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Capitolo 8

Capitolo 8

La luce fioca del mattino si diffondeva in casa. Nilufar, sentendosi insolitamente di buon umore, si alzò e aprì le finestre. L'aria fresca le riempì i polmoni e un sorriso spontaneo le illuminò il volto. Decise di prepararsi in fretta per la colazione da Starbucks, scegliendo un abbigliamento semplice e comodo.

Una volta arrivata e preso il solito cornetto di polistirolo con cappuccino freddo, si sedette vicino le grandi vetrate e controllò il telefono. Il suo cuore ebbe un piccolo sussulto vedendo il messaggio di Chishiya: «Buongiorno!»

Senza aspettare un attimo rispose. «Sono da Starbucks a fare colazione.»

La risposta di lui fu rapida e inaspettata. «Aspettami lì. Arrivo subito.»

Nilufar sentì il viso riscaldarsi mentre fissava il messaggio. In un misto di nervosismo ed eccitazione, guardò attraverso le vetrate, scrutando le persone all'esterno e mordendosi distrattamente un dito per l'attesa. Ma perché lo stava aspettando con tanta trepidazione? Nemmeno lo conosceva... Dopo pochi minuti, lo vide arrivare.

Chishiya indossava un pantalone di tuta grigia, una maglia larga e un cardigan lungo di un tono più scuro. Il suo sorriso disinvolto era visibile da lontano. Entrò, ordinò un caffè, poi si avvicinò al tavolo e si sedette accanto a lei.

«Buongiorno», le disse, posando la tazza sul tavolo.

«Buongiorno a te», rispose lei, cercando di sembrare rilassata.

«Dormito bene?»

«Sì, e tu? Contento per l'intervista di ieri sera?»

«Molto. Ma, se devo essere del tutto sincero, a un certo punto ho smesso di pensarci... tu, per esempio, eri molto più interessante della mia intervistatrice», rispose lui, sorseggiando il caffè e osservando la reazione di lei.

Nilufar abbassò lo sguardo, arrossendo. «Sono tutto tranne che interessante...»

«Perché dici questo?»

«Perché... perché... Io non lo so il perché.»

Nilufar cercò di dissimulare l'imbarazzo dietro un sorso di cappuccino, ma Chishiya continuava a guardarla. Allora lei, dopo un attimo di esitazione, sospirò come per scrollarsi di dosso un peso invisibile.

«Devo andare», disse, raccogliendo la borsa e guardando altrove per evitare il suo sguardo.

Chishiya annuì, alzandosi anche lui. «Posso accompagnarti, se non ti dispiace. Andiamo nella stessa direzione.»

Nilufar non poté dire di no, e così camminarono fianco a fianco senza dire una parola. E mentre lei cercava di ignorare il tumulto che le si agitava dentro, Chishiya rispettò il silenzio e la riservatezza della ragazza che aveva accanto.

A un certo punto lui si fermò e, con uno sguardo calmo e gentile, disse: «Perdonami, sono stato invadente.»

«Non è colpa tua», sospirò lei. «Sono più complicata di quanto pensi.»

Nilufar si allontanò, lasciandolo lì, fermo tra la folla, a chiedersi quali spiacevoli eventi l'avessero abbattuta a tal punto da non credere più in sé stessa.

Durante il lavoro, tra Nilufar e Chishiya non ci furono altri scambi di battute. Lei sembrava quasi trasparente, come se si muovesse nello spazio senza lasciare traccia. Si teneva a distanza, evitava di incrociare il suo sguardo e ogni volta che lui provava a rivolgerle la parola, riceveva risposte fredde e monosillabiche.

Sakurada lanciò un'occhiata interrogativa verso Kuina mentre osservavano la scena da lontano.

«Hai notato anche tu?», mormorò, sollevando appena il mento verso Nilufar che, poco distante, stava armeggiando con delle palette.

Kuina annuì, sospirando. «Sì... si comporta in modo strano, non trovi?», rimase qualche istante a osservare la ragazza, poi aggiunse: «Provo a parlarle.» Si avvicinò a Nilufar con un sorriso gentile. «Ehi, tutto bene? Hai l'aria un po'... pensierosa.»

Nilufar la guardò per un attimo e le rispose con un sorriso di circostanza. «Sì, tutto bene. Davvero, non preoccuparti.»

«Ne sei sicura?»

Nilufar si limitò a fare un cenno col capo, poi, con una scusa frettolosa, si allontanò portandosi dietro una serie di pennelli sporchi per lavarli.

Sakurada si avvicinò a Kuina, scuotendo la testa. «È come se volesse tenere tutti a distanza. Tu che ne pensi, Chishiya?»

Il ragazzo li osservò per un istante, il volto impassibile. «Non lo so... Forse ha solo bisogno di stare per conto suo.»

«Ma tu sei il più vicino a lei, no? Vi ho visti stamattina da Starbucks», incalzò Kuina, sperando in una risposta più soddisfacente.

Chishiya si limitò a scrollare le spalle, con aria disinvolta.

«Lasciatela in pace», suggerì, incrociando le braccia. «A volte è meglio non stare troppo addosso alle persone.»

Kuina e Sakurada si scambiarono un'occhiata incerta, senza rispondere.

Quella sera, quando il cellulare di Nilufar vibrò, si ritrovò a sorridere senza poter controllare la smorfia che si era fatta spazio sul suo volto, illuminandolo: era un messaggio di Chishiya. "Forse ho avuto una reazione eccessiva", pensò. "Nessuno di loro vuole farmi del male... tanto meno Chishiya."

«Sei tornata a casa? Tutto bene?», le chiedeva lui per messaggio.

«Sì, tutto bene, grazie. Scusami per oggi: ho avuto una reazione esagerata. Devo abituarmi al cambiamento», rispose lei.

«Lo avevo intuito. Stai tranquilla. Buonanotte.»

«Buonanotte a te.»

Nilufar rimase a fissare il soffitto, chiedendosi se quello, qualunque cosa fosse, era un rischio che voleva davvero correre. L'idea di soffrire come era successo con Fabio non la invogliava ad aprirsi, ma con Chishiya... be', sembrava tutto diverso.

  *

Sakurada aveva insistito per giorni, cercando in ogni modo di convincerla a unirsi a lui e ai suoi amici per uno spettacolo serale nella solita piazza.

Alla fine, dopo numerosi tentativi, Nilufar decise di accettare la sfida. Nonostante fosse imbarazzata e ansiosa, c'era una parte di lei che desiderava mettersi alla prova, uscire dalla sua comfort zone.

Quando si vide allo specchio, pronta per la serata, quasi non si riconosceva: indossava un abito di scena scintillante, con un corpetto stretto dai riflessi cangianti che seguivano i movimenti della luce, e una gonna fluida che danzava intorno a lei, fatta di un tessuto leggero come il vento. Il contrasto tra le sue meches bionde e la base castana era amplificato dalla brillantezza dei glitter che le illuminavano i ricci appena fatti, intrecciati in un'acconciatura volutamente disordinata, ma elegantemente selvaggia.

I capelli si muovevano con lei, brillando sotto i riflettori ogni volta che faceva un passo. Il trucco, audace ma raffinato, era un mix di ombre dorate e di accenti viola sugli occhi, mentre le labbra sfoggiavano un rosso intenso che sembrava farsi notare da ogni angolo della piazza.

Lo spettacolo iniziò con una sinfonia di colori e suoni. Nilufar si lasciò andare al ritmo della musica, muovendosi con una grazia che non aveva mai sospettato di possedere. La folla applaudiva, e con ogni risata e applauso, sentiva crescere in lei una sensazione di libertà, come se stesse scoprendo una nuova versione di sé, più caotica e divertente, ma anche autentica.

Nel caos, però, un paio di occhi non smettevano di osservarla: Chishiya, impassibile come sempre, aveva lo sguardo fisso su di lei. Nonostante la sua aria distaccata, Nilufar percepì l'intensità del contatto visivo, come se non potesse fare a meno di seguirla, di vedere ogni sua mossa.

Quando lo spettacolo si concluse, con gli applausi che ancora riecheggiavano nella piazza, i ragazzi si riunirono nella sala trucco. Tra risate e complimenti reciproci, Sakurada approfittò del momento per pagare Nilufar. Lei ormai non guardava più i soldi. Non le interessava il compenso quanto il legame che stava nascendo con quei ragazzi.

Salutò i suoi amici circa mezz'ora dopo. Uno dietro l'altro si avviavano verso casa, mentre lei rimase indietro, sola, per riporre le sue cose al loro posto.

Ma non era veramente sola.

Chishiya non perse occasione per rompere il silenzio.

«Sei stata brava, ma non credere che basti per diventare una star», disse, con quel sorriso beffardo che la irritava e la incuriosiva allo stesso tempo.

«Vale anche per te. Non crederti superiore soltanto perché lo fai da più tempo, ho una vita intera per imparare», ribatté lei.

Lui rise, con quella risata silenziosa che parve sminuire tutto, facendola sentire ancora più imbarazzata, ma, in qualche modo, anche speciale.

«Devo capire se ci credi davvero, o se stai solo recitando», continuò a provocarla lui.

Il battibecco continuò per qualche minuto, con Nilufar che cercava di non farsi sopraffare dall'imbarazzo, ma alla fine i due finirono per sorridersi, complici di una serata che era stata folle e inaspettatamente bella.

Si salutarono all'uscita della piazza, imboccando strade diverse, ma entrambi con un sorriso sulle labbra.

Arrivata a casa, Nilufar si buttò sul divano, stanca ma felice. Presa dalla curiosità, iniziò a guardare i video che erano già stati caricati in rete. Le immagini la mostravano mentre si muoveva sul palco improvvisato, eppure qualcosa di particolare catturò la sua attenzione: Chishiya le era sempre vicino, come se trovasse ogni scusa per starle accanto, anche nei momenti in cui non sembrava necessario.

Si fermò a pensare per un attimo, poi scosse la testa. "Sarà la stanchezza", mormorò tra sé e sé, chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dal sonno.

*

Due settimane dopo, Nilufar si era completamente sincronizzata con il ritmo del suo nuovo lavoro. I giorni di prova erano giunti al termine da un bel pezzo e lei era diventata a tutti gli effetti un membro affermato del gruppo di artisti di strada.

Questo nuovo mondo le aveva permesso di scoprire un lato di sé che non aveva mai immaginato: amava trafficare con palette di trucchi e pennelli, con tinture, forbici, phon e spazzole, tutto quello che riguardava il suo lavoro. E perché no, ogni tanto si divertiva a unirsi al gruppo: indossava una maschera qualunque ed era libera di essere chi voleva senza dover dare conto a nessuno.

Con il tempo, si rese conto che lei era questo: un'Artista. Quando si dedicava al trucco aveva come l'impressione di dipingere una tela, e nel momento in cui si occupava dei capelli, trattava ogni ciocca con la delicatezza con cui avrebbe maneggiato seta pura. Era attenta a non maltrattarli con tinte aggressive o calore eccessivo, curando ogni dettaglio per far sì che i ragazzi lasciassero la postazione con un sorriso.

Quella nuova passione le dava una soddisfazione che non aveva mai provato prima, un senso di realizzazione che la faceva sentire viva e pienamente sé stessa.

L'amicizia con i ragazzi procedeva bene anche se a rilento. Non perché fossero di cattiva compagnia, anzi: facevano di tutto per coinvolgerla nei loro scherzi, nelle risate improvvisate e nei progetti spontanei.

Sakurada organizzava delle uscite, Kuina proponeva attività di gruppo, ma nonostante i loro sforzi, Nilufar si sentiva ancora spaurita, come se ci fosse una distanza invisibile tra lei e il resto del gruppo. Continuava a cercare quella certezza, quel segnale che le confermasse di potersi fidare completamente, ma la mancanza di una vera spalla su cui contare la faceva spesso chiudere a riccio.

Durante le pause o i momenti di relax, a volte preferiva starsene per conto suo, seduta in un angolino, osservando gli altri da lontano, quasi temendo di abbassare le difese troppo in fretta, come stava accadendo quella volta da Starbucks, quando Chishiya le confessò di trovarla interessante.

Con lui le cose si erano congelate in una strana routine fatta di silenzi e sguardi veloci, privi di quei battibecchi che la facevano sentire speciale. Si scrivevano soltanto per questioni pratiche: lei gli chiedeva indicazioni per trovare supermercati che vendessero prodotti italiani; lui la ingaggiava quando doveva prepararsi per qualche intervista o per gestire i suoi impegni lavorativi.

Nonostante questa apparente freddezza, però, Nilufar non poteva ignorare il modo in cui si guardavano quando erano insieme. Ogni tanto, i loro sguardi si incrociavano per un attimo troppo lungo, come se il tempo rallentasse. Quegli istanti rubati al frenetico scorrere delle giornate avevano un peso particolare, un significato nascosto che nessuno dei due sembrava pronto a svelare.

Sakurada non mancava mai di notare quella tensione tra i suoi amici. Con la sua solita energia irriverente, non perdeva occasione per mettere in imbarazzo entrambi.

«Vi vedo, sapete? Quegli sguardi furtivi... l'aria pesante che si taglia col coltello!», scherzava, ridacchiando di gusto, mentre Nilufar e Chishiya abbassavano lo sguardo, visibilmente a disagio.

Kuina, spesso, cercava di calmarlo, tirandogli le orecchie con affetto e rimproverandolo di non essere così invadente, ma era chiaro che quello era il suo carattere. In fondo, a Nilufar non dava troppo fastidio: il suo modo di stuzzicare e ridicolizzare la situazione le ricordava casa, dove le prese in giro erano all'ordine del giorno. Anzi, in certe circostanze, gli italiani si ridicolizzavano per molto meno, e quell'atmosfera scherzosa aveva qualcosa di familiare, un calore che non riusciva a respingere del tutto.

Quel giorno, Sakurada aveva un'intervista importante in programma e, come da accordi sulla chat di gruppo, chiese l'aiuto di Nilufar per sistemarsi prima dell'appuntamento. Aveva avuto modo di organizzarsi ,e quando arrivò, lo fece accomodare subito al lavatesta.

Mentre gli applicava lo shampoo sui capelli bagnati, le sue mani si muovevano con precisione e delicatezza. Massaggiava la cute con movimenti lenti e rilassanti, e proprio come accadeva con Chishiya, Sakurada iniziò a cedere al rilassamento, chiudendo gli occhi. Stava quasi per addormentarsi con un mezzo sorriso sulle labbra, quando improvvisamente si ridestò con uno scatto, rendendosi conto di essersi perso per un attimo.

«Non stai pensando di farmi addormentare prima dell'intervista, vero?», scherzò, alzando le sopracciglia con un'espressione divertita.

Nilufar rise e lo indirizzò verso la postazione davanti allo specchio. «Certo che no. Abbiamo ancora del lavoro da fare, e il tempo non aspetta.»

Shiin si unì a loro per dare una mano con l'asciugatura, mentre Nilufar, correndo contro le lancette dell'orologio che sembravano aver deciso di accelerare, si occupava di sistemare un trucco leggero e naturale. Aveva preso confidenza con questi piccoli lavori di routine e si muoveva con una sicurezza nuova, nonostante il ritmo serrato.

Mentre sistemava gli ultimi dettagli, aggiustando i capelli di Sakurada ai lati della fronte per mettere in mostra il suo viso liscio e curato, lo osservò allo specchio.

«Ecco fatto!», disse con un sorriso soddisfatto. «Così, dopo l'intervista, la tua ragazza non potrà fare a meno di tenerti gli occhi addosso.»

Sakurada sorrise con una punta di malizia, ma le sue guance si colorarono leggermente. «Lo stai dicendo solo per mettermi in imbarazzo, ammettilo.»

Nilufar alzò un sopracciglio, divertita. «Cosa mi stai dicendo? Che sotto questa corazza da stronzo si nasconde un tenerone?»

Sakurada sbuffò, prendendo la mantella protettiva e lanciandogliela addosso, ma il rossore sulle sue guance lo tradiva.

«Oh, piantala!», disse, ridendo, mentre Nilufar lo guardava con un'espressione di finta offesa. «Grazie. Ci sai fare, principessa.»

«Non sono una principessa. Anche se, tutto sommato, la cosa non mi dispiace.»

Sakurada rise, ma prima di andarsene non perse occasione per una delle sue frecciatine: «Chissà, magari un giorno sarai la principessa di Chishiya.»

Nilufar spalancò gli occhi per la sorpresa e rispose in modo brusco: «Vattene, sei irritante!»

Sakurada uscì dalla stanza ridendo, ma non prima di aver insistito affinché Nilufar accettasse la mancia che le stava offrendo.

Nonostante il suo imbarazzo, alla fine accettò, sentendosi leggermente a disagio sia per il fatto che ancora non sapeva contare bene i soldi giapponesi, sia perché, piano piano, iniziava a considerare Sakurada non più come un amico, ma peggio di un fratello.

Alla fine divise la somma con Shiin, che l'aveva aiutata per tutto il tempo. Poi raccolse le sue cose per andarsene.

Proprio mentre stava uscendo dalla stanza, si scontrò con Chishiya nel corridoio. Lui era lì, con il solito atteggiamento enigmatico, pronto a godersi il pomeriggio libero dagli impegni lavorativi. Stava per dire qualcosa quando Nilufar lo anticipò.

«Giacché sei qui, mi rammenti dove si trova quel market con i prodotti italiani?», chiese, cercando di sembrare disinvolta.

Chishiya la guardò con il suo solito sorriso da gatto.

«Nei pressi di Shibuya», rispose tranquillamente. «Il National Azabu. Ti accompagno, se vuoi.»

«No, grazie. Faccio da sola.»

Nilufar non disse altro e si allontanò, cercando di mantenere un'aria distaccata, mentre il cuore le batteva leggermente più forte. Chishiya, come sempre, non si lasciò scomporre. La guardò andarsene senza cercare di fermarla. Anzi, il suo sorriso si allargò appena, mentre infilava le mani in tasca e si incamminava nella direzione opposta, come se la scena fosse stata esattamente ciò che si aspettava.

Mentre attraversava il corridoio, Nilufar si chiese per un attimo cosa sarebbe successo se avesse accettato l'invito. Ma poi scosse la testa, scacciando il pensiero: aveva altre cose a cui pensare... o almeno, così si diceva.

Il National Azabu era un grande supermercato internazionale che offriva una vasta selezione di prodotti alimentari, perfetto per chi, come Nilufar, sentiva la nostalgia di casa. Tra gli scaffali ricolmi di articoli provenienti da tutto il mondo, trovò con sollievo numerosi prodotti italiani: pasta di grano duro, pecorino, mozzarella, bottiglie di vino rosso e salse pronte. Un piccolo angolo d'Italia, lì, a Tokyo. Tuttavia, la curiosità di scoprire nuovi sapori la spinse a esplorare anche le sezioni giapponesi, affascinata dalla varietà di alimenti che ancora non conosceva.

Riempì il carrello con una selezione variegata: sashimi fresco, una bottiglia di sake, confezioni di tempura pronta e un assortimento di dolci tradizionali come il mochi. Non poté fare a meno di aggiungere anche vari tipi di tè verde, uno più aromatico dell'altro, decisa a provare tutte le diverse sfumature di questa bevanda iconica.

Alla cassa pagò 5000 yen servendosi della carta di credito, mentre fissava i numeri sullo scontrino cercando di fare rapidamente un calcolo mentale.

«Devo davvero smetterla di tergiversare», borbottò a sé stessa, mentre raccoglieva le buste. «È il momento di imparare a leggere questi dannati soldi!»

Con un sorriso ironico, si avviò verso la strada di casa, le mani piene delle buste ingombranti.

Era una di quelle giornate perfette: il cielo era terso, limpido, e il sole splendeva alto sopra Shibuya, riflettendosi sui palazzi di vetro e acciaio. Il caldo si sentiva, ma non in modo fastidioso, piuttosto come un abbraccio estivo che Nilufar, da buona italiana, non poteva che apprezzare. Mentre camminava, guardava le vetrine dei negozi e delle caffetterie, e per un attimo sentì il desiderio di fermarsi da Starbucks per un cappuccino freddo. Tuttavia, le sue buste pesanti e ingombranti le ricordarono che non sarebbe stato il caso di gironzolare troppo per le strade di Tokyo con quel carico appresso.

"Un'altra volta", pensò, proseguendo con un leggero sospiro.

Mentre si dirigeva verso casa, persa nei suoi pensieri, si scontrò improvvisamente con qualcuno. Le buste si agitarono pericolosamente nelle sue mani, ma riuscì a mantenere l'equilibrio. Alzò lo sguardo e il suo cuore perse un battito: di fronte a lei c'era Chishiya, con la solita espressione tranquilla e un po' distaccata, le mani infilate nelle tasche della sua tuta, i capelli leggermente scompigliati dal vento e il sole che gli faceva strizzare gli occhi da felino.

«Ehi!», la salutò.

Nilufar lo guardò sospettosa. «Sembra quasi che tu mi stia seguendo. Ti vedo spesso da queste parti. Abiti nei dintorni?»

«Non proprio, ma questo è un centro molto frequentato. È facile incontrarsi qui.»

Nilufar annuì, ma sentì il cuore battere più forte. Non era sicura di quanto fosse vero, ma non aveva intenzione di approfondire.

«Capisco. Be', scusami, devo tornare a casa.»

«Posso aiutarti con le buste?»

«Non è necessario», rispose Nilufar con prontezza, forse un po' troppo in fretta. «E poi... non abito nemmeno qui!»

Si sentì stupida e tremendamente agitata, tanto che iniziò a muoversi velocemente per allontanarsi.

La verità era che abitava proprio lì, a pochi passi da dove si trovavano. Ma non voleva che lui lo sapesse, così decise di fingere di continuare a camminare verso una direzione diversa. E mentre si allontanava, sentì l'impulso di controllare se Chishiya se ne fosse andato. Così, gettò uno sguardo furtivo oltre la spalla e vide che lui l'aveva osservata con il suo solito sguardo imperturbabile. Eppure, quando i loro occhi si incrociarono di nuovo, lui sorrise appena, con quel suo risolino enigmatico che la faceva arrossire.

Nilufar accelerò il passo e, una volta sicura che lui non la stesse più guardando, si affrettò a tornare indietro e barricarsi nella sua villetta. Una volta dentro, si appoggiò alla porta chiusa, cercando di calmare il battito accelerato del cuore.

"Devo smetterla di farmi prendere dal panico ogni volta che lo vedo", pensò, scuotendo la testa.

Dall'altra parte della strada, Chishiya si era fermato per un istante, osservando la scena. Il modo in cui Nilufar era scappata di corsa lo fece sorridere.

"È davvero una ragazza strana", pensò, infilando di nuovo le mani nelle tasche e riprendendo a camminare verso la sua meta. Ma quella stranezza lo incuriosiva.

Quella sera, Nilufar decise di dedicarsi alla cucina. Dopo aver passato qualche minuto a cercare un tutorial su YouTube, si cimentò nella preparazione di un piatto semplice, ma tipico della cucina giapponese: il gyudon, riso con carne di manzo cotta in una salsa di soia dolce e cipolle.

Il processo fu più complesso di quanto avesse immaginato e, mentre mescolava la carne nella padella, si ritrovò a combattere con il calore e il fumo.

«Non sarà il piatto perfetto», borbottò tra sé e sé, «ma almeno ci ho provato.»

Alla fine, il risultato non fu dei migliori, ma nemmeno disastroso. La carne giapponese si scioglieva letteralmente in bocca e il sapore della salsa dolce si mescolava perfettamente con il riso bianco. Mangiare quel pasto la fece sorridere, mentre pensava a quanto stesse iniziando a sentirsi parte di quella città, sebbene ci fossero ancora molte cose da imparare.

Caricata la lavastoviglie, si preparò per la notte. Con il telefono accanto, si sedette sul divano e guardò fuori dalla finestra: il cielo notturno di Tokyo si stagliava sopra di lei.

"Chissà se lo rivedrò ancora domani...", pensò, prima di scivolare lentamente nel sonno.

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