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Capitolo 3

Capitolo 3


Erano le due e mezza del mattino quando il taxi la fermò all'aeroporto di Roma-Fiumicino.

Nel retro del taxi, con lo sguardo fisso fuori dal finestrino, Nilufar sentiva una lacrima scivolarle lungo la guancia. Il cielo era buio e vuoto, le luci della città si perdevano nella distanza e il rumore del motore era l'unico suono che la accompagnava nel silenzio dell'alba imminente. Sentiva il cuore pesante, gonfio di domande, di nostalgia... di Fabio. Il ricordo di lui era ovunque: nel primo abbraccio, in quelle chiacchiere infinite davanti agli Estathé al bar di Piazza Margherita a Caserta, in quel primo bacio che sembrava aver racchiuso il mondo intero.

Ma ora non c'era più posto per il passato; era lì per andare avanti.

Il tassista, notando le sue lacrime, la osservò dallo specchietto e azzardò un sorriso comprensivo.

«Prima volta che parti?», chiese, rompendo il silenzio.

Nilufar annuì, asciugandosi rapidamente una lacrima. «Sì. Un viaggio lungo... e pieno di incognite.»

«Capisco», rispose l'uomo, accennando un sorriso. «Dove vai?»

«In Giappone. Ho accettato un lavoro lì, una nuova vita... anche se non è stato facile lasciarsi tutto alle spalle», disse Nilufar, con un tono leggermente tremante. «Fabio... lui non era pronto, e io non potevo costringerlo.»

«Eh, le grandi scelte portano grandi cambiamenti. Anche mia figlia è innamorata del Giappone. Studia disegno e spera di andarci un giorno. Sogna di diventare una grande illustratrice.»

«Le auguro che ci riesca. Il Giappone è affascinante, ma fa anche paura... io stessa non so cosa aspettarmi.»

«Guarda, a volte è proprio quando non sappiamo cosa aspettarci che succedono le cose migliori. Chiusa una porta, spesso si apre un portone... E là fuori, c'è qualcuno che ti aspetta, qualcuno che sarà esattamente quello di cui hai bisogno.»

Nilufar annuì, lasciando che quelle parole le si posassero nel cuore come una promessa. Non sapeva ancora cosa l'attendeva, ma sentì una speranza che le illuminava un po' l'animo. Pagò la corsa con un sospiro, ripensando a quanto le fosse costato quel viaggio. Ma in quel momento, con la mente affollata di pensieri e sentimenti contrastanti, il costo del taxi sembrava l'ultimo dei suoi problemi.

Prese le due valigie, le sollevò con fatica e, abbassando la testa per nascondere le emozioni, si incamminò verso quella che doveva essere una nuova vita.

Cosa l'aspettava?

Era piena di apprensione e dubbi, ma sperava ardentemente di dare una svolta alla sua esistenza.

Non aveva mai viaggiato in aereo né era mai stata in un aeroporto prima d'ora. L'idea di trovarsi in quel luogo l'aveva sempre affascinata, ma ora che era lì, la realtà la sopraffece. Una volta varcato il cancello di ingresso, si sentì inghiottita da quel grande spazio luminoso che la circondava. Le enormi vetrate riflettevano la luce artificiale, creando un'atmosfera quasi eterea. La sua mente si sentiva come una piccola formica persa in un formicaio, un'idea che sembrava banale ma che, in quel momento, le pareva profondamente vera.

Era sola.

Il battito del suo cuore aumentava mentre osservava la folla che si muoveva frenetica intorno a lei. Famiglie, viaggiatori d'affari, turisti con le macchine fotografiche al collo, tutti con un obiettivo chiaro. E lei? Non aveva nessuno che la proteggesse.

L'ansia le serrò la gola mentre cercava di orientarsi. Voleva chiedere aiuto, ma a chi? Non c'era quasi nessuno che desse fiducia nei paraggi, soprattutto aveva timore di essere attaccata da quei barboni accampati in un angolo, avvolti nei loro stracci e per nulla ignari del mondo che li circondava.

Con un profondo respiro, si armò di determinazione. Aveva preparato tutto con cura prima della partenza, ma ora che si trovava lì, con la realtà che si materializzava, l'emozione si mescolava all'ansia. Aveva ricerche pronte, annotato ogni passaggio da seguire sul suo telefono.

"Ok, facciamo il punto", pensò, aprendo le note. Per prima cosa doveva procurarsi il biglietto aereo. Si diresse verso le postazioni self-service e, con mani tremanti, iniziò a seguire le istruzioni sullo schermo. Il processo sembrava semplice, ma ogni click pesava come il secchio d'acqua che aveva sceso per tanto tempo sulle scale. Poi, finalmente, si assicurò un volo di sola andata per Tokyo.

Tokyo.

La parola suonava strana, quasi magica, ma anche lontana e intimidatoria.

Mentre procedeva con la prenotazione, il pensiero che avesse dovuto prendere mezzi pubblici per raggiungere la sua nuova abitazione nei pressi di Shibuya la fece sentire ancora più disorientata. Cosa sapeva di Tokyo? E cosa avrebbe fatto al suo arrivo?

La sua mente cominciò a correre tra le mille incognite che l'aspettavano. Si ricordò di aver letto che la metropolitana di Tokyo era tra le più efficienti al mondo, ma anche tra le più complesse.

Un altro nodo le si formò nello stomaco, ma si costrinse a respirare profondamente. Scosse la testa, rimanendo concentrata. Aveva tutto il necessario: un passaporto, un visto per lavoro e una carta di soggiorno per residenza a lungo termine. Non era un piano perfetto, ma era un inizio. E col senno di poi, una volta concluso il lavoro, avrebbe potuto decidere se tornare indietro o proseguire per la sua strada.

Dopo aver completato l'acquisto del biglietto, si allontanò dal self-service e si guardò attorno. Le voci si mescolavano in un brusio indistinto, ma non riuscì a distinguere alcuna parola. Era come se il mondo intorno a lei si fosse trasformato in un grande collage di suoni e colori, mentre il suo cuore batteva all'unisono con l'ansia e l'eccitazione di quello che stava per affrontare.

La sua nuova vita stava per cominciare.

Nilufar attese circa mezz'ora prima di effettuare il controllo bagagli, un tempo che le sembrava interminabile, carico di ansia e incertezze.

Durante quei momenti di attesa, un attacco di panico la colpì, uno di quelli in cui il mondo comincia a girare troppo in fretta, come se tutto attorno fosse in movimento ma lei rimaneva bloccata. Il cuore le batteva così forte da sembrare che volesse uscire dal petto, e il respiro si fece affannoso. Le gambe si afflosciarono e per un attimo le parve di sprofondare nel pavimento freddo e sterile dell'aeroporto.

Chiuse gli occhi, cercando di ignorare il brusio della folla e il tintinnio dei bagagli, concentrandosi sul respiro.

Inspirare, espirare.

Si ripeteva che doveva farcela, che questo viaggio era per lei, per trovare una nuova vita. A poco a poco, il panico si placò. Si sentiva comunque stordita, come se fosse stata investita da un treno in corsa, ma sapeva di dover andare avanti.

Doveva farcela.

Dopo aver ritrovato un po' di calma, Nilufar si assicurò che le due valigie rispettassero il peso consentito. Con un'aria di determinazione, si avvicinò al banco per la consegna dei bagagli. Le mani le tremavano leggermente mentre porgeva la sua roba, ma il personale al banco le sorrise incoraggiante e questo la fece sentire un po' meglio. Passò attraverso il controllo di sicurezza, togliendosi l'orologio da fitness e consegnando l'unico portatile che possedeva per l'ispezione.

Il controllo dei documenti fu rapido: visto e passaporto vennero esaminati, e quando le confermarono che il biglietto era in regola, un sospiro di sollievo le sfuggì dalle labbra.

Era un passo in più verso la libertà.

Si mise in fila, notando che accanto a lei una coppia stava per partire per una vacanza.

Un'ondata di tristezza la colpì mentre osservava i due che si scambiavano effusioni e sguardi complici, la felicità che emanavano le pareva palpabile. Avrebbe voluto intraprendere quel viaggio con Fabio, immaginava come sarebbe stato condividere quell'esperienza con lui, cambiare insieme la loro vita. Ma non lo biasimava per aver scelto di restare. Non lo avrebbe più costretto a rimanere. Non era colpa sua se lei avvertiva quel bisogno capriccioso di fuggire da tutto.

Fu l'annuncio per l'imbarco del suo volo a risvegliarla dai suoi pensieri. Con il biglietto e il documento in mano, seguì la coppia verso l'ingresso dell'aereo. Una volta dentro, trovò immediatamente il suo posto, quello accanto al finestrino. Si sentì un po' più tranquilla mentre ascoltava i consigli della hostess, una ragazza magra dagli occhi verdi e i riccioli arancioni che si muoveva con grazia tra i passeggeri.

Mentre allacciava la cintura di sicurezza, guardò un'ultima volta la sua Italia. Il suo cuore si strinse e una lacrima scivolò giù per la guancia.

Era un addio. Eppure anche un benvenuto a qualcosa di nuovo.

Asciugò rapidamente l'occhio, sperando di scacciare via quel peso che incombeva dentro di lei.

«Signorina, è tutto a posto? Si sente male?», le chiese la hostess, con voce dolce e preoccupata.

«Va tutto bene, grazie», rispose Nilufar, sorridendo con tristezza, cercando di trasmettere sicurezza.

In quel sorriso c'era una vulnerabilità che solo lei conosceva, una lotta silenziosa tra la paura e la speranza.

Nel momento in cui l'aereo fu pronto a partire, Nilufar strinse forte i braccioli del sedile, le nocche diventarono bianche dalla tensione. Sentiva la cintura di sicurezza stringerla come un abbraccio soffocante, immersa in un silenzio teso e carico di domande che si affollavano nella sua mente. Ogni respiro sembrava un peso, ogni battito del cuore un'eco della vita che stava per lasciare.

Con un sussulto, il mezzo cominciò a muoversi lungo la pista e il motore ruggì con una potenza crescente che le fece tremare il corpo. La pressione aumentò contro il sedile mentre la corsa accelerava. Era come se il mondo si fosse fermato attorno a lei, e in quel momento, quando l'aereo finalmente si sollevò dal suolo, un senso di leggerezza la pervase, un misto di paura e liberazione. L'Italia e la sua vita scomparve dietro una vasta distesa di cielo, riducendosi a un ricordo che lentamente svaniva.

Nilufar sbirciò fuori dal finestrino, gli occhi incollati alle nuvole che danzavano con grazia, riflettendo il tumulto interiore che stava vivendo. Sembravano soffici, come un mondo lontano dalla sua realtà. Rimuginava su quella vita che stava lasciando; un peso le opprimeva il cuore. Non aveva più una famiglia. Per quanto si fosse sforzata di fare la cosa giusta, si era sentita denigrata, abbandonata e insultata per la forma fisica. Li considerava ormai tutti defunti e rifiutava qualsiasi contatto con loro. Non rispondeva più alle chiamate né si interessava se stavano bene o male.

Con Fabio non si era sentita quel giorno e non rispondeva a quei messaggi che lui le lasciava, pieni di speranza, nel tentativo di chiarire e tentare di salvare il loro rapporto. Ogni vibrazione del telefono, ogni notifica che la disturbava, le sembrava un richiamo al passato, ma si era stufata di salvaguardare sempre le stesse cose.

Per cosa, poi, se nulla cambiava?

Durante il volo, cercò di distrarsi leggendo un libro. Era il suo preferito: La fabbrica di cioccolato. Lo aveva letto e riletto innumerevoli volte, ma ogni volta la storia di Willy Wonka riusciva a strapparle un sorriso. Ricordava il giorno in cui, a quindici anni, scrisse una fan fiction su di lui, ispirandosi all'interpretazione di Johnny Depp nel film di Tim Burton. La pubblicò su Wattpad e le letture furono abbastanza soddisfacenti, una piccola vittoria che le diede fiducia nelle sue capacità di scrittrice emergente.

La scrittura era la sua terapia. Ogni parola, ogni frase era come una liberazione. Tutto ciò che scriveva le serviva per svuotarsi, per dare forma ai pensieri che altrimenti l'avrebbero soffocata. Le sensazioni che descriveva erano reali e questo ai lettori piaceva perché si sentivano parte integrante del racconto.

Ma ora, seduta in quel sedile di un aereo che la portava verso l'ignoto, si rese conto che la sua scrittura non sarebbe stata sufficiente a colmare il vuoto che si stava lasciando dietro.

Più tardi, l'altoparlante si attivò: «Gentili passeggeri, siamo in fase di atterraggio. Vi preghiamo di allacciare le cinture di sicurezza, mettere in posizione verticale i sedili, riporre gli oggetti personali e prepararvi all'atterraggio.»

Nilufar chiuse gli occhi per un istante, riprendendo fiato, e lasciò che i pensieri fluissero. Era un nuovo inizio, ma le sue paure la seguirono come ombre, pronte a ripresentarsi in un nuovo contesto. Ma c'era anche un barlume di speranza: la possibilità di scrivere un nuovo capitolo per le sue storie.

Si riscosse dalla lettura e, sporgendosi verso il finestrino, vide il Giappone risplendere sotto di lei.

Il panorama si estendeva in una vibrante mescolanza di mare blu profondo, alti edifici di vetro e acciaio che scintillavano al sole e l'abbondante verde dei parchi che punteggiavano la metropoli.

Nilufar allacciò la cintura di sicurezza con mani tremanti, il cuore che le batteva all'impazzata. Come si sarebbe trovata? Come doveva comportarsi? Sarebbe stata all'altezza delle aspettative? Si chiedeva, il pensiero che si ripeteva come un mantra.

«Calmati, Nilufar!», sussurrò a sé stessa, cercando di mettere ordine nel caos dei suoi pensieri. «Tu puoi tutto, se lo vuoi. Coraggio!»

La sua voce interiore risuonava come un'eco, un sostegno fragile ma presente. L'unica cosa che le restava della vecchia vita.

Con uno scossone, l'aereo toccò terra. Nilufar provò una strana sensazione, simile a quando scivoli giù da una discesa, quella voragine che si crea nello stomaco. Ma finalmente, dopo ore di attesa, era libera di alzarsi, di sgattaiolare fuori e respirare il profumo di una vita dove le sue spalle non avrebbero dovuto sopportare altri pesi. Respirò aria nuova, fresca e frizzante, muovendo qualche passo in quella nuova avventura pur sentendosi a disagio: non conosceva nessuno, non capiva il giapponese e non aveva idea di dove fosse la sua nuova casa.

«Mi scusi, agente, dov'è l'uscita?», chiese a una guardia, il suo pessimo accento inglese che si mescolava al timore di non farsi capire.

«Da quella parte, prego», le rispose l'uomo con un sorriso cordiale, facendo un gesto con la mano.

«La ringrazio», rispose Nilufar, notando come la formalità giapponese fosse diversa rispetto a quella italiana.

Mentre si allontanava, notò che le persone si inchinavano come forma di saluto o ringraziamento; una usanza a cui avrebbe dovuto abituarsi. Si disse che doveva impegnarsi per non cadere nelle abitudini delle strette di mano, abbracci sdolcinati e baci sulla guancia che tanto l'avevano contraddistinta in Italia. Dopotutto, pensò, aveva scelto questa meta perché da sempre ne era affascinata e, adesso, sebbene non avesse in mente una decisione definitiva, era parte di quel mondo.

All'uscita dell'aeroporto, Nilufar vide per puro caso un taxi libero. Lo raggiunse quasi di corsa, il cuore che le batteva forte, mentre la folla la circondava; aveva timore di dover aspettare in eterno un passaggio. Si rivolse all'autista, impegnandosi a scandire bene il suo inglese arrugginito. Mostrò all'uomo l'indirizzo di casa stampato sulla mail, un piccolo pezzo di carta che sembrava pesare più del previsto.

Il taxi si mise in moto e Nilufar sentì il brivido dell'ignoto attraversarle il corpo. Mentre osservava i grattacieli che svettavano e le luci fluorescenti che illuminavano la strada, una nuova eccitazione cominciò a farsi strada nel suo cuore.

«Finalmente, eccoci», pensò, mentre il taxi sfrecciava nel traffico frenetico di Tokyo.

Era lì, pronta a scrivere il primo capitolo della sua nuova vita.

Tokyo, una metropoli dinamica e pulsante, ricca di contrasti tra modernità e tradizioni. Le strade sembravano vibrare di vita e ogni angolo era affollato da persone che andavano di fretta, mentre i negozi si allineavano lungo i marciapiedi, da boutique di alta moda a piccole caffetterie nascoste.

Nilufar concentrò lo sguardo per le strade che stava percorrendo, animate da una frenesia costante. I quartieri offrivano panorami unici, spaziando dalle torri scintillanti dei grattacieli agli antichi templi e ai tranquilli giardini, dove i fiori di ciliegio stavano iniziando a sbocciare in un rosa delicato.

«Tokyo è un concentrato di vita, energia e innovazione», le sorrise l'uomo alla guida, con un accento leggermente marcato. Era di corporatura normale, non troppo alto, con capelli neri e un filo sottile di rughe intorno alla bocca. «Mi chiamo Lee Yang», aggiunse, dandole un breve colpo d'occhiata allo specchietto retrovisore. «Sono originario della Cina.»

«Quali luoghi mi consiglia di visitare?», chiese Nilufar, affascinata dal suo entusiasmo.

«Palazzo imperiale: residenza dell'imperatore del Giappone. Oppure il Tempio Senso-ji. È il tempio buddista più antico di Tokyo, situato nel quartiere di Asakusa. È un luogo stupendo, soprattutto durante la stagione dei festival.»

«E per quanto riguarda Shibuya?»

«Può visitare Shibuya Crossing: una delle intersezioni pedonali più trafficate al mondo, nota per il suo incrocio caotico e luminoso. È davvero un'esperienza da non perdere!»

Mentre parlava, Nilufar notò i vari negozi che sfilavano accanto a loro. Un gigantesco negozio di elettronica, con enormi schermi pubblicitari che lampeggiavano, attirava l'attenzione dei passanti; una boutique di moda con vetrine adornate di abiti chic e accessori stravaganti; una piccola libreria, con scaffali che straripavano di manga e romanzi giapponesi.

«Posso trovare qualche mercato per quella zona?», chiese Nilufar, ansiosa di scoprire di più sulla cultura anche culinaria giapponese.

«Shibuya è famosa per il suo vivace mercato alimentare del piano terra nel centro commerciale Shibuya Mark City. C'è una vasta selezione di prodotti freschi, specialità giapponesi e piatti pronti da gustare. Inoltre, la zona è nota per i suoi negozi alla moda, grandi magazzini, elettronica, libri e centri per l'abbigliamento.»

Un poco delle ansie e paure abbarbicate in lei si allentarono: forse, si disse, non sarebbe stato così male vivere lì. Aveva tutto quello di cui necessitava nelle vicinanze, persino il famoso Starbucks, che si ergeva in un angolo con il suo iconico logo verde.

Tokyo ne era pieno, pensò, ricordando le rare occasioni in cui era riuscita a trovarne uno in Italia.

Il tassista arrestò la sua corsa in un quartiere poco isolato nei pressi di Shibuya, il motore si spense lentamente. Si girò verso Nilufar e, con un sorriso gentile, annunciò il totale: «Sono 15.000 yen dalla stazione aeroportuale fino a Shibuya.»

Nilufar, un po' spaesata, rispose: «È possibile pagare online? Sono appena arrivata in città e non sono ancora sicura di come funziona.»

Il tassista, paziente, indicò lo schermo dell'App del bancomat sul suo cellulare. «Certo, signorina. Basta inquadrare questo codice QR con la fotocamera dell'App, inserire l'importo e confermare. Il sistema lo riconoscerà subito.»

Nilufar seguì le istruzioni, inquadrando con attenzione il QR code e digitando l'importo. Poi aggiunse una generosa mancia prima di confermare il pagamento.

«Grazie mille, signorina», disse il tassista, visibilmente grato. «È stata molto gentile.»

Nilufar ricambiò con un sorriso e, scendendo dall'auto, sentì una miscela di stanchezza e adrenalina pervaderla, il cuore che le batteva di nuovo forte nel petto. Dopo un attimo di esitazione, si raddrizzò, spingendo indietro le spalle e camminando a passo deciso verso casa.

La strada era animata da gente che si affrettava e luci fluorescenti che illuminavano il marciapiede, mentre il profumo di cibo di strada avvolgeva l'aria.

Era l'inizio di una nuova avventura.

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