Capitolo 9
Capitolo 9
Sei del mattino.
La sveglia di Nilufar iniziò a suonare puntuale, risuonando nell'appartamento ancora immerso nella penombra. Ancora assonnata, si rigirò un paio di volte sul divano, incapace di trovare la forza per alzarsi. Il fastidioso odore delle cipolle cotte la sera prima impregnava l'aria, facendola storcere il naso.
"Devo aprire tutte le finestre, assolutamente!", pensò, mentre si alzava finalmente e si stiracchiava.
Con movimenti lenti ma decisi, si preparò rapidamente. Optò per un look comodo e pratico: un paio di jeans chiari che le avvolgevano le gambe con morbidezza, una t-shirt bianca che si intonava ai suoi occhi e un cardigan leggero, perfetto per contrastare la fresca brezza del mattino. Si guardò allo specchio velocemente, sistemando i capelli con una mano. Non era una di quelle giornate in cui voleva preoccuparsi troppo dell'aspetto. Le bastava sentirsi a suo agio.
Una volta pronta, raccolse le sue cose e uscì di casa. Fuori, il mondo stava lentamente risvegliandosi. Il cielo si rischiarava pian piano, preludio di una giornata luminosa. Tra poche ore il sole avrebbe invaso le strade di Tokyo, incendiando i marciapiedi e le facciate dei palazzi.
Nilufar si fermò un istante sulla soglia della porta, respirando profondamente l'aria fresca e pulita del mattino. C'era qualcosa di magico in quei momenti di tranquillità, quando la città sembrava ancora dormire e tutto era avvolto in una pace surreale.
In seguito, cominciò a camminare per il viale con passo deciso, il suono dei suoi stivaletti che risuonava leggero sull'asfalto ancora deserto. La strada che la conduceva al lavoro ormai le era familiare e per una volta non aveva bisogno della voce fastidiosa del navigatore che le ripetesse dove svoltare. Gli uccelli cantavano tra gli alberi che costeggiavano la strada, accompagnandola con una melodia allegra e rilassante.
"Che strano", pensò, "qui esco con più voglia ed energia rispetto a prima."
Era vero: da quando si era trasferita in Giappone, ogni mattina si svegliava con una nuova motivazione, una vitalità che non aveva mai provato in Italia. Forse era il cambiamento di vita, o forse la soddisfazione di vedere le persone felici grazie al suo lavoro.
Per una volta, sentiva di fare qualcosa che aveva davvero un impatto, qualcosa per cui veniva ringraziata con sincerità.
Mentre camminava, immersa nei suoi pensieri, il suo sguardo si perse tra le ombre allungate degli edifici. Fu in quel momento che qualcosa catturò la sua attenzione. Una macchina nera, parcheggiata poco distante, sembrava seguirla lentamente. All'inizio cercò di non dare troppa importanza alla cosa, pensando che fosse solo una coincidenza, ma quando vide che l'auto continuava a mantenere lo stesso passo, sentì un brivido correrle lungo la schiena.
Il cuore cominciò a batterle più forte. "Mantieni la calma", si disse, cercando di respirare regolarmente, ma il panico iniziava già a salire. La paura si insinuava nei suoi pensieri, facendole accelerare il passo.
La macchina continuava a seguirla, in silenzio, come un'ombra scura e minacciosa.
Adesso sentiva il fiato corto. Non c'era nessuno per strada, nessuna anima viva che potesse aiutarla. Si guardò intorno, cercando una via di fuga, ma le strade deserte sembravano infinite e il rumore dell'auto che le si avvicinava sempre di più la faceva sentire in trappola.
Decise di fare l'unica cosa che le sembrava sensata: correre.
Le gambe si mossero istintivamente, il rumore dei suoi passi che rimbombava sull'asfalto mentre cercava di seminare l'auto. Il respiro si fece affannoso, le mani sudavano e sentiva il cuore battere all'impazzata. La macchina però non si fermava, continuava a seguirla.
"Perché non c'è nessuno? Dannazione!", pensò disperata.
Tentò di cambiare strada, sperando di sfuggire a quella presenza inquietante, ma l'auto accelerò, suonando improvvisamente il clacson. Il suono squarciò l'aria del mattino, facendola sobbalzare.
Poi, una voce.
«Nilufar!»
Il cuore le si fermò per un istante. Riconobbe quella voce immediatamente, il modo particolare in cui il suo nome veniva pronunciato. Si voltò di scatto, ancora con il fiato corto, e lo vide.
Chishiya, con la sua solita aria da gatto sornione, stava scendendo dall'auto con un sorriso divertito.
«Chishiya?», esclamò Nilufar, incredula, mentre il suo battito lentamente ritornava alla normalità.
Sentì le gambe quasi cedere dalla tensione accumulata. Era stata così spaventata da non essersi nemmeno resa conto che quella macchina poteva appartenere a qualcuno che conosceva.
Chishiya le si avvicinò con calma, le mani infilate nelle tasche della solita felpa.
«Non volevo spaventarti», disse con voce tranquilla, ma il suo sorriso beffardo tradiva una certa soddisfazione. «Ti ho vista camminare e ho pensato di darti un passaggio.»
Nilufar lo guardò per un attimo senza parole, ancora scossa.
«Sei un cretino», gli disse, cercando di mascherare la sua paura con un tono irritato. «Mi hai fatto venire un infarto!»
Chishiya rise piano.
«Mi dispiace, ma la tua reazione è stata piuttosto divertente.»
«Sei insopportabile, lo sai?»
«È una delle mie qualità migliori.»
Lei sbuffò, ma il suo cuore ormai si era calmato.
«Comunque non ho bisogno di un passaggio», aggiunse poi, più per orgoglio che per altro.
«E io non potevo perdermi l'occasione di vederti correre», scrollò le spalle lui.
Nilufar lo fissò per un attimo, combattuta tra il desiderio di arrabbiarsi e la consapevolezza che, in fondo, Chishiya aveva solo cercato di scherzare, a modo suo. Alla fine, decise di lasciar correre.
«Stai attento, la prossima volta potrei correrti addosso», disse lei, cercando di mantenere un tono serio, ma un sorriso le sfuggì dalle labbra.
Chishiya la osservò per un momento, poi annuì, divertito. «Ci conto.»
Nilufar si avvicinò alla Kia Rio di Chishiya, con il fiato corto e una leggera patina di sudore che le incorniciava il viso. Dentro di sé sentiva il desiderio di lanciargli qualcosa addosso, come si usava fare dalle sue parti quando qualcuno ti faceva uno scherzo di pessimo gusto. Ma si trattenne. Invece di mandarlo a quel paese, decise di mantenere la calma..
Chishiya, dal canto suo, sembrava sinceramente dispiaciuto. Si inclinò un po' fuori dalla portiera, alzando leggermente il mento mentre la osservava.
«Perdonami, non era mia intenzione spaventarti così tanto», le disse con un tono quasi disarmante.
«Non c'è bisogno di scusarti», rispose lei, ma il tono lasciava trasparire il contrario. Poi aggiunse: «Cosa fai in giro a quest'ora del mattino, comunque?»
«Potrei farti la stessa domanda.»
Nilufar incrociò le braccia al petto e lo fissò, alzando gli occhi al cielo per un secondo.
«Io vado a lavoro.»
«Ed ecco la risposta che cercavi.»
«Si dialoga così dalle tue parti?»
«Da te come si dialoga?»
«Non credo che tu voglia realmente sapere come si dialoga dalle mie parti. Soprattutto quando qualcuno ti spaventa a morte!»
Nilufar lo guardò, cercando di mantenere un'espressione seria, ma il ghigno scherzoso di Chishiya la fece ridacchiare. Era difficile arrabbiarsi con lui, soprattutto quando sfoderava quel sorriso sornione e quel modo calmo di parlare.
Tuttavia, il suo sguardo non si fermò lì. Chishiya si prese un attimo per fissarla, perdendosi nei suoi occhi con una tale intensità che Nilufar sentì il viso arrossire all'istante. Il calore che si faceva strada su per le guance la fece sentire ancora più vulnerabile.
Chishiya sorrise dolcemente, consapevole dell'effetto che aveva su di lei, ma senza farne un caso.
Con la solita disinvoltura le propose: «Posso offrirti un vero passaggio per farmi perdonare?»
«No», rispose lei, quasi troppo in fretta. «Vado a piedi. Sto risparmiando per comprarmi un'auto, quindi, per ora, meglio camminare.»
Lui, non mollando l'idea, la guardò con un'espressione quasi incredula, come se non capisse perché dovesse complicarsi la vita in quel modo.
«Ma andiamo quasi sicuramente nella stessa direzione, su sali! È più comodo.»
«Io... io non mi fido di te», disse Nilufar, anche se dentro di sé si rese conto che forse stava esagerando. Dopotutto, Chishiya non le aveva mai dato reali motivi per non fidarsi, era solo che lui la faceva sentire vulnerabile in modi che non sapeva gestire.
Chishiya alzò le mani in segno di resa, come a dire che accettava il suo rifiuto. Tuttavia, per un breve istante, un'ombra di delusione gli attraversò lo sguardo. Fece per rientrare in auto, come se fosse pronto a lasciarla andare per la sua strada, ma Nilufar lo fermò.
«Aspetta», disse, prima che lui potesse chiudere la portiera. Chishiya si fermò a metà gesto, guardandola con curiosità.
Lei si avvicinò e, senza dire altro, aprì la portiera del passeggero, sedendosi accanto a lui. Si sentì subito invasa dal suo profumo, una fragranza pungente ma piacevole che la circondò. Era una sensazione strana, quella di stargli così vicino, tanto che il cuore ricominciò a battere, quasi come se stesse cercando di sfuggirle dal petto.
Chishiya, percependo il suo nervosismo, non disse nulla. Anzi, cercò di distrarla in modo gentile: si limitò ad alzare il volume dello stereo, lasciando che la musica giapponese riempisse l'abitacolo, un tentativo maldestro di rilassare l'atmosfera.
Ma Nilufar sapeva bene che, in realtà, la musica non copriva del tutto quel battito accelerato del suo cuore, che sembrava risuonare in sincronia con il ritmo delle note. Chishiya, con un mezzo sorriso nascosto, se ne accorse ma decise di non dire nulla, lasciando che quel momento parlasse da solo.
Durante il breve tragitto, Chishiya cercò di intrattenere una conversazione leggera.
«Sai», iniziò, quasi con noncuranza, «se cerchi qualche posto carino per fare shopping, potrei consigliarti un paio di posti. Magari a Omotesando, lì ci sono negozi di ogni tipo. Oppure Shibuya, per qualcosa di più alla moda.»
Nilufar annuì appena, regalando un sorriso tirato. Non riusciva a concentrarsi su quello che lui diceva. Dentro di sé si sentiva una stupida ragazzina alle prese con la sua prima cotta, e quella sensazione la metteva a disagio. Il cuore sembrava impazzito, i battiti sempre più accelerati, le gambe molli, lo stomaco in subbuglio. Era come se le sue emozioni fossero aggrovigliate in un nodo confuso e incontrollabile.
"Perché mi sento così?", pensò, cercando di calmarsi.
Cercava disperatamente di convincersi che tutto questo non aveva senso, che era ancora troppo presto per provare qualcosa di simile. Dopotutto, non lo conosceva veramente. Ma, nonostante i suoi sforzi, non poteva ignorare quel senso di familiarità. Le sensazioni che provava le sembravano già vissute in passato: il cuore che cercava l'altra metà per completarsi, mentre lei tentava di rattoppare le ferite passate con cerotti fragili, consapevole che non sarebbero durati a lungo.
Arrivarono al solito posto in silenzio. Nilufar, ancora travolta dai suoi pensieri, scese velocemente dalla macchina.
«Grazie per il passaggio», disse rapidamente, senza nemmeno guardarlo negli occhi, e scomparve dalla sua vista quasi subito.
Chishiya la osservò sparire con un lieve sorriso, rispettando il suo bisogno di spazio.
Per tutta la giornata si incrociarono solo durante le pause tra uno spettacolo e l'altro. Ogni volta, Nilufar si avvicinava per sistemargli il trucco e i capelli, comportandosi come se nulla fosse accaduto tra di loro. Mantenne quell'atteggiamento professionale che detestava, così freddo e distante, che la faceva sentire impostata e rigida, come se stesse indossando una maschera di fronte a lui. Ma non riusciva a fare diversamente: era l'unico modo che conosceva per proteggersi. Da cosa, non lo sapeva.
Chishiya non fece nulla per metterla a disagio. Rispettò il suo stato confusionale, tenendosi in disparte e lasciandole il suo spazio. Pur essendo incuriosito da lei e desideroso di conoscerla meglio, intuiva che dietro quel suo comportamento c'era qualcosa di più profondo.
"Si sta proteggendo da qualcosa", pensò, osservandola di sfuggita. "Cammina come se il mondo potesse spezzarla da un momento all'altro."
E lui, in fondo, lo capiva fin troppo bene.
Durante la pausa pranzo, Kuina riuscì a convincere Nilufar a unirsi a loro nella piccola saletta del caffè. Era un ambiente intimo e semplice, dalle pareti bianche spoglie, con un tavolo rotondo al centro e alcune sedie sparse qua e là. Un cortile sul retro offriva la possibilità di fumare, e qualche volta si poteva sentire il suono di una risata provenire dall'esterno.
Kuina, con la sua allegria, cercò subito di rompere il ghiaccio.
«Allora, che ne pensi? Non è così male passare la pausa insieme, vero?»
Nilufar sorrise debolmente, cercando di rilassarsi.
«No, non è male», ammise. «Anzi, è bello prendersi un attimo di respiro.»
La conversazione fluì naturalmente. Parlarono delle riprese, dei costumi sgargianti che indossavano per gli spettacoli, delle nuove canzoni che stavano scrivendo.
«Abbiamo pensato di includere più momenti interattivi con il pubblico», spiegò Kuina, appoggiata allo schienale della sedia con un'aria sognante. «Sai, farli ballare con noi per qualche passo, renderli parte dello show.»
«È una buona idea», commentò Nilufar, sorseggiando il suo ginseng. «Il pubblico adora sentirsi coinvolto.»
Chishiya, seduto dall'altro lato del tavolo, la osservava di tanto in tanto senza farsi notare troppo. Non partecipava molto alla conversazione, ma c'era qualcosa nel suo sguardo che tradiva un interesse silenzioso.
Nilufar lo percepiva, quel suo sguardo, e ogni volta che gli occhi si incrociavano, un'ondata di calore la faceva arrossire.
"Perché devo sentirmi così?", si domandava ancora, mentre cercava di concentrarsi sulla discussione.
A un certo punto, Kuina cambiò discorso: «Ehi, Nil, ma a te come va qui? Ti stai abituando?»
Nilufar si prese un attimo per riflettere.
«Sì, direi di sì», rispose con un leggero sorriso. «All'inizio è stato difficile, ma ora sto cominciando a sentirmi a casa.»
Chishiya alzò un sopracciglio, incuriosito dalla sua risposta.
«Davvero?», chiese con voce tranquilla. «Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
Nilufar lo guardò per un istante, poi distolse lo sguardo.
«Non lo so», rispose, un po' esitante. «Forse le persone, il lavoro... Mi piace quello che faccio. E mi piace stare qui.»
«O forse», intervenne Sakurada, sbucando dal nulla e mostrando un sorriso malizioso, «c'è qualcuno di speciale che ti fa sentire così... a casa.»
Nilufar arrossì di nuovo, cercando di ridere per nascondere l'imbarazzo. «Ma no, che dici!»
Ma tutti al tavolo avevano notato il piccolo scambio di sguardi tra lei e Chishiya, ma nessuno fece commenti.
«Quante canzoni avete già scritto?», si interessò Nilufar, cercando di riportare la conversazione su un terreno più neutrale.
«Due al momento», rispose Sakurada, allargando le braccia come se fosse soddisfatto di quanto fatto finora. «Ma siamo solo all'inizio, abbiamo ancora tanto da creare.»
Nilufar annuì, poi un pensiero le balenò in mente. «Qualcuno di voi parla italiano? O, almeno, qualcuno ha mai pensato di imparare?»
Kuina, che stava sorseggiando il suo caffè, si fece avanti con un sorrisetto.
«Io ci ho provato», confessò, lanciando uno sguardo ai due ragazzi, «ma questi due continuavano a prendermi in giro per la mia pronuncia.»
Nilufar fece appena in tempo a notare l'inizio di una risatina tra Chishiya e Sakurada. I due si scambiarono un'occhiata complice, pronti a prendere in giro Kuina con il loro solito modo di scherzare.
Chishiya fu il primo a lanciarsi, imitando una versione esagerata e stentata dell'italiano.
«Ciao, mi... chiamo... Kuina!», disse con una voce forzata, allungando le vocali in modo caricaturale.
Sakurada scoppiò a ridere e lo seguì a ruota, accentuando ancora di più la pessima imitazione.
«Come... si dice... questo... in... italiano?», domandò con tono goffo, facendosi quasi ridere da solo.
Kuina, con le mani nei capelli, roteò gli occhi in segno di frustrazione, ma non riuscì a nascondere del tutto un sorriso divertito. Nilufar, però, non apprezzava affatto lo scherzo. Con un'espressione decisa, si protese leggermente in avanti, interrompendo la loro scena comica.
«Basta così!», disse con fermezza, alzando una mano per richiamare l'attenzione. «Sapete, non è facile imparare una nuova lingua. E se Kuina ha avuto il coraggio di provarci, merita rispetto, non risatine stupide.»
La sua voce, seppur calma, tagliava l'aria come un coltello. Chishiya e Sakurada si fermarono di colpo, fissandola sorpresi.
Il sorriso sul volto di Chishiya si spense, trasformandosi in una smorfia imbarazzata. Sakurada, dall'altro lato, tossicchiò nervosamente, come per cercare di coprire il silenzio improvviso che si era creato.
«Scusaci, Kuina», disse infine Chishiya, con un piccolo cenno della testa. «Non intendevamo davvero prenderti in giro.»
Kuina si rilassò, lanciando uno sguardo riconoscente a Nilufar.
«Non preoccuparti», rispose sorridendo. «Sono abituata a questi due. Ma grazie, Nil.»
Nilufar ricambiò il sorriso, felice di aver difeso la sua amica.
«A me sembra che tu te la cavi piuttosto bene», aggiunse, ammorbidendo il tono della voce per spezzare la tensione. «E poi, l'italiano è una lingua bellissima, vale la pena impararlo.»
Chishiya la guardò con occhi che tradivano un misto di ammirazione e rispetto. Sakurada, grattandosi la testa, ridacchiò piano, cercando di alleviare la situazione con una battuta: «Va bene, allora da oggi faremo lezione di italiano tutte le mattine.»
«Solo se ti comporti bene», rispose Nilufar con un sorriso tagliente, lasciando cadere l'ultima parola come una piccola sfida.
Tutti risero e l'atmosfera si sciolse di nuovo in leggerezza. Ma Chishiya non poté fare a meno di lanciare un'occhiata di traverso a Nilufar, riflettendo sul suo gesto.
"C'è in lei più di quanto immaginassi", pensò, mentre tornavano a discutere delle canzoni e dei nuovi progetti.
La pausa pranzo giunse a termine e, uno dopo l'altro, i ragazzi ripresero il loro posto tra urla concitate, telecamere accese e musica che risuonava nell'aria, pronti a esibirsi in un nuovo show. L'atmosfera era tornata a vibrare con la frenesia tipica di fine giornata, quando le ore di lavoro cominciavano a farsi sentire e tutti desideravano soltanto finire in fretta. Fortuna volle che l'ultimo spettacolo della sera fosse annullato a causa di un guasto elettrico, proprio mentre il sole iniziava a scendere lentamente dietro le colline, tingendo di arancio il cielo.
Nilufar non ne poteva più. Le ore trascorse sotto i riflettori, i sorrisi forzati e l'attenzione costante a ogni minimo gesto o parola l'avevano svuotata di energie. Sospirò profondamente mentre si dirigeva silenziosamente verso l'uscita laterale dello stabile, sperando di evitare chiunque volesse trattenerla ancora un po'. Passando davanti a uno specchio appeso nel corridoio, si fermò un attimo: il suo riflesso le restituiva l'immagine di una stanchezza che cercava di nascondere. Con un gesto quasi automatico, si aggiustò i capelli scompigliati.
Aveva quasi raggiunto la porta, quando una voce familiare la fermò all'improvviso.
«Principessa, stai scappando?»
La voce allegra e un po' provocatoria di Sakurada risuonò alle sue spalle. Lui, con il suo sorriso sornione, si avvicinava a grandi passi, l'aria di chi non si fa sfuggire nulla.
«Non abito esattamente dietro l'angolo», rispose Nilufar, cercando di mantenere un tono leggero, ma con una punta di stanchezza nella voce.
«E noi che ci stiamo a fare, allora?», domandò Sakurada, allargando le braccia in un gesto teatrale.
«No, grazie, vado a piedi.»
«Così mi offendi, principessa», disse lui. Poi indicò la sua auto parcheggiata poco distante, con Chishiya e Kuina già appoggiati al cofano. «Dai, salta su! Tanto devo accompagnare anche questi due individui.»
«Veramente io sono venuto con la mia auto», gli rammentò Chishiya, incrociando le braccia con la solita espressione impassibile.
Sakurada lo guardò come se avesse detto la cosa più ridicola del mondo.
«E dai, amico, la vieni a prendere questa sera!», rispose con un cenno della mano che chiudeva la questione senza possibilità di replica.
Chishiya sospirò, mentre Kuina, seduta sul cofano con le gambe incrociate, ridacchiava sotto i baffi.
«No, davvero, ragazzi...», Nilufar tentò di nuovo, ma questa volta Sakurada non le diede neppure il tempo di finire. Le afferrò la borsa con un gesto rapido e teatrale, caricandola nel bagagliaio. «Principessa, smettila di combattere il destino!»
Prima che potesse protestare di nuovo, si ritrovò trascinata dentro l'auto, seduta dietro accanto a Kuina, mentre Chishiya e Sakurada occupavano i posti davanti.
L'auto si mise in moto e il viaggio cominciò tra chiacchiere leggere e battute occasionali. In realtà il tragitto non fu lungo, ma Nilufar preferiva mantenere la sua riservatezza. Dopo una decina di minuti, mentre le strade si facevano sempre più familiari, chiese a Sakurada di fermarsi nell'isolato prima della sua destinazione.
«Ecco, va bene qui», disse sbrigativa. «Grazie per il passaggio, ma preferisco fare il resto a piedi.»
Sakurada la guardò attraverso lo specchietto retrovisore con un sorrisetto malizioso. «Non vorrai mica liberarti di noi così facilmente, principessa!»
Lei si sporse in avanti tra i due sedili anteriori, occhi fissi su Sakurada.
«Lo dico per te, sai? Non vorrei che i tuoi fan scoprano dove accompagni le ragazze... potrebbe nascere un gossip spiacevole.»
Kuina ridacchiò, appoggiandosi al sedile e scuotendo la testa. «È troppo furba per te, Saku.»
«La prendi sempre con filosofia, eh?», intervenne Chishiya, mentre Sakurada faceva finta di ignorare entrambi.
Ma ovviamente, Sakurada non aveva intenzione di lasciarla andare senza un ultimo scherzo. Non appena Nilufar aprì la portiera e si avviò a piedi verso casa, lui fece rombare il motore e, come da copione, suonò ripetutamente il clacson, attirando l'attenzione di tutti i passanti.
Nilufar si voltò di scatto, con il viso che ormai stava assumendo un leggero rossore.
«Smettila!», gli gridò tra i denti, ma non riuscì a trattenere un sorriso imbarazzato. Alcune persone per strada si fermarono a guardare, incuriosite dalla scena.
Sakurada abbassò il finestrino e, ridendo, le gridò: «Dove abiti realmente, principessa?»
«Sei insopportabile», borbottò lei, alzando le mani in segno di resa.
Fu Chishiya a intervenire, tagliando corto. «Dai, lasciala in pace. Non siamo qui per fare casino.»
Nilufar si voltò di nuovo verso di lui. «Lo sai che sei proprio un rompiscatole?»
Kuina, che aveva assistito divertita a tutta la scena, annuì. «Non ha tutti i torti.»
Nilufar sospirò, poi fece un cenno con la mano a Sakurada, invitandolo a seguirla con l'auto. Non sapeva bene perché lo facesse, forse per istinto, ma pensò che se doveva vivere lì, tanto valeva condividere la sua posizione con degli amici fidati. E quei ragazzi, dopotutto, non sembravano affatto malvagi. Si avvicinò al cancello automatico e lo aprì, indicando con un gesto dove parcheggiare: «Nello spazio libero a sinistra.»
Entrata in casa, spalancò subito porte e finestre, lasciando che l'aria fresca riempisse l'ambiente.
Quando furono tutti dentro, esclamò con un sorriso: «Non è puzza di ascella quella che sentite, ma cipolla!»
La battuta strappò una risata a Sakurada e Kuina.
«E dunque, questa è casa mia», continuò Nilufar, allargando le braccia per mostrare la stanza. «Una classica villetta italiana.»
Sakurada fece un giro su se stesso, osservando con un sorriso malizioso. «Ti è scappata una Barbie, per caso?»
Nilufar rise e si mise subito al gioco. «Caro, sono Barbie Principessa, altro che!»
Nel frattempo, Chishiya si era fermato sull'uscio, apparentemente distratto da qualcosa. Nilufar lo notò fare un cenno discreto a qualcuno oltre la porta, come per far tacere chiunque fosse là fuori.
Curiosa, si avvicinò.
«Conosci la mia vicina?», gli chiese con aria sospettosa.
«No.»
«Senti, sarai pure un gatto umano, ma a mentire sei pessimo. È chiaro che la conosci.»
«Ti dico di no.»
«Allora perché ti vedo spesso da queste parti? No, non ci abiti... e non osare mentirmi!»
Alla fine, Chishiya scoppiò a ridere e alzò le mani in segno di resa. «Va bene, mi arrendo. Quella è mia nonna.»
Nilufar lo guardò trionfante. «Lo sapevo! È una vecchietta deliziosa, non fa che salutarmi ogni volta che mi vede.»
Con un sorrisetto vittorioso, si spostò verso la cucina.
«Cosa posso offrirvi?», chiese, mentre cominciava a rovistare tra le provviste.
Kuina non riuscì a trattenersi e, con un tono quasi supplichevole, disse: «Il tour della casa, ti prego! Sono affascinata dall'Italia!»
«Davvero? Non è tutta questa gran cosa... Io sono scappata da lì.»
La domanda non tardò ad arrivare, e fu Chishiya a porla per primo, curioso: «Come mai?»
Ma prima che Nilufar potesse rispondere, Sakurada intervenne con il solito tono scherzoso. «Chishiya, fatti gli affari tuoi! Lascia che ce lo dica lei, se vuole.»
«Sei davvero incredibile, lo sai?», replicò Nilufar, evitando di rispondere alla domanda. Poi prese l'iniziativa e cominciò a guidare i ragazzi in giro per la casa.
Per lei era tutto estremamente familiare, ma per Kuina ogni stanza sembrava una scoperta affascinante. Rimase incantata dai colori caldi che si alternavano tra le camere e i bagni, e dalla luce che filtrava da ogni finestra, riflettendosi sulle pareti. Sakurada, invece, fu letteralmente conquistato dalla tavernetta al piano meno uno, che gli ricordò una piccola trattoria rustica dove aveva mangiato durante una vecchia vacanza in Italia con la sua famiglia.
«Non ricordo esattamente dove fosse», disse con aria nostalgica, mentre accarezzava il legno grezzo del tavolo. «Ma l'atmosfera era proprio così. Mi ha lasciato dei bei ricordi.»
Nilufar sorrise, grata per quel momento di condivisione.
«È una terra amara, ma ammetto che mi manca», ammise con un velo di malinconia negli occhi. Poi, come per rompere quell'attimo di nostalgia, si illuminò improvvisamente e disse: «Ehi, ho un'idea! Quando capita il prossimo giorno libero?»
«Domenica mattina fino alle quattro del pomeriggio. Shiin ha degli impegni», rispose Sakurada, incrociando le braccia al petto.
Nilufar batté le mani, entusiasta. «Perfetto! Allora pranziamo tutti insieme qui. Vi faccio assaggiare un vero pranzo italiano. Basta con riso, alghe e salmone!» Poi, con un sorriso malizioso, aggiunse: «E, giusto per farvelo sapere, impazzisco per il salmone!»
Chishiya non si lasciò sfuggire l'occasione di fare una battuta. «Cucina italiana, eh? Ma sei sicura di potercela fare senza il tuo amato salmone?»
«Guarda che so cucinare benissimo senza il salmone. È vero che lo adoro, ma non mi definisce.»
«Capisco. Però sai, un bel piatto di spaghetti al salmone non sarebbe male. Magari potresti aggiungerlo come tocco finale, giusto per non deludere il tuo pubblico.»
«A quanto pare, sei fissato anche tu col salmone, Chishiya. Ma sappi una cosa: niente salmone domenica. Si fa sul serio.»
«Va bene, vedremo se riuscirai a stupirmi.»
Fu così che si accordarono per il pranzo della domenica. Nilufar si impegnò a fondo per trovare tutti gli ingredienti necessari alle sue portate italiane, girando per negozi e mercati fino all'ultimo momento.
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