshua preoccupato, e rintanarsi sul sedile senza gettare l'occhio fuori dal piccolo finestrino. Era solo la seconda volta che prendeva l'aereo e per tutto il tempo tenni la mano sulla sua per rassicurarlo.
Salutammo Amanda e David, tornando nella sua macchina che aveva lasciato nei sotterranei dell'aeroporto.
Appena entrammo, i nostri sguardi s'incrociarono. Sguardi famelici perché finalmente eravamo da soli.
Avevo voglia di sentire le sue mani su di me, ed i suoi baci in ogni piccola parte anche la più nascosta. Mi suscitava tutte l'emozioni possibili, si sprigionavano prepotenti dentro e fuori di me.
Mi morsi il labbro e gli bastò questo per capire, che lo desideravo.
"Dio! mi uccidi quando mi guardi così" si passò una mano sul ciuffo allungato, per poi avventarsi su di me senza lasciarmi il tempo di ribattere e prendere il pieno possesso delle mie labbra ed il mio consenso quando la sua lingua vellutata scivolò incontrando dolcemente la mia.
Mi portò a cavalcioni su di lui, tirando indietro il sedile poiché sentivo il volante premermi contro la schiena, restando schiacciata sul corpo di Joshua. Il suo membro eretto che pigiava sulla fessura delle mie labbra pulsanti ed eccitate, coperte solo da una mutandina ed un pantaloncino.
Le sue mani che vagavano sul mio corpo con passione e desiderio vivo. E non importava se eravamo in un sotterraneo, se eravamo in pieno giorno. Con Joshua dimenticavo il luogo ed il posto. Con lui scordavo il mondo perché per me lui era il mio mondo, io vivevo quando c'era lui, era il centro che mi teneva ferma senza cadere mai.
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"A cosa pensi?" Sentii la sua voce ferma ma avvolgente, distrarmi dai pensieri di noi due per riportarmi al presente.
"A niente" risposi semplicemente, tentando di non dare a vedere gli occhi lucidi improvvisamente che pizzicavano debolmente e la voce rotta da un'emozione finita.
Si girò appena incontrando il mio sguardo, vedendo il suo cielo sereno e dolce.
"Non ti crederò mai, Carlottina" scherzò per smorzare la tensione con il mio nomignolo che anche non volendo mi fece sorridere e la canzone che riecheggiava dalla radio, in sottofondo dolce, sembrava scritta e cantata apposta per noi due.
"Svegliati Carlottina" sentii una mano dolce scuotermi, e poggiarmi dolcemente sulla mia guancia a sfiorarla. Un tocco leggero ed intenso. Finché non aprii appena gli occhi, sbattendo le ciglia più volte e vedere il suo azzurro splendere dentro al mio.
"Siamo arrivati" soffiò vicino al mio viso, talmente vicino che mi avrebbe potuto baciare ed i suoi occhi caddero sulle mie labbra schiuse.
Fallo ti prego o rischio di morire.
Invece sentii solo il Clic metallico della cintura sganciata, sentendo quella cinghia nera, scivolare via dal mio corpo per lasciarlo libero di muoversi, libero di scappare da Joshua e dalle sensazioni che restavano imprigionate dentro la mia macchina.
"Joshua" Vidii Maggie affacciarsi è salutare Joshua con la mano. Gli anni passavano ma per lei il tempo sembrava essersi fermato. Aveva sempre quei boccoli biondi e lucenti e quel volto rilassato.
Chiusi lo sportello con un tonfo debole, percorrendo la strada. Ed ora sembravo tornare indietro ad otto anni fa. Io sul mio vialetto e lui sul suo.
Alzai la mano per salutare Maggie e suonando al campanello che riecheggiò in una melodia fastidiosa, della porta di casa mia.
Un attimo, i nostri sguardi, s'incrociarono di nuovo. Dolci e con quel dolce sentimento che ancora li riempiva. Forse era un'illusione ma potevo sentire il ritmo dei nostri cuori sincronizzati, battere all'unisono.
"Ciao Carlotta" scivolò il mio nome dolce dalle sue labbra carnose, entrando in casa e così anche io, che sorrisi a mia madre, per poi richiudere le rispettive porte nello stesso momento, ed eravamo tornati i Joshua e Carlotta di un tempo.
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