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Capitolo 4

Capitolo 4

Nilufar oltrepassò un breve sentiero di ghiaia nera, il lieve scricchiolio dei sassi sotto le sue scarpe era l'unico suono che disturbava il silenzio della tarda mattinata. Il cielo era di un azzurro pallido, appena velato da qualche nuvola bianca che sembrava galleggiare come cotone. Arrivata dinanzi al cancello automatico in ferro battuto, fece un respiro profondo e prese la chiave dalla cassetta delle lettere, un piccolo contenitore in acciaio lucido, quasi nascosto tra le piante di edera che si arrampicavano sulle colonne.

Il freddo metallo della chiave scivolò tra le sue dita mentre lo inseriva nella serratura, e subito il cancello si aprì con un lieve ronzio meccanico. Oltre la soglia, il vialetto si biforcava, conducendo a due villette.

Una, sulla destra, era una pagoda giapponese, con il tetto ricurvo e piastrelle scure che luccicavano sotto la luce del sole. L'aria sembrava più tranquilla lì, come se il giardino zen sul retro, fatto di sabbia rastrellata e pietre, emanasse una quiete mistica. L'altra casa, quella di Nilufar, si trovava sulla sinistra.

Il contrasto tra le due era stridente: mentre la pagoda trasudava eleganza minimalista, la villetta di Nilufar sembrava uscita da un sogno d'infanzia: pareti fucsia acceso e infissi bianchi come il latte; la casa di Barbie trasformata in realtà.

"Se proprio devo cambiare vita, tanto vale farlo a modo mio", si era detta mentre presentava il progetto. E ora che era lì, la decisione sembrava meno surreale.

La casa si ergeva su due livelli, imponente e giocosa allo stesso tempo. Lo spazio esterno, piastrellato con mattonelle di cotto rosso, rifletteva la luce del sole creando un gioco di sfumature calde e morbide. Sei gradini di marmo bianco conducevano all'ingresso, dove una porta blindata, decorata con brillantini che scintillavano come polvere di stelle, la accoglieva.

Una lieve brezza le scompigliava i capelli, portando con sé il profumo di rose appena sbocciate dal piccolo giardino laterale. A sinistra della porta si scorgevano le grandi balconate della struttura, dove tende di un rosa pallido fluttuavano leggere al vento. Varcando la soglia, l'atmosfera cambiava. L'aria dentro era fresca e profumata di vaniglia, grazie ai profumatori sul mobiletto d'ingresso.

Una maestosa scala in legno di ciliegio si estendeva davanti a lei, conducendo verso il piano superiore, dove la luce filtrava da una grande finestra, creando un gioco di riflessi sulle venature. A destra, il grande salotto si apriva davanti ai suoi occhi. Il pavimento in marmo bianco, lucido come uno specchio, rifletteva la luce del sole che entrava dalle ampie finestre, illuminando ogni angolo della stanza. Un camino ad angolo, intagliato nella parete in modo raffinato, sembrava pronto a scaldare l'ambiente durante le sere più fresche. Di fronte, un meraviglioso sofà dalla forma di una nuvola, morbido e avvolgente, con una penisola dove Nilufar immaginava già di distendersi con un buon libro tra le mani o per guardare un film.

Il tessuto del divano era di un rosa candido, contrastando con la soffice moquette bianca che copriva parte del pavimento. Il tavolino da caffè in vetro, al centro del salotto, rifletteva le luci dei quadri appesi alle pareti: immagini di mari lontani, cieli sereni e vette innevate che sembravano voler trasportare chiunque li guardasse in luoghi lontani e tranquilli.

La porta-finestra con ribalta conduceva a un grande terrazzo, delimitato da una ringhiera bianca, che confinava con la cucina. All'esterno, il cinguettio degli uccelli rompeva la quiete del pomeriggio, mentre un leggero fruscio tra le foglie degli alberi accompagnava il respiro del vento.

Nilufar sospirò, assaporando l'aria e la sensazione di pace che quella casa, pur eccentrica, le trasmetteva. Anche se tutto sembrava ancora irreale, finalmente iniziava a sentirsi libera.

La cucina era una grande stanza inondata dalla luce del sole che filtrava attraverso le ampie finestre. L'aria profumava di pulito e vaniglia, mentre i raggi dorati del pomeriggio giocavano con le superfici lucide dei mobili fucsia. Il soffitto, alto e arioso, ospitava piccoli lampadari di cristallo che riflettevano bagliori iridescenti su tutto il pavimento, creando un delicato arcobaleno sul marmo lucido.

Ogni dettaglio sembrava pensato per splendere, compreso l'effetto specchio delle superfici dei mobili, che parevano quasi dissolversi nel riflesso del pavimento.

Al centro della cucina si trovava una grande penisola in marmo bianco e fucsia, elegante e moderna, circondata da sgabelli bianchi con i sedili imbottiti.

Nilufar adorava quel punto della casa: era il suo angolo di relax, perfetto per un caffè al volo o una chiacchierata con amici nuovi mentre cucinava. A un'estremità della penisola, due forni moderni erano incastonati tra i mobili, brillanti e immacolati, pronti per qualsiasi creazione culinaria.

Il frigorifero all'americana, con le sue due porte cromate e il dispenser di ghiaccio integrato, dominava una parete. Aprendolo, l'odore fresco di nuovo si mescolava al freddo metallico dell'elettrodomestico, simbolo della funzionalità che Nilufar aveva voluto mantenere nonostante lo stile giocoso della casa.

Dietro le ante a scrigno, con dettagli in vetro satinato, si apriva una sala da pranzo intima ma raffinata. Un grande tavolo in vetro trasparente incombeva al centro, riflettendo le otto sedie fucsia con struttura in acciaio. Erano eleganti e moderne, contrastavano con un semplice divano bianco a tre posti adagiato all'angolo della parete. La luce qui era più tenue, ammorbidita dalle tende trasparenti, creando un'atmosfera rilassante, quasi ovattata, perfetta per cene tranquille o colazioni lente al mattino.

Vicino alla cucina, accanto alla scala che conduceva al sottoscala, una porta si apriva su un piccolo ma affascinante bagno di servizio. Nilufar si era divertita a sperimentare con i colori delle piastrelle, scegliendo un azzurro vivace che abbracciava i sanitari in ceramica bianca dal design moderno.

Al primo piano, la luce naturale continuava a dominare gli spazi, riflettendosi sulle pareti con la stessa tinteggiatura a strisce bianche e fucsia del piano terra, che sembravano quasi vibranti grazie al pavimento in marmo.

Nilufar aveva scelto di giocare con i colori per le quattro stanze, in modo da distanziarsi dal totale "effetto Barbie".

La prima stanza, quella padronale, esplodeva in toni rosa intenso e bianco perla. Un grande letto a baldacchino, con tende leggere che scendevano dal soffitto come una cascata di seta, era il centro della scena. Le coperte e i cuscini, morbidi e invitanti, riprendevano le sfumature dell'arredo, creando un contrasto brillante con la scrivania bianca nell'angolo, che splendeva grazie ai raggi di sole che la colpivano attraverso le grandi finestre.

Ricavata in una parete, la cabina armadio era ben organizzata, con spazio a sufficienza per ogni abito e accessorio. Una porta conduceva al bagno padronale, dove piastrelle rosa e un box doccia in vetro trasparente aggiungevano un tocco di eleganza moderna, mentre la grande balconata, condivisa con le altre stanze, offriva una vista incantevole sul giardino.

La seconda stanza era un rifugio di serenità, dipinta nei toni del blu elettrico. Il letto matrimoniale, con coperte e cuscini abbinati, invitava al relax, mentre una moquette bianca e soffice sotto i piedi creava un'atmosfera accogliente. Nell'angolo, una scrivania bianca attendeva di essere utilizzata, illuminata dalla luce naturale che entrava dalla finestra. Anche qui, la cabina armadio, pur essendo leggermente più piccola, era perfettamente funzionale, e il bagno privato, rivestito di piastrelle blu chiaro, proseguiva il tema della camera.

La terza stanza, più piccola ma ugualmente affascinante, era dipinta nei toni del viola. Un letto a castello, perfetto per sfruttare al meglio lo spazio, troneggiava sulla parete centrale. L'armadio e la scrivania erano integrati nella struttura, ottimizzando l'area con intelligenza. Dietro una piccola porta bianca si nascondeva un bagno intimo, con piastrelle lilla e un tocco femminile che si adattava perfettamente all'atmosfera della stanza.

L'ultima stanza, anch'essa piccola ma luminosa, era decorata nei toni del verde chiaro. Due letti singoli, affiancati da comodini bianchi, occupavano un lato della stanza, mentre dall'altro lato troneggiava una grande scrivania con due sedie bianche, ideale per lavorare o studiare in compagnia. Il bagno annesso, rivestito di piastrelle verde pastello, rifletteva la luce, rendendolo luminoso e arioso.

Infine, sullo stesso piano, c'era un grande bagno di servizio che occupava una parte del corridoio. Le pareti erano ricoperte da piccole mattonelle a mosaico, un mix di colori iridescenti, rosa tenue e azzurro pastello. A seconda di come la luce colpiva le piastrelle, la stanza si animava di riflessi cangianti, creando un'atmosfera quasi fiabesca.

La vasca idromassaggio, ampia e moderna, occupava gran parte dello spazio e sembrava promettere lunghi momenti di relax. Era rivestita da un bordo in marmo bianco che, insieme al mosaico brillante, rendeva la stanza ancora più lussuosa. Vicino alla vasca, i due sanitari erano disposti in modo discreto, quasi nascosti dietro una piccola parete divisoria. Di fronte, un box doccia in vetro temperato completava l'ambiente, con un soffione a pioggia che aggiungeva un tocco di eleganza.

Sul lavabo in marmo bianco, ordinato e lucente, troneggiava uno specchio di cristallo, contornato da una cornice argentata che rifletteva delicatamente le luci soffuse della stanza. Accanto, piccole mensole in vetro dovevano essere occupate da prodotti di bellezza e piccoli cesti in vimini.

Una porticina bianca conduceva a una graziosa lavanderia dipinta di un delicato color vaniglia. Lì dentro, una lavatrice e un'asciugatrice occupavano lo spazio in modo funzionale, ma tutto era perfettamente in ordine, come se la stanza fosse stata preparata per essere usata solo nei momenti essenziali. C'erano anche armadietti e scaffali per riporre i detersivi e i materiali per le pulizie.

Adiacente alla lavanderia, un piccolo ripostiglio stretto e ancora vuoto aspettava di essere riempito, forse di attrezzi o oggetti da nascondere alla vista, o magari di quelle cose che finiscono dimenticate col passare del tempo.

All'ultimo piano, dove il tetto si inclinava in uno stile mansardato, Nilufar aveva deciso di lasciare tutto inoccupato, uno spazio aperto con pavimento in legno chiaro. Le travi a vista aggiungevano un tocco rustico, mentre la luce filtrava dalle finestre inclinate, proiettando lunghe ombre sulle pareti.

Nilufar aveva immaginato di trasformare quel piano in una palestra in futuro, ma per ora, lo spazio era silenzioso, vuoto, e sembrava quasi aspettare la sua destinazione definitiva.

Il piano che scendeva al sottoscala si apriva in un mondo completamente diverso: una graziosa tavernetta dallo stile rustico e accogliente. Le pareti, rivestite di pietra a vista, trasmettevano un calore antico, mentre il grande focolare ad angolo, intagliato nella parete, sembrava il cuore pulsante della stanza. Il fuoco crepitante avrebbe trasformato quel luogo in un rifugio accogliente nelle sere d'inverno.

Di fronte al camino, un divano semicircolare in tessuto beige era adagiato con cura, invitando a sedersi e rilassarsi. Alle spalle, un piccolo tavolo a sei posti, rivestito da una tovaglia a quadretti rossi e bianchi, sembrava pronto per una cena informale, forse una pizza o una serata di giochi in compagnia.

Il corridoio del seminterrato ospitava due porte: una conduceva a un bagno semplice, con due sanitari e un piccolo lavabo, essenziale ma funzionale. L'altra porta si apriva su un cucinino, composto da una piccola cucina singola con quattro fornelli e un forno. Anche se modesta, avrebbe potuto facilmente ospitare pranzi improvvisati o cene rustiche, magari accompagnate da una bottiglia di vino conservata in qualche angolo nascosto della tavernetta.

Il garage, spazioso e vuoto, aspettava solo di essere riempito.

Nilufar sapeva che, da brava italiana, ben presto lo avrebbe colmato con cianfrusaglie di ogni tipo: vecchie scatole, biciclette, attrezzi da giardinaggio e tutte quelle cose che inevitabilmente si accumulano nel corso degli anni. Forse all'inizio avrebbe provato a mantenerlo in ordine, ma col tempo avrebbe finito per lasciarlo in balia del disordine e della polvere, fino a quando non avrebbe avuto più voglia di sistemarlo.

Tornando al piano terra, dalla cucina e dal salotto si accedeva a un grande terrazzo che abbracciava entrambe le stanze, collegato da una lunga scala esterna al giardino privato.

Il giardino era una piccola oasi verde, dominata da una piccola piscina intagliata nel suolo. L'acqua scintillava al sole, con riflessi turchesi che danzavano sulla superficie liscia. Accanto, un angolo piastrellato ospitava sedie e sdraio, pronte per i momenti di relax estivo. Un tavolino da esterno, ombreggiato da un grande ombrellone bianco, era l'ideale per cene all'aperto o per sorseggiare un drink al tramonto.

Nilufar aveva sognato di vivere in una casa del genere per tutta la sua vita. Ogni angolo, ogni dettaglio rifletteva un pezzo di quel sogno e, a dirla tutta, la casa era ispirata a una villetta che vide prima di lasciare il lavoro: la porta era aperta e diede una rapida sbirciata perché da sempre cercava la sua casa dei sogni. Eppure, ora che finalmente l'aveva ottenuta, si sentiva smarrita, confusa, persino fuori posto.

La casa era perfetta, ma lei? Lei si chiedeva se fosse abbastanza. Se la meritava davvero?

Il suono improvviso del telefono la riscosse da quei pensieri sospesi, quei vuoti di assenza che spesso la catturavano. Si affrettò verso l'ingresso, dove aveva lasciato la borsa. Aprì la zip con un movimento rapido e tirò fuori il telefono. Sbloccò lo schermo con un gesto automatico e vide un messaggio da parte di Fabio.

«Per favore, ho bisogno di chiarire!»

Nilufar scelse di non rispondere al messaggio. Spense lo schermo del telefono e uscì sul balcone della sala da pranzo. Il sole stava ormai calando, tingendo il cielo di sfumature arancioni e rosate, e nell'aria si avvertiva quella particolare quiete che precede la sera. Le strade strette e ordinate del quartiere erano silenziose, rotte solo dal lieve ronzio delle biciclette e il suono di qualche campanello in lontananza.

Dalla sua posizione, Nilufar gettò uno sguardo alla villetta accanto e vide la sua vicina, una graziosa vecchietta dalla postura leggermente curva, intenta ad annaffiare le piante disposte ordinatamente in piccoli vasi di terracotta. L'anziana le rivolse un sorriso caloroso, i suoi occhi piccoli e increspati dalle rughe irradiavano una gentilezza che pareva tipica di chi aveva vissuto una lunga vita.

Nilufar, sorridendo a sua volta, si domandò se sarebbero diventate amiche, magari scambiandosi piccoli regali o chiacchiere occasionali al di là della recinzione, o se invece avrebbero finito per ignorarsi, come succede tra vicini che preferiscono vivere le proprie vite senza troppe interazioni.

Verso sera, dopo aver trascorso un po' di tempo a sistemare alcune cose, Nilufar decise di uscire a mangiare qualcosa. Non aveva ancora avuto modo di fare la spesa, quindi si affidò al navigatore e alle ricerche fatte nel pomeriggio per trovare un buon ristorante nelle vicinanze.

Le vie del quartiere erano illuminate dalle luci soffuse dei lampioni e il calore della giornata estiva si stava lentamente dissipando, sostituito da una leggera brezza serale. Le strade, sebbene strette, erano ben curate, fiancheggiate da piccoli negozi e abitazioni con tetti spioventi che ricordavano una fusione tra modernità e tradizione. I cavi elettrici, sospesi in alto, formavano intricate ragnatele sopra le teste dei passanti, un dettaglio così caratteristico delle città giapponesi.

Attraversando un piccolo parco, il suono di una fontana in pietra catturò per un attimo la sua attenzione. C'erano anziani seduti sulle panchine, alcuni impegnati a chiacchierare sottovoce, altri a fissare silenziosamente il cielo. Le biciclette, parcheggiate ordinatamente nei loro appositi spazi e i distributori automatici che brillavano con le loro luci al neon, contribuivano a quell'atmosfera unica e pacifica che solo il Giappone sa offrire.

Nilufar decise di dirigersi al ristorante Ichiran Ramen, noto per il suo ramen tonkotsu personalizzabile, una vera istituzione tra gli amanti di questo piatto. Mentre camminava, passò accanto a piccole botteghe illuminate da lanterne rosse e bianche, con scritte in caratteri kanji dipinti a mano che fluttuavano nell'aria. Il profumo del brodo di ramen, del takoyaki fritto e delle castagne arrostite si mescolava fino a creare un mix irresistibile che rendeva lo stomaco sempre più impaziente di saziarsi.

Arrivata finalmente al ristorante, fu accolta con un garbato "Irasshaimase!" (Benvenuta!) dal personale all'ingresso. L'ambiente, sebbene moderno, manteneva un'atmosfera tradizionale, con tavoli bassi e cabine individuali progettate per permettere ai clienti di concentrarsi esclusivamente sul loro pasto.

Nilufar si sedette in una di queste cabine, separate da pannelli in legno che garantivano privacy. Un menù dettagliato la guidò nella scelta, ma fu il cameriere, con un sorriso discreto e un atteggiamento cortese, a suggerirle di provare il classico ramen tonkotsu, fatto con brodo di maiale denso e cremoso.

Quando il suo ramen arrivò, la ciotola era un'opera d'arte: il brodo fumante emanava un profumo che subito la fece rilassare, e gli ingredienti -cipolla verde fresca, germogli di bambù e una spolverata di peperoncino- erano disposti con cura.

L'inizio fu un po' incerto. Nilufar era consapevole della regola giapponese: fare rumore mentre si mangia ramen è un segno di apprezzamento, ma si sentiva imbarazzata al pensiero. Tuttavia, dopo il primo sorso, caldissimo e saporito, capì che non poteva trattenersi. Le sembrò di essere da sola, nel suo mondo e si abbandonò alla pratica del "slurping", risucchiando rumorosamente il brodo. Era così buono che persino il calore soffocante del piatto passava in secondo piano.

Finito il pasto, con la pelle leggermente arrossata dal calore del brodo, Nilufar si sentì appagata, come se quel piatto avesse alleviato una fame più profonda di quella fisica. Pagò circa 1500 yen con l'aiuto del cameriere, che le spiegò gentilmente come funzionava il pagamento al tavolo, e le regalò un biscotto della fortuna.

Appena fuori dal ristorante, scartò il biscotto, ridendo tra sé e sé per quella piccola tradizione che le sembrava tanto familiare quanto esotica. Il cielo si era ormai fatto scuro e le strade erano illuminate dalle insegne al neon e dalle luci calde delle lanterne tradizionali appese davanti ai negozi. Il vento fresco della sera le accarezzava il viso.

Dentro il biscotto trovò un bigliettino con una frase che la fece riflettere per un attimo: "Visto con gli occhi dell'amore tutto appare diverso."

«Oh, ma per piacere!», esclamò Nilufar in italiano, certa che nessuno attorno a lei potesse capirla.

Fece per voltarsi di scatto e, persa nei suoi pensieri, finì per urtare un ragazzo che camminava tranquillamente per i fatti suoi. Il poveretto, colpito alla spalla, perse l'equilibrio e vacillò, per poco non cadendo.

«Mi dispiace, perdonami!», si affrettò a scusarsi Nilufar, dimenticando per un attimo le regole della cortesia giapponese e provando un impacciato inchino, sentendosi goffa e fuori luogo.

Il ragazzo, più o meno della sua altezza, indossava una felpa bianca con il cappuccio tirato sulla testa, da cui fuoriuscivano delle ciocche di capelli biondi ossigenati. Sollevò appena lo sguardo, rivelando due occhi a mandorla leggermente socchiusi, che sembravano brillare nella penombra delle luci stradali. Le rivolse un sorriso sottile e complice, quasi a dire che non c'era nulla di cui preoccuparsi.

Nilufar, imbarazzata, non poté fare a meno di notare che quel ragazzo aveva qualcosa di affascinante. Forse era il contrasto tra l'aria misteriosa del suo volto nascosto dal cappuccio e il modo in cui emanava un delicato profumo, fresco ma caldo, con una punta di agrumi. Senza aggiungere una parola, lui si allontanò con le mani infilate nelle tasche della felpa, lasciandola ferma all'ingresso del ristorante, confusa e col cuore che batteva un po' più forte di quanto avrebbe voluto.

Era atterrata a Tokyo solo quella mattina e già si ritrovava a riflettere sulle sue prime, goffe interazioni. Quante altre figuracce avrebbe fatto prima di ambientarsi davvero?

Nilufar decise di non rifugiarsi subito a casa. Nonostante la stanchezza del lungo viaggio e della giornata, l'eccitazione per essere finalmente in Giappone la spingeva a esplorare un po'. Si inoltrò tra le strade piene di vita di Shibuya, illuminate dalle insegne al neon, attraversando piccoli negozi di abbigliamento. Le vetrine mostravano manichini vestiti con lo stile eclettico della moda giapponese, una fusione di tendenze moderne e tradizionali. Si fermò a comprare qualche capo di abbigliamento, cercando di immergersi in quell'atmosfera vibrante, anche se sentiva ancora il peso della solitudine.

Dopo aver girato per i negozi, si ritrovò a passeggiare nella zona del mercato. Qui, l'aria si riempiva del profumo di pesce fresco e verdure, mischiato a quello dei banchi che offrivano street food come yakitori e taiyaki.

Nilufar si fermò a uno stand, scegliendo con cura un bel pezzo di salmone fresco, mentre il vociare costante della gente intorno a lei sembrava quasi farle compagnia.

Il cielo sopra Shibuya era un blu profondo, con qualche stella che faceva capolino tra le luci abbaglianti della città. Mentre tornava indietro verso casa, il cuore le balzò in gola quando vide nuovamente lo stesso ragazzo che aveva urtato poco prima. Stavolta, lui era fermo all'angolo di una strada, impegnato a scorrere sullo schermo del suo telefono.

In un gesto istintivo, Nilufar finse di cercare qualcosa nella borsa, evitando di incrociare il suo sguardo, anche se non poté fare a meno di chiedersi cosa stesse facendo da quelle parti. Forse viveva proprio lì vicino, pensò, cercando di scacciare l'inutile curiosità.

Finalmente, stanca e un po' disorientata, fece ritorno alla sua villetta. Chiuse a chiave la porta alle sue spalle, sentendo il peso della giornata gravarle addosso. Si infilò il pigiama rosa, quello che le ricordava la comodità di casa, e si lasciò cadere sul letto. Ma dormire si rivelò un'impresa. Nonostante la stanchezza, il silenzio e l'oscurità della casa nuova le risultavano inquietanti. Ogni angolo sembrava nascondere un'ombra sconosciuta, e l'idea di essere sola in un ambiente così grande le metteva un'inspiegabile ansia.

Camminò in giro per la casa in cerca di distrazioni, passando davanti alle finestre con le tende ancora aperte che lasciavano entrare la flebile luce dei lampioni. Si fermò in salotto, acciambellandosi sul divano tra i cuscini soffici, con il telefono tra le mani. Instagram e Facebook divennero rifugi temporanei, scorrendo svogliatamente tra foto e post che non riuscivano a distrarla davvero.

Poi, arrivò l'ennesimo messaggio da Fabio. Il suo nome apparve sullo schermo, e con esso il peso delle cose non dette e di un rapporto che si trascinava troppo a lungo.

Nilufar fissò il telefono per un attimo, rimuginando su cosa rispondere. Fabio voleva chiarire, ma lei non aveva più niente da dire. Era stanca di sentirsi trattenuta, di essere incatenata a un passato che ormai non le apparteneva più.

«Basta», si disse a mezza voce.

Era giunto il momento di chiudere. Scrisse un ultimo messaggio, con la speranza che Fabio capisse e che finalmente si rassegnasse. Lei voleva solo essere lasciata in pace, libera di volare e risplendere senza che nessuno la trascinasse indietro.

«Ammetto di sentire ancora il tuo profumo. Sto cercando di andare avanti, ma dannazione! Continui a scrivermi ed è davvero difficile non pensare a te. In realtà, vorrei odiarti per avermi lasciata andare da sola, per aver ridotto il mio cuore a una lattina accartocciata, ma non ci riesco. Per quanto mi sforzi, non posso farlo. Nonostante tutto, sei ancora un pensiero fisso, uno di quelli che non riesco a cancellare, a prescindere da quante cose faccia per distrarmi.

«Non sai quanto vorrei smettere di pensarti, smettere di rivedere continuamente noi due nella mia mente... Diventa sempre più difficile, perché nonostante il tempo e le ferite, il mio cuore non si è ancora arreso a cercarti. Lo so, probabilmente non dovrei, ma troppo spesso mi perdo nel passato, a ripensare a quanto era bello ridere insieme, a quanto mi faceva sentire viva stringere la tua mano. E quante volte ho desiderato ritrovarti, quante volte ho sperato che potesse andare come nei film, dove le persone si riconciliano, nonostante tutto.

«Forse anche questa notte la passerò con il fiato corto e il cuore in gola, desiderando qualcosa che, purtroppo, non si avvererà mai. Mi perderò tra i ricordi di noi due, di quello che eravamo all'inizio, di quelle promesse fatte e mai mantenute. E probabilmente mi addormenterò solo all'alba, come sempre, con gli occhi gonfi di lacrime, sperando che un giorno tutto possa migliorare. Ma per adesso, ti prego, lasciami andare una volta per tutte.»

Nilufar non ricevette mai una risposta a quel messaggio. Subito dopo averlo inviato, lo bloccò su tutti i social, tagliando definitivamente ogni filo che li legava. Si rannicchiò nel silenzio della grande casa, dove nessuno poteva vedere il suo dolore e dove le lacrime scivolarono nel buio, invisibili al mondo esterno.

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