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Mostri nella notte

Fu una goccia di pioggia a svegliarla, infrangendosi sul suo volto e scivolando giù dai capelli ormai sciolti che le cadevano sulle spalle. Era stesa a terra, bagnata fradicia, nella bocca il sapore di terra. Sputò disgustata e tentò di mettersi seduta. La pioggia cadeva fitta attorno a lei, ma era rimasta parzialmente coperta dalla grande quercia sotto cui era atterrata. Tentò di alzarsi, ma una fitta pesante alla caviglia la fece sussultare. Si tastò spaventata le braccia e le gambe: era coperta di graffi, ma sembrava ancora tutta intera. Il pendio erboso che seguiva allo strapiombo da cui era caduta, quasi due metri più in alto doveva aver attutito l'atterraggio, almeno in parte, ma anche solo sfiorare quella caviglia la faceva sussultare, camminare sarebbe stata una vera utopia e tutto ciò era una pessima notizia.

Si trovava sola nel bel mezzo della foresta, non riusciva nemmeno a intravedere il castello! Si rannicchiò contro la grande quercia. Non appena ne sentì il peso sulla schiena un ricordo spiacevole l'attraversò, le pareva ancora di avere le mani di quell'uomo addosso. Mostri nella notte che l'afferravano e la scuotevano contro la sua volontà, poi si accorse che si trattava solo di foglie spalmate sulle braccia. Si tolse il soprabito e se lo gettò addosso per tentare di coprirsi il più possibile.

Il temporale sembrava aver cancellato la luce da quella foresta, anche se doveva essere ancora mattina, non poteva già essere calata la notte. Si sentiva osservata, perfino giudicata, da quei rami ritorti, scossi dalla tempesta. Era abbastanza certa che il poeta si fosse ormai disinteressato di lei e fosse tornato all'asciutto, magari pensando come lasciare il palazzo senza essere visto prima di essere accusato. Se almeno ci fosse stata suo padre lì con lei, riusciva sempre a raccontarle storie bellissime durante i monsoni e quanto trasporto ci metteva nello spiegare loro le proprietà medicinali delle piante o delle erbe. Diceva sempre: "la natura ci dà tutto ciò di cui abbiamo bisogno, nessun uomo morirebbe mai di fame o di freddo nella giungla se è abbastanza pratico da servirsi di ciò che ha attorno."

In effetti, pensò sorpresa guardandosi attorno, sapeva cosa avrebbe fatto suo padre in una simile situazione: recuperò diverse foglie di felci e dei rametti, li incastrò nella scarpa dietro la caviglia e cominciò a coprire i rametti intrecciando le felci, erano fresche, bagnate, ma le diedero almeno un po' di sollievo. Provò a gridare, ma le uscì soltanto un rantolo distorto. La gola sembrava rifiutarsi di collaborare, quasi non riusciva a riconoscere la sua stessa voce roca e cavernosa. Si toccò la gola deglutendo a disagio. Doveva aver preso troppo freddo stando sdraiata su quel prato. Non riusciva a fermare i denti dal battere, doveva solo resistere: prima o poi qualcuno sarebbe venuta a cercarla, se solo quel dannato poeta non l'avesse costretta a scappare così lontano dal castello!

Stava ancora maledicendo i suoi versi quando udì un fruscio al di sopra del dirupo e il suo nome ripetuto più volte, avrebbe voluto gridare o avvertire quell'uomo a cavallo in qualche modo, ma ogni suo tentativo era solo più doloroso. Lo vedeva fermo a pochi passi dal dirupo intento a scrutare la vallata nell'oscurità. Un lampo squarciò di nuovo il cielo dietro di lui, il cavallo si impennò su sé stesso ed Edwina non poté far altro che rimanere inerme attaccata a quel tronco mentre osserva l'uomo scivolare nel vuoto. Il cavallo atterrò sugli zoccoli dimenando la criniera terrorizzato, disperdendosi nella foresta. Edwina cercò di mettersi in piedi, ma appoggiare quella caviglia era impossibile, allora sgattaiolò vicino all'ombra immobile dell'uomo, disteso a terra. Non appena vide i suoi ricci biondi bagnati e coperti di pioggia un urlo strozzato le tolse il fiato. Cominciò a scuoterlo spaventata sussurrando il suo nome, avvicinò anche l'orecchio alla casacca militare azzurra, quell'alta uniforme che gli aveva visto addosso così tante volte in quei giorni. Il battito c'era, forte e deciso, decisamente non era morto, ma Edwina si domandava quanto gravemente si fosse ferito precipitando dal cavallo.

"Principe Federico, vi prego!" lo scosse di nuovo. Provò a spostarlo per portarlo almeno al riparo dalla pioggia, ma la differenza di stazza tra loro due era davvero troppa. Era venuta fin lì a cercarla e il pensiero da una parte la rincuorava, dall'altra la gettava nell'angoscia più totale.

"Federico" gli sussurrò all'orecchio con tutta la voce che le era rimasta. D'un tratto il giovane sbatté le palpebre, poi scattò a sedere facendola franare a terra, mascherando un gemito di dolore.

"Signorina Edwina, non immaginerete mai quanto io sia felice di vedervi."

"Oh, anche io, infinita...mente" tossì lei, cercando di resistere dallo scoppiare in lacrime.

"Ecco perché non sentivamo le vostre grida, avete preso chissà quanta acqua! Devo portarvi via di qua, dov'è il mio cavallo?"

"Fuggito" aggiunse lei a malincuore. "Meglio ripararsi" indicò l'albero.

Il principe si alzò a fatica massaggiandosi una spalla e poi la sollevò da terra agevolando i pochi passi che li separavano dalla quercia. Quindi sedettero entrambi contro il grosso albero fissando scorati le nubi nere che coprivano la vallata.

"Siamo almeno a due ore a piedi dal castello" valutò lui.

"Non credo di poter camminare così a lungo..."

Il principe osservò stupito la caviglia. "Siete stata voi a fasciarla?"

"Le felci hanno proprietà curative, ma non sufficienti da permettermi di camminare di nuovo. Non così in fretta, almeno" sospirò Edwina.

"Fatemi indovinare, vostro padre?" domandò il principe.

Edwina sorrise. "Avete battuto molte forte la spalla, non riuscirete a portarmi a lungo."

"Temo di no, sono desolato, signorina."

"È colpa mia, vi ho rovinato la giornata e oltretutto ho rischiato di farvi uccidere dal vostro cavallo."

"Controllate forse i fulmini? Credo nemmeno il mio patrigno possa eppure aspira al trono di questo regno" aggiunse lui. "Temo inoltre di aver fatto un passo falso."

"Sarebbe?" disse stupita.

"Ho raccolto i vostri nastrini dal bosco man mano che li trovavo, quindi ora difficilmente qualcuno riuscirà a seguire le mie tracce, specie se questa pioggia ha coperto le impronte degli zoccoli del cavallo."

"Sembra proprio uno stallo."

"Non mi dite che giocate anche a scacchi? Sto cominciando a sentirmi veramente inferiore" la prese in giro il principe.

"Era l'unico gioco in cui vincevo sempre con mia sorella, sul resto non c'erano storia: cavalcare, nuotare, danzare è sempre stata più brava in ogni cosa."

"Fatico a crederlo" scosse la testa il principe. "Dovete dare più credito a voi stessa, nessuna dama che conosco sarebbe rimasta tanto calma in una situazione del genere da avere la lucidità di fasciarsi e anche pochi uomini dubito l'avrebbero fatto."

"Voi l'avreste fatto?"

"Probabilmente, ma non con le foglie, non dimenticate il collegio militare."

"Avete ragione, è che mi viene così difficile immaginarvi come militare, si vedeva così chiaramente a Schwerin che il vostro posto è davanti alla carta col carboncino in mano."

"Non sono poi così scarso a sparare come credete, sono felice soltanto di non averlo dovuto fare molto finora." Il principe pareva comunque orgoglioso della sua carriera militare, sicuramente si era impegnato duramente per ottenere i gradi che possedeva.

"Immagino di sì" annuì Edwina appoggiando la testa al tronco.

"Voi che siete scacchista, come si esce da uno stallo?"

"Complicato, ma non impossibile, se accetti di sacrificare alcuni pezzi" rifletté Edwina ad alta voce.

"Sarebbe meglio se non sacrificassimo nessuno dato che ci siamo soltanto noi due qui" obiettò il principe.

"Vi assicuro che non farei cambio con nessun altro al mondo in questo momento" sospirò Edwina pensando per un attimo al poeta e alle sue avance insistenti. "Oddio, credo di essere stata davvero impertinente" si accorse poi. "Voi ora avreste dovuto essere intento a conversare con la principessa Luisa."

"Quasi meglio essere scaraventati giù da un dirupo!" sbottò il principe.

Edwina scoppiò a ridere allibita.

"Non sto scherzando, specie contando che c'eravate voi qui... ad attendermi" la sua voce si fece un sussurro.

Edwina non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi tersi e meravigliosi e alla luce che ora sprigionavano, non vedeva più alcuna freddezza o tristezza, erano vivi di nuovo e davvero non riusciva a esprimere quanto l'idea le facesse battere il cuore. Edwina si tirò il soprabito sulla pelle infreddolita e iniziò a pensare. "Avete capito dove siamo?"

"Versante est, il castello è dietro quel pennacchio che vedete lassù, vi siete allontanata davvero molto dal sentiero. È stato talmente sgarbato il duca?" domandò lui.

Edwina scoppiò a piangere a dirotto, quasi quella tempesta le fosse entrata nell'anima. Il principe la prese tra le braccia, carezzandole i capelli. "Von Har" riuscì a dire tra i singhiozzi.

Lui non rispose, la strinse solo a sé come se avesse paura che Edwina si disintegrasse da un momento all'altro. "Mi sono fatta talmente ingannare da quell'uomo, e poi quando mi ha bloccato contro l'albero." Il principe si irrigidì dietro di lei. "Sarei scappata fino in India, probabilmente" annuì Edwina, ansimando sul suo petto.

"Non avrò pace finché quel libertino non sarà appeso a una forca, ve lo giuro!" le promise sollevandole il mento fino a guardarla dritta negli occhi. "State tremando, dobbiamo trovare una soluzione alternativa al castello. Se non ricordo male c'è un casino di caccia nelle vicinanze: da qui dovremmo impiegare una ventina di minuti. Se volete possiamo fare un tentativo, avete bisogno di scaldarvi. Di sicuro là troveremo legna asciutta. "

"Va bene." Edwina tentò di asciugarsi le lacrime col dorso della mano. Il principe l'aiutò ad alzarsi e le passò una mano attorno alla vita, quasi timidamente, come se avesse paura di romperla al minimo movimento sbagliato.

"Aggrappatevi a me, non vi preoccupate della spalla, è più che sopportabile."

"Ne siete certo?" Edwina lo fissò incerta.

"Abbastanza" annuì il principe.

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