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Capitolo 2

Capitolo 2

Mancava poco più di un mese alla partenza di Nilufar. Il biglietto aereo non era ancora stato acquistato perché non aveva una data precisa, mentre le dimissioni in ditta erano state ufficializzate pochi giorni addietro. Aveva racimolato abbastanza soldi per affrontare quel grande viaggio, ma la tranquillità che sperava di provare in quei momenti decisivi sembrava un miraggio. Anzi, tutto dentro di lei era un turbinio di emozioni contrastanti. Ogni giorno si domandava se quella fosse davvero la cosa giusta da fare. Si sentiva impreparata, confusa, eppure una parte di lei sapeva che non poteva più tornare indietro. Aveva perso molti chili in quel periodo, come se il peso delle sue decisioni si stesse riflettendo sul suo corpo. Il cibo non aveva più sapore, spesso le si chiudeva lo stomaco solo a guardare un piatto pieno.

Fabio l'aveva notato, le diceva spesso di mangiare qualcosa, ma Nilufar evitava lo sguardo, promettendogli che avrebbe recuperato più tardi.

Le notti erano diventate un tormento. Sdraiata accanto a Fabio, fissava il soffitto con gli occhi spalancati, il cuore in gola, sentendosi sempre più lontana da lui. La loro intimità era diventata una routine meccanica, e ogni sua carezza la faceva sentire in colpa. Non sapeva più cosa provava per lui. L'amore che un tempo sembrava essere una certezza ora era avvolto in un velo di nebbia. Ogni pensiero tornava a quella casa in Giappone, a quel futuro incerto, a quella vita che avrebbe dovuto costruire da sola, lontano da tutto ciò che conosceva. La paura si mescolava con l'eccitazione, ma più di tutto c'era un senso opprimente di solitudine.

«Amò, ma cos'hai? Sei distante...», le diceva Fabio.

Nilufar si sentiva paralizzata. Ogni volta cercava di trovare le parole giuste, ma la sua mente si bloccava, come se un muro invisibile le impedisse di esprimere ciò che sentiva davvero. La bocca si apriva, ma le frasi uscivano spezzate, incoerenti.

«Non è niente, davvero... è solo il lavoro che sto lasciando... sono stanca», rispondeva con voce tremante, ma la verità era un'altra, ed entrambi lo sapevano.

In quegli attimi, il suo corpo reagiva: un caldo improvviso le risaliva lungo la schiena, il cuore cominciava a batterle all'impazzata, sentiva un nodo stringersi alla gola. Si sentiva soffocare, come se l'aria nella stanza fosse diventata improvvisamente irrespirabile.

Una sera, mentre erano seduti a cena, la tensione raggiunse il culmine. Fabio, visibilmente preoccupato e forse anche un po' esasperato, le chiese per l'ennesima volta: «Ma che succede? Perché non mi dici mai niente? Ti vedo che stai male, non puoi continuare così.»

Nilufar sentì le mani cominciare a tremarle mentre stringeva i bordi della tovaglia.

«Non è niente. Davvero, è solo che... non so nemmeno io», balbettò, ma le parole le si impigliarono in gola.

Sentiva il calore salire come un'onda anomala, i palmi delle mani sudati, la testa leggera come se stesse per svenire. Improvvisamente si alzò da tavola, lasciando Fabio confuso, e si diresse in camera con passi veloci. Lo stomaco era chiuso in una morsa di ferro e la sensazione di inadeguatezza le stringeva il petto come un pugno.

In camera, chiuse la porta dietro di sé e si lasciò scivolare sul letto. Sentiva un peso insostenibile sulle spalle, come se tutto il mondo stesse crollando su di lei. Aveva voglia di gridare, ma nemmeno quello riusciva a fare. Restò lì, immobile, fissando il soffitto con gli occhi gonfi di lacrime che si rifiutavano di uscire. Ogni volta che Fabio cercava di parlarle, lei si sentiva sempre più incapace di spiegare ciò che la tormentava.

Era un blocco, una barriera che non riusciva a superare.

Quella notte, Fabio entrò in camera più tardi. La trovò ancora sveglia, con gli occhi gonfi e persi nel vuoto. Si mise a letto accanto a lei, ma prima di girarsi dall'altra parte le disse con voce grave, come se stesse facendo fatica a formulare quelle parole: «Insomma, io sento che qualcosa è cambiato.»

Il suo tono era serio, diverso dalle altre volte. Non c'era rabbia, solo delusione e preoccupazione.

Nilufar chiuse gli occhi, sentendo le sue parole come un pugnale nel cuore. Sapeva che aveva ragione, che qualcosa era cambiato, ma non riusciva a dirglielo, non riusciva ad ammettere che ormai si sentiva altrove, in un mondo dove lui non la poteva capire né seguire.

Restò lì, in silenzio, mentre il peso di quella confessione non detta le stringeva il petto. Fabio, dopo qualche istante, si girò dall'altra parte, lasciando uno spazio vuoto tra loro, come una distanza fisica che rispecchiava quella emotiva. Nilufar lo guardò di spalle, cercando disperatamente di convincersi che forse, in quel momento, avrebbe potuto spiegargli tutto.

«Hai ragione, sono distante», disse Nilufar, all'improvviso. «Mi sento confusa.»

«Confusa su cosa?», si voltò lui.

«Su di noi, Fabio.»

Nilufar sentiva il cuore batterle in gola, le mani che tremavano leggermente mentre si tirava su a sedere. La penombra che avvolgeva la stanza sembrava rendere il momento ancora più irreale, mentre il riflesso delle luci del garage, sotto il balcone della cucina, filtrava dalla finestra creando giochi di ombre sulle pareti.

Fabio, ancora disteso, la guardava dal basso, ma poi, lentamente, si mise a sedere anche lui, cercando di raggiungere la sua altezza, di fronteggiarla. Il letto sembrava diventare troppo piccolo per contenere la distanza emotiva che si stava aprendo tra loro. Con il suo metro e ottanta di altezza, la guardava con espressione incredula, quasi sconvolta. Era abituato a vedere Nilufar fragile, insicura, ma mai così determinata. Mai così distante. Lui cercava sempre di risolvere le cose con la calma, con qualche battuta o un gesto affettuoso, ma stavolta non c'era spazio per le battute. Non con quel silenzio pesante che riempiva la stanza.

«Fabio, tu lo vedi un futuro tra noi?», la voce di Nilufar si incrinò leggermente mentre formulava quella domanda, come se temesse la risposta, ma fosse anche pronta ad affrontarla, qualunque essa fosse.

Fabio, sgranando gli occhi, la fissò per un attimo.

«Sì, amò. Ormai quel giorno è superato.»

«Li vuoi dei figli? Un matrimonio?»

Fabio esitò, come colto di sorpresa da quella domanda così diretta.

«Be', prima vorrei sistemarmi...», rispose con una vaga esitazione, come se avesse bisogno di più tempo.

Nilufar scosse la testa: era ciò che temeva di sentire da tempo.

«Già fatto, Fabio. Ho preso la casa, sono pronta a rischiare... e ho trovato lavoro.»

A quelle parole, il volto di Fabio cambiò drasticamente. Si irrigidì, gli occhi spalancati per lo shock.

«Dove, laggiù?», domandò, come se non volesse nemmeno crederci. Il panico cominciò a riflettersi nei suoi occhi, la sua voce si alzò di tono. «Ma sei pazza? No, Nilufar, questa è una follia! Un rischio! E se va male?»

Il timbro della sua voce si incrinava tra incredulità e paura. Per lui, tutto questo sembrava improvviso, un salto nel vuoto troppo grande.

Nilufar non abbassò lo sguardo, non vacillò.

«E se invece andasse bene?», ribatté con una calma che non era più la stessa di prima: aveva già pensato a tutto ed era disposta a correre quel rischio, qualunque fosse il risultato. Il suo cuore batteva ancora forte, ma c'era una quieta determinazione nelle sue parole.

Fabio si passò una mano tra i capelli, scuotendo la testa incredulo.

«Non posso... la mia vita è qui», la sua voce era grave, pesante come una condanna. «Il lavoro, la mia famiglia, i miei amici...», sembrava cercare appigli per non cadere, per trovare una soluzione che non lo portasse a quel punto di non ritorno.

Ma lo sapeva anche lui: la sua vita era tutta lì. E non era disposto a lasciarla.

Nilufar abbassò lo sguardo per un momento, le mani strette nel grembo. Poi, lentamente, scosse la testa.

«Allora penso che adesso sia proprio finita.»

Le sue parole erano lente, ma chiare, come se avesse finalmente accettato ciò che stava accadendo. Fabio restò in silenzio, incapace di rispondere, cercando di processare quelle parole.

«Perché? Parliamone!»

Fabio si alzò dal letto, disperato, cercando di aggrapparsi all'ultimo barlume di speranza. Voleva discuterne, trovare una soluzione, come avevano sempre fatto, ma Nilufar era diversa. Non c'era più la ragazza insicura che lui conosceva. La vide scuotere la testa mentre un lieve sorriso triste affiorava sulle sue labbra.

«Fabio, parliamo, parliamo, parliamo senza mai dirci niente. Mi dispiace, sono stata egoista quel giorno, credevo... credevo di poter sistemare tutto, di far finta che nulla fosse cambiato, ma non è così.» Fabio la guardava, incapace di comprendere fino in fondo il significato di quelle parole. «Perdonami se ti ho illuso e costretto a restare, ma questa volta... questa volta, per quanto io possa amarti, tra te e me scelgo me

Fabio restò immobile. Il silenzio calò di nuovo nella stanza, rotto solo dal loro respiro pesante.

«Nilufar, io... io capisco che hai bisogno di cambiare, di trovare qualcosa di nuovo, ma pensi davvero che il Giappone sia la risposta? È così lontano... e non credo che sarà diverso solo perché è dall'altra parte del mondo.»

«Magari è come dici tu. Magari è solo un'illusione, un sogno che mi sono messa in testa per scappare da qui. Ma non c'è nulla che mi impedisca di andare e vedere con i miei occhi... Voglio capire se sto davvero commettendo una sciocchezza o se mi aspetta qualcosa di importante lì.»

Fabio si passò ancora una volta una mano tra i capelli, visibilmente teso. I suoi occhi brillavano incerti tra la frustrazione e la paura.

«E io? Io non faccio parte di questo viaggio... Non posso... non riesco a seguirti così, senza sapere se stiamo cercando qualcosa di concreto o solo una fuga. E non posso scegliere di restare qui sapendo che tu sei dall'altra parte del mondo, in un posto che non conosci, inseguendo... inseguendo qualcosa che forse non troverai.»

Nilufar abbassò lo sguardo e un lieve sorriso di compassione sfiorò le sue labbra. Dopo un lungo momento di silenzio, si girò dall'altra parte chiudendo la discussione.

«Fabio, non voglio che tu ti preoccupi per me. E ti sono grata per tutto. Ma ho già deciso. Non posso lasciare che i tuoi timori mi trattengano. Devo scoprire cosa c'è oltre questa vita che sento stretta, e forse devo farlo da sola», gli disse con voce tranquilla.

Fabio rimase immobile, fissandola con uno sguardo incredulo e ferito.

«E io dovrei solo accettarlo? Che te ne vai così?», le chiese lui in un sussurro disperato.

«Resta qui stanotte. Non voglio mandarti via a quest'ora... e anche se tutto questo mi fa male, non posso costringerti a capire», ribatté Nilufar, senza voltarsi.

Quella notte dormirono nello stesso letto, ma la distanza tra loro sembrava un abisso. Non vi furono abbracci, né parole, ma solo un sonno non continuativo.

In silenzio, entrambi si erano arresi all'inevitabile, come se avessero capito che parlare non avrebbe cambiato nulla. Del resto, chi ha mai detto che tutto si risolve con le parole? Quando qualcosa si rompe, quando hai provato troppe volte a ripararlo, alla fine cede. Si arrende, stanca e logora. Lo stesso valeva per Nilufar: il suo cuore si era ormai consumato, esausto di tentare, di rimediare a una relazione che la faceva sentire irrealizzata, come un burattino manovrato da mani sbagliate. Sentiva di essere una piccola donna di casa, prigioniera dell'oscurità, ma con un disperato desiderio di correre verso la luce.

Quella luce... Nilufar la voleva, la desiderava ardentemente. Era come un faro lontano che la chiamava, una promessa di rinascita, di nuove emozioni. Voleva sentirsi libera, provare sensazioni che non aveva mai provato, abbandonarsi al vento e alla vita senza paura. Andare controvento, essere sbattuta a terra e rialzarsi più forte, più leggera.

La convinzione crebbe dentro di lei, durante quell'ennesima notte insonne: doveva farlo, per sé stessa. Non c'era più spazio per i dubbi.

Il mattino seguente, il silenzio in casa era quasi irreale. Fabio non andò a lavoro. Non c'era nulla da rimandare ormai: era tempo di prendere le sue cose e andarsene, questa volta per sempre.

Nilufar, determinata a mettere un punto definitivo, restituì le chiavi dell'appartamento alla padrona di casa e, come in una sorta di rituale, preparò la colazione per Fabio. Il loro ultimo pasto insieme.

Mentre lui smontava il computer, la sua amata postazione da gaming, Nilufar lo aiutò a sistemare le valigie. Ogni gesto le pesava sul cuore, sentiva il peso del rimorso e la colpa che le gravava addosso come una cappa opprimente. Eppure, nonostante quel tormento, non vacillava. La decisione era presa.

«E dai, amò...», Fabio provò a fermarla, una lieve supplica nella sua voce, come un ultimo tentativo di aggrapparsi a ciò che restava di loro.

Nilufar lo guardò con occhi pieni di tristezza.

«Mi dispiace», disse semplicemente, e per quanto lo dicesse con sincerità, sapeva che nulla sarebbe cambiato.

Le ore che seguirono furono un miscuglio di emozioni che si rincorrevano senza sosta. Quando lo accompagnò alla macchina, si salutarono con un abbraccio che sembrava eterno, come se entrambi volessero conservare quell'ultimo contatto il più a lungo possibile. Poi, mentre Fabio si allontanava, Nilufar rimase lì, immobile, guardando la sua auto scomparire all'orizzonte. Una lacrima scivolò lungo la guancia, seguita da altre, ma non si permise di crollare.

Sapeva che era la cosa giusta.

Sapeva che, per quanto lo amasse, questa volta doveva scegliere sé stessa.

Rientrò in casa, ora vuota e spoglia, e cominciò a preparare le sue poche valigie. Solo l'essenziale. "Vita nuova, cose nuove", pensava, cercando di convincersi che tutto sarebbe andato per il meglio. Ma la verità era che aveva più paura ora. Era sola, ed era spaventata da ciò che l'attendeva dall'altra parte del mondo.

Mentre metteva gli ultimi vestiti nelle valigie, si guardò attorno. La stanza sembrava stranamente vuota senza la presenza di Fabio. Il posto dove fino a poche ore prima si trovava la sua scrivania accanto al divano, ora era solo un angolo vuoto. E quel vuoto si rifletteva dentro di lei. Un nodo le si formò nello stomaco, una strana sensazione che non riusciva a decifrare: forse era angoscia, forse nostalgia, o forse era spaventata per quello che si stava lasciando alle spalle.

La sera della partenza fu ancora più difficile di quanto avesse immaginato. Si ritrovò da sola nell'appartamento, guardando ogni angolo con occhi velati di lacrime. Quei quattro anni insieme, vissuti in quella casa, sembravano compressi in una serie di immagini e sensazioni che le affollavano la mente: le risate, i litigi, i momenti di intimità. Tutto ora faceva parte del passato.

Si fermò davanti alla porta d'ingresso per qualche secondo. Era la fine di tutto.

Respirò profondamente, chiuse la porta dietro di sé e lasciò l'ultima chiave sotto lo zerbino, come un ultimo gesto di addio. Le luci della città illuminavano il suo cammino mentre scendeva le scale, il suono dei suoi passi risuonava nel silenzio. Fuori, la notte era fredda e silenziosa.

Nilufar chiamò un taxi, guardando le luci spente delle finestre attorno a lei. Ognuna di loro raccontava una storia, ma la sua era finita.

Quando il taxi arrivò, caricò le valigie e si sedette sui sedili posteriori. Il cuore le batteva forte, ma non c'era più spazio per ripensamenti. Guardò un'ultima volta l'edificio mentre l'auto si allontanava, diretta verso l'aeroporto.

Nel buio della notte, Nilufar sentì il peso della solitudine, ma anche una strana sensazione di liberazione. Stava andando controvento, ma per la prima volta non aveva timore di cadere.

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