Capitolo 1
Capitolo 1
La notte era densa, pesante come un macigno sul petto di Nilufar. Le lenzuola le sembravano troppo calde, poi troppo fredde. Si girava da un lato e dall'altro, inquieta, come se il suo corpo non riuscisse a trovare pace. Il pensiero del litigio con Fabio del giorno prima non la lasciava in pace. Era stato uno di quei confronti che sembrano risolutivi, ma che lasciano dietro di sé una coda velenosa, che si insinua nei sogni, nei sospiri notturni.
Si svegliava spesso, con quella strana sensazione addosso. Ogni volta che chiudeva gli occhi, sentiva il peso di qualcosa che non riusciva a spiegare, una parte di lei che sembrava essersi spezzata. La conversazione avuta la sera prima le rimbombava in testa come un eco lontano: invece di tranquillizzarla, aveva sortito l'effetto contrario.
Fabio le dormiva accanto, il respiro regolare e profondo. Lei, invece, si sentiva prigioniera delle sue insicurezze.
Al mattino si svegliò presto, molto prima di lui. Restò lì, stesa a letto, fissando il soffitto. Il tempo sembrava dilatarsi, mentre i pensieri si intrecciavano tra i ricordi del passato e le preoccupazioni per il futuro. Una voce dentro le sussurrava domande che non trovavano risposta. Forse si era illusa di aver risolto tutto, o forse la ferita era ancora aperta e stava semplicemente cercando di ignorarla.
Fabio si svegliò poco dopo e, senza dire nulla, la tirò a sé per abbracciarla. Nilufar si lasciò stringere, ma il suo corpo restava rigido, incapace di abbandonarsi.
«Dormito male?», le chiese Fabio, la voce impastata dal sonno.
Nilufar annuì, poi si ritrasse leggermente. Fabio si avvicinò di nuovo, tentando di baciarla sul collo, ma lei si allontanò appena, cercando di non ferirlo.
«Non mi va, scusami», mormorò.
Lui la guardò per un attimo, poi si limitò a sospirare. Si alzarono senza parlare, trascinandosi in cucina. Fecero colazione in silenzio, un caffè rapido e un paio di biscotti gettati distrattamente sul tavolo.
Più tardi, si prepararono per uscire. La destinazione era Pozzuoli, una domenica da trascorrere insieme. Il cielo era coperto e l'aria umida preannunciava forse pioggia, ma questo non sembrava preoccupare nessuno dei due.
Il viaggio in auto fu silenzioso. Nilufar guardava fuori dal finestrino, cercando distrazioni tra le onde del mare e le barche lontane. Fabio teneva una mano sul volante, l'altra appoggiata sulla sua gamba, ma lei si sentiva distante, lontana come quelle barche all'orizzonte.
Quando arrivarono, il vento era più forte, ma c'era una certa dolcezza nell'aria, una brezza che sembrava voler accarezzare via i loro pensieri pesanti. Camminarono lungo il lungomare, parlando poco.
Fabio sembrava tranquillo, mentre Nilufar si perdeva nei propri pensieri, cercando di non mostrare la malinconia che la divorava.
Arrivati in pizzeria a ora di pranzo, sedettero al tavolo vicino alla finestra. Nilufar scorreva pigramente il menu, quando notò un messaggio sul cellulare di Fabio, lasciato distrattamente sul tavolo.
Lesse le parole che lui aveva scritto agli amici: «Mi prendo la mia libertà, non permetto a Nilufar di chiudermi in gabbia.»
Il cuore di Nilufar si fermò per un istante, poi riprese a battere, ma in modo diverso, più veloce, quasi doloroso. Non si mosse subito, rimase immobile per qualche secondo, cercando di raccogliere i pensieri, di capire come affrontare quella nuova ondata di dolore.
Sospirò e, con calma, guardò Fabio negli occhi.
«Non ti ho mai chiuso in gabbia, Fabio», disse, la voce ferma, ma intrisa di delusione. «Anzi, ti ho sempre dato la libertà che desideravi. Ti ripeto continuamente che puoi uscire con i tuoi amici, che non devi restare a casa con me se non ne hai voglia. Cerco di capire i tuoi bisogni ogni volta, e ora leggo questo?»
Fabio abbassò lo sguardo, sorpreso dall'improvvisa tensione.
«Non intendevo...», cominciò, ma Nilufar lo interruppe con un gesto della mano.
«Allora cosa intendevi? Perché mi sembra che qualsiasi cosa faccia, non sia mai abbastanza. Io non sono mai abbastanza.»
Le sue parole erano calme, ma taglienti come un coltello che affonda lentamente. Fabio cercò di rispondere, ma non riusciva a trovare le parole giuste. Lei lo guardava con quegli occhi tristi, pieni di domande che lui non sapeva come affrontare.
Nilufar si alzò dal tavolo senza dire altro e si diresse verso il bagno. Una volta dentro, chiuse la porta e si appoggiò al lavandino. Il dolore che aveva cercato di contenere esplose tutto in una volta. Le lacrime cominciarono a scendere silenziose, mentre si stringeva lo stomaco che si contorceva in crampi.
«Perché...?», mormorò a se stessa, guardando il proprio riflesso nello specchio: d'un tratto, si sentì patetica e ridicola, ridotta in quel modo per un ragazzo.
Aspettò che il flusso di lacrime si placasse un poco, asciugandosi il viso. Non poteva rimanere lì per sempre. Doveva tornare da lui, tornare a quella finta normalità. E quando uscì dal bagno, Fabio la guardò con occhi preoccupati, ma non disse nulla. Nilufar cercò di nascondere la tristezza dietro un sorriso stentato.
Rimase lì, seduta di fronte a lui, a chiedersi in silenzio cosa avesse fatto di male per meritarsi tutto questo.
*
Era passato un anno da quel litigio, da quel retrogusto amaro di una fine che non era avvenuta, ma che continuava a incombere come una minaccia silenziosa. Le cose tra Nilufar e Fabio, in apparenza, erano progredite. Avevano trovato un fragile equilibrio, una sorta di danza tra i loro spazi personali che evitava ogni invasione. Parlavano, si confrontavano, ridevano spesso come una volta, scherzando anche sulle piccole sciocchezze quotidiane. E quando litigavano, facevano la pace con gesti affettuosi, come qualsiasi coppia che impara a perdonarsi.
Ma Nilufar... lei era cambiata moltissimo. Nessuno lo avrebbe detto guardandola da fuori: sorrideva ancora, rispondeva alle battute con la solita prontezza e mostrava interesse nelle conversazioni. Eppure, dentro di lei, qualcosa si era spezzato in modo irreparabile. La sua luce si era spenta, nonostante gli sforzi per mascherarlo. Ogni volta che rideva, lo faceva con una leggera forzatura, come se avesse dimenticato come lasciarsi andare davvero. E la notte, quando Fabio le dormiva accanto, lei piangeva in silenzio. Ma le lacrime non la facevano stare meglio, non la purificavano come sperava. Erano come un veleno lento che la consumava dall'interno.
Rimuginava ogni notte su quel litigio, su quelle parole che si erano scambiati. Non riusciva a dimenticarle. Cercava risposte che non trovava, continuava a interrogarsi sul loro significato, come se fosse bloccata in un loop di dolore e dubbio. Era diventata una mina vagante, pronta a esplodere al minimo segnale di instabilità, ma non sapeva dove dirigersi. Il mondo intorno continuava a muoversi, il sole sorgeva ogni mattina, ma lei percepiva tutto come un'eterna notte. Anche nelle giornate più luminose, le sembrava di camminare in una nebbia spessa e soffocante.
Sapete quando in cielo brilla il sole, ma si ha la netta sensazione che sia tutto buio?
Nilufar si faceva questa domanda continuamente, incapace di comprendere perché il giorno le sembrasse così simile alla notte. Non era triste nel senso convenzionale del termine. Non si trattava solo di malinconia: era un vuoto più profondo, un senso di smarrimento che non riusciva a definire.
Fabio, invece, non era poi così cambiato. Dopo quel litigio, sembrava essersi adattato alla normalità come se nulla fosse successo. Continuava a mangiare con voracità, a lavorare sodo e a dedicarsi ai suoi passatempi preferiti, come giocare al computer con gli amici. Riusciva a distrarsi facilmente e sembrava dare il meglio di sé sul lavoro, ricevendo complimenti dai colleghi. A casa, faceva il possibile affinché Nilufar non sentisse mai la mancanza di nulla: la aiutava, le chiedeva spesso come stava e la coccolava nei momenti di relax.
Per lui, la vita sembrava scorrere senza troppi intoppi.
Eppure, Fabio non era completamente cieco. Aveva notato un cambiamento in lei, un atteggiamento che non riusciva a spiegarsi. C'era una distanza sottile, impercettibile, ma costante. Nilufar c'era fisicamente, ma a volte era come se fosse lontana chilometri, anche mentre gli sedeva accanto sul divano. I suoi occhi sembravano guardare altrove, persi in pensieri che lui non riusciva a decifrare. Più di una volta l'aveva sorpresa a fissare il vuoto, lo sguardo opaco, come se fosse bloccata in un mondo tutto suo.
«Amò, va tutto bene?», le chiedeva, con un tono di voce che cercava di essere leggero ma nascondeva una crescente preoccupazione.
Nilufar, di solito, annuiva con un sorriso stanco.
«Sì, certo. Solo un po' di stanchezza.»
Fabio non insisteva. Non perché non gliene importasse, ma perché temeva di rompere quell'equilibrio precario che avevano costruito con tanta fatica. Tuttavia, dentro di sé, sapeva che c'era qualcosa che non quadrava. Le sue battute non la facevano più ridere come una volta, e anche quando sorrideva, c'era sempre quel velo di tristezza nei suoi occhi, come un riflesso che non riusciva a nascondere del tutto.
Nilufar non era più la stessa e lui se ne rendeva conto, anche se non sapeva come affrontare la questione. Quello che ignorava, però, era che la sua compagna si stava lentamente consumando, giorno dopo giorno, cercando di tenere in piedi una relazione che per lei non era più luce, ma solo ombra.
«Amò, ma è tutto a posto tra noi?», le chiese Fabio una sera, con quel tono che cercava di essere casuale ma tradiva un leggero tremolio di incertezza.
Nilufar, che fino a quel momento stava scorrendo pigramente sullo schermo del telefono, si fermò. La domanda la colse alla sprovvista, anche se dentro di sé sapeva che prima o poi sarebbe arrivata.
Fabio continuava a fissarla e, per un attimo, lei esitò, come se non sapesse bene che risposta dargli. Alla fine, alzò lo sguardo e lo incontrò, sorridendo. Un sorriso che sperava fosse convincente.
«Ma sì, certo. Perché?»
Fabio la osservava, i suoi occhi scuri indagatori. Sapeva riconoscere quei piccoli dettagli: l'ombra leggera che si posava sul viso di Nilufar, la tensione nelle sue spalle, il modo in cui evitava di prolungare il contatto visivo.
«Sei strana...», mormorò lui, senza accusare.
Nilufar si sistemò i capelli dietro l'orecchio, un gesto che faceva spesso quando si sentiva scoperta, vulnerabile.
«Ma no, sciocchino», rispose, ridacchiando leggermente. «Sono solo stanca per il lavoro.»
Si girò appena, cercando di far sembrare la sua stanchezza una spiegazione plausibile, come se fosse l'unico motivo del suo malessere. Fabio sospirò, continuando a scrutarla. Non era convinto, ma non voleva forzarla.
«Sicura?»
«Stai tranquillo.»
Le parole di Nilufar erano morbide, ma sentiva la gola serrata. Stava nascondendo una verità che non sapeva nemmeno lei come affrontare del tutto. Dentro, il vuoto continuava a crescere, ma la paura di ferirlo era più forte. Era più facile mentire, dire che andava tutto bene, piuttosto che affrontare ciò che covava sotto la superficie.
Fabio, forse per non peggiorare la situazione, decise di accettare la sua risposta. Alzò le spalle e si rilassò sul divano.
«Va bene.» Fece una pausa, poi aggiunse con un tono più leggero: «Ti spiace se faccio un'altra partita con i miei amici?»
«Vai, divertiti», gli rispose lei, cercando di sembrare comprensiva, anche se una parte desiderava che lui restasse lì, che insistesse un po' di più, che la vedesse davvero.
Fabio si alzò dal divano con un gesto energico, quasi sollevato dalla conversazione. Prese il controller e in pochi secondi era già concentrato sulla partita con i suoi amici. Nilufar lo guardò per un momento, mentre rideva e chiacchierava con loro attraverso le cuffie. Poi abbassò lo sguardo e tornò al suo telefono, ma non leggeva davvero. La stanza sembrava troppo silenziosa, nonostante il rumore di fondo.
Dentro di lei, qualcosa si spezzò ancora un po'. Ma si disse che doveva farlo, doveva smettere di girare intorno alla questione.
Mentre scorreva annoiata tra gli annunci immobiliari sul suo telefono, quasi per gioco, le capitò di incappare in un sito giapponese che proponeva una vecchia casa in vendita a un prezzo ridicolmente basso. L'annuncio era scritto in inglese stentato, con foto sgranate di un edificio che sembrava a metà tra il pittoresco e l'abbandonato.
Nilufar rise tra sé e sé. Pensò che fosse una follia, qualcosa che nessuno sano di mente avrebbe mai considerato seriamente. Eppure, per un istante, le balenò in mente un'idea assurda: "E se fosse davvero possibile?"
Aveva messo da parte un bel gruzzolo negli anni, frutto del suo duro lavoro e di sacrifici che nemmeno Fabio conosceva. Aveva tenuto quei risparmi segreti, un po' per orgoglio, un po' perché sentiva di aver bisogno di qualcosa tutto per sé, una sorta di piano di emergenza per qualsiasi evenienza. Inviò una proposta d'acquisto quasi per gioco, pensando che nessuno le avrebbe mai risposto, soprattutto considerando quanto fosse sfortunata di solito in queste cose.
E invece, quindici giorni dopo, una notifica sul suo cellulare cambiò tutto. Aprì la mail con scetticismo e rimase a bocca aperta quando vide che la sua offerta era stata accettata. Le dicevano che la casa poteva essere sua e che in allegato trovava tutti i documenti necessari per avviare la procedura. C'era una lunga lista di documenti da firmare, verifiche legali da fare, oltre a richieste per la traduzione certificata dei moduli dall'italiano al giapponese. Avrebbe dovuto anche ottenere un intermediario legale per la transazione internazionale e un notaio giapponese per il rogito.
Il messaggio le spiegava che avrebbe dovuto confermare il suo interesse entro un mese, dopodiché avrebbe dovuto occuparsi del trasferimento dei fondi tramite un conto estero, oltre a pagare le tasse di compravendita e quelle di proprietà per gli stranieri.
Seduta stante, Nilufar sentì una fitta di panico attraversarla. Aveva davvero pensato di poter comprare una casa dall'altra parte del mondo? Lasciare l'Italia per trasferirsi in Giappone, un Paese che conosceva solo attraverso qualche viaggio letterario e serie televisive? Sembrava una decisione folle, una di quelle idee che solo chi non ha nulla da perdere potrebbe considerare.
Eppure, più rifletteva, più si rendeva conto che l'idea non la spaventava tanto quanto avrebbe dovuto. "Perché no?" si disse. Non era la prima persona a voler lasciare tutto per rifarsi una vita altrove. Non erano forse molti a cercare fortuna in terre lontane?
Il Giappone era lontano, sconosciuto, ma rappresentava l'occasione perfetta per scappare e ricominciare da capo, per lasciare alle spalle una vita che non sentiva più sua.
Certo, sapeva di avere paura. Paura che un giorno si sarebbe pentita, che avrebbe sentito la nostalgia di casa, che forse Fabio avrebbe finito per odiarla. Ma d'altro canto, la sensazione di soffocamento che provava ogni giorno la stava consumando. E forse, il timore di restare lì, bloccata in quella vita, era ancora più forte.
Quella sera, mentre cenavano insieme, decise di parlargliene. Lo fece quasi con leggerezza, cercando di sdrammatizzare la situazione, ma con una scintilla di speranza in fondo al cuore.
«Sai, ho visto una casa in Giappone, costa pochissimo. Pensavo che potremmo considerare l'idea di trasferirci lì per un po', magari per un nuovo inizio, che ne dici?»
Fabio smise di masticare e la fissò per qualche secondo, incredulo. Poi scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
«Una casa in Giappone? Ma tu sei matta, amore! Non possiamo fare una cosa del genere. Abbiamo il lavoro, la famiglia qui... e poi, dove lo troviamo il denaro per una follia del genere?»
Nilufar sorrise debolmente, come se sapesse già quale sarebbe stata la sua risposta. Si aspettava esattamente quella reazione, ma la sua mente tornò subito a quel gruzzolo segreto, custodito in un conto a parte che Fabio ignorava del tutto. Avrebbe potuto dirglielo in quel momento, spiegargli che i soldi c'erano, che potevano farcela, ma una parte di lei si sentì scoraggiata, come se non valesse nemmeno la pena provarci. Era una cosa folle e forse esagerata, ma... Niente, con un sospiro, scelse la via più semplice: mentire.
«Hai ragione», disse, con un sorriso forzato. «Era solo uno scherzo. Ci ho pensato anch'io ed è davvero una grossa pazzia.»
Fabio sembrò sollevato e tornò a mangiare, mentre Nilufar rimase in silenzio, i pensieri che vorticosamente si mescolavano nella sua testa. Forse aveva davvero bisogno di scappare, più di quanto fosse pronta ad ammettere, ma quella sera, ancora una volta, aveva scelto di restare immobile, bloccata tra il desiderio di libertà e la paura di farlo da sola.
Ciononostante, nei giorni a venire, Nilufar sentiva dentro di sé un peso che non riusciva a scrollarsi di dosso. Era come un macigno che la teneva ancorata a una realtà che la soffocava. Ogni sera, distesa nel letto accanto a Fabio, rimuginava sulla casa in Giappone, su quel progetto folle che le ronzava in testa sempre più insistente. Continuava a chiedersi se fosse giusto, se avesse davvero il coraggio di farlo. Con o senza di lui. Lo amava, certo, e aveva fatto di tutto per non perderlo un'altra volta, ma dentro di sé sapeva che qualcosa si era rotto.
In quell'anno si era resa conto di una cosa fondamentale: non si fidava più delle sue promesse. Quella fiducia incondizionata, che una volta era il pilastro del loro rapporto, si era sgretolata come sabbia tra le dita.
Una sera, dopo l'ennesima discussione, Nilufar chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Era stanca, esausta di vivere una vita che non le apparteneva più. Si guardò attorno: la loro casa, con le sue pareti familiari, i mobili vecchi, i ricordi di un tempo migliore, ora le sembrava solo una prigione. Non voleva più stare lì. Non voleva più essere ancorata a un'esistenza che l'aveva resa infelice per così tanto tempo. Aveva bisogno di cambiare aria, di andarsene, e non voleva aspettare che fosse troppo tardi.
Aprì la posta elettronica sul computer, le mani che tremavano leggermente. Il cursore lampeggiava sul documento che aveva ricevuto due settimane prima: il contratto di acquisto della casa in Giappone. Lo lesse di nuovo, riga per riga, come se cercasse una scusa per non firmarlo, per tirarsi indietro all'ultimo minuto. Ma non trovò niente. Il cuore le batteva forte nel petto quando prese il mouse e firmò digitalmente i documenti. Poi, senza più pensarci, inviò il denaro.
Il sistema di trasferimento bancario impiegò pochi secondi per completare l'operazione, ma a Nilufar sembrarono interminabili. Aveva appena trasferito tutti i suoi risparmi su un conto estero per acquistare una casa in Giappone. Per un attimo, si sentì come se avesse saltato da un precipizio.
Per i giorni successivi, ogni singolo istante fu un tormento. Si morse le mani e trascorse notti insonni, in preda all'ansia. "Ho appena buttato al vento tutti i miei risparmi?", si chiedeva continuamente. Sapeva che non c'era via di ritorno, che quel denaro poteva essere perso per sempre se qualcosa fosse andato storto. Aveva speso anni a mettere da parte quel gruzzolo, con fatica e sacrificio, e ora l'aveva rischiato tutto per un progetto che sembrava una follia.
Poi, una mattina, mentre si stava preparando per andare al lavoro, ricevette una chiamata dall'estero. Il numero era sconosciuto e il suo cuore accelerò. Rispose con voce tremante e all'altro capo una voce maschile parlava in giapponese.
Nilufar si sentì persa per un attimo, poi interruppe il tizio: «Excuse me, can you speak in English, please?», chiese, cercando di mantenere la calma.
La voce dall'altra parte fece una pausa, poi iniziò a parlare in inglese, con un accento pesante. Le comunicò che la casa era ufficialmente di sua proprietà. Il mondo sembrò fermarsi per un secondo.
Appena chiusa la chiamata, Nilufar si guardò allo specchio, osservando il riflesso di quella giovane donna che non riconosceva più del tutto.
«Oh mamma, ora sono nei guai!», esclamò a voce alta.
L'adrenalina la percorreva da capo a piedi, ma insieme a essa c'era una scintilla di eccitazione. Era una bella ragazza di ventisei anni, alta un metro e cinquanta, con curve morbide e ben definite. I suoi capelli, con quelle ciocche tinte di biondo che le incorniciavano il viso fino alle spalle, cadevano in onde naturali. Gli occhi, marroni come la nocciola più pura, brillavano di luce nuova.
Nonostante la paura, una parte di lei si sentiva finalmente viva.
Controllò il suo conto bancario e scoprì con sollievo che le erano rimasti abbastanza soldi da parte per poter cominciare a ristrutturare la casa. La tentazione di parlarne con Fabio era forte, ma sapeva che non poteva farlo. Lui non capiva, non avrebbe mai compreso cosa la spingeva a voler scappare così lontano.
Decise di agire da sola e ogni pomeriggio, dopo il lavoro, si ritagliava quattro ore da dedicare alla ricerca di costruttori e architetti in Giappone, cercando professionisti affidabili che potessero aiutarla a trasformare quella vecchia catapecchia cadente in un luogo che potesse chiamare "casa mia".
Trovare qualcuno affidabile non fu facile. Gli orari lavorativi in Giappone erano diversi e spesso doveva mandare email di notte per ricevere risposte al mattino. Tra preventivi, richieste di materiali e la burocrazia che sembrava infinita, Nilufar si sentiva sopraffatta. Ma non mollava. Ogni volta che Fabio ritornava a casa, lei chiudeva in fretta il computer e nascondeva ogni traccia di quello che stava facendo. Non voleva che lui scoprisse nulla.
Era il suo sogno, la sua via di fuga.
Il progetto di ristrutturazione, arredi inclusi, prevedeva inizialmente una durata di circa tre anni. Tra la burocrazia, l'approvazione dei permessi e la complessità di coordinare i lavori a distanza, sembrava un'impresa impossibile. Ma Nilufar non era una che si arrendeva facilmente. Dopo aver fatto mille calcoli, decise di tagliare ogni spesa superflua: niente vacanze particolari, niente shopping impulsivo, cene fuori limitate con subdola scusa di voler dimagrire. Con questi sacrifici e rinunciando all'ultimo centesimo del suo conto in banca, riuscì a restringere il tempo a un anno e due mesi. Era un rischio enorme, ma sapeva che, con una buona pianificazione e qualche lavoretto extra, avrebbe avuto tutto il tempo per racimolare un altro gruzzoletto per far fronte alle ultime spese.
Nei mesi successivi, la sua vita sembrava procedere su due binari paralleli. Da un lato, Fabio continuava con la sua routine: lavoro, serate con gli amici al computer e quei momenti tranquilli che condividevano insieme, come se nulla fosse cambiato. Dall'altro, Nilufar coltivava in segreto il suo piano. Ogni sera, dopo aver cenato con Fabio e assicurandosi che lui fosse occupato, si ritirava in stanza per dedicarsi al progetto della casa. Passava ore a gestire la ristrutturazione, inviare email, parlare con i costruttori in Giappone e finalizzare dettagli che andavano dalla scelta dei materiali all'arredamento.
Non solo: sapeva che una volta trasferitasi, avrebbe avuto bisogno di un lavoro stabile. Così, con una mossa ben calcolata, decise di inviare qualche curriculum all'estero per lavorare come parrucchiera e Makeup Artist, stampando un curriculum Vitae pressoché menzognero. "Ma tanto che ne sanno", pensò.
Tuttavia sapeva che in Giappone i parrucchieri stranieri erano spesso ricercati per stili diversi e un tocco di creatività che i giapponesi amavano. Pochi giorni dopo, ricevette una risposta positiva. Una piccola catena di saloni le offriva un lavoro che sarebbe iniziato non appena la casa fosse stata pronta. Pensò anche alle pulizie una volta terminata la ristrutturazione: pagate con qualche soldo in più.
Nilufar accettò l'ingaggio senza pensarci due volte. Per lei, quel lavoro non era solo una fonte di reddito, rappresentava il primo passo concreto verso la sua nuova vita. Ora aveva una scadenza ben precisa: doveva completare la casa entro quel tempo, perché tutto era legato a quel progetto.
Con il cuore pesante, si rese conto che stava andando avanti in una direzione senza poter tornare indietro, eppure era così brava a mascherare tutto questo che Fabio non si accorse di nulla. Continuava a comportarsi come sempre, sorridendo, fingendo una normalità che in fondo non c'era più. Ogni tanto, si chiedeva come fosse possibile portare avanti una doppia vita senza destare sospetti.
Fabio non sospettava nulla e, anzi, sembrava felice del loro rapporto apparentemente sereno. Ma dentro di lei, Nilufar sentiva che quel fardello stava diventando sempre più pesante. Aveva imparato a recitare la parte della compagna perfetta, ma sotto quella maschera, l'angoscia la consumava. In fondo, sapeva che ogni decisione che prendeva la allontanava sempre di più da lui, da quel mondo che avevano costruito insieme. Eppure, continuava ad andare avanti, spinta da una forza interiore che non riusciva a controllare.
A volte, mentre fissava lo schermo del computer, elaborando le spese per la ristrutturazione o controllando le tempistiche del progetto, sentiva un brivido di eccitazione: quella casa in Giappone rappresentava la sua libertà, la sua possibilità di rinascere, lontano da tutto ciò che la soffocava. E anche se quel peso continuava a gravare sul suo animo, sapeva che non c'era più modo di tornare indietro.
Nel silenzio della notte, dopo aver chiuso tutte le finestre del browser per evitare che Fabio scoprisse qualcosa, Nilufar si concedeva un momento di riflessione. Si guardava allo specchio e si chiedeva come avesse fatto a nascondere tutto così bene. Era diventata così brava a recitare che, persino davanti a sé stessa, riusciva a sembrare tranquilla. Ma la verità era un'altra: aveva paura. E quella paura la rendeva più determinata che mai a compiere il suo salto nel buio.
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